TAR Venezia, sez. II, sentenza 2023-01-19, n. 202300084

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. II, sentenza 2023-01-19, n. 202300084
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 202300084
Data del deposito : 19 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/01/2023

N. 00084/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00397/2021 REG.RIC.

N. 00398/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 397 del 2021, proposto da
Dedalo Design &
Real Estate Investment S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato A B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Venezia, Piazzale Roma 464;

contro

Ministero della Cultura, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Venezia, piazza S. Marco, 63;



sul ricorso numero di registro generale 398 del 2021, proposto da
Dedalo Design &
Real Estate Investment s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato A B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio A B in Venezia, Piazzale Roma 464;

contro

Ministero della Cultura, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Venezia, piazza S. Marco, 63;

per l'annullamento

quanto al ricorso n. 397 del 2021:

- del Provvedimento di Diniego 5.11.2020 della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Venezia e Laguna avente ad oggetto il diniego (5.11.2020 prot. N. 22130 Class 34.28.02/10) al rilascio dell'attestato di libera circolazione relativo all'opera: Manifattura Venini, scultura raffigurante lucertola, 1930, pasta vitrea nera e rossa, cm 24,5x20, prot. n. 22130, Class. 34.28.02/10;

- della contestuale nota 5.11.2020 di comunicazione dell'avvio del procedimento di dichiarazione di interesse culturale ai sensi degli articoli 10, 13 e 14 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Venezia e Laguna (5.11.2020 prot. N. 22130 Class 34.28.02/10) relativo all'opera: Manifattura Venini, scultura raffigurante lucertola, 1930, pasta vitrea nera e rossa, cm 24,5x20, prot. n. 22130, Class. 34.28.02/10;

- del silenzio diniego-rifiuto o/e rigetto, ai sensi dell'art. 6 del D.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199, formatosi il 3 marzo 2021 in relazione al ricorso gerarchico presentato al Direttore Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Ministero della Cultura e trasmesso a mezzo pec in data 3 dicembre 2020, nonché mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento in data 4 dicembre 2020.

quanto al ricorso n. 398 del 2021:

- del Provvedimento di Diniego 5.11.2020 della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Venezia e Laguna avente ad oggetto il diniego (5.11.2020 prot. N. 22136 Class 34.28.02/10) al rilascio dell'attestato di libera circolazione relativo all'opera: Manifattura Barovier, scultura raffigurante orso a macchie, 1930, vetro trasparente lattimo bianco, cm 18x13, prot. n. 22136, Class. 34.28.02/10;

- della contestuale nota 5.11.2020 di comunicazione dell'avvio del procedimento di dichiarazione di interesse culturale ai sensi degli articoli 10, 13 e 14 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Venezia e Laguna (5.11.2020 prot. N. 22136 Class 34.28.02/10) relativo all'opera: Manifattura Barovier, scultura raffigurante orso a macchie, 1930, vetro trasparente lattimo bianco, cm 18x13, prot. n. 22136, Class. 34.28.02/10;

- del silenzio diniego-rifiuto o/e rigetto, ai sensi dell'art. 6 del D.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199, formatosi il 3 marzo 2021 in relazione al ricorso gerarchico presentato al Direttore Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Ministero della Cultura e trasmesso a mezzo pec in data 3 dicembre 2020, nonché mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento in data 4 dicembre 2020.


Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Venezia e Laguna e di Ministero della Cultura e di Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Venezia e Laguna e di Ministero della Cultura;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2022 la dott.ssa M A e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La società ricorrente in data 22 luglio 2020 ha presentato all’Ufficio Esportazione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Venezia e Laguna denuncia di esportazione delle seguenti opere di sua proprietà:

- bene scultura raffigurante orso a macchie in vetro trasparente lattimo bianco, cm 18 x 13, con codice pratica SUE n. 499326;

- bene scultura raffigurante scimmia in vetro trasparente e foglia d’oro, cm 15 x 14, con codice pratica SUE 499329;

- bene vaso con coperchio, compostiera in vetro primavera bianco e nero, cm 50 x 30, con codice pratica SUE n. 499337;

- bene scultura raffigurante cavallino in vetro trasparente e foglia d’oro, cm 11 x 15, con codice pratica SUE n. 499330;

- bene scultura raffigurante leone in vetro blu trasparente, cm 20 x 17, con codice pratica SUE 499325;

- bene scultura raffigurante uccello su ramo in pasta vitrea verde, cm 29 x 15, con codice pratica SUE n. 499319;

- bene scultura raffigurante lucertola in pasta vitrea nera e rossa, cm 24,5 x 20, con codice pratica SUE n. 499318.

Con distinti provvedimenti emessi il 5 novembre 2020 la Soprintendenza ha negato il rilascio dell’attestato di libera circolazione per tutte le suddette opere, contestualmente avviando il procedimento di dichiarazione di interesse culturale, ai sensi degli articoli 10, 13 e 14 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.

