TAR Roma, sez. 1S, sentenza 2023-05-16, n. 202308327

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1S, sentenza 2023-05-16, n. 202308327
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202308327
Data del deposito : 16 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/05/2023

N. 08327/2023 REG.PROV.COLL.

N. 05580/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Stralcio)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5580 del 2017, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato S N, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Marco Marulo 87;

contro

Ministero dell'Interno - Dipartimento Pubblica Sicurezza, non costituito in giudizio;
Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

1. del decreto datato 28 febbraio 2017, notificato il 14 marzo 2017, e l'allegata deliberazione del Consiglio Provinciale di Disciplina di Roma della Polizia di Stato, n. 28/2016 C.P.D. del 19 gennaio 2017 (doc. 1), con il quale il Capo della Polizia - Direttore Generale della Pubblica Sicurezza:

- all'art. 1, irroga a -OMISSIS- la sanzione disciplinare della sospensione per mesi sei “per aver l'inquisito posto in essere un comportamento di particolare gravità, comunque non conforme al decoro delle funzioni di un appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della P.S., consistito nell'aver intrattenuto rapporti di assidua ed equivoca frequentazione con -OMISSIS- di nazionalità -OMISSIS-, al di fuori e all'interno di uffici di polizia, dediti a comportamenti equivoci in favore di altri cittadini extracomunitari richiedenti un permesso di soggiorno in sanatoria” 2^ punizione;

- all'art. 3, pur riammettendo in servizio il -OMISSIS-, già destituito con decreto del 10.07.2000, statuisce che il periodo compreso tra il 23 febbraio 2001 (giorno successivo allo scadere dei sei mesi previsti dalla sanzione disciplinare della sospensione) e il giorno antecedente la riammissione in servizio del -OMISSIS-, non è riconosciuto utile agli effetti giuridici, né a quelli economici e previdenziali,

2. nonché di tutti gli atti presupposti, connessi o consequenziali


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 17 febbraio 2023 la dott.ssa A V e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con il ricorso in epigrafe il ricorrente impugna il provvedimento del 28 febbraio 2017 con il quale, stante la deliberazione del Consiglio Provinciale di Disciplina di Roma della Polizia di Stato, gli è stata irrogata la sanzione disciplinare della sospensione per sei mesi e il non riconoscimento, ai fini giuridici, economici e previdenziali, del periodo compreso tra il 23 febbraio 2001 (giorno successivo allo scadere dei sei mesi previsti dalla sanzione disciplinare della sospensione) e il giorno antecedente la riammissione in servizio .

Espone in fatto di essere stato condannato dal Tribunale di Roma, con sentenza n. -OMISSIS-, per i reati di cui agli artt. -OMISSIS-, 81 cpv, -OMISSIS- c.p. e art. 12, co. 5, legge n. 401/90 e ss.mm.ii., alla pena di 2 anni di reclusine e dall’ interdizione dai pubblici uffici per il medesimo periodo. La Corte di Appello, in riforma della predetta sentenza, lo ha assolto solo per i reati di cui agli artt. -OMISSIS- e -OMISSIS- c.p.a, condannandolo, per il resto, alla pena di sei mesi di reclusione. La Corte di Cassazione, in data -OMISSIS-, ha annullato la citata pronuncia con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma, che, in data -OMISSIS-, ha assolto il ricorrente dal reato ascrittogli “perché il fatto non costituisce reato”, non ritenendo provata la volontà dell’imputato di voler trarre un ingiusto profitto dalla sua condotta agevolatrice. Medio tempore, il ricorrente era stato sottoposto a procedimento disciplinare, all’esito del quale gli era stata comminata la sanzione della destituzione dall’impiego.

Successivamente, a seguito del proscioglimento in sede penale da parte della Corte di Appello, il ricorrente ha chiesto la riapertura del procedimento disciplinare, ai sensi dell’art. 27 del D.P.R. n. 481/1987, che si è conclusa con l’adozione del provvedimento impugnato.

