TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2010-11-17, n. 201025190

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2010-11-17, n. 201025190
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201025190
Data del deposito : 17 novembre 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06807/2008 REG.RIC.

N. 25190/2010 REG.SEN.

N. 06807/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6807 del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
L F, rappresentato e difeso dagli avv. A V, M R V, con domicilio eletto presso A V in Napoli, via Castellina Alla Stella,3;

contro

Comune di Napoli, rappresentato e difeso dall'avv. G T, con domicilio eletto presso G T in Napoli, Avv. Municipale - p.zza S. Giacomo;

per l'annullamento, previa sospensione dell’efficacia:

Quanto al ricorso principale

A) della disposizione dirigenziale n. 620 del 7.08.2008 di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi;

B) della disposizione dirigenziale n. 579 del 6.11.2008 di diniego istanza di sanatoria, contenente contestuale ordine di demolizione ex art. 27 D.P.R. 380/01

Quanto al ricorso per motivi aggiunti:

C) della disposizione prot. 510 del 16/02/2009 di declaratoria d’improcedibilità della nuova istanza di accertamento in conformità.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2010 il dott. D C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso notificato in data 24 novembre 2008 e depositato il successivo 15 dicembre Fioretti Luigi, premesso di essere proprietario in Napoli, via Vicinale Tavernola 15, di un’area di 425 mq. con annesso capannone – già comodo rurale – riportato al catasto al foglio 2, p.lla 742, oggetto da parte sua di opere di manutenzione straordinaria e di ristrutturazione, ha impugnato la disposizione dirigenziale n. 620 del 7.08.2008 di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi, notificatagli in data 16 ottobre 2008, con la quale gli si ingiungeva la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, ex art. 31 D.P.R. 380/01, in riferimento ad opere eseguite sulla predetta area, senza il necessario permesso di costruire (platea in calcestruzzo di circa mq. 200,00 X HM 0,30 con sovrastante tettoia in lamiere coibentate a falde ad HM 4,00 al colmo e m. 3,00 alle gronde, sorretta da pilastri di legno bullonati al calpestio a mezzo piastre in ferro), nonché la disposizione dirigenziale n. 579 del 6.11.2008, notificatagli in data 14 novembre 2008, con cui si denegava l’istanza di accertamento in conformità, ex art. 36 D.P.R. 380/01, da lui presentata in data 8 luglio 2008 – successivamente al sequestro effettuato dal Servizio di Polizia Municipale – in relazione alle medesime opere oggetto dell’ingiunzione di demolizione (realizzazione di un capannone).

A sostegno del ricorso ha articolato cinque motivi, affidati alle seguenti censure:

1) Eccesso di potere per irragionevolezza e manifesta ingiustizia, mancanza di presupposti, violazione dei principi generali del buon andamento dell’azione amministrativa. Sviamento, difetto di interesse pubblico, contraddittorietà, difetto di motivazione.

I gravati provvedimenti si fondano sull’assunto erroneo che le opere realizzate dal ricorrente necessitassero di concessione edilizia (rectius permesso di costruire), mentre in realtà si trattava di ristrutturazione di una preesistenza, ovvero di opere manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo, assentibili tramite D.I.A. ex art. 37 D.P.R:. 380/01 e pertanto non suscettibili di demolizione.

Ed invero la consistenza della preesistenza è rilevabile dalla stessa particella 742 del foglio 2 che evidenzia l’esistenza del comodo rurale, che all’epoca non necessitava di separato accatastamento, oltreché dai rilievi aereofotogrammatici fatti eseguire dal Comune di Napoli.

Nel provvedimento impugnato non vi è inoltre menzione della D.I.A. presentata dal ricorrente per la realizzazione-modifica del muro di cinta del fondo agricolo già presente lungo il confine di proprietà.

I gravati provvedimenti sono pertanto illegittimi per carenza di istruttoria e difetto e contraddittorietà di motivazione.

