TAR Bologna, sez. I, sentenza 2016-11-10, n. 201600924
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Pubblicato il 10/11/2016
N. 00924/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00092/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 92 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Comune di Lizzano in Belvedere, in persona del legale rappresentante p.t.,
Comune di Camugnano, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dagli avv.ti G G , B G C.F. GRZBDT42L31A944E, con domicilio eletto presso il loro studio in Bologna, via dei Mille 7/2;
contro
Regione Emilia Romagna, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti G G C.F. GRGGPP45P23A662T, G F C.F. FLCGDM45C06L736E, con domicilio eletto presso il primo in Bologna, viale G. Amendola 2;
nei confronti di
Comunità Montana dell'Appennino Bolognese Ora Unione dei Comuni dell'Appennino Bolognese, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. A M C.F. MRLLSN67R14B639Z, con domicilio eletto presso il suo studio in Bologna, via D'Azeglio 39;
Comune di Castel D'Aiano, Comune di Castel di Casio, Comune di Gaggio Montano, Comune di Granaglione, Comune di Grizzana Morandi, Comune di Marzabotto, Comune di Porretta Terme, Comune di Vergato, Comune di Monzuno, Comune di San Benedetto Val di Sambro, Comune di Castiglione dei Pepoli non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
del decreto del Presidente della Regione Emilia Romagna n. 211 del 30.10.2013, pubblicato sul BUR del 20.11.2013, portante "Decreto di estinzione della Comunità montana dell'Appennino bolognese ai sensi dell'art. 32, co 2, della L.R. n. 9/2013, in sostituzione del decreto del presidente della Giunta regionale n. 76/2013;
del decreto del Presidente della Regione Emilia Romagna n.244 del 31.12.2013, pubblicato sul BUR-Parte seconda del 7.01.2014, portante "Approvazione del piano successorio della Comunità montana dell'Appennino Bolognese"nonchè-della proposta di piano successorio prot. n. 7610/2.1 del 27.11.2013, predisposta dal Presidente della Comunità montana dell'Appennino bolognese;
della delibera del Consiglio della Comunità montana dell'Appennino bolognese n. 27 del 28.11.2013 di presa d'atto del piano successorio;
della nota del Presidente della Comunità montana dell'Appennino bolognese prot n. 8350/1.2, datata 23.12.2013;
della deliberazione della Giunta della Regione Emilia Romagna n. 543 del 23.04.2014, pubblicato sul BUR n. 123- Parte seconda del 28.04.2014 portante "Programma di riordino territoriale : disciplina delle incentivazioni alle Unioni di Comuni per il 2014;Ricognizione delle Unioni di Comuni.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Emilia Romagna e della Comunità Montana dell'Appennino Bolognese Ora Unione dei Comuni dell'Appennino Bolognese;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 settembre 2016 il dott. U D C e uditi per le parti i difensori C M, G G e A M;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I Comuni di Lizzano in Belvedere e di Camugnano avevano originariamente presentato un ricorso avverso il Decreto di estinzione della Comunità montana dell'Appennino bolognese;successivamente il Comune di Lizzano in Belvedere manifestò l’intenzione di non coltivare il ricorso perché soddisfatto dal nuovo provvedimento assunto nel 2014 dalla Regione Emilia-Romagna. Per errore fu emesso un decreto di perenzione dell’intero ricorso poi corretto a seguito dell’opposizione del Comune di Camugnano che intendeva proseguire nel giudizio.
Il ricorso principale nella prima parte ripercorre le vicende connesse alla estinzione della Comunità montana dell'Appennino bolognese a seguito dell’approvazione della L.R. 21/2012 che generò una serie di ricorsi poi conclusisi con pronunce di rito poiché la Regione approvo una nuova legge
( L.R. 9/2013 ) di parziale modifica della precedente che ha determinato un nuovo provvedimento impugnato in questa sede.
Il primo motivo denuncia l’illegittimità del decreto del Presidente della Regione 211/2013, per
Illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale dell'art. 4. L.R. n. 23/2013, per contrasto con l'art. 117, co. 2, lett. p) Cost., in relazione all'art. 14, co. 27, 28 e 30 D.L. n 78/2010, conv. in L. 122/2010 e in relazione all'art. 33 D.Igs. n. 267/2000 e in ogni caso per contrasto con gli artt. 3
e 97 Cost.;in subordine, per contrasto con l'art. 117, co. 3 Cost., in relazione alle norme di principio contenute nell'art 14, co. 27, 28 e 30 D.L. n. 78/2010, conv. in L. n. 122/2010 e nell'art. 33 D.Ids. n. 267/2000 e in ogni caso per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost.
