TAR Trieste, sez. I, sentenza 2022-01-07, n. 202200005
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Pubblicato il 07/01/2022
N. 00005/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00131/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 131 del 2021, proposto da
L Tliamento Acque Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati D G, G R e M A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati D I e E M dell’Avvocatura regionale, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso gli Uffici dell’Avvocatura stessa in Trieste, p.zza Unità d’Italia, 1;
nei confronti
Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Friuli Venezia Giulia, non costituita in giudizio;
Consorzio di Bonifica Cellina Meduna, non costituito in giudizio;
AUSIR - Autorità Unica per i Servizi Idrici e Rifiuti, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
- per quanto di interesse e, comunque, con riferimento alle sole prescrizioni che comportano effetti pregiudizievoli per la ricorrente, del Decreto n. 891/AMB del 3 febbraio 2021 del Direttore di Servizio della Direzione Centrale Difesa dell’Ambiente, Energia e Sviluppo Sostenibile – Servizio gestione risorse idriche della Regione Friuli Venezia Giulia avente ad oggetto “ D.Lgs. n. 152/2006 – Livenza tagliamento Acque S.p.a. Rinnovo autorizzazione allo scarico di acque reflue urbane provenienti dal depuratore ubicato in via Toront a servizio della rete fognaria del capoluogo di San Giorgio della Richinvelda (PN)”;
- di ogni altro atto connesso per presupposizione e consequenzialità;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2021 la dott.ssa M S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La L Tliamento Acque s.p.a., società a capitale interamente pubblico alla quale è stata conferita la gestione del Servizio Idrico Integrato nell’ambito di diversi Comuni tra le Province di Pordenone, Venezia e Treviso e che gestisce, tra gli altri, l’impianto di depurazione di acque reflue urbane ubicato in San Giorgio della Richinvelda (PN), via Toront, a servizio della rete fognaria del capoluogo comunale, chiede l’annullamento del decreto, in epigrafe compiutamente indicato, avente ad oggetto il rinnovo dell’autorizzazione allo scarico di acque reflue urbane provenienti da tale depuratore, rilasciatole dal Direttore del Servizio gestione risorse idriche della Direzione Centrale Difesa dell’Ambiente, Energia e Sviluppo Sostenibile della Regione Friuli Venezia Giulia, nella parte in cui detta delle prescrizioni che la società reputa avere effetti pregiudizievoli e, segnatamente, laddove, pur confermando il recapito in corpo idrico superficiale Roggia Rupa (fiume “Fiume” ), ha valutato lo stesso “privo di portata propria e assimilabile allo scarico al suolo”, imponendo:
a) al punto 4, lett. b) del dispositivo, i più stringenti limiti stabiliti per gli scarichi sul suolo ovvero i limiti di cui alla “tabella 4 dell’allegato 5 alla parte III del D.Lgs. n. 152/2006, per le sostanze elencate in tabella 5 del medesimo allegato” e “il divieto di scarico delle sostanze indicate al punto 2.1 dell’allegato 5 alla parte III del D.Lgs. n. 152/2006” ovvero limiti più restrittivi e divieti di scarico non operanti in precedenza per il medesimo scarico di acque reflue in corpo idrico superficiale;
b) al punto 4, lett. c), di rispettare per il parametro Escherichia Coli “a valle della congiunzione delle acque reflue del depuratore con la acque del fossato est (sgrondo di un corso d’acqua) il limite di 1.000 UFC/ml”, ovvero ad una distanza di oltre 500 metri dallo scarico in ambito totalmente estraneo ed indipendente dalla gestione dell’impianto;
c) al punto 7, lett. b), autocontrolli periodici a valle della congiunzione di cui alla precedente lett. b), con l’obbligo di intervenire sul comparto di disinfezione qualora sia superato il limite di 1.000 UFC/100ml;
d) al punto 7, lett. a), che “ qualora il trattamento depurativo effettuato non sia sufficiente a garantire che lo scarico rispetti i limiti di emissione previsti dal precedente punto 4), è fatto obbligo di provvedere ad un ulteriore trattamento, dandone comunicazione alla Regione FVG, Servizio risorse idriche”;