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 31 lett. A e B legge n. 457/78. Violazione e falsa applicazione art. 26 legge n. 47/85. Difetto di istruttoria. Contraddittorietà. Falso presupposto. Violazione e falsa applicazione dell’art. 36 D.P.R. 380/01.

Le opere eseguite dal ricorrente ed oggetto di istanza di accertamento in conformità, in quanto opere di manutenzione straordinaria di un preesistente capannone, assentibili a mezzo D.I.A., non sono in contrasto con gli strumenti urbanistici, laddove il gravato provvedimento di diniego di sanatoria ipotizza erroneamente trattarsi di nuova realizzazione, in contrasto pertanto con l’art. 33 della variante generale al P.R.G,. che consente interventi fino alla ristrutturazione a parità di volume per immobili preesistenti.

3) Violazione di legge art. 7 e 10 bis legge 7 agosto 1990 n. 241. Eccesso di potere per omessa istruttoria.

Con la legge n. 241 è entrato in vigore il sistema della democraticità delle decisioni amministrative, evidenziato dall’art. 7, sull’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento e dall’art. 10 bis, relativo alla previa comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento delle istanze presentate dai privati.

I gravati provvedimenti, in spregio alla citata normativa, non hanno invece esaminato “le osservazioni documentate” prodotte dal ricorrente ai sensi dell’art. 10 bis legge n. 241/90, laddove agli organi tecnici del Comune sarebbe bastata la visura della mappa catastale per avere la contezza della circostanza che l’immobile oggetto di manutenzione da parte del ricorrente era preesistente.

Da qui l’illeggittmità dell’atto di diniego per difetto di istruttoria.

4) Eccesso di potere per difetto di motivazione e dell’interesse pubblico alla rimessione in pristino.

Il gravato provvedimento è illegittimo in quanto, nel disporre la demolizione e la rimessione in pristino di quanto è stato oggetto di manutenzione straordinaria, non compara minimamente l’interesse pubblico con il sacrificio imposto al privato.

5) Violazione e falsa applicazione art. 36 D.P.R: 380/01. Art. 13 l. 47/85. Difetto di istruttoria. Difetto di motivazione.

Nel provvedimento di diniego di sanatoria non si è tenuto conto della circostanza che la preesistenza era rinvenibile nei fogli catastali da epoca remota, né detta circostanza è stata palesata alla Commissione edilizia, che pertanto ha reso parere contrario alla richiesta di sanatoria sulla base di un falso presupposto di fatto.

Si è costituito il Comune di Napoli con deposito di documenti, instando per il rigetto del ricorso.

Con ordinanza sospensiva n. 103 del 2009 questa Sezione ha rigettato l’istanza di sospensiva dei gravati provvedimenti, per difetto del necessario fumus boni iuris, ferma restando la facoltà del Comune di Napoli di esaminare la nuova istanza di sanatoria prodotta da parte ricorrente.

Con atto notificato in data 7 aprile 2009 e depositato il successivo 5 maggio, parte ricorrente ha impugnato, a mezzo motivi aggiunti, la disposizione prot. 510 del 16 febbrario 2009, comunicatagli in data 20/02/2009, di declaratoria d’improcedibilità della nuova istanza di accertamento in conformità, da lei successivamente presentata in relazione alle medesime opere già oggetto del diniego di istanza di accertamento in conformità gravato con il ricorso principale.

Avverso il suddetto provvedimento ha articolato due motivi di ricorso, deducendo:

A)Violazione e falsa applicazione degli art. 36 e 37 D.P.R. 380/01;
falsa applicazione degli artt. 33 punto 3 della variante al P.R.G. di Napoli.Eccesso di potere per omissione della pratica sulla base della nuova documentazione esibita. Eccesso di potere per omessa considerazione di elementi probatori catastali a conoscenza del Comune. Mancanza di presupposti. Omessa istruttoria. Difetto di motivazione. Perplessità. Contraddittorietà.

A seguito della illegittima reiterazione del provvedimento di diniego dell’accertamento in conformità urbanistica della ristrutturazione realizzata il ricorrente ha affidato l’incarico di redazione di una perizia giurata all’ing. Aniello Vosa, al fine di accertare le caratteristiche dell’area di proprietà del ricorrente.

