TAR Roma, sez. 2S, sentenza 2023-06-19, n. 202310386

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2S, sentenza 2023-06-19, n. 202310386
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202310386
Data del deposito : 19 giugno 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/06/2023

N. 10386/2023 REG.PROV.COLL.

N. 10799/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Stralcio)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10799 del 2016, proposto da E C e A C, rappresentati e difesi dagli Avvocati E I e A S d P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Roma Capitale, in persona del suo Sindaco pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocato A M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

- del provvedimento prot. QI 2016/109455 del 13.06.2016, comunicato in data 16.06.2016, con il quale il Dirigente del Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica - Direzione edilizia - U.O. Condoni del Comune di Roma ha comunicato il rilascio della concessione in sanatoria relativa alla domanda n. 0/582613 sot. 2 presentata dal sig. Corona Emilio per l’immobile sito in Via dei Cluniacensi 111, p.l, int. 3 e contestualmente ha determinato l’ammontare degli oneri concessori dovuti;

- di ogni atto preordinato, connesso e conseguente se ed in quanto lesivo dei diritti dei ricorrenti.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 9 giugno 2023 il dott. M T e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con l’odierno ricorso, parte ricorrente ha devoluto alla cognizione del Collegio i seguenti fatti:

- con decreto di trasferimento n. 141 del Tribunale Civile di Roma, Sezione Esecuzioni, del 5 giugno 2013, il sig. E C acquista la proprietà piena ed esclusiva dell’immobile sito in Roma, Via dei Cluniacensi n. 111, composto da un piano seminterrato, un piano terra e un primo piano (immobile realizzato prima del 1° settembre 1967, quindi in assenza di concessione edilizia, risalendo agli anni ’50);

- con istanza prot. n. 75931 del 21 ottobre 2013, poi integrata in data 23 aprile 2015, il sig. E C presenta domanda di condono ex art. 40, comma 6, della legge n. 47 del 1985, ai sensi del quale “ nell’ipotesi in cui l’immobile rientri nelle previsioni di sanabilità di cui al capo IV della presente legge e sia oggetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, la domanda di sanatoria può essere presentata entro centoventi giorni dall'atto di trasferimento dell'immobile purché le ragioni di credito per cui si interviene o procede siano di data anteriore all'entrata in vigore della presente legge ”;

- successivamente, con atto di donazione del 5 novembre 2015 (registrato in data 20 novembre 2015), il sig. E C dona al figlio A C una parte dell’immobile acquistato, segnatamente l’appartamento ubicato al secondo piano (interno n. 3) e un deposito ubicato al primo piano (di 48 mq);

- il sig. A C beneficia delle agevolazioni fiscali per la prima casa con riguardo al summenzionato appartamento del secondo piano (e alla relativa pertinenza del deposito) acquistato per donazione nel mese di novembre 2015, avendo destinato detto appartamento ad abitazione principale;

- con successivo provvedimento del 13 giugno 2016 (prot QI 2016/109455), relativo all’istanza di sanatoria n. 0/582613, sot. 2 (istanza concernente il piano 1, interno 3, dell’immobile in questione sito in Via dei Cluniacensi n. 111), Roma Capitale ha rilasciato al sig. E C il condono edilizio richiesto, provvedendo contestualmente alla determinazione degli oneri concessori, della cui erronea quantificazione si dolgono i due ricorrenti nel presente giudizio;

- in data 18 luglio 2016, il sig. A C trasmette a Roma Capitale una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, con cui attesta che per due delle tre unità abitative ricomprese nell’immobile oggetto di domanda di condono (acquistate per donazione dallo stesso sig. A C soltanto in data 5 novembre 2015) egli beneficia delle agevolazioni fiscali sulla prima casa;

- con successiva istanza del 21 luglio 2016, i sig.ri E C e A C (odierni ricorrenti) compulsano Roma Capitale a riesaminare la domanda di condono presentata nel 2013, lamentando che il provvedimento di condono del 13 giugno 2016 – pur avendo accolto la suddetta domanda – ha però erroneamente quantificato gli oneri concessori.

