TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2020-07-20, n. 202003210
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Pubblicato il 20/07/2020
N. 03210/2020 REG.PROV.COLL.
N. 04536/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4536 del 2019, proposto da
R I, rappresentata e difesa dall'avvocato A C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto in Napoli, alla via Giosuè Carducci n. 61;
contro
Comune di Anacapri non costituito in giudizio;
per l'annullamento
- del provvedimento del Comune di Anacapri, prot. n. 12366 del 30.7.2019, di revoca della nota n. 10221 del 7/7/2008, con nuova efficacia dei provvedimenti di ripulsa, prot. n. 5487 dell’8.4.2008 e dell'ingiunzione di demolizione, prot. n. 3626 del 12.3.2003;
- della ingiunzione a demolire n. 12367 del 30 luglio 2019.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 84 d.l. 17 marzo 2020 n. 18, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 20 aprile 2020, n. 27;
Relatore nell’udienza del giorno 24 giugno 2020 R V;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La ricorrente è proprietaria di un immobile sito nel comune di Anacapri, alla via II Traversa Rio Linciano, 3.
1.1. A seguito di sopralluogo effettuato dall’ufficio tecnico comunale in data 28.1.2003 veniva acclarata (cfr., altresì, il verbale di sequestro della polizia municipale n. 147/2003 redatto in pari data) la realizzazione di una serie di opere abusive presso l’immobile di proprietà della ricorrente.
1.2. Di qui la ingiunzione a demolire del 12 marzo 2003, n. 3626, avente ad oggetto le opere edilizie abusive colà partitamente individuate;ingiunzione che la ricorrente assumeva essere stata gravata avanti questo TAR.
1.3. D’altra parte, già in precedenza, da altro sopralluogo dell’ufficio tecnico del 19 agosto 2002, erano state appurate ulteriori opere abusive, consistenti nella “ 1. realizzazione controsoffittatura;2. Completamento impianto elettrico ed idraulico;3. Installazione nel locale wc dei pezzi igienici;4. Installazione degli infissi interni (due finestre e due porte);5. Realizzazione vano di collegamento tra il manufatto posto sotto sequestro e quello adiacente anch’esso abusivo ”.
1.4. In data 10.12.2004 la ricorrente presentava istanza di condono ex art. 32 d.l. 269/03 “ per la realizzazione di opere di rivestimento di una baracca in ferro con pietre di tufo, installazione di un gazebo in P.V.C. installazione di un piccolo deposito in P.V.C. e trasformazione di un pollaio a ripostiglio ”.
1.5. A seguito di nuovo sopralluogo del 27.3.2007, risultava che “ sul corpo di fabbrica ad uso abitativo, costituito da pietre in tufo grigio e copertura in lamiera coibentata erano in fase di esecuzione opere di straordinaria manutenzione consistenti nella posa in opera di tavolato in legno multistrato al fine di impermeabilizzare la stessa ”.
1.6. In data 8 aprile 2008 il Comune denegava il condono richiesto dalla ricorrente, con ingiunzione a demolire n. 5524. Anche avverso tali atti la ricorrente insorgeva avanti il TAR, con ricorso acquisito al protocollo comunale con il n. 8859 (cfr., accertamento tecnico del 12 giugno 2019);gravame che, peraltro, risulta definito con decreto di perenzione n. 3454 del 30 luglio 2014.
1.7. E, tuttavia, sempre in data 8 aprile 2008, con deliberazione di g.c. n. 39, recepita successivamente con delibera di c.c. n. 16 del 12.5.2008, l’Amministrazione deliberava di sospendere “ l’esame delle istanze di condono ”, nonché “ i provvedimenti di rigetto già adottati ”, e ciò al dichiarato fine di “ attendere il consolidarsi dell’orientamento della giurisprudenza amministrativa ” in ordine alla applicabilità della l. 326/03 anche nei territori vincolati “ laddove non vi sia un vincolo di inedificabilità assoluta ”.
1.8. Con atti nn. 113 del 3.6.2008 e 10221 del 7.7.2008, in attuazione dei cennati indirizzi generali, il Comune provvedeva alla “ sospensione ” del rigetto della istanza di condono avanzata dalla ricorrente, nonché della ingiunzione a demolire n. 3626 del 12.3.2003 e di quella recata con ordinanza n. 5524/08.