Da tale perizia si desume che nell’ipotesi di specie si è trattato di ristrutturazione, a parità di volume, di preesistenze, non in contrasto con l’art. 33 della variante generale al piano regolatore.

La liceità della preesistenza peraltro oltreché dalla perizia si evince dalla documentazione catastale.

Le risultanze della perizia giurata evidenziano la fondatezza dei motivi di ricorso e la illegittimità delle determinazioni del Comune di Napoli.

B) Violazione della legge n. 241/1990 e in particolare delle norme di cui al capo I°,II°,III°.

Ulteriori profili di illegittimità dell’operato amministrativo si evincono dalla violazione delle garanzie procedimentali di cui alla legge n. 241/1990, quali ad esempio la comunicazione dell’unità organizzativa affidataria dell’istruttoria e del responsabile del procedimento, la comunicazione di avvio del procedimento stesso, l’Ufficio in cui l’interessato può prendere visione degli atti, nonché la possibilità per il privato di intervenire nel procedimento medesimo.

Inoltre il provvedimento è stato adottato senza alcun accesso ai luoghi.

Nelle more della discussione del ricorso sia il Comune di Napoli che il ricorrente hanno prodotto memoria difensiva, illustrando le rispettive posizioni.

In particolare il Comune ha insistito per il rigetto del ricorso principale e per la declaratoria d’inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti, in quanto diretto avverso un atto meramente confermativo dell’atto di diniego di sanatoria già gravato con il ricorso principale.

Parte ricorrente, oltre a illustrare ulteriormente le censure dedotte con i motivi di ricorso, ha dedotto, per la prima volta, di non avere affatto utilizzato cemento armato nella ristrutturazione effettuata.

Il ricorso è stato quindi trattenuto in decisione all’udienza pubblica del 13 ottobre 2010.

DIRITTO

In via assolutamente preliminare va rilevata l’inammissibilità delle deduzioni per la prima volta formulate da parte ricorrente con la memoria difensiva depositata in data 6 settembre 2010, non potendosi con memoria non notificata alla controparte allargare il thema decidendum.

Ed invero per costante giurisprudenza le memorie che non sono state notificate non valgono come ricorso per motivi aggiunti, ma come mera memoria difensiva che, nel processo amministrativo, non può allargare il thema decidendum. ( T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 09 ottobre 2009 , n. 9857;
in termini analoghi T.A.R. Basilicata Potenza, sez. I, 16 settembre 2009 , n. 520 secondo cui “una mera memoria difensiva , non notificata alla controparte e depositata nella imminenza dell'udienza di discussione, non costituisce strumento idoneo per ampliare la materia del contendere, poiché altrimenti verrebbe leso il diritto di difesa delle parti resistenti. Nel processo amministrativo, l'oggetto della lite è determinato sulla base delle deduzioni contenute nell'atto introduttivo del giudizio e, se del caso, negli altri atti ( motivi aggiunti , ricorso incidentale) con i quali le parti interessate sottopongono al giudice ulteriori questioni, ma sempre con l'osservanza delle formalità previste per la instaurazione del contraddittorio processuale;
fra le altre T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 20 maggio 2003 , n. 5878;
Consiglio Stato , sez. IV, 20 maggio 1996 , n. 667;
Consiglio Stato , sez. IV, 05 luglio 1994 , n. 537).

Sempre in via preliminare va rilevata l’inammissibilità per difetto di interesse a ricorrere del ricorso principale, nella parte volta contro della disposizione dirigenziale n. 620 del 7.08.2008 di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi, avendo parte ricorrente, prima della proposizione del ricorso, prodotto istanza di accertamento in conformità ex art. 36 D.P.R. 380/01, peraltro denegata, prima della proposizione del ricorso medesimo, con atto del pari impugnato con il ricorso principale.

