TAR Palermo, sez. III, sentenza 2024-01-09, n. 202400069

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Palermo, sez. III, sentenza 2024-01-09, n. 202400069
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Palermo
Numero : 202400069
Data del deposito : 9 gennaio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/01/2024

N. 00069/2024 REG.PROV.COLL.

N. 02052/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2052 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato G C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Palermo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato C M F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

del provvedimento del -OMISSIS-, di diniego di permesso in sanatoria;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Palermo;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 11 dicembre 2023 il dott. D A e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso notificato in data 14 settembre 2019 e depositato l’8 ottobre 2019, la Sig.ra -OMISSIS- -OMISSIS- ha impugnato il provvedimento n. -OMISSIS-, con il quale lo Sportello Unico Attività Produttive (S.U.A.P.) del Comune di Palermo ha negato il rilascio del permesso a costruire in sanatoria richiesto, in data -OMISSIS-, per ottenere il cambio della destinazione d’uso, da magazzino a locale ad uso sportivo, dell’immobile ubicato in Palermo, alla Via-OMISSIS-, piano cantinato, censito al N.C.E.U di Palermo al foglio -OMISSIS-particella -OMISSIS-, e particella -OMISSIS-, di -OMISSIS-mq. circa.

1.1. Con la predetta istanza, la ricorrente aveva, infatti, avviato il procedimento di cui all’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, al fine di regolarizzare l’unità immobiliare sopra indicata, ottenuta dalla fusione e dal successivo frazionamento delle due unità immobiliari originarie, nella quale aveva effettuato alcune opere interne, non incidenti sulle parti strutturali, mediante l’aggiornamento della destinazione d’uso da ‘magazzino’ (categoria C2) a ‘fabbricati e locali per uso sportivo senza scopo di lucro’ (categoria C4), in ragione della sua locazione a un’associazione sportiva dilettantistica.

1.2. L’amministrazione comunale, tramite S.U.A.P., ha fornito un primo riscontro in data 14 marzo 2019, contenente la quantificazione degli oneri di urbanizzazione, richiesti ai fini del suo accoglimento, in €-OMISSIS-, di cui il medesimo ufficio ha confermato la correttezza con il preavviso di rigetto adottato, ai sensi dell’art. 11 bis della legge regionale Sicilia 30 aprile 1991, n. 10, in data 8 maggio 2019, nonostante la ricorrente avesse, in data 2 aprile, presentato osservazioni circa l’inesistenza di un maggior carico urbanistico idoneo a giustificarne l’esazione e contestato la competenza a provvedere del S.U.A.P. in luogo dello Sportello Unico Edilizia (S.U.E.), non vertendosi in materia di attività produttive.

2. Dell’impugnato provvedimento definitivo di diniego, motivato con il riferimento al mancato pagamento degli oneri di urbanizzazione, la ricorrente ha contestato la legittimità e chiesto, in via cautelare, la sospensione e, nel merito, l’annullamento per i seguenti motivi:

I. nullità e/o illegittimità del provvedimento impugnato;
difetto di legittimazione e/o incompetenza del Servizio S.U.A.P. del Comune di Palermo;
violazione ed erronea applicazione del d.P.R del 7 settembre 2010, n. 160;
eccesso di potere per difetto dei presupposti, per carenza ed erronea motivazione, in quanto l’ufficio S.U.A.P. non avrebbe competenza su fattispecie come quella in esame, in cui la variazione d’uso dell’immobile, destinato alle attività di una O.N.L.U.S., non riguarda alcuna attività produttiva;

II. nullità ed illegittimità del provvedimento di diniego;
violazione e/o ed erronea applicazione dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, in quanto emesso oltre il termine di 60 giorni previsto dal comma 3 della citata disposizione;

