TAR Palermo, sez. III, sentenza 2015-03-24, n. 201500703

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Palermo, sez. III, sentenza 2015-03-24, n. 201500703
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Palermo
Numero : 201500703
Data del deposito : 24 marzo 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01052/2014 REG.RIC.

N. 00703/2015 REG.PROV.COLL.

N. 01052/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1052 del 2014, proposto da:
Sc s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. G M e A M, con domicilio eletto presso lo studio del primo sito in Palermo, Via Caltanissetta 1;

contro

Assessorato delle Attività Produttive della Regione Siciliana, in persona dell’Assessore pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo presso i cui uffici di via A. De Gasperi 81 è domiciliato;
Giunta della Regione Siciliana;

per l'annullamento

- del decreto del Dirigente generale n. 2261/7 del 23.10.2013, comunicato con nota prot. n. 10015 del 20.2.2014, unitamente a tutti gli atti prodromici, annessi e conseguenziali;

- della deliberazione della Giunta Regionale n. 5 dell'8.1.2013.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Assessorato delle Attività Produttive della Regione Siciliana;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 marzo 2015 il cons. N M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso notificato in data 26 marzo 2014, e depositato il successivo 4 aprile, la società ricorrente ha impugnato i provvedimenti indicati in epigrafe, articolando le censure di: 1) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 comma 3° della Legge Regionale n. 10/1991;
2) Eccesso di potere per irragionevolezza, contraddittorietà e perplessità – Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 comma 1° della legge regionale n. 10/1991 – Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 quinques della legge n. 241/1990 come applicabile in Sicilia in virtù del richiamo di cui all’art. 37 della L.R. n. 10/1991;
3) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 120, comma 2°, del D.Lgs. n. 159/2011, come modificato dall’art. 9, comma 1°, del D.Lgs. n. 218/2012 – Violazione dell’art. 117 della Costituzione, degli artt. 14 e 17 dello Statuto della Regione Siciliana – eccesso di potere per incompetenza;
4) Eccesso di potere per perplessità e sviamento dalla causa – Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 della L.R. n. 10/1991 sotto altro profilo;
5) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 86 del D.Lgs. n. 159/2011;
6) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 445, comma 2°, del codice di procedura penale;
7) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006;
8) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 120 della legge n. 689/1981.

Sostiene parte ricorrente che il provvedimento impugnato sarebbe privo di adeguata motivazione, che sarebbe stato violato il principio del legittimo affidamento, che il provvedimento impugnato sarebbe fondato sulla delibera della Giunta Regionale n. 5 dell’8 gennaio 2013 che riguarda le informative prefettizie atipiche e che sarebbe illegittima, per violazione di legge ed incompetenza, che l’Amministrazione non ha fornito alcuna motivazione circa le ragioni per le quali ha ritenuto di riaprire il procedimento per cui è causa sulla base di atti di diversi anni precedenti, che l’informativa in ragione della quale è stato adottato il provvedimento impugnato ha da tempo perduto efficacia, che comunque il reato ivi indicato è estinto, che erroneamente l’Amministrazione ha ritenuto falsa la dichiarazione resa nella fase amministrativa da parte ricorrente, che il provvedimento impugnato si porrebbe in contrasto con il disposto dell’art. 120 della legge n. 681/1981.

Si è costituita l’Amministrazione regionale intimata che ha replicato alle argomentazioni articolate in ricorso e chiesto il suo rigetto.

Alla pubblica udienza di discussione il ricorso è stato posto in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è fondato alla stregua di quanto verrà precisato.

In primo luogo appare opportuno chiarire che, benché il provvedimento impugnato si esprima in termini di “revoca”, si deve intendere che, con tale atto, l’Amministrazione abbia inteso annullare in autotutela il precedente decreto di finanziamento disposto in favore della società ricorrente, per l’originaria mancanza di una condizione necessaria per la sua concessione.

Tale circostanza, per un verso, radica la giurisdizione della controversia dinanzi a questo tribunale amministrativo, ma al tempo stesso impone che la determinazione impugnata venga dotata di una specifica motivazione che concerna non soltanto le ragioni per le quali l’Amministrazione ha ritenuto illegittimo l’originario provvedimento da annullare, ma anche l’interesse pubblico specifico alla sua rimozione.

Operati questi preliminari chiarimenti, ritiene il Collegio che sia fondata la dedotta eccezione di carenza di motivazione del provvedimento impugnato.