e) al punto 6, lett. b) e c), rispettivamente di trasmettere “entro 24 mesi dalla data del presente atto (…) un progetto preliminare o uno studio di fattibilità tecnico-economica, per adeguare l’impianto con sistemi di trattamento appropriati, come previsto dall’art. 15 del P.R.T.A., o per collegare lo scarico del depuratore ad idonei sistemi di trattamento, da realizzarsi comunque entro la data di scadenza del presente provvedimento. Tale progetto preliminare o studio di fattibilità tecnico-economica dovrà essere già stato approvato dalla Consulta d’Ambito AUSIR per il suo inserimento nel Piano degli interventi” e di sottoporre “entro la data di scadenza della presente autorizzazione, lo scarico dall’impianto di depurazione (…) a sistemi di trattamento che garantiscano un adeguato livello di protezione ambientale e al rispetto dei limiti di emissione di cui all’art. 17 del Piano di Tutela delle Acque approvato con D.P.Reg. n. 74/Pres. Del 20 marzo 2018”.
La ricorrente, che assume che l’istanza di rinnovo della precedente autorizzazione di scarico in corpo idrico superficiale non è stata di fatto accolta, ma che è stata, a ben osservare, emessa un’autorizzazione nuova e diversa rispetto a quella richiesta, ha affidato la domanda azionata ai seguenti motivi di diritto:
1. “Violazione di legge. Falsa applicazione dell’art. 101, 103, 105 e 124, comma 9, del d.lgs. 152/2006, degli art. 16 e 17 del Piano Regionale di Tutela delle Acque e dell’Allegato 5 della Parte Terza del d.lgs. n. 152/2006. Eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto e per difetto di istruttoria e di motivazione”, con cui contesta la legittimità del provvedimento autorizzativo impugnato, laddove, al punto 4, lett. b), applica allo scarico in questione i limiti più stringenti e i divieti previsti per lo scarico di acque reflue urbane sul suolo di cui all’art. 17 del PRTA, anziché i limiti per lo scarico in corpo idrico superficiale stabiliti dall’art. 16 dello stesso PRTA. Ritiene, infatti, che la Regione l’ha erroneamente qualificato come scarico sul suolo (art. 103 del d.lgs. n. 152/2006), anziché come scarico in corpo idrico superficiale (art. 105 del d.lgs. n. 152/2006). Lamenta, inoltre, il difetto di istruttoria e di motivazione, non risultando effettuate le valutazioni imposte dall’art. 129, comma 9, del d.lgs. n. 152/2006, né esplicitato il motivo per il quale l’Ente regionale si è discostato dal parere ARPA FVG, che aveva ritenuto applicabili nel caso di specie i limiti per lo scarico in corpo idrico superficiale, nella piena consapevolezza della scarsa portata nel tratto del corso d’acqua in questione.
2. “Violazione di legge. Falsa applicazione dell’art. 103 del d.lgs. 152/2006. Mancata comunicazione dei motivi ostativi in violazione dell’art. 10 bis della l. n. 241/1990. Eccesso di potere per violazione del principio di gradualità e proporzionalità dell’azione amministrativa e per carenza di motivazione e difetto di istruttoria”, con cui lamenta, in estrema sintesi, che la Regione ha emesso un’autorizzazione nuova e geneticamente modificata rispetto a quella richiesta da LTA, stabilendo limiti più restrittivi senza alcuna istruttoria in ordine alla capacità dell’impianto di rispettarli e senza alcun coinvolgimento della proponente finalizzato all’integrazione della documentazione e al superamento della problematica emersa mediante l’adozione di misure meno gravose per la medesima sotto il profilo della tutela ambientale, in violazione delle norme in materia di procedimento amministrativo e dei principi di adeguatezza e proporzionalità, nonché in palese carenza di istruttoria, in particolare, per quanto attiene l’effettiva attuabilità delle prescrizioni imposte e/o l’applicazione della disposizione di cui all’art. 103, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 152/2006, la quale, pur vietando in linea generale lo scarico sul suolo, ammette tale soluzione, in via eccezionale, “per gli scarichi di acque reflue urbane e industriali per i quali sia accertata l’impossibilità tecnica o l’eccessiva onerosità, a fronte dei benefici ambientali conseguibili, a recapitare in corpi idrici superficiali, purché gli stessi siano conformi ai criteri ed ai valori limite di emissione fissati a tal fine dalle regioni ai sensi dell’art. 101, comma 2”.