1.9. Con relazione del 12.6.2019 l’ufficio tecnico, di poi, dava conto della realizzazione da parte della ricorrente delle seguenti, ulteriori, opere abusive: “ - sostituzione della pergola in pali di castagno sorreggente copertura in pagliarelle posta sull’area delimitata di quattro colonne in muratura e posa in opera di nuova copertura fissa costituita da struttura lignea in travi orizzontali sagomate e copertura in legno coperta con telo plastificato;- creazione cordolo perimetrale di coronamento al manufatto in muratura di altezza variabile e profondità di circa cm 25 rifinito con elementi di cotto;- parziale delimitazione con setti murari, di altezza di mt. 0,90, dei fronti esterni del manufatto addossato al lato nord del corpo di fabbrica principale in muratura, in sostituzione dei grigliati in tompagno ”.
1.10. La Amministrazione, indi, al fine di “ emettere i consequenziali provvedimenti repressivi per la demolizione di tutte le opere abusive ”, si determinava a:
- “ riprendere l’iter amministrativo avviato ” dapprima con la ingiunzione a demolire n. 3626 del 12.3.2003 e, di poi, con la reiezione della istanza di condono;
- confermare il diniego di condono, in quanto afferente ad opere “ comportanti nuove superfici ”, non conformi agli strumenti urbanistici e realizzate “ su territorio dichiarato di notevole interesse pubblico dal DM 20.3.1951 ”;
- revocare la nota n. 10221 del 7 luglio 2008, con cui erano stati sospesi i provvedimenti reiettivi e repressivi degli abusi, con la correlata riespansione della loro efficacia (ordinanza n. 12366 del 30.7.2019);
- ingiungere, altresì, la demolizione delle opere consistenti in “ manufatto di circa mq. 30,24 e mc. 81,65 completo di cordolo perimetrale di coronamento rifinito in cotto;manufatto ad uso deposito delle dimensioni di mt. 2.35x2.15xh2.00;manufatto, di circa mq. 28,30 e mc. 76,42, con antistante colonnato composto da n. 4 colonne in muratura, di altezza complessiva di mt. 2,75 circa, e sovrastante struttura lignea, di mt. 4,90 x 4,90, in travi orizzontali sagomate e copertura in legno e telo plastificato;fabbricato di mt. 1,90x2,70xh. 2,00, destinato a servizio igienico, posto in aderenza al confine nord est, in muratura di pietrame calcareo a faccia vista e copertura in lamiera coibentata con sovrastante impermeabilizzazione pavimentazione di viali e aree circostanti e antistanti i fabbricati sopra descritti per una superficie complessiva di mq. 243,15 circa;colonnato composto da n. 4 colonne in muratura, di altezza complessiva mt. 2,75 circa, realizzate lungo i margini del viale a nord est ” (ingiunzione a demolire n. 12367 del 30 luglio 2019).