A tal riguardo deve infatti farsi applicazione dell’orientamento giurisprudenziale, seguito pure da questa Sezione, secondo cui la presentazione dell’istanza di accertamento in conformità determina l’inammissibilità o l’improcedibilità del ricorso avverso l’ingiunzione di demolizione (rispettivamente laddove la stessa sia stata presentata prima o dopo la notifica del ricorso medesimo) in quanto il riesame dell'abusività dell'opera provocato dall'istanza di sanatoria, sia pure effettuato al fine di verificarne la eventuale sanabilità, comporta la necessaria formazione di un nuovo provvedimento, esplicito od implicito (di accoglimento o di rigetto), che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell'impugnativa (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 dicembre 1997, n. 1377;
T.A.R. Sicilia, sez. II, 5 ottobre 2001, n. 1392;
T.A.R. Toscana, sez. II, 25 ottobre 1994, n. 350;
T.A.R. Campania, Sez. IV, 25 maggio 2001, n. 2340, 11 dicembre 2002, n. 7994, 30 giugno 2003, n. 7902, Tar Campania, Sez. IV, 1 luglio 2009, n. 3621).

Peraltro non può trascurarsi di considerare che nell’ipotesi di specie non solamente è stata presentata da parte del ricorrente istanza di accertamento in conformità, ma la stessa è stata, in data antecedente alla notifica del ricorso, rigettata dall’amministrazione comunale, con provvedimento espresso con il quale, a seguito di nuovo iter procedimentale e di una nuova istruttoria, si è rinnovato l’ordine di demolizione.

Pertanto nell’ipotesi di specie l’inammissibilità del ricorso avverso l’originario ordine demolitorio deriva dalla circostanza che l’amministrazione comunale resistente ha rinnovato con un nuovo atto, non meramente confermativo del precedente, l’ordine demolitorio.

La lesione alla sfera giuridica del ricorrente deriva pertanto unicamente da tale nuovo provvedimento (cfr. Tar Campania - Napoli, sez. III, sent. n. 2579/04), del pari oggetto di impugnativa con il ricorso principale.

Per contro non si può ritenere che il ricorso principale avverso la disposizione dirigenziale n. 579 del 6 novembre 2008 di diniego istanza di sanatoria, contenente contestuale ordine di demolizione ex art. 27 D.P.R. 380/01, sia da considerarsi improcedibile, per sopravvenuto difetto di interesse a ricorrere, a seguito dell’adozione da parte del Comune di Napoli della disposizione dirigenziale prot. 510 del 16 febbrario 2009 di declaratoria d’improcedibilità della nuova istanza di accertamento in conformità, oggetto di impugnativa con il ricorso per motivi aggiunti, venendo nella specie in rilievo un atto meramente confermativo del provvedimento di diniego di sanatoria, come evincibile dalla circostanza che con tale ultimo atto il Comune ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riesame dell’istanza di accertamento in conformità e per la riapertura dell’istruttoria.

Il collegio procederà alla disamina dei motivi del ricorso principale avverso la disposizione dirigenziale n. 579 del 6.11.2008 di diniego istanza di sanatoria, contenente contestuale ordine di demolizione ex art. 27 D.P.R. 380/01, esaminando i motivi secondo un ordine logico e procedendo ad una trattazione unitaria dei motivi che presentano connessione e complementarità da un punto di vista logico.

A tale stregua vanno esaminati congiuntamente il primo, il secondo e il quinto motivo di ricorso, in quanto basati sul medesimo assunto della non necessità per le opere de quibus del permesso di costruire e della loro conformità con l’art. 33 della variante generale al piano regolatore per essere le stesse relative ad un manufatto preesistente e quindi configurabili quali opere di restauro e risanamento conservativo e di manutenzione straordinaria o al più, secondo quanto evincibile dalla perizie giurate prodotte in atti, come opere di ristrutturazione, sub specie di demolizione e ricostruzione, con la stessa volumetria, della preesistenza, come evincibile dalla circostanza che il manufatto oggetto di ristrutturazione era da tempo presente nelle mappe catastali, circostanza questa del tutto disattesa dal Comune, con conseguente illegittimità dell’atto gravato per difetto di istruttoria e di motivazione.

