TAR Firenze, sez. II, sentenza 2021-09-29, n. 202101235

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Firenze, sez. II, sentenza 2021-09-29, n. 202101235
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Firenze
Numero : 202101235
Data del deposito : 29 settembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/09/2021

N. 01235/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00100/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale -OMISSIS-, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato C R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno, Questura di -OMISSIS-, U.T.G. - Prefettura di -OMISSIS-, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale di -OMISSIS-, domiciliataria ex lege in -OMISSIS-, via degli Arazzieri, 4;

per l'annullamento

- del decreto del Questore della Provincia di -OMISSIS- n. -OMISSIS- del 20 novembre -OMISSIS- di diniego della istanza di rilascio della licenza di porto di fucile per uso di caccia;

- di tutti gli atti ad esso presupposti connessi e conseguenziali anteriori e successivi.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Questura di -OMISSIS- e dell’ U.T.G. - Prefettura di -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 settembre 2021 il dott. Nicola Fenicia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso in decisione l’odierno ricorrente impugna il decreto n. -OMISSIS- del 20 novembre -OMISSIS- emesso dal Questore di -OMISSIS- con cui è stata respinta la sua istanza di rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia.

Il ricorrente premette di essere titolare da oltre 20 anni di porto d’ armi per uso caccia, che gli era stato rinnovato nel 1998, nel 2004 e nel 2011.

Nel 2016 il ricorrente era stato però tratto in arresto in esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare del Tribunale penale di -OMISSIS-, emessa nell’ambito di un procedimento penale in cui risultava indagato per i reati di cui agli artt. 110, 319 e 321 del c.p. . In conseguenza dell’arresto e degli altri precedenti penali, con decreto della Prefettura -OMISSIS- del 28 febbraio 2017, notificato il 4 marzo 2017, e con successivo decreto della Questura di -OMISSIS-, notificato il 31 marzo 2017, gli era stato fatto divieto di detenere armi e gli era stata revocata la licenza di porto d'armi.

L’odierno ricorrente aveva impugnato quest’ultimi provvedimenti dinanzi al TAR Toscana che, con sentenza n. -OMISSIS-, confermata in appello (Cons. Stato, III, n. -OMISSIS-), aveva respinto il ricorso.

Successivamente l’odierno ricorrente ha presentato un’istanza di revoca del divieto di detenzione e una nuova istanza di concessione del porto d'armi, allegando, fra gli altri documenti, l’ordinanza del Tribunale penale di -OMISSIS- di revoca delle misure cautelari.

Con decreto n. -OMISSIS- del 7 maggio -OMISSIS-, la Prefettura di -OMISSIS- ha disposto la revoca del divieto di detenzione armi, munizioni e materie esplodenti emesso il 28 febbraio 2017, e ciò sulla base del parere positivo dei Carabinieri di -OMISSIS-, avendo l’interessato dato prova di buona condotta a partire dal 2016, e non risultando il medesimo più gravato da misure cautelari, mentre il procedimento penale pendente presso la procura di Alessandria (per i reati di cui agli artt. 110, 319 e 321 c.p.) non aveva nel frattempo avuto alcuno sviluppo processuale.

Viceversa la Questura di -OMISSIS-, operando una diversa valutazione della situazione personale dell’odierno ricorrente, ha ritenuto insussistente il requisito della buona condotta ed ha perciò rigettato la richiesta di rilascio del porto di fucile ad uso caccia, con decreto del 20 novembre -OMISSIS- qui impugnato.

Quanto ai motivi di impugnazione il ricorrente deduce:

1) la violazione dei principi costituzionali di proporzionalità e ragionevolezza;
l’illegittimità del provvedimento impugnato per eccesso di potere nelle sue figure sintomatiche dell’illogicità e ingiustizia manifeste, della carenza di istruttoria e di motivazione, del travisamento o omessa valutazione di presupposti essenziali;
ciò in quanto la Questura di -OMISSIS- non avrebbe tenuto conto della revoca del divieto di detenzione di armi disposta dalla Prefettura e dei pareri positivi espressi negli ultimi anni dal Comando dei Carabinieri di -OMISSIS- in ordine all’affidabilità del ricorrente circa il non abuso delle armi e alla sua buona condotta in genere. Nello specifico, non essendosi verificato alcun fatto nuovo medio tempore tra la revoca del divieto di detenzione d’armi e il diniego di porto d’armi, la Questura avrebbe dovuto conformarsi alla valutazione operata dalla Prefettura, o comunque, ove avesse voluto discostarsene, avrebbe dovuto motivare congruamente i motivi ostativi alla base dell’emesso diniego;