La prima doglianza deriva dal fatto che ai sensi dell’art. 4, comma 3, L.R. 23/2013 i Comuni che non hanno accettato l’adeguamento al percorso di riordino previsto dalla L.R. 21/2012 non riceveranno contributi.
La norma statale che non può essere derogata e cioè l’art. 14, comma 27, D.L. 78/2010 non esprime una preferenza per l’unificazione attraverso l’adesione ad Unioni di Comuni o con convenzioni intercomunali, mentre invece la legge regionale penalizza chi non sceglie il modello dell’Unione.
Il disconoscimento di contributi finanziari ad opera di una legge regionale potrebbe trovare giustificazione nelle materie oggetto di potestà regionale purché nel rispetto dei principi fissati con legge dello Stato o dalla Costituzione. Ma il caso in esame riguarda lo svolgimento in forma associata di funzioni fondamentali che è materia di legislazione esclusiva dello Stato.
La differenziazione in tema di benefici economici non si giustifica neanche ai sensi dell’art. 33 D.lgs. 267/2000: la norma stabilisce che le Regioni favoriscano il massimo grado di integrazione tra i Comuni, graduando la corresponsione dei benefici in relazione al livello di unificazione.
Ma all’interno della norma non vi è distinzione tra le Unioni dei Comuni formate in ossequio alla legge regionale e quelle disciplinate dall'art. 32 TUEL come l'Unione dell'Alto Reno cui ha aderito il Comune di Camugnano. L’unica differenza tra i due tipi di Unione riguarda la composizione delle Unioni di Comuni montani regolate dall'art. 8 L.R. n. 21/2012 che nella Regione Emilia-Romagna deve essere la più ampia possibile, così da determinare la successione dell'Unione di Comuni montani alla preesistente Comunità montana. Ma la natura dei due tipi di Unione è identica.
Pertanto la soluzione fatta propria dall'art. 4 L.R. 23/2013 appare in contrasto con l'art. 14, co. 28 D.L. n. 78/2010, che non consente di fare differenze tra un tipo di Unione ed un'altra, quanto a trattamento finanziario anche in ossequio ai principi di uguaglianza e ragionevolezza di cui agli artt. 3 e 97 Cost.
Il secondo ed il terzo motivo richiamano l’illegittimità che era stata già richiamata nei motivi aggiunti dei precedenti ricorsi sulla stessa materia;infatti, a parere del Comune ricorrente, il nuovo decreto che ha stabilito l’estinzione della Comunità Montana dell’Appennino bolognese risente della illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 4, L.R. 9/2013 le cui censure sono identiche a quelle appena illustrate nel precedente motivo. L’unico elemento ulteriore consiste nel denunciare il meccanismo di passaggio relativamente ai debiti maturati dalle Comunità montane poiché si prospetta un ingiusto accollo pro quota di tali debiti.
Viene altresì contestata la previsione contenuta nell'art. 2 decreto n. 211/2013, ai sensi dell’art. 32, comma 5, L.R. 9/2003, in base alla quale all'Unione dei Comuni dell'Appennino bolognese spetta l'esercizio di tutte le funzioni in precedenza svolte dalla Comunità montana, anche per i territori dei quattro Comuni oggi aderenti all'Unione dell'Alto Reno, oltre quello delle ulteriori competenze di tutela e promozione della montagna attribuite in attuazione dell'art. 44, comma 2, Cost. e della normativa in favore dei territori montani..
Ciò genera perplessità in ordine al rispetto dei principi di autonomia comunale, sussidiarietà, adeguatezza e territorialità sanciti dagli artt. 5, 114 e 118 Cost. ed inoltre appare estraneo al sistema delineato dal legislatore nazionale attribuire ad un organismo intercomunale l'esercizio di funzioni che, seppure di titolarità regionale, riguardano il territorio di Comuni estranei all'ente associativo. Tale sistema si traduca nella sostanziale estromissione di determinati Comuni dall'esercizio di funzioni regionali delegate, in via generale, ai Comuni.
Il quarto motivo evidenzia un ulteriore motivo di illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 5, L.R. 9/2003.