Avverso il suddetto provvedimento, articola i seguenti motivi di diritto:

I. Per quanto riguarda l’irrogazione della sanzione di sei mesi di sospensione:

a) Violazione e falsa applicazione del D.P.R. N. 737 del 1981 (in particolare art. 6 n. 1 e art. 4 n. 18). Eccesso di potere per insufficienza o comunque illogicità della motivazione del provvedimento;
eccesso di potere per errore sui presupposti di fatto e travisamento del fatto;
eccesso di potere per difetto/insufficienza di istruttoria e contraddittorietà tra gli atti dell'istruttoria e del procedimento;
eccesso di potere per ingiustizia manifesta e disparità di trattamento.

La deliberazione del Consiglio provinciale di disciplina, sulla base della quale sarebbe stata irrogata la sanzione disciplinare, avrebbe mancato di prendere in considerazione le difese del ricorrente, delle quali non vi sarebbe traccia nel provvedimento, con ciò incorrendo in un difetto di istruttoria e travisamento dei fatti. Inoltre, conterebbe delle formule generiche ed apodittiche, dalle quali non emergerebbe la motivazione della connotazione di negatività dei comportamenti contestati, che, tra l’altro, per la loro limitatezza temprale (3 giorni) si porrebbero in contrasto con la stessa contestazione di addebiti, avente ad oggetto l’assidua frequentazione con soggetti ritenuti equivoci. Inoltre, dall’analisi dei fatti contestati nei giorni -OMISSIS-, così come da documentazione in atti (trascrizioni delle testimonianze nel processo penale degli agenti incaricati delle captazioni) non sarebbe possibile trarre argomenti a fondamento della predetta ipotesi ma, anzi, gli stessi deporrebbero in senso del tutto contrario.

b) Violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del D.P.R. N. 737 del 1981 e D.P.R. 3/1957 per violazione dei termini del procedimento disciplinare.

Il provvedimento disciplinare sarebbe illegittimo in quanto non avrebbe rispettato il termine di 45 giorni dalla riapertura del procedimento disciplinare di cui al art. 19 del D.P.R. n. 737/1981. Detta riapertura dei termini, infatti, sarebbe stata decretata con provvedimento del 4.04.2016 mentre il deferimento del Questore di Roma sarebbe del 26.09.2016.

c) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 4, 6 e 13 del D.P.R. n. 737 del 1981. Violazione del principio di proporzionalità. Eccesso di potere per insufficiente motivazione ed errore sui presupposti di fatto.

La sanzione disciplinare sarebbe sproporzionata, sia per la tipologia sia per l’entità, rispetto alla condotta, ove ritenuta esistente, in quanto i fatti contestati avrebbero la durata di tre giorni, non vi sarebbe stata eco mediatica e i soggetti con i quali sarebbe stata intrattenuta la frequentazione contestata non sarebbero stati destinatari di alcuna condanna in sede penale.

II. Per quanto concerne il mancato riconoscimento, a fini giuridici, economici e previdenziali, del periodo intercorrente tra il 23.02.2001 (giorno successivo al completamento del periodo di sospensione di 6 mesi) e la riammissione in servizio:

a) Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 737 del 1981 (in particolare art. 26 e 27) -violazione e falsa applicazione dell'art. 3, co. 1, della l. n. 241 del 1990 per difetto di motivazione. eccesso di potere per insufficienza e/o contraddittorietà della motivazione del provvedimento;
eccesso di potere per errore sui presupposti di fatto;
eccesso di potere per ingiustizia manifesta.

Il provvedimento, nella parte in cui non riconosce l’utilità a fini giuridici economici e previdenziali del periodo intercorso tra il 23.02.2001 e la riammissione in servizio, sarebbe in contrasto con l'art. 27, co. 3, D.P.R. 737/1981, il quale prevede, nel caso di riapertura del procedimento disciplinare che si concluda con il proscioglimento o con l’irrogazione di una sanzione meno grave, che devono essere

corrisposti, in tutto o in parte, gli assegni non percepiti.