2) la violazione degli artt. 9, 10, 11, 35 e 45 del T.U.L.P.S (e successive modificazioni), nonché la violazione del principio di proporzionalità e del principio di ragionevolezza, in quanto la Questura di -OMISSIS- avrebbe posto alla base del provvedimento impugnato una serie di fatti “irrilevanti” relativi ad un arco temporale di circa trent’anni. Nello specifico, il ricorrente lamenta che i fatti antecedenti al 2011 sarebbero coperti dal giudicato amministravo (di annullamento, di un precedente diniego nel 2010 della licenza di porto di fucile per uso caccia, con sentenza di questo T.A.R. n. -OMISSIS-) mentre i fatti successivi sarebbero estranei alla materia delle armi, con conseguente erroneità del giudizio di affidabilità del soggetto. Inoltre, il diniego di porto d’armi sarebbe affetto da eccesso di potere (nelle sue varie figure sintomatiche) in quanto la Questura non avrebbe adeguatamente motivato il provvedimento impugnato in ordine al difetto di “buona condotta”;

3) la violazione e la falsa applicazione della l. n. 157 del 1992, della Convenzione di Bonn del 23 giugno 1979, sulla conservazione delle specie migratrici e della convenzione di Berna sulla conservazione della vita selvatica e degli ambienti naturali del 19 settembre 1979, venendogli impedito di partecipare ai piani di abbattimento predisposti dalla Provincia per il controllo della fauna selvatica.

Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni resistenti, controdeducendo sul merito del ricorso.

All’udienza del 23 settembre 2021, il ricorso, all’esito della discussione dei difensori, è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il ricorso non è fondato per le ragioni che si passa ad esporre.

1. Va ricordato che, in linea generale, per il diniego della licenza di porto d'armi non occorre che vi sia stato un oggettivo ed accertato abuso delle armi, essendo sufficiente che il soggetto, sulla base di un giudizio probabilistico delle circostanze che lo hanno visto coinvolto, non dia affidamento di non abusarne (Consiglio di Stato Sez. VI, 18-11-2010 n. 8102;
Consiglio di Stato sez. IV, 29 novembre 2000 n. 6347). E’ pure costantemente ripetuto in giurisprudenza come non sia configurabile una posizione di diritto soggettivo assoluto in relazione all’ottenimento ed alla conservazione del porto di armi in deroga al generale divieto di cui all’art. 699 c.p. e di cui all’art. 4, comma 1, l. 18 aprile 1970, n. 110 (Corte cost. n. 440 del 1993;
Cons. Stato, sez. III, n. 2974 del 2018;
id., n. 3502 del 2018). L’Amministrazione gode, pertanto, ai sensi degli artt. 11, 39 e 43 del r.d. 773/31, di ampia discrezionalità nel formulare il proprio giudizio di non affidabilità del soggetto richiedente o già titolare della licenza di porto d’armi, potendo legittimamente valorizzare, ai fini del diniego o della revoca, anche il verificarsi di situazioni non penalmente rilevanti, ma ciononostante indicative di una condotta non specchiata: l’esigenza di tutela dell’ordine pubblico, infatti, impone all’Autorità di attivarsi proprio al fine di prevenire la commissione di illeciti, ma pur sempre sulla base di elementi seri ed oggettivamente apprezzabili.

Va dunque puntualizzato che il porto d'armi costituisce eccezione al normale divieto di portare le armi e tale eccezione può operare soltanto in favore di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il "buon uso" delle armi stesse. Dalla eccezionale permissività del porto d'armi e dai rigidi criteri restrittivi regolatori della materia deriva che il controllo dell'Autorità amministrativa deve essere più penetrante rispetto al controllo che la stessa Autorità è tenuta ad effettuare con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso, talora volti a rimuovere ostacoli a situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari i richiedenti (cfr. Corte costituzionale 9 maggio 2019, n. 109;
16 dicembre 1993, n. 440).