1.11. Avverso tali ultimi provvedimenti insorgeva la ricorrente avanti questo TAR, a mezzi di gravame essenzialmente deducendo:
- violazione degli artt. 97 Cost, 3 e 21- nonies l. n. 241/1990 - violazione dei principi in materia di autotutela - eccesso di potere per difetto di motivazione e difetto di istruttoria;stante la violazione del termine di 18 mesi contemplato per l’esercizio del potere di autotutela, ed in assenza peraltro di “ una valutazione comparativa tra gli interessi pubblici e quelli privati ”;
- violazione e falsa applicazione dell’art. 27 e 31 del D.P.R. n. 380/2001, eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, difetto di motivazione e contraddittorietà;le opere contestate nel giugno 2019 non avrebbero determinato una modifica della consistenza plano altimetrica né comportato un mutamento di destinazione d’uso, trattandosi di opere “precarie”, giustificate “ dalla necessità di mettere in sicurezza l’immobile a fronte dell’azione degli agenti atmosferici ”, per le quali sarebbe stata sufficiente una DIA, integrando una “ pertinenza a fini urbanistici ”, ovvero opere di manutenzione straordinaria;
- violazione e falsa applicazione dell’art. 3, 7 e 10 della l. n. 241 del 1990, eccesso di potere per violazione del giusto procedimento, omessa ponderazione, perplessità e difetto di motivazione;la mancata comunicazione di avvio del procedimento avrebbe assunto nella fattispecie valenza di vizio sostanzialmente incidente sul contenuto dei provvedimenti, atteso che grazie alla interlocuzione procedimentale la ricorrente avrebbe potuto chiarire il carattere “precario” e la scarsa rilevanza urbanistica degli interventi contestati;
- eccesso di potere per evidente difetto di istruttoria caratterizzante l’ordinanza di demolizione in relazione, in particolare, all’omessa valutazione dell’interesse pubblico a disporre la demolizione, a fronte del lunghissimo periodo di tempo trascorso e del consolidamento della posizione soggettiva del ricorrente determinato dal comportamento acquiescente dell’Amministrazione;sussisterebbe, altresì, una evidente sproporzione tra il sacrificio imposto al privato e l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata asseritamente posto a fondamento dei gravati provvedimenti, atteso che il decorso del tempo avrebbe ingenerato un legittimo affidamento nel privato.
1.12. In assenza di costituzione della intimata Amministrazione la ricorrente provvedeva ad ulteriormente illustrare la propria posizione con scritti difensivi in vista della udienza di trattazione, tenutasi con collegamenti da remoto a’ sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, d.l. 18/2020, come modificato dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, e all’esito della quale la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
2. Il ricorso non è fondato.
2.1. E, invero, quanto al primo mezzo va in via liminare rimarcato che il provvedimento di “sospensione” oggetto della revoca disposta con la ordinanza n. 12366:
- non attribuiva vantaggi o effetti ampliativi della sfera giuridica della ricorrente;
- non assentiva la edificazione, né tampoco sanava illeciti già consumatisi;
- non integrava in alcun modo un contegno amministrativo “affidante”, sul quale ragionevolmente la ricorrente avrebbe potuto riporre legittime aspettative al “consolidamento” della abusiva opera intrapresa;
- costituiva, di contro, un atto inibitorio ed interinale, pel tramite del quale la Amministrazione, in via cautelativa, poneva in stato di quiescenza l’ iter procedimentale e provvedimentale volto alla repressione degli illeciti edilizi, avviato sin dal 2003, e di poi continuato con il diniego di condono e la ingiunzione a demolire del 2008.
2.1.1. A ben vedere, trattavasi di un atto di sospensione sussumibile nel paradigma astrattamente contemplato all’art. 21- quater l. 241/90, nella dictio ratione temporis applicabile, a mente del quale “ L'efficacia ovvero l'esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Il termine della sospensione è esplicitamente indicato nell'atto che la dispone e può essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze ” (comma 2). A tale disposizione, di poi, è stato aggiunto un ulteriore periodo ad opra dell’art. 6, comma 1, lett. c), l. 124/2015, per cui “ La sospensione non può comunque essere disposta o perdurare oltre i termini per l’esercizio del potere di annullamento di cui all’articolo 21-nonies ”.
2.1.2. E’ evidente, indi, che nella fattispecie che ne occupa, anche a tenere in non cale la effettiva esistenza delle “ gravi ragioni ” indefettibilmente condizionanti la esplicazione della eccezionale potestas inibitoria degli effetti dell’ agere provvedimentale sanzionatorio:
- l’atto di sospensione era già in allora, al momento della adozione, privo di un espresso dies ad quem di efficacia, in violazione del citato art. 21- quater l. 241/90;
- in ogni caso, tenuto conto dello ius superveniens costituito dalla legge 124/2015 entrata in vigore il 28 agosto 2015, si è poi interamente consumato lo spatium temporis massimo di diciotto mesi, contemplato agli artt. 21- quater e 21- nonies l. 241/90, nel quale può perdurare la sospensione (individuando il relativo dies a quo nel momento della entrata in vigore della nuova normazione, id est in data 28 agosto 2015).