Tali motivi, sebbene formulati anche sotto il profilo dell’eccesso di potere, risultano ammissibili in quanto evidenziano corrispondenti violazioni di legge, sotto il profilo del difetto di istruttoria e di motivazione.

Infatti non può disconoscersi che l’attività della P.A. in materia edilizia sia attività vincolata e che in rifermento all’attività vincolata non è configurabile il vizio di eccesso di potere, per essere detta attività condizionata alla verifica dell'esistenza di ben definiti e circoscritti presupposti fissati da norme di legge o regolamentari (cfr. Consiglio di Stato sez. V, 7 ottobre 2008 n.. 4884) e dovendo ogni interesse diverso da quello pubblico, insito nella norma attributiva del potere, considerarsi recessivo (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez, VIII, 3 settembre 2008 n. 10035).

Fatte queste necessarie premesse, le censure si palesano infondate e vanno pertanto disattese, in quanto parte ricorrente non ha offerto, né in sede di procedimento amministrativo, nel quale gli era stata comunicato il preavviso di diniego ex art. 10 bis l. 241/90, come si vedrà nell’esaminare il terzo motivo di ricorso, né in questa sede, neanche con il deposito delle perizie giurate, alcun principio di prova né in ordine alla legittimità della preesistenza, non avendo prodotto alcun titolo abilitante, né in ordine alla conformità di volume fra le opere di cui è causa e la paventata preesistenza, né infine in ordine alla contestualità, smentita peraltro dagli atti, fra la demolizione della preesistenza e la successiva ricostruzione.

Ed invero la ristrutturazione a parità di volume di cui all’art. 33 della variante di P.R.G. va configurata in conformità al disposto dell’art. 3 del D.P.R. 380/01.

Premesso che nell’ipotesi di specie, secondo quanto dedotto dallo stesso tecnico della parte ricorrente, può venire al più venire in rilievo una demolizione e ricostruzione di manufatto preesistente e non opere di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo, che non possono afferire ad un manufatto andato perento negli anni, affinchè possa discorrersi di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione di un precedente manufatto edilizio, lo stesso oltre ad essere preesistente deve essere legittimamente realizzato, secondo la disciplina vigente al tempo della costruzione (cfr Tar Molise, sez. I, 20 novembre 2008, n. 959, Tar Campania Napoli , sez. II, 7 novembre 2008, n. 19372).

Del pari spettava al ricorrente, in caso di demolizione e ricostruzione, l'onere di documentare l'esatta corrispondenza tra la volumetria realizzata e quella preesistente( T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 15 giugno 2010 , n. 14364).

Parte ricorrente al riguardo si è limitata ad evidenziare che il manufatto era materialmente preesistente da tempo, come evincibile dalle mappi catastali, senza neanche dedurre che lo stesso era stato legittimamente realizzato sulla base di un titolo edilizio o che era stato realizzato in epoca in cui non era necessario alcun titolo edilizio.

Ed invero, secondo l’orientamento costantemente seguito dalla Sezione e condiviso dal Consiglio di Stato, nel territorio del Comune di Napoli, qualsiasi intervento edificatorio era soggetto al previo rilascio di licenza edilizia già in data antecedente al 1967 - ed anche al 1942 -- in forza della previsione speciale di cui all’art. 1 del regolamento edilizio comunale del 1935 (cfr. TAR Campania, Sez. IV, 18 marzo 2005, n. 1841;
. C.d.S., Sez. IV, 21 ottobre 2008, n. 5141;
T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 13 maggio 2008 , n. 4255;
T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 17 febbraio 2009 , n. 847;
T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 04 novembre 2009 , n. 6884), sicché non è sufficiente affermare che il manufatto preesistente fosse risalente ma il ricorrente avrebbe dovuto dedurre ed offrire almeno un principio di prova in ordina alla circostanza che il manufatto in questione fosse stato realizzato in epoca antecedente al 1935.