La natura cautelare e la finalità preventivo-anticipatoria di tali provvedimenti richiedono all’Amministrazione di effettuare una valutazione prognostica sulla personalità del soggetto, dando adeguatamente conto nella motivazione del provvedimento finale di tutte le circostanze dalle quali, nel caso di specie, abbia tratto elementi di segno sfavorevole all’accoglimento delle istanze del privato. In particolare, dalla lettura dei provvedimenti dovranno emergere con chiarezza “le ragioni per le quali la valutazione della personalità complessiva del soggetto, della sua storia di vita pregressa e delle presumibili evoluzioni del suo percorso di vita ha condotto l’Autorità a determinarsi nel senso di vietargli la detenzione e l’uso delle armi, avendolo ritenuto allo stato pericoloso o comunque capace di abusarne. Non potrà, invece, ritenersi sufficiente una motivazione scarna, apodittica, fondata su un singolo elemento non corroborato da ulteriori indizi” (Cons. St., sez. III, n. 2543 del -OMISSIS-).

Tanto premesso, ritiene il Collegio che il provvedimento impugnato sia sorretto da adeguata motivazione, in quanto la Questura ha compiutamente dato atto dei plurimi elementi da cui ha desunto l’inaffidabilità del ricorrente all’uso lecito delle armi.

Il provvedimento della Questura di -OMISSIS- si fonda, in particolare, sulla valutazione della incompatibilità, del succedersi trentennale di episodi di rilevanza penale, definitivamente accertati o meno, a carico dell’odierno ricorrente, con il requisito della buona condotta necessario per ottenere la licenza di porto d’armi.

Trattasi di numerosissimi episodi che, atomisticamente considerati, non sarebbero di per sé soli sufficienti a fondare un giudizio di segno negativo, ma, ancorchè risalenti nel tempo (rissa, detenzione di stupefacenti, ubriachezza, lesioni personali e resistenza a pubblico ufficiale, inosservanza di provvedimenti dell’Autorità, guida in stato di ebbrezza), ancorchè oggetto di procedimenti penali non conclusisi con sentenza di condanna (falsa attestazione e dichiarazione a pubblico ufficiale), o ancora pendenti (corruzione), ancorchè non attinenti alla materia delle armi (violazione delle norme in materia edilizia;
violazione del D.lgs. n. 139/2006 in materia di prevenzione incendi), se letti e valutati in un’ottica complessiva come l’Amministrazione ha fatto, certamente possiedono una valenza indiziaria volta ad escludere affidabilità e specchiata consuetudine di vita, ciò che invece occorre perché la deroga al generale divieto di porto dell’arma sia accordata.

Per cui ritiene il Collegio che la valutazione sull’affidabilità dell’odierno ricorrente nella detenzione e nell’uso lecito delle armi posta dalla Questura a fondamento del diniego non possa essere ritenuta sotto questo profilo irragionevole o illogica. Non è invece compito del giudice amministrativo sostituirsi all’autorità competente, quasi fosse un organo di pubblica sicurezza di seconda istanza, formulando una propria altrettanto opinabile valutazione.

Peraltro, la rilevanza delle suddette vicende processuali (e in particolare del procedimento per falsa attestazione e dichiarazione a pubblico ufficiale) ai fini della prognosi d’inaffidabilità costituisce materia coperta da giudicato, avendo questo T.A.R. già ritenuto che “ le false dichiarazioni rese dal ricorrente in sede di rinnovo del porto d’armi, con riferimento ad una circostanza assolutamente non trascurabile come l’uso di sostanza psicoattive ”, sebbene oggetto di una sentenza del GIP di non doversi procedere per mancanza dell’elemento soggettivo del reato, siano “ assolutamente incompatibili con l’affidamento necessario per poter risultare destinatari dei provvedimenti autorizzativi alla detenzione e al porto d’armi ” (sentenza n. -OMISSIS-). E avendo sul punto il Consiglio di Stato in grado di appello già confermato che “ il Prefetto ben può ritenere che le licenze di polizia non vadano rilasciate nei confronti di chi sia stato coinvolto nell’ambito di un procedimento penale, dando rilievo alla rilevata inaffidabilità, desumibile dalle dichiarazioni non veritiere in quanto tali, sicché non rileva il fatto che per esse vi era stata la modifica in sede penale della qualificazione giuridica. Così come assume valore la pendenza del procedimento penale per corruzione e la frequentazione di soggetti ‘pregiudicati’... ” (sentenza n. -OMISSIS-).