La ricorrente, in data 3 dicembre 2020, ha impugnato i suddetti provvedimenti con separati ricorsi gerarchici. L’Amministrazione non ha deciso i ricorsi entro il termine previsto dall’art. 6 D.P.R. 1199/1971.

Con il ricorso n. 397/2021 la società Dedalo Design ha proposto domanda di annullamento del diniego di rilascio dell’attestato di libera circolazione della scultura raffigurante lucertola in pasta vitrea, e, contestualmente, domanda di accertamento dell’obbligo di provvedere, ai sensi dell’art. 117 cod. proc. amm., avverso il silenzio-rifiuto formatosi sul ricorso gerarchico.

Con il ricorso n. 398/2021, parimenti, la società Dedalo Design ha proposto domanda di annullamento del diniego di rilascio dell’attestato di libera circolazione della scultura raffigurante orso a macchie in vetro trasparente lattimo bianco, e, contestualmente, domanda di accertamento dell’obbligo di provvedere, ai sensi dell’art. 117 cod. proc. amm., avverso il silenzio-rifiuto formatosi sul ricorso gerarchico.

Il ricorso avverso il silenzio è stato deciso con la sentenza n. 1223/2021 del 15 ottobre 2021 che, previa riunione dei due ricorsi, ha dichiarato inammissibili le domande di accertamento dell’obbligo di provvedere e disposto la prosecuzione della causa con il rito ordinario.

Con le domande di annullamento dei provvedimenti impugnati la ricorrente deduce un unico articolato motivo, lamentando la violazione dell’art. 68, comma 3 e comma 4, del D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, la violazione del Decreto Ministeriale 6 dicembre 2017 n. 537 recante “Indirizzi di carattere generale per la valutazione del rilascio o del rifiuto dell’attestato di libera circolazione da parte degli uffici esportazione delle cose di interesse artistico, storico, archeologico etnoantropologico” , la violazione dell’art. 42 della Costituzione, l’eccesso di potere per difetto ed errore nell’istruttoria, illogicità e contraddittorietà nella motivazione, inattendibilità delle valutazioni e conclusioni sulla base dello stato delle conoscenze tecnico-scientifiche.

Si è costituito, in entrambi i ricorsi, il Ministero resistente, contestando le avverse deduzioni.

All’udienza pubblica del 1° dicembre 2022 entrambi i ricorsi sono stati trattenuti in decisione.

DIRITTO

1. Con l’unico articolato motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 68, comma 3 e comma 4, del D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, nonché del Decreto Ministeriale 6 dicembre 2017 n. 537 recante “Indirizzi di carattere generale per la valutazione del rilascio o del rifiuto dell’attestato di libera circolazione da parte degli uffici esportazione delle cose di interesse artistico, storico, archeologico etnoantropologico”, la violazione dell’art. 42 della Costituzione, l’eccesso di potere per difetto ed errore nell’istruttoria, l’illogicità e contraddittorietà nella motivazione, l’inattendibilità delle valutazioni e conclusioni sulla base dello stato delle conoscenze tecnico-scientifiche.

La ricorrente sottolinea l’assenza nei provvedimenti impugnati di un’adeguata ponderazione degli interessi in gioco, non risultando effettuata né una compiuta analisi del valore culturale intrinseco degli oggetti in questione – ritenuti privi, al di là del pregio tecnico-realizzativo tipico dell’autentico artigianato muranese, dei tratti tipici dell’opere d’arte (originalità, invenzione, capacità espressiva ed innovativa)- né un’adeguata valutazione del contesto nel quale essi si inseriscono, risultandone, così, l’imposizione di limiti alla libera circolazione sproporzionati rispetto alle esigenze di tutela del patrimonio culturale nazionale e forieri di possibili conseguenze negative sia per il mercato degli oggetti dell’artigianato muranese, che per gli scambi internazionali a finalità culturale ed espositiva.

La ricorrente, inoltre, sulla falsariga di quanto argomentato nei ricorsi gerarchici, confuta la valutazione operata dalla Soprintendenza circa la ricorrenza dei singoli presupposti previsti dagli “Indirizzi” ministeriali per l’adozione di provvedimenti di diniego dell’attestato di libera circolazione.

Viene evidenziato anzitutto che la “qualità artistica” dell’opera non costituisce unico parametro in base al quale può giustificarsi un provvedimento di diniego, essendo necessaria la ricorrenza degli altri requisiti previsti dal decreto.

Si afferma, comunque, anche l’assenza, nelle opere in questione, dei caratteri minimi necessari per affermarne la “qualità artistica” .

La ricorrente, pur non mettendo in discussione l’elevato “magistero esecutivo” che connota le opere in questione, - che, tuttavia, è comune a tutta la produzione artigianale del vetro muranese - ne afferma l’insufficienza ad elevare le opere in questione ad autentici beni “d’arte” , difettando in tale produzione i caratteri dell’originalità e della capacità espressiva, atteso che trattasi di pezzi di alto artigianato, realizzati per il mercato dei souvenirs , frutto di una produzione seriale e di tipo minore.