III. illegittimità della pretesa di pagamento degli oneri di urbanizzazione;
inesistenza dei presupposti e condizioni di legge;
violazione ed erronea applicazione del D.C.C n. 21 del 27 gennaio 2016, dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 recepito, con modifiche, dall’art. 4 della legge regionale Sicilia 10 agosto 2016, n. 16;
eccesso di potere per difetto dei presupposti;
insufficiente, illogica ed erronea motivazione;
difetto di istruttoria, in quanto il presupposto sul quale è fondato il provvedimento di diniego, cioè il mancato pagamento degli oneri di urbanizzazione, non troverebbe alcun addentellato normativo, atteso che sia la delibera consiliare n. 21 del 27 gennaio 2016 che la circolare n. 3 del 23 gennaio 2017 dell’Area tecnica della riqualificazione urbana e delle infrastrutture del Comune di Palermo ne subordinerebbero l’esigibilità all’aumento del carico urbanistico, come definito dall’art. 24 della legge regionale Sicilia n. 16/2016, che, invece, gli interventi edilizi eseguiti non hanno determinato, in quanto funzionali ad un passaggio della destinazione tra categorie edilizie omogenee, tenuto conto anche dell’attività non lucrativa svolta dall’associazione sportiva dilettantistica conduttrice dell’immobile.

3. Si è costituito, in data 22 ottobre 2019, il Comune di Palermo, depositando memoria di stile.

4. All’esito della camera di consiglio del 23 ottobre 2019, la domanda cautelare è stata rigettata per difetto del periculum in mora (ord. -OMISSIS-).

5. Con decreto presidenziale del-OMISSIS-, il giudizio è stato dichiarato interrotto in quanto l’originario procuratore del Comune di Palermo non risulta più iscritto all’albo degli avvocati.

6. A seguito della riassunzione del giudizio da parte della ricorrente con atto notificato alla parte resistente in data 5 maggio 2023 e depositato il giorno 12 dello stesso mese, l’amministrazione comunale si è costituita, riportandosi ai precedenti atti difensivi.

7. All’udienza pubblica di smaltimento dell’arretrato dell’11 dicembre 2023 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

8. Il ricorso è infondato.

8.1. Deve essere, preliminarmente, disatteso il rilievo circa l’incompetenza del S.U.A.P. all’adozione del provvedimento di diniego, che, secondo la ricorrente, ne determinerebbe la “nullità e/o illegittimità” , in quanto “l’immobile…è sede di un’associazione onlus che non persegue fini di lucro” , con conseguente competenza dello Sportello Unico Edilizia.

8.1.1. Va escluso, innanzitutto, che possa porsi un problema di nullità del provvedimento, ravvisabile, ai sensi dell’art. 21 septies della legge n. 241/1990, non quando – come, eventualmente, nel caso di specie – l’atto venga emanato da un diverso organo del medesimo ente comunale, bensì nelle sole ipotesi di “difetto assoluto di attribuzione” , cioè “solo in caso di cosiddetta carenza di potere in astratto, ovvero quando la pubblica amministrazione esercita un potere che in realtà nessuna norma le attribuisce, ovvero l'atto costituisca manifestazione di poteri spettanti ad organi che operino in settori del tutto diversi e manchi del tutto una norma che attribuisca all'amministrazione il potere di cui è in contestazione l'esercizio” (T.A.R. per il Veneto, Sez. II, 15 settembre 2023, n. 1291).

8.1.2. Neanche si ravvisano, poi, profili di incompetenza relativa, suscettibili di giustificare un annullamento dell’atto ai sensi dell’art. 21 octies , co. 1, della legge n. 241/1990. La competenza del S.U.A.P. è, infatti, delimitata dall’art. 2 del d.P.R. n. 160/2010, che lo definisce come l’ “unico soggetto pubblico di riferimento territoriale per tutti i procedimenti che abbiano ad oggetto l'esercizio di attività produttive e di prestazione di servizi” , così attraendo nel suo perimetro d’azione non solo le attività tipicamente imprenditoriali di produzione di beni, ma anche quelle di mera “prestazione di servizi” , alla quale è ben possibile che provvedano enti del terzo settore, in conformità al d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117. Del resto, la Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, n. 123 (c.d. “ Bolkestein ”), nel cui percorso di recepimento si inscrive l’adozione del citato d.P.R. n. 160/2010 (vds. il considerando n. 48 e l’art. 6 della Direttiva), annovera espressamente i “servizi ricreativi” e i “centri sportivi” “tra i servizi oggetto della presente direttiva” (considerando n. 33), indipendentemente dalla forma assunta dal soggetto erogatore, come, poi, specificato dall’art. 8, co.1, lett. a), del d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59. La circostanza, pertanto, che l’immobile sia stato locato ad un’associazione sportiva dilettantistica, che può, alle condizioni e nei limiti previsti dalla legge, contare sulla remunerazione dei servizi offerti, non integra, quindi, di per sé, una condizione sufficiente per escludere la competenza del S.U.A.P. su un’istanza di permesso di costruire in sanatoria connessa anche ad un cambio di destinazione d’uso da magazzino a locale per attività sportive, ancorché queste vengano rese “senza scopo di lucro” , in quanto l’assenza dello scopo di lucro non coincide senz’altro con gli “scopi caritatevoli” , ai quali l’art. 3 del d.lgs. n. 59/2010 subordina l’esonero dall’applicazione delle disposizioni ivi contenute, tra cui quelle di cui all’art. 25 in materia di “sportello unico” .