Invero, il provvedimento impugnato, a supporto delle determinazioni assunte, contiene esclusivamente il riferimento a due comunicazioni di inizio procedimento precedentemente inoltrate ed a due note dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato, n. 74412 del 7 novembre 2012 e n. 33969 del 14 maggio 2013.

Da tali atti – alcuni dei quali non sono stati peraltro resi facilmente conoscibili dal ricorrente – emerge un quadro poco chiaro, nel quale si sovrappongono valutazione sugli effetti di una informativa prefettizia atipica con quelle della ipotizzata non veridicità delle dichiarazioni rese da parte del ricorrente in sede amministrativa;
nessuna considerazione si rinviene poi in ordine all’interesse pubblico sotteso alla determinazione di annullare in autotutela il beneficio precedentemente concesso.

In definitiva, non appare soddisfatto l’ineludibile requisito della esternazione di un’adeguata motivazione a supporto del provvedimento di annullamento in autotutela disposto.

Peraltro, qualora si pervenisse alla conclusione che l’originario finanziamento sia stato annullato in quanto l’Amministrazione ha ritenuto che sia stato ottenuto sulla base di una dichiarazione non veritiera del richiedente – così come appare plausibile pensare, anche sulla base della memoria dell’Avvocatura dello Stato – tale ragione sarebbe insussistente e conseguentemente, anche per tale profilo, il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo.

Sul punto il Collegio condivide, in linea di principio, la ricostruzione della Difesa erariale secondo la quale l’obbligo dichiarativo, previsto dal secondo comma dell’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006, dei reati per i quali sia intervenuto il patteggiamento viene meno solo a seguito della sua dichiarazione di estinzione resa dal giudice dell’esecuzione, in considerazione del tenore letterale della norma;
ma il punto è che il secondo comma del richiamato art. 38 non è applicabile, ratione materiae , alla vicenda per cui è causa, come peraltro chiarisce la stessa Avvocatura dello Stato nella sua nota del 7 novembre 2012 n. 74412;
né tale norma risulta richiamata dalle disposizioni che regolano la concessione dei finanziamenti per cui è causa.

Invero nel procedimento in questione la società ricorrente ha dichiarato di non trovarsi in alcuna delle condizioni di esclusione previste dalla normativa vigente per la contrattazione con la Pubblica Amministrazione, ma né il bando, né gli schemi ad esso allegati, precisano che la dichiarazione da rendere sarebbe dovuta essere conforme a quella indicata dal comma secondo dell’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006;
conseguentemente l’eventuale falsità della dichiarazione resa dalla ricorrente non deve essere rapportata al rispetto delle specifiche indicazioni contenute in tale secondo comma, ma semmai valutata con riferimento alle condizioni preclusive alla contrattazione, contenute al primo comma dell’art. 38, nella versione vigente al momento in cui la dichiarazione è stata resa.

Riportato nel suo giusto alveo la questione dell’eventuale falsità della dichiarazione resa, in sede di procedimento amministrativo, dalla società ricorrente, il Collegio rileva che il reato per il quale l’amministratore della società SORMEC è stato condannato con pena patteggiata - per quanto oggettivamente tale da incidere sulla moralità professionale - al momento in cui è stata resa la dichiarazione per il contributo per cui è causa, era già ope legis estinto, seppur non era stato dichiarato tale dal giudice dell’esecuzione.

Sul punto sembra quasi superfluo evidenziare che la pronunzia del Giudice dell’esecuzione ha evidentemente un mero carattere dichiarativo, ma non incide, su un piano sostanziale, sull’estinzione in del reato che consegue direttamente al verificarsi delle condizioni indicate nella legge.

In conseguenza della estinzione del reato che viene in rilievo, appare più che ragionevole la valutazione effettuata dal dichiarante, che ha ritenuto la commissione di tale reato priva degli effetti preclusivi alla possibilità di stipulare contratti con la P.A., ancor più se si considera il testo dell’art. 38 vigente in quel momento, e cioè prima delle modifiche intervenute con il D.L. 13 maggio 2011 n. 70.

In definitiva, indipendentemente dalla vaghezza ed insufficienza della motivazione del provvedimento impugnato, qualora la determinazione ivi contenuta fosse fondata sulla ipotizzata falsità della dichiarazione resa dall’amministratore della SORMEC, non potrebbe non pervenirsi alla conclusione della inconsistenza di tale motivo, ove posto a fondamento dell’annullamento del finanziamento precedentemente disposto.

In conclusione, dichiarate assorbite le ulteriori censure, il ricorso è fondato e deve essere accolto.

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la regola della soccombenza.

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