L'art. 1 del regolamento edilizio del 1935 stabiliva infatti, al comma 2, che nel territorio del Comune di Napoli, non era permesso eseguire, senza licenza del Sindaco, e con modalità diverse da quelle stabilite: a) costruzione di nuovi edifici, sopralzi od ampliamenti di quelli esistenti;
b) demolizione, ricostruzione parziale o totale, modifica, trasformazione o restauro di edifici esistenti;
c) spostamento o rimozione di elementi di fabbricato di altre cose e materie che abbiano comunque carattere storico, archeologico, artistico od anche semplicemente panoramico, e che siano esposti alla vista del pubblico;
d) restauro, decorazione o attintatura delle facciate dei fabbricati rivolte alla strada pubblica o comunque visibili da strade giardini, o spazi pubblici;
e) apposizione sulle facciate esterne dei fabbricati, o impianto, comunque in vista del pubblico, di fanali insegne ecc....f) esecuzione di scavi od opere sotterranee in genere;
g) qualunque altra opera che possa interessare lo sviluppo, l'igiene e l'estetica della Città in relazione al contenuto del regolamento.

Alcun rilievo assume invero la circostanza, riportata solamente nella perizia giurata depositata in allegato al ricorso per motivi aggiunti, circa la risalenza agli anni trenta della fondazione tufacea costituente la base di appoggio di un comodo rurale, in quanto alcuna certezza vi è in ordine alla prova della identità di volume fra il manufatto preesistente - che peraltro ove esistente è andato distrutto da anni, come palesato dai rilievi areofotogrammetrici prodotti dal Comune di Napoli relativi agli anni 2001-2004 a dallo stralcio del foglio di mappa della STR 5 dell’anno 1987 - e quello di cui è causa.

Da ciò la legittimità dell’atto gravato, in quanto l’art. 33 della variante generale al Prg, richiamato nella motivazione del medesimo, che consente nella sottozona Bb interventi sino alla ristrutturazione edilizia a parità di volume, va letto in conformità al disposto dell’art. 3 del D.P.R. 380/01.

A tale stregua, affinchè possa discorrersi di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione, ex art- 3 D.P.R. 380/01, è necessaria la dimostrazione, oltreché della liceità della preesistenza (del pari richiamata nella motivazione dell’atto gravato, che risulta pertanto del tutto congrua), della pressoché contestuale demolizione e ricostruzione e dell’identità di volume e di sagoma fra il manufatto preesistente e quello risultante dalla ristrutturazione.

Ed invero già l'art. 31, comma 1, lett. d), della legge 5 agosto 1978, n. 457, definiva lavori di ristrutturazione edilizia "quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, la eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi impianti".

La giurisprudenza del Consiglio di Stato aveva ripetutamente chiarito che, ai sensi della norma avanti citata, il concetto di ristrutturazione edilizia comprendeva anche la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, purché tale ricostruzione assicurasse la piena conformità di sagoma, di volume e di superficie tra il vecchio ed il nuovo manufatto e venisse, comunque, effettuata in un tempo ragionevolmente prossimo a quello della demolizione ( si veda, fra le tante, C. Stato, sez. V, 3 aprile 2000, n. 1906 ).

È poi intervenuto, a definire siffatto intervento edilizio, l'art. 3 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, che, nel testo originario, menzionava il criterio della "fedele ricostruzione" come indice tipico della tipologia di ristrutturazione edilizia consistente nella demolizione e ricostruzione.

Per effetto, poi, della normativa introdotta dall'art. 1 del d. lgs. 27 dicembre 2002, n. 301, il vincolo della fedele ricostruzione è venuto meno, così estendendosi ulteriormente il concetto della ristrutturazione edilizia, che, per quanto riguarda gli interventi di ricostruzione e demolizione ad essa riconducibili, resta distinta dall'intervento di nuova costruzione per la necessità che la ricostruzione corrisponda, quanto meno nel volume e nella sagoma, al fabbricato demolito (Cons. St., Sez. IV, 28 luglio 2005, n. 4011;
Cons. St., V, 30 agosto 2006, n. 5061), identità di cui nella specie non è stato offerto alcun principio di prova, neanche a mezzo delle perizie giurate presenti in atti.

