TAR Roma, sez. I, sentenza 2014-09-09, n. 201409564

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2014-09-09, n. 201409564
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201409564
Data del deposito : 9 settembre 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01712/2014 REG.RIC.

N. 09564/2014 REG.PROV.COLL.

N. 01712/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1712 del 2014, proposto da:
Immobiliare Podere Trieste Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti N P e N P, elettivamente domiciliata in Roma, via B. Tortolini, 34, presso lo studio dell’avv. N P;

contro

La Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'ottemperanza

alla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 23 ottobre 2012.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 luglio 2014 la dott.ssa Roberta Cicchese e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


Rilevato che, con il ricorso in esame, la Podere Trieste s.r.l ha agito per l’esecuzione del giudicato costituito dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 23 ottobre 2012;

Rilevato ancora che, con tale decisione, la Corte, vista la propria precedente sentenza del 16 novembre 2006 - con la quale aveva accertato l’illecita occupazione di fatto, da parte del Comune di Roma, di un terreno di proprietà della ricorrente - ha liquidato in favore di questa, e a carico dello Stato italiano, la somma di € 47.740.000 (quarantasette milioni e settecentoquarantamila euro) a titolo di “equa soddisfazione”, ai sensi dell’art. 41 della legge 4 agosto 1955, n. 848, di ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;

Ritenuto che, come sostenuto dalla difesa erariale, il ricorso sia inammissibile;

Considerato infatti che le pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo non sono contemplate tra i titoli per l’esecuzione dei quali può essere proposta, ai sensi dell’art. 112 c.p.a, l’azione di ottemperanza;

Considerato ancora che la corrispondente previsione non può essere rinvenuta, come prospettato dalla ricorrente, nella lettera d) del comma 2 del suddetto articolo, la cui pur ampia previsione (sentenze passate in giudicato e altri provvedimenti ad essi equiparati per i quali non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza), va riferita, sia per ragioni storiche che sistematiche, alle decisioni dei giudici speciali nazionali per i quali l’ordinamento non abbia già previsto un autonomo meccanismo esecutivo (cfr., in particolare, l’art. 113, comma 2, che attribuisce la competenza sui ricorsi per l’esecuzione del giudicato proposti ai sensi dell’art. 112, lettera d, al tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione “ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di cui è chiesta l’ottemperanza”);

Rilevato, infine, che la prospettata ricomprensione delle sentenze della Corte europea tra quelle suscettibili di ottemperanza non può essere desunta, come sostenuto nella memoria dell’interessata, dal richiamo che la relazione di accompagnamento al codice del processo amministrativo fa agli articoli 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, atteso che il riferimento attiene al rispetto dei principi posti dalla Convenzione in tema di diritto ad “un processo equo” e ad “un ricorso effettivo”, ma che la stessa relazione nulla dice in ordine ai criteri con i quali individuare le “decisioni la cui cogenza è equiparata a quella delle sentenze del Consiglio di stato irrevocabili”;

Considerato ancora che, in punto di “forza vincolante ed esecuzione delle sentenze”, l’art. 46 della Convenzione delinea, nei suoi cinque commi, un sistema compiuto, nel quale le questioni interpretative ed esecutive concernenti le decisioni della Corte sono rimesse alla Corte medesima e il controllo sulla esecuzione è attribuito al Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, rientrando, infine, nelle attribuzioni del Presidente del Consiglio dei ministri del Governo della Repubblica italiana, la “promozione” degli “adempimenti di competenza governativa conseguenti alle pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo emanate nei confronti dello Stato italiano", in forza della legge 23 agosto 1988, n. 400, art. 5, comma 3, lett. a-bis);

Ritenuto, di conseguenza, che, come recentemente affermato dalla Cassazione a Sezioni Unite “le sentenze definitive della Corte europea dei diritti dell'uomo, con le quali sono accertate e dichiarate violazioni della Convenzione e/o dei suoi Protocolli, non incidono direttamente nell'ordinamento giuridico dello Stato convenuto, vincolando invece, sul piano internazionale appunto, soltanto quest'ultimo a conformarvisi” (ordinanza 16 maggio 2013, n. 11826);