2. L’Amministrazione si costituisce con atto di stile.

3. Con decreto presidenziale n. -OMISSIS- è stato ordinato all’Amministrazione il deposito di una dettagliata relazione sulla vicenda dedotta in contenzioso nonché di ogni altro atto e/o documentato chiarimento ritenuto utile ai fini del presente giudizio. In adempimento di tale decreto, l’Amministrazione ha depositato, in data 2.08.2022, gli incombenti richiesti, chiedendo, nel merito, il rigetto del ricorso in quanto infondato.

4. All’udienza straordinaria per lo smaltimento dell’arretrato del 17 febbraio 2023, in vista della quale il ricorrente ha depositato documenti, la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso è in parte fondato.

1.1. Il primo e il terzo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, per evidenti ragioni di connessione.

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente censura l’asserito eccesso di potere in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione nella determinazione della sanzione di 6 mesi di sospensione, alla luce, sia del difetto di istruttoria (in quanto nel provvedimento non vi sarebbe evidenza che l’Amministrazione abbia preso in considerazione le sue memorie difensive) sia per carenza di motivazione, in quanto nel provvedimento non sarebbero state addotte spiegazioni a sostegno del perché la condotta del ricorrente sia stata ritenuta “ assidua, inopportuna e disdicevole”.

Le predette censure non possono trovare accoglimento. Dalla documentazione versata in atti emerge, invero, che la deliberazione del Consiglio provinciale di disciplina ha preso atto, nella discussione orale, delle richieste del difensore del ricorrente e ha affermato che il ricorrente medesimo, nella memoria difensiva prodotta al funzionario istruttore, non ha fornito elementi oggettivi giustificativi del rapporto di frequentazione ed amicizia avuto con i -OMISSIS- -OMISSIS- -OMISSIS-. Risulta in atti, dunque, diversamente da quanto affermato dal ricorrente, che le memorie difensive sono state prese in considerazione e che le stesse non sono state ritenute idonee ad elidere le circostanze per le quali è stata adottata la misura disciplinare.

La frequentazione assidua con i -OMISSIS- -OMISSIS-, inoltre, posta a fondamento della stessa, è un fatto accertato in sede penale, sia dal tribunale di Roma, sia dalla Corte di Cassazione che, nell’annullare con rinvio la sentenza della Corte di Appello, si è espressa nei seguenti termini “ pur essendosi stata provata una condotta comunque agevolatrice in favore del cittadino extracomunitario….non appare adeguatamente argomentato il dolo dell’imputato …come volontà di trarne ingiusto profitto ”. La condotta agevolatrice del ricorrente, dunque, fermo restando la mancanza di dolo al fine di trarne profitto, è un dato accertato, condiviso anche dall’Amministrazione, in sede di istruttoria e che la stessa ha posto a fondamento della valutazione nel procedimento disciplinare. Dall’esame della documentazione versata in atti, emerge, invero, una familiarità tra il ricorrente e i -OMISSIS- -OMISSIS- che, manifestata sia nei pressi (attraverso pranzi con i suddetti in una tavola calda adiacente) sia all’interno del Commissariato di Polizia di -OMISSIS- presso cui il ricorrente medesimo era -OMISSIS- addetto all’ufficio -OMISSIS-, appare sicuramente inopportuna, anche su un piano deontologico professionale, tenuto conto dell’attività per cui gli stessi -OMISSIS- -OMISSIS- erano attenzioni dalle Autorità.