2.2. La sospensione adottata nel 2008 era, indi:
- ab origine illegittima, per mancata apposizione di un termine finale;
- in ogni caso, è successivamente divenuta ex lege inefficace, per effetto del decorso del termine di 18 mesi contemplato dal combinato disposto degli artt. 21- quater e 21- nonies l. 241/90.
2.3. L’atto di “revoca” quivi gravato, pertanto:
- non incide su un precedente provvedimento abilitativo;
- costituisce una sorta di presa d’atto della inefficacia - già naturaliter discendente dalla legge, quanto meno a partire dal decorso del termine di 18 mesi a far data dal 28 agosto 2015 - della disposta sospensione;
- partecipa alla ricorrente la voluntas della Amministrazione - a cagione della ridetta inefficacia dell’atto di sospensione eccezionalmente protrattosi per oltre un decennio, sebbene “in occasione” della rilevazione di nuovo ed ulteriori abusi realizzati sul fondo de quo - di procedere alla esecuzione dei provvedimenti repressivi già adottati e perfezionatisi, in ossequio al principio generale della esecutorietà dei provvedimenti amministrativi.
2.4. La sostanziale irriducibilità dell’atto di “revoca” impugnato nell’alveo dei provvedimenti di autotutela, depriva di rilevanza indi le doglianze della ricorrente relative:
- alla mancata partecipazione procedimentale e alla carenza di una motivazione specifica, sulla preminenza e sulla attualità dell’interesse pubblico;l’ actio della Amministrazione, come detto, è volta giustappunto a mettere in esecuzione provvedimenti repressivi perfettamente validi ed efficaci (quanto meno, e a tutto concedere, dopo il decorso del ridetto lasso temporale di 18 mesi successivo alla entrata in vigore del novellato art. 21- quater l. 241/90);
- all’affidamento ingenerato nel privato dal decorso di oltre dieci anni;e, invero, con l’atto di sospensione la Amministrazione non aveva in alcun modo divisato interessi, attribuendo beni o situazioni giuridiche attive alla ricorrente, solo limitandosi a sterilizzare in guisa transeunte la efficacia esecutiva di atti repressivi, essi sì aventi valenza provvedimentale e di regolazione di interessi, epperò di segno contrario alle aspettative di essa ricorrente.
2.4.1. Di talché, nessun affidamento può avere ragionevolmente ingenerato nella ricorrente il contegno serbato dalla Amministrazione che con plurimi provvedimenti, certava e reprimeva l’azione illecita della ricorrente (ingiunzioni a demolire del 20013 e del 2008;diniego di condono del 2008), sebbene addivenisse di poi alla determinazione di sospenderne la efficacia, ma giammai incidendo sul loro contenuto sostanziale.
2.4.2. D’altra parte, la realizzazione di opere sine titulo determina - per fatto del trasgressore - una situazione di antigiuridicità permanente in relazione alla quale:
- si appalesa sussistente in re ipsa l’interesse pubblico alla rimozione della situazione di perdurante illiceità e di nocumento arrecato al pubblico interesse alla regolare conformazione urbanistica del territorio comunale;
- non è, di contro, configurabile qualsivoglia forma di legittimo affidamento in capo all’autore dell’illecito, ad onta del decorso di un considerevole lasso temporale dalla realizzazione delle opere;di talché, qui in re illicita versatur, etiam tenetur pro casu .
2.4.3. Di più. Nella fattispecie, alla situazione ex se antigiuridica riveniente dalla realizzazione delle opere sine titulo , si era affiancata altresì la doverosa azione positiva di repressione posta in essere dalla Amministrazione, pel tramite di plurimi provvedimenti ingiuntivi e di reiezione di istanza di sanatoria.
2.4.4. E’ tale necessitata azione repressiva che la Amministrazione ha - sia pure tardivamente - riattivato pel tramite dei gravati provvedimenti che, indi, non abbisognavano di alcuna specifica motivazione sulle ragioni di pubblico interesse sottese al ripristino della legalità violata e, in definitiva, alla rimozione della situazione di antigiuridicità e di permanente nocumento arrecato al territorio (CdS, a.p., 17 ottobre 2017, n. 9;CdS, VI, 30 luglio 2019, n. 5388).