Difetterebbe, inoltre, il requisito della rarità. Anzitutto, si afferma, i provvedimenti di diniego impugnati nulla dicono in merito alla sussistenza del suddetto requisito in ciascuna delle singole opere che ne formano oggetto.

L’identica motivazione degli stessi, pur a fronte di opere distinte, testimonierebbe per ciò solo dell’assenza in relazione a ciascuna di esse del connotato dell’ ”unicità” .

Le opere, infatti, non sarebbero prototipi o, comunque, oggetti connotati da specifiche peculiarità, essendo frutto di una produzione seriale ampiamente diffusa. L’unicità non potrebbe ravvisarsi nelle differenze di materia, di colore, o nelle lievi difformità esistenti trai singoli pezzi, poiché ciò costituisce una naturale conseguenza della produzione artigianale (fatta “a mano” ) e non è espressione di originalità, laddove, come nel caso di specie, i singoli oggetti siano frutto della riproduzione di modelli inseriti nei cataloghi delle vetrerie. Né rileverebbe a tal fine il prezzo dei singoli pezzi.

Difetterebbe il requisito della “rilevanza della rappresentazione” , poiché esse si riferiscono ad una produzione minore dell’arte vetraria muranese – che tipicamente si esprime in altre tipologie di oggetti (vasi, coppe, piatti, utensili, lampadari) – destinata al mercato dei souvenirs ed ispirata all’immaginario infantile.

Neppure sarebbero ravvisabili i requisiti della “Appartenenza a un complesso e/o contesto storico, artistico, archeologico, monumentale, anche se non più in essere o non materialmente ricostruibile”, della “Testimonianza particolarmente significativa per la storia del collezionismo” e della “Testimonianza rilevante, sotto il profilo archeologico, artistico, storico etnografico di relazioni significative tra diverse aree culturali, anche di produzione e/o provenienza straniera”.

2. Le censure non sono fondate.

Giova, ai fini della disamina del presente ricorso, una breve ricognizione del quadro normativo vigente, nonché dei principi giurisprudenziali relativi alla natura del potere esercitato ed ai criteri cui deve attenersi il sindacato di questo Tribunale.

Secondo condivisibile ricostruzione (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, sentenza 28 giugno 2022, n. 1517) “la disciplina riguardante la circolazione in ambito internazionale di beni già riconosciuti di interesse culturale, ovvero non ancora riconosciuti come tali ma suscettibili di esserlo, è contenuta nel capo V del D.Lgs. n. 42 del 2004 (codice dei beni culturali).

L'art. 64-bis, primo comma, di tale d.lgs. stabilisce che "Il controllo sulla circolazione internazionale è finalizzato a preservare l'integrità del patrimonio culturale in tutte le sue componenti, quali individuate in base al presente codice ed alle norme previgenti". Il terzo comma della stessa norma precisa poi che "Con riferimento al regime della circolazione internazionale, i beni costituenti il patrimonio culturale non sono assimilabili a merci".

Per quanto concerne i beni che non siano già stati formalmente individuati come espressivi di valori culturali, vengono in rilievo l'art. 65, terzo comma, lett. a), e l'art. 68 del D.Lgs. n. 42 del 2004. In base a queste norme, chi vuol far uscire definitivamente dal territorio della Repubblica cose di valore superiore ad euro 13.500 che - sebbene non ancora formalmente individuate - presentino interesse culturale, siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, deve richiedere apposita autorizzazione all'Ufficio Esportazione della competente soprintendenza. Aggiunge il sesto comma dello stesso art. 68 D.Lgs. n. 42 del 2004 che, in caso di diniego dell'autorizzazione, l'Amministrazione deve dare avvio al procedimento di dichiarazione dell'interesse culturale ai sensi del precedente articolo 14, e ciò all'evidente fine di sottoporre il bene alla disciplina di tutela e, quindi, a tutte quelle disposizioni, contenute nello stesso D.Lgs. n. 42 del 2004, finalizzate alla protezione ed alla conservazione dei beni facenti parte del patrimonio culturale della Nazione.

Il quarto comma dell'art. 68 del D.Lgs. n. 42 del 2004, stabilisce poi che gli uffici esportazione cui sia stata rivolta istanza di rilascio di attestazione di libera circolazione per un bene non ancora dichiarato di interesse culturale accertano l'eventuale sussistenza degli elementi che potrebbero far insorgere tale interesse attenendosi a indirizzi di carattere generale stabiliti con decreto del Ministro.

Gli indirizzi ministeriali sono stati dettati con D.M. n. 537 del 2017. In base a questo decreto, l'Amministrazione deve far riferimento a diversi parametri, fra i quali vengono in rilievo, ai fini che qui interessano, i seguenti: a) qualità artistica dell'opera;
b) rarità in senso qualitativo e/o quantitativo della medesima;
c) rilevanza della rappresentazione;
d) testimonianza rilevante, sotto il profilo archeologico, artistico, storico, etnografico, di relazioni significative tra diverse aree culturali, anche di produzione e/o provenienza straniera.