3. “Violazione di legge. Falsa applicazione dell’art. 124, comma 10, del d.lgs. n. 152/2006. Violazione del principio di proporzionalità. Eccesso di potere per manifesta irragionevolezza ed illogicità, per abnormità del provvedimento amministrativo e per carenza di motivazione e difetto di istruttoria”, con cui contesta le prescrizioni di cui al punto 4, lett. c), e al punto 7, lett. b), contenute nel provvedimento gravato, che assume manifestamente illegittime per violazione dell’art. 124, comma 10, del d.lgs. n. 152/2006, oltre che irragionevoli e inattuabili, non potendosi imporre al gestore di un impianto di depurazione il rispetto di un limite ad oltre 500 metri di distanza dallo scarico, non solo in ambito totalmente estraneo al suo controllo [atteso che il supero del limite potrebbe dipendere da altre molteplici cause (ammendanti utilizzati in agricoltura, deiezioni di animali, scarichi di reflui isolati, ecc.), in alcun modo gestibili, né prevedibili da LTA], ma anche non tecnicamente gestibile “a distanza”. Senza contare che ciò richiederebbe di aumentare il dosaggio di acido paracetico, a prescindere da ogni verifica sull’effettiva riconducibilità del superamento allo scarico, stante anche le possibili condizioni di scarsa o nulla portata del corpo idrico, e nell’impossibilità di gestire un limite attraverso l’aumento di dosaggio di un disinfettante ad oltre 500 metri di distanza con il concreto rischio di creare conseguenze negative all’ambiente.
4. “Violazione di legge. Falsa applicazione degli art. 143, 148, 149 e 153 del d.lgs. n. 152/2006. Eccesso di potere per errore nei presupposti di fatto e di diritto”, con cui contesta le prescrizioni di cui al punto 6, lett. b) e c), in quanto violano le norme in tema di competenze e di ruoli previsti nell’ambito della gestione delle infrastrutture pubbliche e la programmazione ed il finanziamento degli interventi sulle stesse.
Con memoria ex art. 73 c.p.a. si è, poi, richiamata agli assunti difensivi già svolti.
La Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, costituita, ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso perché le prescrizioni contestate riguardano scelte di discrezionalità tecnica dell’Amministrazione regionale, insindacabili sotto il profilo evidenziato dalla ricorrente.
Ha, poi, contestato la fondatezza delle censure ex adverso svolte e concluso per la loro reiezione.
Parte ricorrente ha replicato all’eccezione preliminare di rito e alle controdeduzioni difensive della Regione, ribadendo e ulteriormente confermando le argomentazioni già sviluppate in ricorso e insistendo per il suo accoglimento.
L’affare è stato chiamato e discusso all’udienza pubblica del 2 dicembre 2021, come da sintesi a verbale, e, poi, introitato per essere deciso.
Va, innanzitutto, disattesa l’eccezione preliminare di rito sollevata dalla difesa della Regione intimata, in quanto parte ricorrente, lungi dal pretendere di sostituire le proprie valutazioni alle scelte di discrezionalità tecnica operate dalla competente Direzione regionale, si è limitata ad evidenziarne l’irragionevolezza o gli errori fattuali che ne stanno alla base ovvero vizi che – come si vedrà di seguito - rendono la stessa pacificamente sindacabile.