Richiamati tali fatti, i due ricorrenti instano innanzi a questo Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, dolendosi dell’erronea quantificazione degli oneri concessori contenuta nel provvedimento di condono, e ciò per i seguenti motivi di gravame:

(i) primo e secondo motivo : illegittimità della quantificazione per avere Roma Capitale omesso di considerare che nel caso di specie gli oneri concessori dovrebbero essere calcolati in base al “secondo” regime condonistico della legge n. 724 del 1994, e non invece in base al “terzo” regime condonistico della legge n. 326 del 2003. In proposito, parte ricorrente deduce, più nel dettaglio, che in caso di condono c.d. “differito” (e cioè di condono richiesto ex art. 40, comma 6, della legge n. 47 del 1985, a seguito di un acquisto di un immobile abusivo nel contesto di una procedura esecutiva immobiliare volta a far valere ragioni creditorie insorte prima dell’entrata in vigore della legge sul condono), l’acquirente – oltre ad avere la possibilità di chiedere il condono in deroga ai termini generali fissati dalla legge – può contare sull’applicazione del regime condonistico che è entrato in vigore dopo la data di insorgenza del credito. Più in particolare, parte ricorrente espone che in base ad una specifica direttiva impartita dalla Regione Lazio con determinazione prot. n. 48I658-14 del 20 marzo 2015, se il credito è insorto nel periodo intercorrente tra il “primo” ed il “secondo” condono (1985 – 1994) e la procedura esecutiva instaurata dal creditore per il recupero del credito si è poi conclusa con il decreto di trasferimento dell’immobile soltanto dopo la data di entrata in vigore del c.d. terzo condono (legge n. 326 del 2003), il creditore-acquirente non soltanto può ottenere il rilascio del condono c.d. differito previsto dall’art. 40, comma 6, della legge n. 47 del 1985 (irrilevante essendo il fatto che tale norma non sia stata espressamente replicata dalla legge n. 326 del 2003), ma ha anche diritto a che gli oneri concessori siano quantificati in base al primo dei due condoni succedutesi nel tempo in epoca posteriore alla data di insorgenza del credito (e cioè in base al condono del 1994 anziché a quello del 2003);

(ii) terzo motivo : illegittimità della quantificazione per avere Roma Capitale omesso di considerare che nel caso di specie nessun onere di urbanizzazione sarebbe dovuto, stante la completa assenza di opere di urbanizzazione nella via su cui insiste l’immobile de quo ;

(iii) quarto motivo : illegittimità della quantificazione per avere Roma Capitale omesso di considerare che il sig. A C beneficia delle agevolazioni fiscali sulla prima casa per alcune delle unità abitative inserite nell’immobile oggetto di condono (e cioè il secondo piano e il deposito pertinenziale al primo piano, acquistati dal sig. A C con atto di donazione del 5 novembre 2015), ragion per cui su tali unità abitative Roma Capitale avrebbe dovuto calcolare gli oneri concessori in misura ridotta, ciò che non è stato fatto nel caso di specie.

Roma Capitale si è costituita in giudizio, instando per la reiezione del gravame.

All’udienza di merito straordinaria del 9 giugno 2023 il Collegio ha introiettato la causa in decisione.

DIRITTO

In limine litis , va disattesa l’istanza con cui gli odierni ricorrenti hanno chiesto, con memoria depositata in atti in data 4 maggio 2023, la riunione del presente giudizio con il “ ricorso depositato al TAR Lazio di Roma, avente r.g. n.13309/2016 con il quale è stato chiesto l’annullamento del provvedimento prot. n. 154169 del 05.09.2016, comunicato in data 22.09.2016, con il quale il Dirigente del Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica – Direzione edilizia – U.O. Condoni del Comune di Roma ha rigettato la richiesta di riesame relativa alla istanza di condono n. 0/582613 presentata dal sig. Corona Emilio per l’immobile sito in Via dei Cluniacensi 111 ”.

La pendenza del parallelo giudizio NRG 13309/2016 non è infatti motivo ostativo all’autonoma delibazione del merito della presente causa, tanto più ove si consideri che questo procedimento, per la completezza del relativo corredo istruttorio e per la risalenza temporale della sua introduzione, è oramai maturo per la decisione, di guisa che s’impone la sua immediata definizione in ossequio al principio della ragionevole durata del processo.

Ciò premesso, il ricorso è parzialmente fondato e va quindi accolto nei limiti di quanto appresso esposto, relativamente ai primi due motivi di impugnazione.

Ciò non senza prima richiamare il nucleo di principi forgiati dalla giurisprudenza amministrativa in relazione alla norma contenuta nell’art. 40, comma 6, della legge n. 47 del 1985, norma che viene in rilievo nella causa de qua .