Inoltre non può dirsi venuto meno il vincolo della necessaria prossimità fra la demolizione e la ricostruzione.

La "ratio" della ragionevole prossimità del tempo della ricostruzione a quello della demolizione , criterio privo di riscontro positivo ma costantemente presente nella giurisprudenza, va infatti individuata nell'esigenza di assicurare un rapporto di necessaria strumentalità dell'abbattimento alla successiva ricostruzione (Consiglio Stato , sez. IV, 07 settembre 2004 , n. 5791).

Alla luce di tali considerazioni, del tutto irrilevante è la circostanza, dedotta nel quinto motivo di ricorso, che della preesistenza non fosse stata resa edotta la Commissione Edilizia, assunto questo peraltro erroneo in quanto nel parere reso dalla Commissione e prodotto agli atti si evidenzia “che l’intervento non è sanabile poiché in contrasto con l’art. 33 della variante al P.R.G. che consente la ristrutturazione edilizia esclusivamente su immobili legittimamente realizzati”, con ciò evidenziando la necessità della dimostrazione non solo della preesistenza materiale del manufatto ma delle sua legittima edificazione.

Del pari infondato è il primo motivo di ricorso nella parte in cui si deduce che nel gravato provvedimento non vi è menzione della D.I.A. presentata dal ricorrente per la realizzazione-modifica del muro di cinta del fondo agricolo già presente lungo il confine di proprietà, atteso che il diniego di sanatoria e il contestuale ordine di demolizione attengono alle distinte opere oggetto dell’istanza di accertamento in conformità ex art. 36 D.P.R. 380/01.

Del tutto destituita di fondamento è poi la censura contenuta nel terzo motivo di ricorso basata sull’asserita violazione degli artt. 7 e 10 bis della legge n. 241/90.

In relazione alla violazione dell’art. 7 legge n. 241/’90 è sufficiente osservare che la comunicazione di avvio del procedimento non è necessaria ove il procedimento, come nella specie sia iniziato ad istanza di parte (cfr ex multis T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 30 aprile 2009 , n. 2224;
T.A.R. Toscana Firenze, sez. I, 20 gennaio 2009 , n. 60) giacché in tali ipotesi i soggetti interessati sono già edotti circa la pendenza del procedimento, che hanno essi stessi provocata, e sono quindi in grado di prendere parte allo stesso partecipando alla fase istruttoria del procedimento medesimo.

Del tutto inveritiera è poi l’asserita violazione dell’art. 10 bis legge n. 241/’90, posto che il Comune ha prodotto la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza con la relativa notifica al ricorrente e che le osservazioni presentate da parte ricorrente relative alla circostanza che il capannone oggetto dell’intervento era stato realizzato in sostituzione di altro pregresso sono state esaminate dal responsabile del procedimento ma considerate, secondo quanto evincibile dalla stessa motivazione del provvedimento gravato, inidonee al superamento dei motivi di diniego, non avendo il ricorrente dimostrato la liceità (ovvero la realizzazione sulla base di un titolo edilizio) della preesistenza.

Del pari infondata è la censura dedotta nel quarto motivo di ricorso relativamente al difetto di motivazione del gravato provvedimento, nella parte in cui ordina la demolizione del manufatto oggetto di diniego di accertamento in conformità per la mancata ponderazione fra l’interesse pubblico ed il sacrificio imposto al privato, venendo nella specie in rilievo un’attività vincola della P.A.

Infatti il provvedimento di demolizione di manufatti abusivi ovvero contrastanti con la normativa urbanistica e/o edlizia, e ancor prima quello di accertamento della non sanabilità dell’opera, sono entrambi atti dovuti (fra le tante, C.d.S., Sez. VI, 28 giugno 2004, n. 4743) e, come tali, non necessitano di motivazione in ordine all'attualità dell'interesse pubblico alla rimozione dell’abuso. Detto interesse è da ritenersi infatti in re ipsa, nella stessa rimozione, rispondendo questa alla esigenza di ripristino dell’assetto urbanistico violato.