Il decreto 211/2013 rinvia ad un successivo piano finanziario per regolare la successione nei rapporti attivi e passivi della soppressa Comunità montana, ma stabilisce fin da ora il principio che le attività e passività saranno ripartite anche tra i quattro comuni che non hanno aderito alla nuova unione dei Comuni. La previsione di atti di liquidazione dei Comuni non aderenti alle Unioni subentranti alle soppresse Comunità montane crea un anomalo meccanismo di accollo pro quota dei debiti dell'estinto ente montano. Si tratta di debiti maturati nell’esercizio di funzioni delegate che la Regione stessa si doveva accollare. Un simile sistema è irragionevole e irrispettoso dell'autonomia comunale sancita dagli artt. 5, 114, co. 2, 117, co. 6 e 118 Cost.
Il quinto ed il sesto motivo contestano per eccesso di potere per irragionevolezza e violazione dei principi di proporzionalità e adeguatezza i criteri per i riparto delle passività della soppressa Comunità montana e denunciano l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 5, L.R. 9/2003.
Oltre ai rilievi critici esposti nel precedente motivo si contesta che i Comuni non aderenti all'Unione dei Comuni dell'Appennino bolognese sono, al pari dei Comuni aderenti, chiamati a partecipare alle
spese di personale del soppresso ente montano anche quando i quattro Comuni non fruiscano di quel personale o delle mansioni cui lo stesso è adibito.
L'Unione dei Comuni dell'Appennino bolognese è nata soprattutto per lo svolgimento delle funzioni fondamentali dei Comuni aderenti, ai sensi dell'art. l D.L. n. 78/2010, cui la Regione Emilia-Romagna ha dato attuazione con L.R. 21/2012.
Non è giusto accollare ai Comuni di Lizzano, Camugnano, Porretta Terme e Granaglione spese per l'esercizio di attività che restano estranee a questi enti e al relativo territorio.
Analoghe considerazioni possono farsi per gli altri rapporti passivi (mutui, contratti di locazione), di cui pure il decreto n. 211/2013 prefigura un accollo ai quattro Comuni non aderenti all'Unione, anche se trattasi di spese relative a beni e funzioni che restano estranei ai Comuni medesimi.
Va infine censurata la previsione in base alla quale l'Unione dei Comuni dell'Appennino bolognese subentra alla Comunità montana (con esclusione dei Comuni non aderenti) con riguardo ai contributi già assegnati e concessi alla medesima a qualsiasi titolo dalla Regione — derivanti
da risorse proprie, statali, o dall'Unione europea;ciò dipende dal fatto che all’Unione di Comuni sono state assegnate tutte le funzioni esercitate dalla Comunità montana anche per i quattro Comuni non aderenti, ma siffatta previsione è stata contestata con i precedenti motivi.
Con atto depositato in data 21.2.2014 il Comune ricorrente impugnava il decreto di approvazione del Piano successorio della Comunità Montana dell’Appennino bolognese sulla base di due motivi di ricorso che sostanzialmente lo ritenevano illegittimo in via derivata dall’atto impugnato con ricorso principale;le censure contenute nei due motivi di ricorso ripercorrono quelle già illustrate nel ricorso principale.
Il Comune depositava un secondo ricorso per motivi aggiunti in data 12.6.2014 per impugnare la deliberazione della Giunta regionale relativa al Programma di riordino territoriale e che disciplina le incentivazioni per le Unioni di Comuni.
I due motivi di ricorso, oltre a ribadire tute le considerazioni già svolte con i ricorsi precedenti, sottolineano come I Comuni aggregati nell’Unione dei Comuni dell’Alto Reno, tra cui il Comune di Camugnano, sono esclusi da qualsiasi finanziamento regionale nell’ambito del programma di riordino territoriale perché ritenuta Unione non idonea ai sensi dell’art. 7, comma 5, L.R. 21/2012 dal momento che i n ogni ambito territoriale ottimale ci deve essere una sola Unione con popolazione non inferiore ai 10.000 abitanti ( 8.000 se composta prevalentemente da Comuni montani ).
Si costituivano in giudizio la Regione Emilia-Romagna e l’Unione di Comuni dell’Appennino bolognese che concludevano per il rigetto del ricorso in virtù della manifesta infondatezza delle censure di costituzionalità prospettate.