Orbene, il citato art. 40, comma 6, prevede in favore del proprietario a titolo originario per l’effetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, la possibilità di ripresentare la domanda di condono entro 120 giorni dall’atto di trasferimento dell’immobile, purché le ragioni del credito siano di data anteriore all’entrata in vigore della suddetta legge.

Va in primo luogo rilevato che il rinvio operato dalle successive leggi speciali di sanatoria edilizia alla disposizione di cui all’art. 40, comma 6, l. n. 47 del 1985 deve essere necessariamente inteso, alla luce della lettera e della ratio del comma considerato e del suo inquadramento sistematico, come un rinvio mobile alla norma, che lega la propria operatività al parametro temporale definito dalla legge di condono edilizio di volta in volta applicata, mentre non apparirebbe congruo un rinvio fisso all’originario termine di entrata in vigore della l. n. 47 del 1985.

Ciò posto, la condizione legittimante la presentazione dell’istanza di sanatoria, ammessa eccezionalmente nei centoventi giorni dall’atto di trasferimento dell’immobile derivante da procedure esecutive, che l’art. 40 comma 6, l. n. 47 del 1985 individua nel fatto che le ragioni di credito per cui si procede o si interviene in executivis nei confronti del precedente proprietario « siano di data anteriore all’entrata in vigore della presente legge » deve, quindi, intendersi riferita alla data di entrata in vigore della legge di sanatoria della quale consente l’applicazione. (T.A.R. Napoli, (Campania) sez. IV, 19/09/2017, n.4445)

Più in particolare, requisito essenziale per l’accoglimento della domanda di sanatoria per immobili (abusivi) trasferiti in base a procedure esecutive, è che le ragioni del credito per cui si interviene o procede con l’esecuzione immobiliare siano anteriori all’entrate in vigore della relativa legge di condono di cui si chiede l’applicazione, come statuito da condivisibile giurisprudenza secondo cui “Il legislatore, dunque, richiede che il titolo che sorregge il trasferimento, a seguito di espropriazione immobiliare individuale o a seguito di procedura concorsuale (“ragioni di credito per cui si interviene o procede”), deve essere antecedente all’entrata in vigore della legge, e ciò al fine di evitare la costruzione “strumentale” di procedure volte ad aggirare il termine decadenziale perché ci si possa giovare del condono edilizio, e dunque in frode alla legge. Ed a tal fine, il riferimento alle “ragioni di credito” deve essere inteso non con riferimento all’acquirente del bene (in relazione al quale – in ciò concordando con l’appellante – esso non avrebbe senso), bensì con riferimento al creditore (o ai creditori), i cui diritti insoddisfatti hanno dato luogo alla procedura espropriativa o concorsuale e, dunque, al fine di soddisfarne le ragioni creditizie, alla vendita coattiva del bene. E ciò proprio perché il legislatore intende evitare la finalità elusiva di una eventuale procedura espropriativa/concorsuale fraudolentemente posta in essere. D’altra parte, l’acquirente del bene ben può chiedere, alla luce della disciplina richiamata, una attestazione in ordine alla data di insorgenza delle ragioni di credito che hanno dato luogo alla procedura” (Consiglio di Stato, Sezione Quarta, sentenza n. 3243/2016).

In sintesi, quindi, al fine di individuare la normativa condonistica applicabile al singolo caso, occorre avere riguardo al momento di insorgenza del debito, sicchè la disciplina applicabile sarà quella immediatamente successiva al momento in cui il debito è sorto.

Qualora il debito sia insorto nel lasso temporale 1985 – 1994, e cioè in epoca anteriore rispetto ad entrambe le leggi condonistiche del 1994 e del 2003, appare ragionevole ritenere che la disciplina applicabile sia quella dettata dalla legge condonistica immediatamente successiva al momento di insorgenza del debito, ovverossia quella del 1994.

Ciò, peraltro, in coerenza con la direttiva impartita dalla Regione Lazio con determinazione prot. n. 48I658-14 del 20 marzo 2015, nonché con il successivo parere conforme reso dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti in data 27 luglio 2015.

Chiarito quanto precede, nel caso di specie si controverte di quale disciplina condonistica debba applicarsi in sede di quantificazione degli oneri concessori, atteso che i ricorrenti – pur avendo pacificamente ottenuto l’agognato provvedimento di condono “differito” ex art. 40, comma 6, l. n. 47 del 1985 – lamentano però che Roma Capitale abbia erroneamente calcolato i relativi oneri concessori, avendoli quantificati in base alla normativa condonistica del 2003 anziché in base a quella più favorevole del 1985 (o del 1994).