Per giurisprudenza consolidata, inoltre, " la valutazione circa il rilievo e la gravità dell'infrazione disciplinare commessa dal militare è rimessa alla discrezionalità dell'Amministrazione, la quale, attraverso la commissione di disciplina, esprime un giudizio non sindacabile nel merito, ma soltanto in sede di legittimità nelle ipotesi in cui risulti abnorme o illogico in rapporto alle risultanze dell'istruttoria" (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 ottobre 2018, n. 5700). ” (Consiglio di Stato sez. II, 20/02/2023, n.1724). Tali vizi non appaiono sussistenti nel caso di specie, in quanto l’Amministrazione, sulla base delle risultanze documentali in suo possesso, che davano atto di episodi di convivialità e familiarità tra il ricorrente e i predetti -OMISSIS- -OMISSIS-, ha ritenuto, indipendentemente dalla quantità di tali episodi, che il comportamento del ricorrente medesimo non fosse stato opportuno e avesse violato quei doveri di decoro delle funzioni di un appartenente ai ruoli dell’Amministrazione di P.S.

Nemmeno possono trovare accoglimento le censure del ricorrente relative all’asserita limitatezza temporale dei singoli episodi verificati ed ascrittigli e la connessa presunta violazione del principio di gradualità e proporzionalità della sanzione. Questi, invero, lamenta che la sanzione sarebbe stata sproporzionata in quanto gli episodi contestati sarebbero stati solo tre, in contrasto, dunque, con quella “frequentazione assidua con i -OMISSIS- -OMISSIS-” posta a fondamento della sospensione.

Alla luce della giurisprudenza evidenziata, tuttavia, essendo rimessa alla valutazione discrezionale dell’Amministrazione l’esame circa la gravità ed il peso dei fatti contestai al fine della individuazione della sanzione disciplinare più adeguata, il vaglio di questo giudice è limitato entro l’alveo della "non manifesta sproporzionalità" dell’azione amministrativa. Nel caso di specie la condotta del ricorrente, così come accertata in sede penale e disciplinare, appare meritevole della sanzione irrogata della sospensione di 6 mesi, a fronte del comportamento tenuto, né questa si rivela sproporzionata. A tal fine non rileva l’asserita contraddizione evidenziata dal ricorrente circa la qualificazione quale “assidua” della frequentazione con i -OMISSIS- -OMISSIS- -OMISSIS- e il numero degli episodi accertati in sede di indagini (3) in quanto tale frequentazione è stata, comunque, ritenuta idonea dall’Amministrazione a connotare il comportamento del ricorrente da rilevante gravità ed inopportunità, sia per l’appartenenza del ricorrente alla Polizia di Stato sia per il particolare ruolo ricoperto nel Commissariato di -OMISSIS- – -OMISSIS- addetto all’ufficio -OMISSIS-. Non appaiono dunque fondate le censure di illegittimità del provvedimento in quanto l'azione amministrativa appare coerente e proporzionata alla necessità che coloro i quali esercitano funzioni pubbliche tengano condotte esemplari e che non rechino pregiudizio all’immagine dell’amministrazione di appartenenza.

1.2. Parimenti infondata è la censura contenuta nel secondo motivo di ricorso e relativa all’asserita violazione, ai fini dell’irrogazione della sanzione, del termine di 45 giorni dalla riapertura del procedimento disciplinare di cui al art. 19, co. 5, del D.P.R. n. 737/1981. Il termine di 45 giorni previsto dal predetto comma, invero, si riferisce all’attività istruttoria che deve svolgere il funzionario al quale è affidata l’inchiesta istruttoria dal capo dell'ufficio o dal comandante del reparto. L'inchiesta, infatti, dev’essere conclusa entro il termine di quarantacinque giorni, prorogabile una sola volta di quindici giorni, a richiesta motivata dell'istruttore. Dall’esame della documentazione versata in atti emerge che il funzionario istruttore è stato nominato con decreto del 18.07.2016, ha chiesto ed ottenuto una proroga in data 12.09.2016 ed ha consegnato la prevista relazione conclusiva in data 12.09.2016, entro, dunque, il termine complessivo di 60 giorni previsto dalla norma. Non sussiste, pertanto, la violazione dei termini del procedimento.