La Regione Emilia-Romagna eccepiva l’inammissibilità di alcuni motivi di ricorso perché attraverso essi si pone una censura diretta di illegittimità costituzionale non necessaria per affrontare il merito della questione sollevata.
All’udienza del 21.9.2016 il ricorso veniva trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il Collegio in considerazione dell’infondatezza del ricorso principale e di quelli per motivi aggiunti ritiene che si possa prescindere dall’affrontare le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla Regione.
La L.R. 32/2012 si propone, alla luce delle disposizioni di riordino territoriale e funzionale contenute in alcune disposizioni di leggi statale, di riorganizzare le funzioni amministrative regionali, provinciali di area vasta e associative intercomunali in attuazione dell'articolo 118 della costituzione;in particolare all’art. 1 si individua come oggetto del provvedimento tra l’altro “ c) la disciplina delle modalità di esercizio associato delle funzioni dei Comuni, con particolare riferimento alle funzioni fondamentali per le quali si prevede l'esercizio in forma obbligatoriamente associata, nonché delle ulteriori funzioni ad essi conferite dalla legge regionale;
d) l'adeguamento al nuovo assetto delle funzioni amministrative delineato dalla presente legge delle forme associative intercomunali esistenti, con particolare riferimento alle Unioni di Comuni e alle Comunità montane .”
In attuazione dei criteri indicati dall’art. 6 L.R. 21/2012 la Regione aveva individuato tra gli ambiti territoriali ottimali l’Ambito Appennino bolognese che veniva a coincidere con la preesistente Comunità Montana dell’Appenino bolognese che veniva estinta subentrando ad essa l’Unione dei Comuni dell’Appennino bolognese.
Poiché si erano registrate delle resistenze rispetto all’automatica trasformazione delle Comunità montane in Unioni di Comuni comprendenti i medesimi enti già associati nelle Comunità montane, la Regione ha apportato delle modifiche alla L.R. 21/2012 in particolare attraverso l’art. 32 L.R. 9/2013 consentendo ai Comuni di scegliere se fa parte o meno delle costituende Unioni di Comuni.
Per effetto di tale facoltà alcuni Comuni, tra cui quello ricorrente, hanno deciso di non aderire alla nuova Unione dei Comuni dell’Appennino bolognese. La Regione all’esito della manifestazione di volontà degli Comuni ha dovuto emanare un nuovo decreto di estinzione della Comunità montana dell’Appenino bolognese in sostituzione di quello predisposto nel vigore della precedente disciplina.
Il primo motivo del ricorso principale denuncia l’illegittimità del decreto di estinzione affermando che l’art. 4 L.R. 23/2013 sarebbe incostituzionale sotto vari profili;ma la norma in questione non riguarda affatto l’oggetto del decreto impugnato, bensì detta disposizioni in materia di incentivazione nell'anno 2014.
E’ evidente che il motivo è inammissibile non solo perché censura direttamente l’incostituzionalità di una norma che non deve essere applicata concretamente nel giudizio, ma anche perché svolge considerazioni inconferenti con l’atto impugnato.
Il secondo motivo di ricorso rimanda alle censure svolte nei per motivi aggiunti di ricorsi presentati in precedenza avverso i primi atti regionali e che poi si sono estinti in vario modo per sopravvenuta carenza di interesse.
La regione contesta tale modo di formulare il motivo di ricorso affermando che non consente di articolare delle difese puntuali a causa della sua genericità.
In sostanza per il Comune di Camugnano l’aver dato la facoltà ai Comuni di non aderire alle nascenti Unioni di Comuni non può far considerare superata l’eccezione di costituzionalità perché rimarrebbe comunque una penalizzazione economica perché gli incentivi sono previsti solamente per le Unioni di Comuni realizzate secondo i dettami della L.R. 21/2012.
La questione è manifestamente infondata dal momento che la stessa Corte Costituzionale in occasione di un giudizio sorto per il ricorso che alcune regioni avevano promosso nei confronti dell’art. 19 D.L. 95/2012 ebbe ad affermare che “ Si è già detto, peraltro, come la competenza statale di cui all'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. sia, in tale ambito, inconferente, giacché l'ordinamento delle comunità montane è riservato alla competenza legislativa residuale delle Regioni, di cui al quarto comma dell'art. 117 Cost. , pur in presenza della qualificazione di dette comunità come enti locali contenuta nel d.lgs. n. 267 del 2000 , in quanto le stesse non sono contemplate dall'art. 114 Cost. (oltre che, come detto, dalla citata lettera p) e più avanti . un titolo di legittimazione statale per intervenire nell'ambito anzidetto comunque si rinviene nei principi fondamentali di «coordinamento della finanza pubblica», ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost. , ove la disciplina dettata, nell'esercizio di siffatta potestà legislativa concorrente, sia indirizzata ad obiettivi di contenimento della spesa pubblica.