Sotto un profilo più generale, occorre osservare che la nozione di bene culturale è fornita dall'art. 2, secondo comma, del D.Lgs. n. 42 del 2004. In base a questa norma "Sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà".

Il D.Lgs. n. 42 del 2004 elenca poi, all'art. 10, le tipologie di beni culturali sottoposti a tutela, integrando la definizione generale fornita dal citato art. 2, comma 2. In questa sede va richiamato il terzo comma di tale disposizione il quale si riferisce ai beni culturali per "dichiarazione amministrativa" i quali assurgono a tale categoria grazie appunto ad apposita dichiarazione emessa dall'Autorità amministrativa a seguito del procedimento delineato dall'art. 14 del D.Lgs. n. 42 del 2004.

E' evidente il legame fra tutte queste disposizioni e quella contenuta nell'art. 9 Cost. il quale prevede che la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e tutela il patrimonio storico ed artistico della Nazione.

La giurisprudenza ha chiarito che la disciplina costituzionale riguardante il patrimonio storico e artistico nazionale eleva le esigenze di sua tutela e conservazione a valore primario del nostro ordinamento. Ha inoltre chiarito che l'imposizione dei vincoli alla proprietà privata sui beni che fanno parte di tale patrimonio è connaturata ai beni stessi, i quali vengono ad esistenza, per così dire, già limitati sul piano della loro possibile utilizzazione, tanto è vero che non si pone neppure un problema di indennizzo. Ne deriva, in tale contesto, che il potere che l'Amministrazione esercita al fine di individuare i beni di interesse culturale è connotato da discrezionalità tecnica la quale non richiede la ponderazione degli interessi coinvolti, neppure allo scopo di verificare il rispetto del principio di proporzionalità. L'attività di comparazione degli interessi deve tutt'al più essere svolta nella fase successiva, quando cioè, una volta individuato il bene, vengono stabilite le concrete misure di tutela e conservazione.

La stessa giurisprudenza ha altresì precisato che la natura tecnico-discrezionale delle valutazioni effettuate in questo ambito dall'amministrazione impone che le stesse siano vagliate con riguardo alla loro specifica attendibilità tecnico-scientifica. Il presupposto normativo per la dichiarazione dell'interesse culturale non è infatti l'accertamento di un "fatto storico" (sempre verificabile in via diretta dal giudice anche con l'applicazione di scienze non esatte), bensì l'accertamento di un fatto "mediato" dalla valutazione affidata all'amministrazione, con la conseguenza che lo stesso giudice e la parte privata non possono sostituire le proprie valutazioni a quelle compiute dall'autorità amministrativa, potendosi tutt'al più verificare se la scelta compiuta da quest'ultima rientri o meno nella gamma di quelle plausibili alla luce delle scienze rilevanti e di tutti gli altri elementi del caso concreto. L'interessato, se vuole contestare il merito della scelta, non può quindi limitarsi ad affermare che questa non è corretta, ma ha l'onere di dimostrare che il giudizio di valore espresso dall'amministrazione è scientificamente inaccettabile (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 24 marzo 2020, n. 2061;
id., sez. VI, 3 luglio 2014, n. 3360)”
.

Dunque, è ben possibile per il privato contestare ab intrinseco il nucleo dell’apprezzamento complesso, ma in tal caso egli ha l’onere di metterne seriamente in discussione l’attendibilità tecnico-scientifica, mentre se questo onere non viene assolto e si fronteggiano soltanto opinioni divergenti, tutte parimenti plausibili, il giudice deve dare prevalenza alla posizione espressa dall’organo istituzionalmente investito (dalle fonti del diritto e, quindi, nelle forme democratiche) della competenza ad adottare decisione collettive, rispetto alla prospettazione individuale dell’interessato. (Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 dicembre 2022, n. 10624).

Alla luce dei ridetti principi il ricorso non può ritenersi fondato.

3. In base ai principi sopra richiamati, non sono condivisibili le doglianze con le quali la ricorrente contesta la valutazione effettuata dall’Amministrazione nella parte in cui non avrebbe adeguatamente ponderato le conseguenze sul mercato e sugli scambi internazionali a scopo espositivo e scientifico dei beni in questione (e più in generale dei pezzi della produzione artigianale muranese). Per quanto sopra precisato, il potere che l'Amministrazione esercita al fine di individuare i beni di interesse culturale è connotato da discrezionalità tecnica la quale non richiede la ponderazione degli interessi coinvolti, neppure allo scopo di verificare il rispetto del principio di proporzionalità. Dunque, la valutazione della rilevanza storico-artistica del bene esaurisce la gamma delle verifiche da compiere e degli interessi da valutare, essendosi il Legislatore già occupato, per così dire, “a monte” di contemperare l’interesse pubblico alla tutela del bene culturale e l’interesse del privato alla sua libera disponibilità, dando prevalenza al primo in presenza della valutazione di interesse storico-artistico.

La suddetta valutazione è rimessa al Ministero della cultura, il quale è tenuto, tuttavia, a fondare le proprie determinazioni su un’attenta ed esaustiva istruttoria da cui devono emergere le ragioni della necessità di tutela del bene in quanto espressione del patrimonio culturale italiano.