8.2. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato. Il superamento del termine di conclusione del procedimento previsto dall’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 non determina la consumazione del potere dell’amministrazione di provvedere sull’istanza. Prevedendo la formazione del silenzio-rigetto, che il co. 3 della citata disposizione riconnette al decorso del termine di sessanta giorni dalla presentazione della domanda, il legislatore ha inteso riconoscere al privato uno strumento di tutela per reagire immediatamente, in sede giurisdizionale, alla frustrazione del suo interesse, senza, però, attribuire al termine natura perentoria e sanzionare, così, con l’inefficacia o altra forma di invalidità una tardiva risposta dall’amministrazione. Come è stato condivisibilmente sostenuto in giurisprudenza, [d] i fatto, la norma, al pari della sua omologa del 1985, non prevede il rilascio del permesso di costruire in sanatoria oltre il termine di 60 giorni, «ma non dispone espressamente che il decorso del termine ivi indicato rappresenti, sul piano procedimentale, la chiusura del procedimento e specularmente determini, sul piano sostanziale, la definitiva consumazione del potere, con conseguente cristallizzazione della natura abusiva delle opere» (Cons. di Stato, sez. IV, 2 ottobre 2017, n. 4574). In mancanza, cioè, di un’esplicita prescrizione di decadenza, la decorrenza del termine di sessanta giorni non consuma il potere dell’Amministrazione di provvedere sull’istanza. Per vero, infatti, la previsione in subiecta materia di un’ipotesi di silenzio significativo è stata dettata nell’interesse precipuo del privato, cui è stata in tal modo consentita una sollecita tutela giurisdizionale. Il successivo, eventuale atto espresso di diniego, impugnabile con motivi aggiunti, non è inutiliter datum, posto che il relativo (e doveroso) corredo motivazionale individua le ragioni della decisione amministrativa e consente di meglio calibrare le difese dell’istante che ritenga frustrato il proprio interesse alla regolarizzazione ex post di quanto ex ante realizzato…” (Cons. Stato, Sez. II, 6 maggio 2021, n. 3545). Il provvedimento dell’amministrazione, benché tardivo, non è, pertanto, solo per questo, annullabile.

8.3. Da ultimo, deve essere respinto il terzo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente contesta la motivazione del provvedimento di diniego, fondata sul mancato “versamento degli oneri di urbanizzazione” , ritenendo che non sussista il presupposto del “maggior carico urbanistico” derivante dalla nuova destinazione dell’immobile oggetto di sanatoria. Come chiarito dalla giurisprudenza, “la nozione di "carico urbanistico" deriva dall'osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento cd. primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio (opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, condutture di erogazione del gas), che deve essere proporzionato all'insediamento primario, ossia al numero degli abitanti insediati ed alle caratteristiche dell'attività da costoro svolte. Quindi, il carico urbanistico è l'effetto che viene prodotto dal l'insediamento primario come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero delle persone insediate su di un determinato territorio” (Cass. Pen., Sez. III, 18 marzo 2021, n. 10402) .

8.3.1. Gli oneri di urbanizzazione richiesti al privato che intenda modificare la destinazione d’uso del proprio immobile costituiscono il “contributo” imposto dalla corrispondente modifica della domanda di servizi generata dalle attività umane connesse al nuovo impiego della proprietà e, quindi, dall’esigenza di una perequazione dei costi sociali derivanti dallo sfruttamento del territorio, assumendo, pertanto, natura compensativa “…rispetto alle spese di cui l’Amministrazione si fa carico per rendere accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o rinnovato edificio” (Cons. Stato, Sez. IV, 17 agosto 2022, n. 7191).