Alla luce dei principi suesposti, la doglianza dei ricorrenti appare parzialmente fondata, avendo essi dimostrato che il momento di insorgenza del debito (debito dal quale è poi scaturita la procedura esecutiva sfociata nel decreto di trasferimento dell’immobile de quo ) risale ab origine al 1990, sicchè la prima normativa condonistica successiva a tale momento (e quindi applicabile in sede di calcolo degli oneri concessori) è quella del 1994.

Non invece quella del 1985 (in quanto il debito è per l’appunto successivo rispetto a detta normativa) né quella del 2003 (non essendo il condono del 2003 immediatamente successivo al momento di insorgenza del debito).

Né ha pregio l’eccezione di Roma Capitale secondo cui il momento di insorgenza del debito coinciderebbe con quello di costituzione del diritto di ipoteca (risalente al 2004), atteso che il diritto di ipoteca è un diritto reale di garanzia costituito a presidio di un diritto di credito .

Orbene, ai sensi dell’art. 40, comma 6, della legge n. 47 del 1985, occorre avere riguardo al momento in cui sono sorte le “ ragioni di credito ”, e non al momento in cui sono stati costituiti eventuali diritti reali di garanzia di tale credito.

Nel caso di specie il credito in questione (consistente nel diritto della sig.ra Concetta Nardi all’assegno di separazione dovuto dal sig. Gianni Esposito, cfr. documentazione tempestivamente depositata in atti dai ricorrenti in data 26 aprile 2023) - da cui è poi scaturita la procedura esecutiva immobiliare in attuazione della quale i ricorrenti hanno acquistato l’immobile de quo - è un credito insorto nel 1990, dunque anteriore rispetto alla normativa condonistica del 1994.

Ne discende la fondatezza della censura attorea secondo cui gli oneri concessori devono essere calcolati in base al regime condonistico del 1994, la cui maggiore vantaggiosità per i ricorrenti non è stata neppure contestata da Roma Capitale.

Il primo e il secondo motivo di ricorso (la cui omogeneità ne ha imposto una trattazione congiunta) vanno quindi accolti, con conseguente obbligo di Roma Capitale di rideterminarsi alla luce della normativa condonistica del 1994 in sede di quantificazione degli oneri concessori per la sanatoria indicata nel provvedimento impugnato.

Non meritano invece di essere accolti il terzo e il quarto motivo di ricorso.

In particolare, per quel che concerne il terzo motivo di impugnazione – con cui parte ricorrente lamenta che Roma Capitale ha calcolato gli oneri di urbanizzazione in relazione ad un immobile insistente su una via sostanzialmente priva di opere di urbanizzazione – essa è infondata, atteso che gli oneri di urbanizzazione non sono il corrispettivo dell’esecuzione di opere di urbanizzazione, bensì la partecipazione del privato al carico socio economico che l’intervento edilizio comporta sotto il profilo urbanistico.

Ed infatti, secondo consolidata e risalente giurisprudenza (i cui principi sviluppati in materia di permesso edilizio ben possono estendersi al condono edilizio, non ravvisando il Collegio alcuna valida ragione per tenere separati i due ambiti sotto il profilo in esame), “ il rilascio della concessione edilizia […] si configura come fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del concessionario di corrispondere il relativo contributo per oneri di urbanizzazione, ossia per gli oneri affrontati dall’ente locale per le opere indispensabili affinché l’area acquisti attitudine al recepimento dell’insediamento del tipo assentito e per le quali l’area acquista un beneficio economicamente rilevante;
il contributo per oneri di urbanizzazione è quindi dovuto per il solo rilascio della concessione, senza che neanche rilevi la già intervenuta realizzazione di opere di urbanizzazione
” (cfr. ex multis Consiglio di Stato sez. IV, 20/11/2017, n.5356).

Va da sé che nel caso di specie la circostanza della mancata realizzazione di opere di urbanizzazione (circostanza rimasta peraltro indimostrata) non basta da sola a rendere inesigibili gli oneri di urbanizzazione.

Il che conduce alla reiezione del terzo motivo di ricorso.