Di tali oneri istruttori (che si riflettono sulla motivazione dei provvedimenti di diniego di attestato di libera circolazione ) e della loro rilevanza in punto di giustificazione dell’azione amministrativa alla luce dei principi di proporzionalità e necessità, fanno espressa menzione anche dagli “Indirizzi” ministeriali, nei quali, proprio in considerazione dell’impatto che simili provvedimenti restrittivi sono in grado di produrre sui diritti di proprietà individuale, prescrivono che essi rendano adeguata ragione delle esigenze di tutela, attraverso una motivazione puntuale e supportata da riscontri critici e bibliografici ( “Tenuto conto che il diniego all'esportazione - e il contestuale avvio del procedimento di dichiarazione di interesse - sono provvedimenti pienamente giustificati da un alto concetto del bene pubblico in quanto finalizzati alla tutela del patrimonio culturale italiano, ma che incidono anche sui diritti della proprietà privata come riconosciuti e garantiti dalla Costituzione, occorre porre la massima cura nel formulare un provvedimento restrittivo, evitando giudizi apodittici non sostenuti da una adeguata argomentazione critica e storica. Pertanto, le relazioni a supporto di tale provvedimento devono sempre essere sviluppate in maniera esaustiva, con motivazioni puntuali, riferimenti bibliografici aggiornati, se disponibili, e attraverso l'associazione di più di un principio di rilevanza tra quelli riformulati nei nuovi Indirizzi, soprattutto nei casi in cui sembra essere predominante una valutazione legata alla qualità artistica del bene, non sufficiente da sola a giustificare un provvedimento di tutela. Proprio la concorrenza fra più parametri tra quelli indicati contribuisce a rafforzare il "motivato giudizio" richiamato dall'articolo 68, comma 3, del decreto legislativo n. 42 del 2004.” ).

Dunque, non era richiesta all’Amministrazione altra valutazione se non la ricorrenza dei presupposti previsti per l’adozione di un provvedimento di diniego alla luce dei criteri che, ai sensi dell’art. 68 D.Lgs. 42/2004, la stessa ha enucleato.

4. Quanto alla sussistenza dei requisiti previsti dagli “Indirizzi” ministeriali, le argomentazioni della ricorrente, pur suggestive, non sono idonee a dimostrare la palese inattendibilità delle valutazioni operate dall’amministrazione.

Con riguardo alla “qualità artistica” dei beni in questione, la ricorrente, pur non mettendo in discussione l’elevato “magistero esecutivo” che connota le opere in questione, comune a tutta la produzione artigianale del vetro muranese, ne afferma l’insufficienza ad elevare le opere in questione ad autentici beni “d’arte” , difettando in tale produzione i caratteri dell’originalità, della capacità espressiva e dell’unicità e rarità, atteso che trattasi di pezzi realizzati per il mercato dei souvenirs , ampiamente diffusi, frutto di una produzione seriale e di tipo minore.

Sull’appartenenza ad una produzione seriale insiste, in modo particolare, la ricorrente, anzitutto evidenziando l’identità della motivazione contenuta nei provvedimenti di diniego, pur a fronte della diversità delle opere. In secondo luogo richiamando le considerazioni della dott.ssa C S, ritiene la serialità un connotato ostativo al rinvenimento nelle opere in questione dei caratteri propri della innovatività, originalità ed unicità delle opere d’arte ( “soprattutto nel caso di oggetti presenti e catalogati con un numero di serie, si tratta necessariamente di manufatti basati su un disegno prestabilito messo a punto per la realizzazione di oggetti riproducibili, destinati alla vendita e uguali tra loro, per quanto la modalità di lavorazione, peculiare del vetro di M, lo consenta. Il concetto di serialità è indipendente dalla tecnica adottata, anche perché i modelli potevano essere realizzati con diversi tessuti vitrei. Non si può adottare il criterio di unicità di ogni singolo oggetto perché lievi differenze sono contemplate nel caratteristico processo di realizzazione. Queste differenze dipendono dal maestro che esegue l’oggetto, dal colore con il quale viene fatto, dal tipo di vetro fuso che viene ottenuto ogni singolo giorno ecc. Adottando il criterio di unicità utti i vetri di M potrebbero essere considerati pezzi unici, come lo sono tutti i manufatti frutto di una lavorazione manuale e artigianale d’eccellenza” ).

Si tratta di argomentazioni che la Soprintendenza ha espressamente e non irragionevolmente confutato.

4.1 Sull’obiezione della parte ricorrente circa l’inconfigurabilità dei connotati dell’originalità e della rarità/unicità in opere “seriali”, la Soprintendenza ha così replicato nel motivare il diniego: “Il manufatto di cui all'oggetto non può essere considerato un oggetto seriale, dal momento che è la tecnica stessa di esecuzione a escluderlo, come specificato nella relazione tecnica allegata. Tra gli oggetti prodotti dalle vetrerie muranesi si possono distinguere dei pezzi che, pur nella replica dei soggetti, presentano i caratteri di particolare pregio e unicità, vuoi per la qualità intrinseca di tecnica e di resa estetica, vuoi per la rarità del pezzo, tanto che alcuni di essi potrebbero essere considerati delle vere e proprie "prove d'artista".