2.5. Dalla reiezione del primo mezzo discende, in via necessitata, la reiezione dei successivi tre mezzi di gravame, comechè proposti avverso la consequenziale ingiunzione a demolire n. 12367.
2.5.1. E, invero, siccome sopra rimarcato, con l’atto di “revoca” n. 12366 del 30 luglio 2019:
- si è certata la cessazione della efficacia della inibitoria, in allora disposta con la sospensione del 2008, già ex lege discendente per il decorso di un inusitato lasso temporale;
- si è espressamente resa edotta la ricorrente - in una ottica di certezza dei rapporti - della piena riespansione della efficacia dei provvedimenti di diniego e repressivi già adottati in relazione agli abusi de quibus , ancorché non ancora portati ad esecuzione.
2.5.2. Di talché, la reiezione del primo mezzo ed il riconoscimento della legittimità dell’atto di “revoca”;
- giudizialmente conferma la reviviscenza dei plurimi provvedimenti repressivi adottati in danno della ricorrente, al fine di reprimere gli abusi edilizi commessi;
- non può non riverberarsi sul giudizio afferente alla “nuova ingiunzione a demolire” del 30 luglio 2019, che è volta a sanzionare nuovi ed ulteriori interventi edilizi (acclarati all’esito del sopralluogo dell’11 giugno 2019) che, realizzati su opere già ex se poste in essere sine titulo , non possono che assumere anch’essi carattere abusivo, per una sorta di vis actractiva che le prime inevitabilmente finiscono per esercitare sui secondi.
2.5.3. La natura irretrattabilmente sine titulo del complesso delle opere de quibus , è stata già da lungo tempo accertata e sanzionata dalla intimata Amministrazione, pel tramite di:
- una prima ingiunzione a demolire, n. 3626 del 12 marzo 2003;
- un diniego di condono, n. 5487 dell’8 aprile 2008;
- un successiva ingiunzione a demolire n. 5524 dell’8 aprile 2008.
2.5.4. La riespansione della piena efficacia di tali provvedimenti, indi, rende irrefragabile la natura abusiva del compendio delle opere su cui sono stati realizzati gli ulteriori interventi acclarati con la relazione del 12 giugno 2019 (all’esito dell’ispezione in loco effettuata il precedente 11 giugno).
2.5.5. Di qui la natura ex se abusiva dei nuovi interventi realizzati dalla ricorrente, comechè insistenti ed afferenti - in guisa ancillare - ai manufatti ed alle opere già ab origine realizzati senza il previo rilascio del necessario titolo abilitativo.
Così che, accessorium sequitur principale .
2.6. D’altra parte, e ferma la dirimente considerazione di cui sopra, i nuovi interventi concreterebbero in ogni caso attività abusiva - oltre che “in via derivata”, in quanto incidenti su strutture e manufatti realizzati sine titulo - anche in via autonoma, atteso che:
- “ occorre il rilascio del permesso di costruire per le tettoie aventi una loro autonoma rilevanza e che, comunque, incidano su volumi e sagome, il cui regime normativo è quello della onerosità (ex aliis, cfr. Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 11 giugno 2019, n. 3895) ” (CdS, II, 17 giugno 2020, n. 3898);
- la realizzazione di un pergolato di dimensioni non trascurabili, costituito da pilastri stabilmente infissi al suolo, munito di una copertura stabile non retrattile, che faccia desumere una permanenza prolungata nel tempo del manufatto e delle utilità che esso è destinato ad arrecare, comportando una trasformazione edilizia del territorio, necessita di permesso di costruire (TAR Campania, IV, 1 luglio 2020, n. 2739);
- e, invero, “ quando il pergolato viene coperto nella parte superiore, anche per una sola porzione, come nel caso di specie, con una struttura non facilmente amovibile, realizzata con qualsiasi materiale, è assoggettato alle regole dettate per la realizzazione delle tettoie (cfr. CdS, VI, 25 gennaio 2017, n. 306) ” (CdS, II, 7 febbraio 2020, n. 984);
- anche le restanti opere - creazione di un cordolo perimetrale in muratura di altezza variabile e profondità 25 cm, rifinito con elementi in cotto;delimitazione con setti murari di altezza massima mt. 0,90 dei fronti esterni del manufatto addossato al lato nord del corpo di fabbrica principale in muratura - la cui effettiva consistenza non è efficacemente smentita delle allegazioni di parte ricorrente e dalla relazione tecnica versata in atti, non possono ascriversi alla categoria delle opere di manutenzione straordinaria, non essendo rinvenibili i requisiti costituiti dalla necessità che i lavori siano diretti alla mera sostituzione o al puro rinnovo di parti dell’edificio, nonché dal divieto di alterare i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari o di mutare la loro destinazione ( ex multis, CdS, sez. IV, 13 giugno 2013, n. 3270;sulla necessità del previo rilascio del permesso di costruire per la recinzione costituita da un cordolo di sostegno in muratura: TAR Campania, Salerno, 21 novembre 2019, n. 2057;TAR Lazio, I, 3101/19;Id., II, 26 luglio 2018, n. 8452).