2. Rispetto a tale quadro giuridico-fattuale recentemente cristallizzatosi nelle predette sentenze, secondo il ricorrente, l’intervenuta revoca del divieto di detenzione delle armi, con decreto della Prefettura del 7 maggio -OMISSIS-, rappresenterebbe un decisivo elemento di novità che avrebbe dovuto vincolare la Questura, ovvero, avrebbe dovuto essere da quest’ultima tenuto in massima considerazione, ai fini del rilascio del porto d’armi.

Tale tesi non può tuttavia essere condivisa.

Prescindendo dall’argomento, all’evidenza infondato, secondo cui fra Prefettura e Questura vi sarebbe un rapporto di gerarchia, sulla questione cruciale si osserva infatti quanto segue.

I provvedimenti in materia di detenzione delle armi e di porto d’armi, di cui rispettivamente agli artt. 38 e 42 del t.u.l.p.s. pur rispondendo ad una medesima ratio , ovvero quella della salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica, sono disciplinati da procedimenti differenti e hanno differenti contenuti abilitativi.

In particolare, la disciplina di pubblica sicurezza distingue fra la semplice detenzione di armi (che non abbisogna di licenza, purché le armi siano denunciate e opportunamente custodite: art. 38 t.u.l.p.s.), e il porto (per il quale occorre la licenza di cui all’art. 42 del t.u.l.p.s.: nessuno può portare armi se non è titolare della licenza concessa dal Questore).

La detenzione di armi può essere vietata «alle persone ritenute capaci di abusarne» (art. 39, t.u.l.p.s.);
la licenza di porto d’armi può (o deve) essere negata a chi abbia determinati precedenti penali o non abbia buona condotta o non dia affidamento di non abusare delle armi. (art. 43, t.u.l.p.s.). Inoltre il rilascio della licenza di porto d’armi è rimesso alla discrezione dell’autorità (l’art. 42 usa l’espressione “facoltà di dare licenza”).

Dunque, chi detiene armi deve farne denuncia, nei termini e secondo le modalità indicate nell’art. 38. La denuncia, cui fa seguito il c.d. nulla osta, abilita il soggetto esclusivamente alla detenzione delle armi denunciate e delle munizioni presso la propria abitazione e relative pertinenze, ma non il porto o il trasporto all’esterno, per il quale è obbligatoria la licenza di porto di armi o un’apposita licenza di trasporto.

Il provvedimento del Prefetto di divieto di detenzione delle armi interviene dunque laddove il denunciante detentore venga ritenuto capace di abusare delle armi stesse;
una volta revocato tale divieto per mutamento delle circostanze di fatto, la situazione del detentore delle armi ritorna quella di partenza della possibilità di detenere armi, senza alcuna prerogativa, ai fini del rilascio del porto d’armi, rispetto alla posizione dei detentori di armi che non sono incorsi in provvedimenti di divieto di detenzione e di successiva revoca degli stessi. Perciò, la Questura, chiamata a pronunciarsi sul rilascio del porto d’armi, è legittimata a formulare un proprio autonomo giudizio prognostico sull’affidabilità del soggetto “di non abusare delle armi”, senza alcun limite e senza alcun particolare aggravio motivazionale dettato dalla pregressa revoca del divieto di detenzione.

Per quanto sopra detto, è evidente che la licenza di porto d’armi, che abilita il titolare, appunto, a portare l’arma e trasportarla al di fuori della propria abitazione in deroga al generale divieto, ha un contenuto autorizzatorio più ampio di quello oggetto del nulla osta per la detenzione, circostanza che comporta che le valutazioni sull'affidabilità dell'istante debbano essere maggiormente ponderate e improntate ad un maggior rigore.