La presunta "serialità" di questi oggetti di vetro trova tra l'altro una sua implicita contraddizione nell'elevato valore dichiarato dalla proprietà.” ).

Il provvedimento rinvia, inoltre, alle singole relazioni storico-artistiche per la descrizione delle caratteristiche singolari che rendono ciascuna opera un pezzo d’arte unico.

Con riguardo alla scultura raffigurante la lucertola, la relazione storico-artistica evidenzia che trattasi di un’opera dello scultore N M, direttore artistico della V.S.M. Venini e del Museo del Vetro di M, raffigurante uno dei soggetti animaleschi meno noti dell’ampia produzione dell’artista. Si evidenzia che costui, negli anni compresi tra il 1927 ed il 1931, diede vita ad una ricchissima serie di animali in vetro che inaugurò una nuova tipologia produttiva dell’arte vetraria muranese. Con tale collezione, infatti, s’introdusse nella produzione vetraria muranese (fino ad allora prevalentemente dedicata alla realizzazione di recipienti, utensili o elementi decorativi in vetro, cfr. catalogo della mostra “l’Arca di Vetro” dedicata alla produzione di animali in vetro, tenutasi presso la Fondazione Cini “Le Stanze del Vetro” nel 2021) anche la realizzazione di “opere scultoree” in vetro, attribuendo così alla pasta di vetro la medesima dignità degli altri materiali tradizionali utilizzati nell’arte scultorea.

La relazione dà atto del crescente successo nei decenni successivi di tale produzione e dell’attenzione costante riservata ad essa da parte della critica, come dimostra la loro presenza in pubblicazioni specializzate e l’esposizione di taluni esemplari della produzione del M alla XVI Biennale di Venezia. Ha, evidenziato, inoltre, con specifico riguardo alla statuetta raffigurante una lucertola, l’originalità del soggetto rappresentato, che è uno dei “meno noti della produzione di M” . Il pregio dell’opera è rinvenuto nella “chiara ricerca nella forma e una stilizzazione che riassume un pensiero estetico grazie al quale si valorizza ancor più la scelta materica”, testimone non “di una semplice esecuzione, ma della volontà di riprodurre con una forma intuitiva e semplice un animale, simbolo di immortalità” . Si evidenzia, inoltre, quanto al requisito della “rarità” nella sua espressione “quantitativa” , (oltre alla circostanza che trattasi di uno dei soggetti meno rappresentati dal suo autore), che non ne sono noti esemplari simili in collezioni pubbliche.

Con riguardo alla scultura raffigurante “orso a macchie” , la relazione storico-artistica, attribuisce l’opera ad Ercole Barovier, richiamando la congerie culturale e produttiva della fine degli anni venti e l’inizio dei trenta del novecento nell’ambito della quale l’opera in questione, come la lucertola di M, è stata concepita ( “Sul finire degli anni Venti e nei primi anni Trenta anche Ercole Barovier esplorava le possibilità plastiche e scultore del vetro, dedicandosi alla piccola scultura e disegnando per la Vetreria Artistica Barovier diversi animali, tra cui l'orso bianco, la tigre e il leone selvaggio. Come N M, anch'egli era dotato di una fervida volontà di ricerca e di una fantasia creativa espressa ai massimi livelli, svolgendo un ruolo determinante nel rinnovamento dell'arte vetraria muranese. All'interno della Vetreria Artistica Barovier si abbandonò la produzione dei vetri murrini con i quali si era identificata l'attività della famiglia fino a quel momento.”).

La relazione, a supporto del pregio artistico dell’opera definisce le specifiche caratteristiche che la connotano in termini di rarità rispetto ad altri esemplari del genere richiamati dalla ricorrente ( “L'oggetto non si può ritenere assolutamente "noto" o di facile reperimento bibliografico attraverso cataloghi di mostre o recenti pubblicazioni sul vetro muranese del Novecento. Da un'attenta analisi dell'esecuzione si percepisce chiaramente altresì che la trasposizione in vetro di questo animale, orso, si discosta da altre note e ben documentate (vedasi per esempio l'orso in vetro lattimo della Vetreria Artistica Barovier, oppure l'orso in vetro rigato a macchie di lattimo della Vetreria Artistica Barovier). La tecnica, come sopra specificata, è complessa e soprattutto evidenzia e valorizza la scelta estetica e formale dell'opera in vetro. Infatti sussistono, in una produzione muranese di animali, delle eccezioni che identificano dei "rari" momenti di reale ispirazione formale. Questo ne è un esempio grazie alla sua scultorea plasticità” ) e l’attenzione dell’opera che vi ha prestato la critica ( “Al bestiario della vetreria, di sapore D, G P dedicò un breve commento sulla rivista Domus del giugno 1929 intitolato "Barovier ovvero il balletto delle fiere", dando così inizio ad una particolare attenzione agli animali di vetro creati dai maestri muranesi” ). Anche per quest’opera la Soprintendenza afferma che non ne sono noti esemplari in collezioni pubbliche.