In considerazione della infondatezza di tutti i motivi, il ricorso principale avverso la disposizione dirigenziale n. 620 del 7.08.2008 di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi va rigettato.

Inammissibile per difetto di interesse a ricorrere, secondo quanto eccepito dal Comune resistente, è invece il ricorso per motivi aggiunti, in quanto la disposizione oggetto di gravame non è entrata nel merito dell’esame della nuova istanza di accertamento in conformità presentata da parte ricorrente, ma si è limitata a dichiararne l’improcedibilità - e non si presenta pertanto, al contrario di quanto dedotto da parte ricorrente come nuovo atto di diniego - non avendo parte ricorrente con tale istanza allegato nuovi elementi di fatto o normativi, idonei a comportare una nuova istruttoria, ai sensi della delibera di G.C. n. 2987 del 4 agosto 2003.

Il gravato provvedimento pertanto, in quanto non fondato su una nuova istruttoria, si presenta quale atto meramente confermativo del precedente atto di diniego, con quello che ne consegue sul piano dell’ammissibilità del gravame avverso il medesimo.

Ed invero per costante giurisprudenza “mentre l'atto di conferma è autonomamente impugnabile, in quanto da un lato presuppone un completo riesame della fattispecie e dall'altro si sostituisce, pur avendo identico dispositivo, all'atto confermato, l'atto meramente confermativo si limita a richiamare il precedente provvedimento e non ha perciò alcuna valenza costitutiva, con conseguente inammissibilità per difetto di interesse del ricorso proposto avverso di esso e non avverso il provvedimento originario” (ex multis Consiglio Stato , sez. IV, 10 dicembre 2009 , n. 7732).

Peraltro, a prescindere da tale assorbente rilievo, inammissibili sono i motivi di ricorso, essendo gli stessi calibrati sulla considerazione dell’atto gravato come atto a contenuto provvedimentale, laddove lo stesso, in quanto relativo ad una declaratoria di improcedibilità della nuova istanza di accertamento in conformità e non emesso a seguito di autonoma istruttoria, non assume contenuto provvedimentale.

Ed invero essendo detto atto basato sull’unico assunto della non suscettibilità di riesame della nuova istanza di accertamento in conformità, in quanto non basata su nuovi elementi di fatto o normativi, l’unico profilo di cui il ricorrente avrebbe potuto dolersi, non avendo tra l’altro impugnato la richiamata delibera della G.C. n. 2897 del 4 agosto del 2003, era la circostanza che il Comune non avesse provveduto all’esame dell’istanza di sanatoria reiterata nonostante l’allegazione da parte sua di nuovi elementi di fatto o normativi.

Tale assunto, sebbene genericamente dedotto in rubrica , non è stato formulato nei motivi di ricorso e risulta inoltre smentito dagli atti, atteso che la perizia asseverata, allegata alla nuova istanza di accertamento in conformità, non contiene alcun elemento di novità in grado di portare al superamento del precedente diniego, in quanto nella stessa si evidenzia solamente quanto già dedotto in sede di osservazioni ex art. 10 bis legge n. 241/90, ovvero che oggetto dell’istanza è la rifazione di un comodo agricolo (capanno) già presente all’interno della summenzionata proprietà, mentre le perizie giurate prodotte in allegato al ricorso per motivi aggiunti e alla memoria difensiva depositata in data 6 settembre 2010 - e peraltro non ritenute sufficienti in questa sede a dimostrare la legittimità della preesistenza e la conformità, quanto a volume e sagoma, delle nuove opere con la preesistenza - non sono state prodotte in allegato alla nuova istanza di accertamento in conformità ma redatte successivamente, secondo quanto dedotto dallo stesso ricorrente.

Alla stregua di tali rilievi, il ricorso per motivi aggiunti avverso la disposizione prot. 510 del 16 febbrario 2009, di declaratoria d’improcedibilità della nuova istanza di accertamento in conformità, va dichiarato inammissibile.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

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