2.7. Gli ultimi due mezzi del ricorso, di poi - con cui si lamentano vizi formali, procedimentali e motivazionali, nonché la lesione del legittimo affidamento della ricorrente - non sfuggono ad un giudizio di inammissibilità, prima ancora che di infondatezza.
2.7.1. Inammissibile è la censura afferente alla mancata, previa, interlocuzione procedimentale non essendo stata rappresentata alcuna lesione di natura sostanziale alle prerogative della ricorrente riveniente dalla asserita omissione procedimentale “addebitata” al Comune.
2.7.2. Non è stato rappresentato nel gravame alcun plausibile argomento la cui “introduzione” nel procedimento sarebbe stata in grado di diversamente orientarne il risultato (siccome si è avuto modo di illustrare supra , in sede di scrutinio delle censure afferenti al “merito” degli abusi edilizi contestati).
2.7.3. Non è, in altre parole, indicata la rilevanza che in concreto ha assunto la mancata partecipazione procedimentale della ricorrente e, dunque, la valenza incidente di detta mancata interlocuzione sul contenuto sostanziale dei fatti fondanti i gravati provvedimenti.
2.7.4. Ne discende la inammissibilità per genericità della censura, ove si abbia riguardo al di per sé risolutivo rilievo che non risulta allegato un concreto pregiudizio al diritto di difesa e di partecipazione procedimentale, mancando parte ricorrente di indicare in qual modo e in che misura il lamentato vizio abbia in concreto precluso la introduzione di deduzioni in grado di sostanzialmente incidere sulle determinazioni della Amministrazione comunale, ovvero abbia potuto in qualche modo ledere il diritto di essa ricorrente all’ottenimento di una decisione “equa”.
2.8. In ogni caso, le censure afferenti alla asserita violazione delle prerogative di partecipazione procedimentale sono prive di fondamento atteso che, siccome si è avuto modo di illustrare supra in sede di negativo scrutinio dei motivi “afferenti al merito”, il contenuto dispositivo dell’impugnato provvedimento non avrebbe potuto essere diverso.
2.8.1. La certazione giudiziale della legittimità della azione provvedimentale quivi censurata rende irrilevante la (asserita) pretermissione procedimentale, attesa la inidoneità di un qualsiasi apporto collaborativo a determinare una differente conclusione della vicenda (TAR Lombardia, I 26 settembre 2018, n. 2145).
2.8.2. La ricaduta patologica di tale lamentata violazione “formale e/o procedimentale” è quindi sterilizzata dall’applicazione dell’art. 21- octies della legge 241/90, norma che ben si attaglia anche alla omessa comunicazione di avvio del procedimento finalizzato alla adozione della ingiunzione a demolire;costituisce dato pacifico, invero, quello in forza del quale ai fini dell’adozione di provvedimenti sanzionatori di abusi edilizi, stante la natura vincolata degli stessi, non è necessaria la preventiva comunicazione dell’avvio del procedimento (solo da ultimo, CdS, VI, 12 maggio 2020, n. 2980;CdS, VI, 11 marzo 2019, n. 1621).