E’, del resto, la stessa difesa della Regione a sottolineare che “il potere prescrittivo della P.A. non deve sfociare nell’arbitrarietà, nell’illogicità e nell’irragionevolezza”.
Ciò, però, è quanto accaduto nel caso di specie.
Ad iniziare dalla prescrizione contenuta al pt. 4, lett. b), del dispositivo del provvedimento gravato - contestata da parte ricorrente con i primi due motivi di impugnazione - che poggia su un presupposto fattuale errato (sulla cui sussistenza, ancorché smentita dalle risultanze documentali in atti, ha, peraltro, ripetutamente insistito in questa sede la difesa della Regione, non avvedendosi, all’evidenza, della sua palese inidoneità a giustificare le misure imposte) ovvero sulla ritenuta circostanza che il corpo idrico superficiale Roggia Rupa (fiume “Fiume” ), su cui insiste lo scarico delle acque reflue urbane provenienti dall’impianto di depurazione gestito dalla società ricorrente, sia in secca per un periodo superiore a 120 giorni all’anno.
A smentire tale assunto basta, infatti, la piana lettura del parere in data 10 giugno 2020 (e relativi allegati) e della nota dell’Arpa in data 23 giugno 2020 di “Trasmissione esiti accertamenti” (all. 9, 10, 11, 12, 13 e 14 – fascicolo doc. Regione), da cui si evince agevolmente che i controlli sono stati effettuati durante un periodo temporale che non raggiunge assolutamente la soglia dei 120 giorni, sicché manca alla radice il presupposto di cui all’art. 124, comma 9, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (“Per gli scarichi in un corso d'acqua nel quale sia accertata una portata naturale nulla per oltre centoventi giorni annui, oppure in un corpo idrico non significativo, l'autorizzazione tiene conto del periodo di portata nulla e della capacità di diluizione del corpo idrico negli altri periodi, e stabilisce prescrizioni e limiti al fine di garantire le capacità auto-depurative del corpo ricettore e la difesa delle acque sotterranee”).
Consta, infatti, che i sopralluoghi del Dipartimento ARPA di Pordenone presso l’impianto di depurazione di acque reflue urbane di via Toront in Comune di San Giorgio della Richinvelda sono stati effettuati nei giorni 21/04/2020, 22/04/2020 e 12/05/2020, che i rapporti di prova con gli autocontrolli sono stati eseguiti in data 28 gennaio, 11 febbraio, 10 e 26 marzo 2020 e un ulteriore rapporto di prova in data 16 aprile 2020.
E’, dunque, ictu oculi evidente che il monitoraggio e/o le verifiche sul sito sono stati condotti durante il solo periodo compreso tra il 28 gennaio e il 12 maggio 2020 e sono, come tali, inidonei a provare che il corso d’acqua in cui scarica l’impianto di depurazione abbia “una portata naturale nulla per oltre centoventi giorni annui”.
Né risulta dal provvedimento opposto o dalla ulteriore documentazioni versata in atti e assunta a suo supporto che l’Amministrazione intimata abbia tenuto conto “del periodo di portata nulla e della capacità di diluizione del corpo idrico negli altri periodi” e, di conseguenza, imposto le prescrizioni contestate.
Nulla di tutto ciò.
Anzi, anche il suggerimento dell’Arpa è stato tenuto in non cale ovvero quello “di valutare con il Consorzio di Bonifica Cellina Meduna il rilascio di un flusso in roggia Rupa al fine di evitare lo scarico del depuratore nell’alveo in secca” , alveo che - si ribadisce - è stato, in ogni caso, ritenuto in secca sulla scorta di indagini condotte in maniera non appropriata e puntuale avuto riguardo all’elemento fattuale che miravano ad accertare.
Senza contare che l’Arpa aveva, comunque, ritenuto applicabili i limiti per lo scarico in corpo idrico superficiale, nella piena consapevolezza della scarsa portata nel tratto del corso d’acqua in questione.