Per quel che concerne, infine, il quarto motivo di ricorso (con cui parte ricorrente si duole del fatto che Roma Capitale ha omesso di considerare che il sig. A C beneficia delle agevolazioni fiscali sulla prima casa per alcune delle unità abitative inserite nell’immobile oggetto di condono) anch’esso appare infondato per un duplice ordine di ragioni.

In primo luogo perché l’istanza di condono trasmessa a Roma Capitale nel 2013 (e poi integrata nel mese di aprile 2015) proveniva esclusivamente dal sig. E C (e non dal sig. A C titolare delle asserite agevolazioni fiscali), tanto è vero che il sig. A C risulta aver acquistato per donazione le unità abitative de quibus soltanto nel mese di novembre 2015, e cioè in epoca successiva rispetto alla data di trasmissione dell’istanza di condono del 2013.

Né risulta agli atti che tra la data di presentazione dell’istanza di condono del sig. E C (21 ottobre 2013) e la data di rilascio del provvedimento di condono impugnato (13 giugno 2016), gli odierni ricorrenti abbiano rappresentato a Roma Capitale il subentro del sig. A C nella proprietà di alcune unità abitative dell’immobile de quo e quindi nella titolarità dell’eventuale provvedimento di condono.

Risulta anzi che gli odierni ricorrenti abbiano rappresentato a Roma Capitale tale sopravvenienza soltanto in data successiva rispetto alla data di rilascio del provvedimento di condono, segnatamente con l’istanza di riesame del 21 luglio 2016.

In secondo luogo, e anche a prescindere da quanto sopra esposto, appare dirimente il fatto che la riduzione degli oneri concessori in favore del beneficiario del permesso di costruire che abbia realizzato la sua prima abitazione è prevista dall’art. 17, comma 2, del DPR 380 del 2001, a rigore del quale “ il contributo per la realizzazione della prima abitazione è pari a quanto stabilito per la corrispondente edilizia residenziale pubblica, purché sussistano i requisiti indicati dalla normativa di settore ”.

Orbene, la normativa di settore dettata dall’art. 9 del d.l. n. 9 del 1982 – oltre a prevedere al primo comma che “ per le opere da realizzarsi da soggetti che costruiscono per realizzare la propria prima abitazione il contributo di cui all'art. 3, legge 28 gennaio 1977, n. 10, è dovuto nella misura pari a quella stabilita per l'edilizia residenziale pubblica ” – stabilisce anche ai successivi commi che:

a) “ le caratteristiche delle abitazioni di cui al comma precedente devono rispondere ai requisiti dell’art. 16, ultimo comma, legge 5 agosto 1978, n. 457 ” (cfr. secondo comma);
con l’ulteriore precisazione che in base al suddetto art. 16, ultimo comma, della legge n. 457 del 1978 la superficie massima delle nuove abitazioni di cui al presente articolo, misurata al netto dei muri perimetrali e di quelli interni, non può superare, pena la decadenza dai benefici previsti dalla presente legge, metri quadrati 95, oltre a metri quadrati 18 per autorimessa o posto macchina ”;

b) “ l’accertamento della sussistenza delle esigenze familiari del richiedente la concessione è affidato al comune sulla base dello stato di famiglia ” (cfr. terzo comma);

c) “ la riduzione del contributo prevista dal primo comma del presente articolo è subordinata alla stipulazione con il comune di una convenzione mediante la quale il privato si obbliga a non cedere la proprietà dell'immobile per un periodo di almeno sette anni dalla data di ultimazione dei lavori. Qualora non vi adempia, decade dal beneficio ed il comune è tenuto a recuperare la differenza maggiorata della rivalutazione monetaria e degli interessi in misura pari al saggio ufficiale dello sconto ” (cfr. quarto comma).

In sintesi, la normativa di settore subordina la riduzione degli oneri concessori relativi alla costruzione della prima casa a specifiche condizioni, tra cui – per quel che qui rileva – la stipulazione di una convenzione con il comune, per effetto della quale il privato si obbliga a non cedere la proprietà dell’immobile per un periodo di almeno sette anni dalla data di ultimazione dei lavori.

Di tale convenzione non è stata fornita alcuna prova da parte degli odierni ricorrenti, ciò che conduce a respingere anche il quarto motivo di ricorso.

In conclusione, dunque, il ricorso va accolto soltanto in parte qua , limitatamente ai primi due motivi di gravame. I restanti motivi vanno invece respinti.

Tenuto conto dell’accoglimento soltanto parziale dei motivi proposti, il Collegio ritiene che sussistano giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio.

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