A questi fini, come messo in rilievo in molteplici occasioni da questa Corte (tra le tante, sentenze n. 236 del 2013, n. 193 del 2012, n. 151 del 2012, n. 182 del 2011, n. 207 del 2010, n. 297 del 2009), il legislatore statale può, con una disciplina di principio, legittimamente imporre alle Regioni e agli enti locali, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti territoriali. Vincoli che possono considerarsi rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali quando stabiliscano un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa»;e siano rispettosi del canone generale della ragionevolezza e proporzionalità dell'intervento normativo rispetto all'obiettivo prefissato.
Nel caso in esame, le norme denunciate risultano, appunto, decisamente orientate ad un contenimento della spesa pubblica, creando un sistema tendenzialmente virtuoso di gestione associata di funzioni (e, soprattutto, quelle fondamentali) tra Comuni, che mira ad un risparmio di spesa sia sul piano dell'organizzazione "amministrativa", sia su quello dell'organizzazione "politica", lasciando comunque alle Regioni l'esercizio contiguo della competenza materiale ad esse costituzionalmente garantita, senza, peraltro, incidere in alcun modo sulla riserva del comma quarto dell'art. 123 Cost. In definitiva, si tratta di un legittimo esercizio della potestà statale concorrente in materia di «coordinamento della finanza pubblica», ai sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost.”.
Quindi la disciplina delle Comunità montane appartiene alla legislazione regionale esclusiva e le stesse norme statali hanno lo scopo di ridurre la spesa pubblica necessaria per il funzionamento degli enti locali, essendo peraltro notorio che il nostro paese è caratterizzato dall’esistenza di moltissimi comuni sotto i 10.000 abitanti non in grado di assolvere con le proprie risorse tutte le funzioni che la legge assegna loro in via principale o delegata.
Pertanto anche se la Regione ha ritenuto di considerare le istanze degli enti che si sono opposti ad una riorganizzazione degli ambiti territoriali come quella prevista dalla L.R. 21/2012, ciò non significa che debba disporre delle risorse iscritte a bilancio per realizzare il nuovo modello organizzativo in modo paritario. E’ logico che privilegi coloro che hanno acconsentito a realizzare un modello più razionale che meglio si avvicina alle finalità che lo stesso legislatore nazionale aveva indicato come principi generali.
Infatti ciò è confermato dall’art. 14, comma 31 bis, D.L. 78/2010 che fissa un termine per le convenzioni tra comuni, metodo considerato in ricorso come equipollente all’Unione di Comuni.
La norma in questione prevede: “ Le convenzioni di cui al comma 28 hanno durata almeno triennale e alle medesime si applica, in quanto compatibile, l'articolo 30 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Ove alla scadenza del predetto periodo, non sia comprovato, da parte dei comuni aderenti, il conseguimento di significativi livelli di efficacia ed efficienza nella gestione, secondo modalità stabilite con decreto del Ministro dell'interno, da adottare entro sei mesi, sentita la Conferenza Stato-Città e autonomie locali, i comuni interessati sono obbligati ad esercitare le funzioni fondamentali esclusivamente mediante unione di comuni .”.
Il comma, inserito nel 2012, dimostra che per il legislatore statale non era indifferente il modello organizzativo da adottare, essendo preferito il metodo più organico e cioè quello dell’Unione di Comuni;all’inizio, probabilmente per suscitare meno resistenze in enti gelosi della propria autonomia e poco abituati alle sinergie, ha reso possibile anche l’esercizio comune di funzioni mediante convenzione. Ma nel momento che i vincoli di bilancio si sono fatti più rigidi ha previsto una forma di verifica dell’efficacia dell’utilizzo della forma convenzionale ed a tal fine ha emanato il D. M. 11 settembre 2013 per stabilire i criteri di verifica dell’efficacia delle convenzioni.
Il terzo motivo lamenta l'illegittimità derivata dell'art. 2 del