E’, dunque, palese il grave difetto istruttorio che affligge il provvedimento impugnato.
Il competente Servizio regionale ha, peraltro, anche totalmente trascurato di accertare l’effettiva capacità dell’impianto in questione - il cui ammodernamento non rientra, in ogni caso, nella competenza della ricorrente, in quanto, come si vedrà anche in seguito, la programmazione ed il finanziamento degli interventi di ristrutturazione e di manutenzione straordinaria degli impianti di depurazione pubblici sono rimessi al competente Ente di governo dell’ambito - di rispettare, così com’è attualmente strutturato e dotato, le prescrizioni imposte, nonché omesso di coinvolgere previamente la proponente, allo scopo di valutare la possibilità adottare di misure alternative (ad es., come prospettato dalla ricorrente in questa sede, oltre al rilascio di un flusso da parte del Consorzio di Bonifica già suggerito dall’Arpa, lo spostamento del punto di scarico più a valle o la programmazione di una modifica dei sistemi depurativi con contestale richiesta del rilascio di un’autorizzazione provvisoria allo scarico), meno gravose per la medesima sotto il profilo della tutela ambientale, anche in considerazione del fatto che: a) il servizio pubblico non può essere interrotto;b) come poc’anzi detto – la programmazione degli interventi di ammodernamento delle infrastrutture idriche pubbliche è rimessa a scelte e decisioni di soggetti pubblici diversi dall’odierna ricorrente;c) avendo l’Amministrazione qualificato (per la prima volta) nel corso del procedimento esitato nel provvedimento gravato il corpo ricettore come suolo o, comunque, come situazione assimilabile allo scarico al suolo, era suo preciso onere richiedere alla ricorrente un‘integrazione della documentazione presentata, proprio allo scopo di individuare la soluzione più adeguata e proporzionata alla (nuova) problematica riscontrata o tale ritenuta.
Come opportunamente sottolineato dalla ricorrente nella replica dimessa in vista dell’odierna udienza, non v’è, peraltro, traccia nella documentazione agli atti di quanto affermato dalla Regione nel proprio scritto di difesa ovvero che avrebbe appurato nel corso dell’istruttoria tecnica “l’assenza nella zona, per un raggio di circa 1 km dallo scarico, di corpi idrici superficiali in asciutta per meno di 120 giorni all’anno” (pag. 14 della memoria in data 29/10/2021). Senza trascurare di rilevare che tale affermazione si pone, in ogni caso, in netta contraddizione con quanto riportato nello stesso provvedimento impugnato ovvero che “A 500 metri dal punto di scarico del depuratore in direzione sud, riceve le acque di un fossato proveniente da est (sgrondo di un corso d’acqua – Codice FVG LM05025), acque utilizzate a scopo irriguo”.
Sono da ritenersi, dunque, fondate le deduzioni svolte dalla ricorrente nell’ambito dei primi due motivi di gravame, che vanno, pertanto, accolti, con conseguente annullamento della prescrizione con gli stessi contestata e di quella correlata contenuta al pt. 7, lett. a), del dispositivo, per lo meno per la parte relativa.
Fondate sono anche le censure, sviluppate nell’ambito del terzo motivo di impugnazione, che valgono ad inficiare la legittimità delle prescrizioni di cui ai punti 4, lett. c), e 7, lett. b), del dispositivo del provvedimento opposto.
Deve, in effetti, convenirsi con la ricorrente che l’imposizione di un limite in ambito esterno all’impianto, in alcun modo gestibile e il cui superamento potrebbe derivare da fattori indipendenti dalla sua attività (ad es. dall’uso di ammendanti in agricoltura, da deiezioni di animali, da scarichi di reflui isolati, da immissioni illecite di rifiuti liquidi, ecc.) e quella che prescrive, in caso di superamento del limite “a distanza” di 1.000 UFC/100ml, di intervenire rapidamente sul comparto di disinfezione al fine di garantire la possibilità costante di utilizzo dell’acqua a fini irrigui s’appalesano “irragionevoli, oggettivamente inesigibili, tecnicamente ingestibili e (…) espongono il gestore a responsabilità per fatti indipendenti dalla sua attività (…)”.