Da ciò deriva che seppure sussista un rapporto di presupposizione tra il divieto di detenere armi e la licenza di porto d’armi, sicchè a fronte del provvedimento di divieto di detenzione ex art. 39 cit. assunto dal Prefetto, il diniego o la revoca della licenza di porto d'armi da parte del Questore costituisce una conseguenza naturale e praticamente vincolata, non può ritenersi operante il reciproco, di talchè la facoltà di detenere armi per effetto della revoca di un precedente divieto non condiziona il potere discrezionale del Questore in ordine alla concessione della licenza di porto d’armi, di contenuto più ampio (cfr. T.A.R. Milano, sez. I, 27 maggio 2021 n. 1298).

In conclusione, nella fattispecie in esame, sebbene con decreto prot. n. -OMISSIS- del 7 maggio -OMISSIS- la Prefettura avesse ritenuto sufficiente per la revoca del divieto di detenzione d’armi, precedentemente emesso in data 28 febbraio 2017, il fatto che dal 2016 in poi l’odierno ricorrente si fosse comportato correttamente, nondimeno, la Questura, ai fini del rilascio del porto d’armi, ha potuto liberamente e autonomamente valutare la personalità dell’odierno ricorrente e la sua complessiva affidabilità, in modo più rigoroso e tenendo in considerazione la condotta tenuta in un più ampio arco temporale.

Pertanto alcuna contraddittorietà può essere ravvisata fra i due provvedimenti, che sono emanati da differenti Autorità amministrative, sulla base di diversi presupposti e autonome valutazioni.

E’ vero che, come eccepito dalla difesa del ricorrente, in una precedente sentenza (n. 542 del 6 maggio -OMISSIS-) questo T.A.R. ha affermato che “ la concessione della licenza per portare armi fuori casa non può quindi determinare, né aggravare, un eventuale rischio di abuso delle stesse da parte del ricorrente, una volta che egli sia abilitato a detenerle in casa ”, ma si tratta di frase malamente estrapolata dal contesto;
nel caso oggetto di quella decisione, infatti, il pericolo di abuso derivava da una situazione di conflittualità familiare, quindi il pericolo derivava proprio dalla detenzione delle armi in casa;
una volta venuto meno tale tipo di pericolo e revocato il divieto di detenzione, non sussistevano altri elementi di fatto idonei a fondare un giudizio negativo d’inaffidabilità rispetto al porto d’armi all’esterno dell’abitazione.

3. Infine, non si può dire che l’istruttoria sia stata sommaria o lacunosa;
infatti, in particolare, il parere dei Carabinieri di -OMISSIS- cui fa riferimento il ricorrente è inerente al procedimento per la revoca del divieto di detenzione d’armi, per il quale è competente la Prefettura, ed alla stessa era diretto. In ogni caso la Questura ha correttamente motivato in ordine all’autonomia della propria valutazione rispetto a quella compiuta dalla Prefettura in sede di revoca del divieto di detenzione delle armi, ed ha dunque proceduto a sviluppare autonomamente la propria valutazione delle vicende penali e della situazione personale dell’odierno ricorrente nei termini sopra analizzati, discostandosi motivatamente dalla valutazione compiuta dalla Prefettura (a diversi fini) e dunque implicitamente dal parere favorevole dei Carabinieri.

4. L’ultimo motivo di ricorso è stato già giudicato infondato da questo Tribunale con la sentenza citata n. -OMISSIS-, passata in giudicato, con la quale si è ritenuto assolutamente irrilevante il ruolo che il ricorrente avrebbe finora assunto nelle procedure di controllo degli ungulati “ apparendo di tutta evidenza come la partecipazione del ricorrente a tali programmi possa essere agevolmente surrogata dall’intervento di altri soggetti e come non sussista alcuna norma che imponga all’Amministrazione di P.S. di autorizzare la detenzione e il possesso delle armi a soggetti non in possesso dei necessari requisiti di affidabilità, solo in considerazione della loro partecipazione ai programmi di controllo della fauna selvatica. ”. Non resta dunque che confermare il rigetto per infondatezza di tale censura.

5. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

6. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

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