Rilevato che anche la Corte costituzionale ha più volte puntualizzato come le norme CEDU “vincolano lo Stato, ma non producono effetti diretti nell'ordinamento interno” (sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, affermazione la cui validità è stata confermata, anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, dalla sentenza n. 80 del 2011) e come le decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo creino vincoli sul solo piano internazionale (sentenza n. 129 del 2008, che rileva la carenza, nell’ordinamento nazionale, di strumenti preordinati a garantire l’effettività del citato articolo 46 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo);

Considerato che nello stesso senso si è recentemente espresso anche il giudice amministrativo, il quale ha rilevato come “le decisioni della Corte europea non sono assimilabili ad un titolo esecutivo giudiziale suscettibile di esecuzione forzata nei confronti dello Stato contraente condannato dalla Corte, poiché nessuna disposizione della Convenzione prevede meccanismi esecutivi diretti di tali provvedimenti. Esse, in altre parole, creano reciproci vincoli obbligatori tra gli Stati membri e non danno luogo ad obbligazioni di tipo privato nei confronti dei ricorrenti vittoriosi, ciò che urterebbe contro la lettera della Convenzione e i comuni principi di diritto internazionale riconosciuti dagli Stati contraenti” (T.A.R. Sicilia, Catania, 6 febbraio 2014, n. 424);

Considerato che tale conclusione è coerente con quanto sostenuto dal Servizio Pubbliche Relazioni della stessa Corte europea dei diritti dell’uomo nell’opuscolo “La CEDU in 50 domande”, nel quale, benché al solo fine di fornire informazioni generali sulla funzionamento della Corte, con valore non vincolante, al quesito 40, contenente la domanda “Come vengono eseguite le sentenze della Corte?”, chiarisce come “Quando emette una sentenza di condanna, la Corte trasmette il fascicolo al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. Questo consulta il Paese interessato ed il dipartimento responsabile per l’esecuzione delle sentenze, al fine di decidere modi e tempi dell’esecuzione e al fine, altresì, di evitare violazioni simili in futuro. L’esecuzione consiste spesso nell’adozione di misure generali, in emendamenti alla legislazione vigente e, ove necessario, provvedimenti a carattere individuale”;

Considerato che il medesimo opuscolo, al quesito 42, illustrando il contenuto dell’istituto dell’equa riparazione - che consiste in un risarcimento in denaro per il danno patito - precisa pure che “Il Comitato dei Ministri verifica che la somma eventualmente accordata dalla Corte al ricorrente venga effettivamente versata”;

Ritenuto che, in considerazione della valenza generale della ricostruzione, nessun rilievo possa essere attribuito alla circostanza di fatto per cui, nel caso in esame, la sentenza della Corte europea imponeva solo il pagamento di una somma di danaro;

Rilevato, da ultimo, che la stessa pronuncia invocata dalla ricorrente (Cassazione civile, sez. III, 30 settembre 2011, n. 19985, della quale, peraltro, non constano decisioni, precedenti o successive, conformi) pur affermando che “la decisione definitiva della Corte dei diritti dell’uomo ha effetti precettivi immediati assimilabili al giudicato”, da tale premessa trae poi la conseguenza che l’obbligo di conformazione e non contraddizione con la sentenza CEDU grava sul giudice che ha cognizione di merito sulla “medesima quaestio disputanda ”, non affrontando la diversa questione concernente l’azionabilità diretta del titolo sovranazionale;

Considerato che, nella concreta fattispecie, il Tribunale civile di Roma ha già sancito, in sostanziale sintonia con la posizione poi assunta dalla Corte europea, la risarcibilità e la quantificazione del danno subito dalla ricorrente, con la sentenza n. 22349/2010, appellata dalla Podere Trieste s.r.l;

Ritenuto, infine, di compensare tra le parti le spese di lite, in considerazione della peculiarità della vicenda esaminata;

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