Contrariamente a quanto afferma la ricorrente, dunque, anzitutto i provvedimenti di diniego non sono motivati in modo identico. Essi, infatti, per l’analisi tecnico-artistica delle singole opere fanno rinvio alle relazioni tecnico-artistiche che sono state redatte singolarmente per ciascun bene e sono diverse tra loro. La motivazione dei dinieghi è, invece, identica nella sola parte in cui contiene le controdeduzioni alle osservazioni presentate dalla ricorrente nel corso dei procedimenti avviati sulle singole opere, che avevano identico contenuto ed alle quali, dunque, poteva replicarsi con argomentazioni identiche.

In secondo luogo, appare condivisibile quanto affermato dall’Amministrazione resistente circa il fatto che la destinazione al mercato ed, in particolare, a quello dei souvenirs e la replicabilità dei soggetti in ragione del loro inserimento nei cataloghi delle vetrerie non costituiscono elementi sufficienti per escludere in ogni caso la rilevanza artistica e la rarità di singoli pezzi della produzione. La Soprintendenza sul punto ha chiarito che la produzione muranese non può dirsi seriale proprio in ragione del fatto che trattasi di produzione realizzata “a mano” , sia pure su modelli, il che consente la realizzazione dei singoli pezzi sia con differenti tecniche o materiali, sia con caratteristiche formali volta per volta diverse, il che di per sé già esclude che possa parlarsi si autentica produzione in serie (alla medesima stregua della produzione industriale o con l’uso di calchi). Ovviamente tale constatazione non significa che ogni pezzo possa per ciò solo definirsi un’opera d’arte, occorrendo che a tale unicità realizzativa corrispondano anche le altre caratteristiche che connotano il bene culturale. Ciò che s’intende dire è che la produzione di più esemplari di un medesimo modello di per sé non esclude che taluno dei pezzi realizzati, per particolare fattura, tecnica esecutiva, materiali o particolari realizzativi, sia connoti per rarità ed originalità e si rivelino, dunque, meritevoli di tutela per l’integrità del patrimonio culturale nazionale

Tale valutazione dovrà essere effettuata caso per caso (il che esclude, dunque, il rischio che, attraverso l’imposizione di un vincolo su uno dei pezzi della serie, si esponga anche tutti gli altri alla possibilità di essere assoggettati al medesimo regime restrittivo).

Nelle relazioni tecnico-artistiche sono illustrate le peculiarità che rendono i manufatti oggetto di causa unici, pur nella ripetibilità del soggetto rappresentato, in relazione alla tipologia di materiali ed alla tecnica utilizzati e vengono delineati gli elementi – ulteriori rispetto al mero “magistero esecutivo” – che connotano le opere in questione come pezzi d’arte, ossia, la loro “capacità espressiva” e l’ “innovazione non passeggera” che hanno introdotto nella tradizione dell’arte, contestualizzando, al contempo, le singole opere all’interno dell’esperienza artistica degli anni venti/trenta del novecento, in cui l’arte vetraria muranese ha assunto le connotazioni di alto artigianato.

Per le opere oggetto di causa le relazioni storico-artistiche riportano, inoltre, le peculiarità che rendono il bene “raro”. Quanto alla lucertola, si afferma che trattasi di uno dei soggetti meno rappresentati dal suo autore, non presente in collezioni pubbliche, la realizzazione in pasta di vetro ( “L'uso delle paste vitree nel Novecento è prerogativa di poche vetrerie, quali Venini &
C. e MVM Cappellin &
C., in quanto i risultati sono difficilmente prevedibili e spesso danno origine a materiali non soddisfacenti”
). Con riguardo all’orso, oltre all’assenza di esemplari simili nelle collezioni pubbliche, la Soprintendenza evidenzia anche le caratteristiche speciali che esso presenta rispetto ad altri esemplari ( “L'oggetto non si può ritenere assolutamente "noto" o di facile reperimento bibliografico attraverso cataloghi di mostre o recenti pubblicazioni sul vetro muranese del Novecento. Da un'attenta analisi dell'esecuzione si percepisce chiaramente altresì che la trasposizione in vetro di questo animale, orso, si discosta da altre note e ben documentate (vedasi per esempio l'orso in vetro lattimo della Vetreria Artistica Barovier, oppure l'orso in vetro rigato a macchie di lattimo della Vetreria Artistica Barovier). La tecnica, come sopra specificata, è complessa e soprattutto evidenzia e valorizza la scelta estetica e formale dell'opera in vetro. Infatti sussistono, in una produzione muranese di animali, delle eccezioni che identificano dei "rari" momenti di reale ispirazione formale. Questo ne è un esempio grazie alla sua scultorea plasticità. ”).