2.9. Analogamente, nessun vizio di natura motivazionale stricto sensu intesa può affliggere il gravato provvedimento di ingiunzione a demolire, relativamente alla attualità e alla preminenza dell’interesse pubblico alla repressione degli abusi ed al ripristino della legalità violata, trattandosi di atto che - certando la esistenza di un illecito, ed irrogando la relativa sanzione - necessita di giustificazione , più che di motivazione, consistente:
- nell’ acclaramento dei fatti, id est della realizzazione delle opere e degli interventi edilizi;
- nella sussumibilità di tali interventi nel novero di quelli necessitanti di un titolo abilitativo;
- nella certazione della loro realizzazione, di contro, in assenza del prescritto provvedimento abilitante.
2.9.1. D’altra parte, e siccome sopra ampiamente esposto, la realizzazione di opere in assenza di un titolo abilitante, id est in assenza di qualsivoglia atto formale della Amministrazione:
- arreca un vulnus diuturno al bene pubblico, di fondamentale importanza, costituito dall’ordinato assetto urbanistico del territorio;
- determina la preminenza in nuce dell’interesse pubblico alla rimozione dell’abuso e, dunque, alla cessazione della situazione di perdurante illiceità;
- impedisce radicitus la formazione di qualsivoglia forma di legittimo affidamento in capo all’autore dell’illecito, a nulla rilevando il decorso di un considerevole lasso temporale dalla realizzazione delle opere (CdS, a.p., 9/17).
2.9.2. Di qui il consolidato insegnamento a mente del quale i provvedimenti repressivi di abusi edilizi, in quanto espressione di actio vincolata nel contenuto, non abbisognano di specifica motivazione - intesa come estrinsecazione della scelta della preminenza dell’interesse pubblico al ripristino dell’ordine giuridico infranto, all’esito di una ponderazione dei contrapposti interessi in giuoco - bensì di un supporto giustificativo, id est della certazione della esistenza di attività edilizia realizzata in dispregio delle regole (TAR Campania, VI, 22 maggio 2019, n. 1939).
2.9.3. Si è, all’uopo, reiteratamente affermato che la funzione dell’ingiunzione di demolizione è quella di provocare il tempestivo abbattimento del manufatto abusivo ad opera del responsabile, rendendogli noto che il mancato adeguamento spontaneo determina sanzioni più onerose della semplice demolizione. A tale scopo è quindi sufficiente che l’atto indichi il tipo di sanzioni che la legge collega all’abuso, senza puntualizzare le aree eventualmente destinate a passare nel patrimonio comunale. L’interessato, infatti, può così compiere le proprie valutazioni, le quali non possono essere influenzate dalla semplice non conoscenza delle aree di cui il comune disporrà concretamente l’acquisizione. Requisiti dell’ingiunzione di demolizione sono perciò l’esistenza della condizione che la rende vincolata, cioè l’accertata esecuzione di opere abusive, e il conseguente ordine di demolizione e non anche la specificazione puntuale della portata delle sanzioni, richiamate nell’atto quanto alla tipologia preordinata dalla legge, ma recate con successivo, eventuale provvedimento (CdS, VI, 5 gennaio 2015, n.13).
2.10. Analogamente ed a fortiori - sulla scorta di quanto supra amplius statuito in sede di reiezione del primo mezzo - nessun affidamento legittimo può predicarsi in relazione alla “revoca” della sospensione disposta nel 2008.
2.11. Dalla reiezione del ricorso discende la giudiziale conferma della legittimità e, quindi, della efficacia ed esecutività di tutti i provvedimenti nei confronti della ricorrente adottati:
- ab initio , con la ingiunzione a demolire n. 3626 del 12 marzo 2003;
- successivamente, con il diniego di condono dell’8 aprile 2008 e la pedissequa ingiunzione a demolire n. 5524 resa in pari data;
- da ultimo, con la ingiunzione a demolire n. 12367 del 30 luglio 2019, resa all’esito della “riattivazione” dell’ iter sanzionatorio disposta con la “revoca”, n. 12366, adottata in pari data.
3. La mancata costituzione della civica Amministrazione, infine, preclude ogni decisione sul governo delle spese.