1.3. Meritevole di accoglimento, invece, appare la censura contenuta nel primo motivo di ricorso relativo al mancato riconoscimento, a fini giuridici, economici e previdenziali, del periodo intercorrente tra il 23.02.2001 (giorno successivo al completamento del periodo di sospensione di 6 mesi) e la riammissione in servizio.

Al riguardo deve evidenziarsi che l’art. 27 del D.P.R. n. 737/1981, riguardante gli effetti della riapertura del provvedimento disciplinare, dispone che all’ “appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza già punito […] qualora egli venga prosciolto o sia ritenuto passibile di sanzione meno grave, devono essergli corrisposti, in tutto o in parte, gli assegni non percepiti, escluse le indennità per servizi e funzioni di natura speciale o per prestazioni di lavoro straordinario, salva la deduzione dell'eventuale assegno alimentare già percepito .” Si tratta, a ben vedere, di un rimedio eccezionale, che mira a salvaguardare l’ ‘incolpato” in tutti i casi in cui, a seguito dell’intervento di nuove prove o di fatti nuovi, viene eliso in tutto o in parte il giudizio sulla responsabilità, accertata in sede disciplinare del dipendente (cfr. Consiglio di Stato sez. III, 10/03/2015, n.1233) ed eliminare le conseguenze pregiudizievoli, soprattutto di carattere economico, derivanti dall’irrogazione di una sanzione che, alla luce delle sopravvenienza intervenute, viene meno nei suoi presupposti, con efficacia ex tunc .

Nel caso di specie, a seguito della riapertura del procedimento disciplinare, conclusosi con l’irrogazione della sanzione meno grave della sospensione dal servizio per 6 mesi, è venuta meno, con effetto ex tunc , la sanzione originariamente inflitta della destituzione, con la riespansione del rapporto nella sua pienezza e la riconnessa restitutio in integrum della posizione del ricorrente, ossia la ricostruzione della sua carriera, sia agli effetti giuridici che economici. L’Amministrazione, al riguardo, fonda il mancato riconoscimento, a fini giuridici ed economici, del periodo intercorso tra la fine dei 6 mesi di sospensione disciplinare e l’effettivo rientro in servizio, sulla circostanza che la mancata prestazione lavorativa del ricorrente in tale periodo è comunque la conseguenza di una mancanza dello stesso. Tuttavia tale affermazione appare generica e priva di riferimenti concreti e pertanto inidonea a giustificare la scelta dell’amministrazione, tanto più che “ non può ritenersi introdotto un principio di carattere assoluto secondo il quale la semplice tenuta da parte del dipendente di un comportamento che dà avvio ad un procedimento disciplinare è sufficiente per escludere la spettanza degli emolumenti arretrati […] Al fine di rifiutare la corresponsione di tali emolumenti l’Amministrazione deve comunque procedere all’accertamento di circostanze concrete , atte a rivelare l’imputabilità del mancato svolgimento del servizio al dipendente ” ( Tar Lazio, sez. I ter, 21.11.2012, n. 9637). Nel caso di specie tale accertamento risulta carente e, pertanto, l’impugnato provvedimento, è, in parte qua , illegittimo, con la conseguenza che dovrà essere riconosciuto utile, a fini giuridici ed economici, il periodo compreso tra il 23 febbraio 2001 (giorno successivo allo scadere dei sei mesi previsti dalla sanzione disciplinare della sospensione) e il giorno antecedente la riammissione in servizio, con annessa corresponsione delle relative somme, detratto l’aliunde perceptum dal ricorrente per effetto di comprovate attività lavorative a qualsiasi titolo espletate ( cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 17.07.2008, n. 3568).

2. Per i motivi sopra esposti, il ricorso va in parte accolto ed in parte respinto.

3. Le spese possono essere compensate, sussistendo giustificati motivi.

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