8.3.2. Nel caso all’esame di questo Collegio, non pare potersi dubitare che la concessione dell’immobile in godimento a un’associazione sportiva dilettantistica provochi, rispetto ad un magazzino, un maggior “consumo” delle risorse del territorio, in ragione della più intensa attività antropica collegata al nuovo utilizzo. Per suffragare la tesi della “neutralità” della nuova destinazione sul carico urbanistico, la ricorrente invoca l’appartenenza delle due diverse destinazioni alla medesima categoria catastale “C”. Tuttavia, il riferimento alle classificazioni catastali, che ineriscono “al bene in una prospettiva di tipo reale, riferita alle caratteristiche oggettive che connotano la sua "destinazione ordinaria", poiché l'idoneità dell'immobile a produrre ricchezza è riconducibile prioritariamente alla destinazione funzionale e produttiva dello stesso, accertata con riferimento alle potenzialità di utilizzo, e non al concreto uso che di esso venga fatto… dovendo invece essere preso in considerazione il fine di lucro, espressamente previsto come criterio di classificazione per numerose categorie catastali” (Cass. Civ., Sez. Trib., 30 ottobre 2020, n. 24078), non può essere dirimente, in quanto la destinazione d’uso rilevante ai fini urbanistici deve essere necessariamente verificata alla stregua di parametri diversi, che valorizzino, appunto, il “carico urbanistico”, nei termini sopra descritti, di ciascuna destinazione. La ricorrente si limita ad asserire che, in conformità all’art. 24, co. 2, della legge regionale n. 16/2016, “la modifica della destinazione d’uso richiesta…riguarda categorie edilizie omogenee e…la chiesta destinazione d’uso non comporta, nel caso di specie, un maggior carico urbanistico…” , senza né offrire alcun argomento, diverso dal richiamo alle categorie catastali, utile a corroborare la pretesa “omogeneità” edilizia tra le due destinazioni d’uso né dedurre specifiche violazioni degli strumenti urbanistici (e, in particolare, delle N.T.A.), ai quali rinvia il citato art. 24, co.2, della legge regionale n. 16/2016, non assolvendo, pertanto, all’onere della prova, di cui all’art. 64, co.1, c.p.a..

8.3.3. La ricorrente insiste, a più riprese, sulla natura giuridica del conduttore dell’immobile, un’associazione senza scopo di lucro, che dimostrerebbe l’inesistenza di un aggravio del carico urbanistico. Invero, come questo Tribunale ha già avuto modo di chiarire, un conto è la compatibilità della sede di un ente del terzo settore con qualsiasi destinazione d’uso omogenea prevista dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444, attualmente riconosciuta dall’art. 71 del d.lgs. n. 117/2017, che è quanto riconosce la sentenza del T.A.R. per la Campania n. 1881/2014, evocata dalla ricorrente;
invece, [c] osa ben diversa – e non ammessa dalla disposizione in esame – è dar luogo ad un mutamento di destinazione d’uso (urbanisticamente rilevante) di un immobile in assenza del necessario titolo edilizio. La rilevanza della variazione di destinazione realizzata dal ricorrente è evidente solo alla luce del diverso carico urbanistico che la nuova destinazione d’uso (da magazzino a palestra) comporterà, tenuto conto dell’affluenza dei fruitori della struttura sportiva” (T.A.R per la Sicilia, Palermo, Sez. II, 4 luglio 2023, n. 2235. In senso analogo, anche T.A.R. per il Lazio, Roma, Sez. II quater , 10 settembre 2018, n. 9209, secondo cui il passaggio da “magazzino” a “palestra” costituisce un cambiamento della destinazione d’uso rilevante “…non fosse altro che per l’evidente incidenza sul carico urbanistico di zona… la portata derogatoria del citato art. 32, comma 4, della l. n. 383/2000, non consente, infatti, di trascurare la valutazione della compatibilità urbanistica e dell'eventuale aggravio del carico urbanistico derivante dal cambio di destinazione d'uso” ).

8.4. In conclusione, il ricorso è infondato e va rigettato.

9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

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