Risulta, dunque, sufficientemente motivata la sussistenza dei requisiti previsti dal D.M. 537/2017 della “qualità artistica” delle opere e della “rarità” , secondo i parametri indicati dagli “Indirizzi ” ministeriali e, quanto al requisito della “rarità” , anche alla luce dei principi giurisprudenziali richiamati dalla stessa ricorrente, risultandone effettuata una valutazione in termini non astrattamente numerici, ma riferita alla “significatività e al valore del pezzo come "componente" del patrimonio culturale nazionale” sulla scorta di una valutazione comparativa fondata “su un concetto di utilità marginale di un'unità aggiuntiva dell'opera rispetto a quelle già possedute” ed essendo illustrate nella relazione tecnica “le ragioni che inducono a ravvisare nello specifico caso concreto quelle caratteristiche di pregio e di rarità che giustificano la sottoposizione del bene del privato a regime vincolistico” (richiami a T.A.R. Lazio, Roma, 9.10.2018 n. 9826).

4.2 La motivazione dei provvedimenti di diniego contiene, inoltre, la replica al rilievo secondo cui la produzione di statuette di animali sarebbe una “produzione minore” , ossia non rappresentativa dell’artigianato artistico tipico di M ( “fatta in prevalenza di coppe, di servizi da tavola, vasi di varia natura, impianti di illuminazione (lampadari e simili)” ) e che, dunque, non sussisterebbe il requisito della “rilevanza della rappresentazione”.

I provvedimenti si esprimono in questi termini: “Non si può inoltre ritenere una produzione minore quella relativa agli animali, ma piuttosto altamente rappresentativa e identitaria dell'arte vetraria muranese, risultato dell'abilità, competenza e profonda conoscenza della materia da parte dei mastri vetrai. Il fatto che parte di questa produzione fosse rivolta al mercato dei "souvenir" non sminuisce il suo valore artistico in quanto la richiesta di oggetti da acquistare durante i viaggi come ricordo, fin dai tempi del Grand Tour, ha rappresentato uno degli impulsi più importanti che hanno stimolato la realizzazione da parte di artisti e artigiani di oggetti di grande manifattura (si pensi solo al mercato artistico a Roma a partire dal Settecento).

(…) A ciò si aggiunga che, proprio a dimostrazione dell'importanza ed in particolare della grande considerazione dell'arte vetraria del Novecento, a Venezia presso la Fondazione Giorgio Cini. è stato creato il Centro Studi del Vetro ed è stato avviato il progetto delle Stanze del Vetro, che ha tra gli obiettivi la divulgazione dell'arte del vetro di M e della storia del vetro in generale.

Le mostre delle Stanze del Vetro, che si tengono regolarmente presso la città di Venezia, hanno avuto il merito, grazie al meticoloso lavoro di ricerca storica, di evidenziare il grande valore culturale della produzione vetraria muranese, fornendo anche un solido apparato critico che ha consentito di elevare il vetro artistico, considerato in passato una forma minore di arte, al rango di arte rappresentativa della città di Venezia. in particolare nella prima metà del Novecento. Le Stanze del Vetro hanno dunque contribuito al riconoscimento del vetro di M come forma d'arte degna di essere tutelata ai sensi della normativa vigente.

Non si ritiene altresì accettabile che nella variegata produzione vetraria si possano ritenere pezzi unici solo gli esemplari eseguiti su commissione, dato che è proprio nell'attività di sperimentazione delle botteghe che si possono trovare alcuni esiti tra i più felici e artisticamente rilevanti, indipendentemente dall'esistenza di una committenza specifica.” )

Si tratta di argomentazioni affatto implausibili - e peraltro non specificatamente contestate nei ricorsi in trattazione - che trovano, inoltre, riscontro nella documentazione depositata in atti ed, in particolare, in quanto chiaramente si afferma nel catalogo della Mostra L'Arca di vetro. La collezione di animali di Pierre Rosenberg, a cura di G. Naccari e C. Beltrami, Milano 2021, cat. mostra, 26 aprile —1° novembre 2021, Le Stanze del Vetro - Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia, doc. 7) a pag. 41.

5. Essendo il diniego motivato in relazione ai soli criteri sopra esaminati, la cui positiva valutazione è sufficiente a sostenere il provvedimento di diniego (non essendo richiesto che ricorrano tutti i presupposti valutativi indicati nel D.M. 537/2017), le residue censure, concernenti il difetto degli ulteriori presupposti previsti dagli “Indirizzi” ministeriali, possono essere assorbite.

Il diniego, dunque, risulta motivato tenendo conto degli elementi essenziali previsti dagli Indirizzi ministeriali, con argomentazioni coerenti con i criteri esposti e non inficiate da vizi di palese inattendibilità delle valutazioni tecniche svolte.

Non si configura, dunque, tenuto conto dell’avvenuta valutazione dei connotati intrinseci di singole specifiche opere, la paventata irragionevole lesione del diritto di proprietà.

6. In definitiva il ricorso è infondato. Le spese possono essere compensate tenuto conto della peculiarità della fattispecie.

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