L’art. 124, comma 10, del d.lgs. n. 152/2006, laddove stabilisce che “l'autorizzazione contiene le ulteriori prescrizioni tecniche volte a garantire che lo scarico, ivi comprese le operazioni ad esso funzionalmente connesse, avvenga in conformità alle disposizioni della parte terza del presente decreto e senza che consegua alcun pregiudizio per il corpo ricettore, per la salute pubblica e l'ambiente” si riferisce infatti, con tutta evidenza, allo scarico stesso e lascia chiaramente intendere che in alcun modo le prescrizioni imposte possono trascendere dalla sfera di controllo del gestore dell’impianto.
Inoltre, la richiesta di intervenire sul comparto di disinfezione, aumentando sostanzialmente il dosaggio della sostanza chimica idonea a consentire il rispetto del limite prescritto, a prescindere da ogni verifica sull’effettiva riconducibilità del superamento allo scarico, non è, in effetti, immune da conseguenze negative per l’ambiente ed è, dunque, anche solo per tale ragione illogica, attese non solo le effettive condizioni di portata del corpo idrico, ma anche e soprattutto l’impossibilità di gestire un limite attraverso l’aumento di dosaggio di un disinfettante ad oltre 500 metri di distanza.
Anche il motivo scrutinato va, dunque, accolto, in quanto fondato, con conseguente annullamento delle prescrizioni con lo stesso contestate e di quella correlata contenuta al pt. 7, lett. a), del dispositivo, per la parte non già travolta dall’illegittimità di prescrizioni presupposte.
Non immuni da vizi sono, infine, le prescrizioni contenute al punto 6, lett. b) e c), del dispositivo del provvedimento impugnato.
Le stesse non superano, infatti, in alcun modo il vaglio critico condotto sulla scorta delle censure dedotte dalla società ricorrente con il quarto ed ultimo motivo di impugnazione.
La prima delle due viola, in effetti, le norme in tema di competenze e di ruoli previsti nell’ambito della gestione delle infrastrutture pubbliche e la programmazione ed il finanziamento degli interventi sulle stesse, come si ritrae agevolmente dalla lettura degli articoli 149, 151 e 153 del d.lgs. n. 152/2006, cui si rinvia.
E’ palese, invero, che il Gestore del servizio idrico non ha alcuna autonomia in merito alla programmazione e al finanziamento degli interventi di realizzazione o di manutenzione straordinaria delle infrastrutture idriche, rientrando queste tra le competenze dell’Ente di governo dell’ambito territoriale e che è tenuto a realizzare esclusivamente le opere e le manutenzioni straordinarie previste dalla Convenzione e dal relativo disciplinare.
La seconda può, invece, ritenersi travolta sulla scorta delle considerazioni svolte nel corso della disamina dei primi due motivi di ricorso, atteso che l’imposto “rispetto dei limiti di emissione di cui all’art. 17 del Piano di Tutela delle Acque approvato con D.P.Reg. n. 74/Pres. Del 20 marzo 2018”, ovvero i limiti previsti per lo scarico sul suolo, s’appalesa disposto in esito a un’istruttoria deficitaria, tale da renderne evidente la sua irragionevolezza.
In accoglimento delle doglianze svolte, anche tali prescrizioni vanno, in definitiva, annullate.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate a favore della ricorrente nella misura indicata in dispositivo.
La Regione intimata sarà, inoltre, tenuta a rimborsare alla ricorrente medesima (all’atto del passaggio in giudicato della sentenza), ai sensi dell’art. 13, comma 6 bis.1, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dall’art. 21 della L. 4 agosto 2006, n. 248, il contributo unificato nella misura versata.