TAR Bari, sez. III, sentenza 2015-04-09, n. 201500563

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bari, sez. III, sentenza 2015-04-09, n. 201500563
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bari
Numero : 201500563
Data del deposito : 9 aprile 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00695/2013 REG.RIC.

N. 00563/2015 REG.PROV.COLL.

N. 00695/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 695 del 2013, proposto da:
V G C, M A C e E Carbonara, rappresentati e difesi dall'avv. G M, con domicilio eletto presso G M in Bari, V. Amendola, n.21;

contro

Comune di Bari, rappresentato e difeso dall'avv. A B, con domicilio eletto presso A B in Bari, c/o Avv. ra Comunale Via P. Amedeo, n. 26;

nei confronti di

Mercato Agricolo Alimentare Bari Societa' Consortile a Responsabilita' Limitata "M.A.A.B." S.C.R.L.;

per l’accertamento

del diritto dei ricorrenti al risarcimento, pro quota ereditaria, del complessivo danno patrimoniale e non patrimoniale pari a complessivi euro 1.107.592,00, ovvero, per il diverso importo minore o maggiore che sarà ritenuto di giustizia, oltre a rivalutazione monetaria e interessi da calcolarsi in relazione al valore del suolo rivalutato anno per anno ed interessi legali sulle somme maturate anno per anno.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Bari;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 marzo 2015 la dott.ssa Desirèe Zonno e uditi per le parti i difensori Libera Valla e A B;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Espongono in fatto gli odierni ricorrenti di essere proprietari di un fabbricato rurale, meglio conosciuto come Masseria Marzano, in territorio di Bari - Mungivacca, in catasto al foglio n.70, particelle nn.8-9-10 e dell'annesso terreno contrassegnato dalle particelle nn.11;
237 e

261, pervenuto per successione ereditaria dal loro dante causa, Candelora Giovanni Giuseppe.

L’immobile è stato interessato da procedura espropriativa per l’esecuzione dei lavori ed opere per la realizzazione del mercato agricolo ed alimentare, nonché della piattaforma logistica di III livello, 1° stralcio funzionale.

In data in data 1.2.2008, hanno avuto luogo le operazioni di immissione in possesso nel bene, conseguenti al decreto di occupazione d'urgenza dell’immobile, n. 3 del 19.12.2007, emesso dal funzionario del Consorzio M.A.A.B. (Società' Consortile Mercato Agricolo Alimentare di Bari- M.A.A.B. Scrl, d’ora in poi M.A.A.B.), ente delegato per la procedura espropriativa dal Comune di Bari.

Il decreto di occupazione d'urgenza, impugnato davanti a questo Tar, è stato annullato dalla sentenza n. 54 del 15.1.2009, passata in giudicato, per omessa impugnazione.

Aggiungono i ricorrenti che, per effetto dell'annullamento giurisdizionale del decreto di occupazione d'urgenza, l'immissione in possesso, divenuta retroattivamente priva di titolo, debba considerarsi illegittima sin dal suo inizio, cioè dal 1.2.2008.

Il compendio immobiliare è stato restituito dal M.A.A.B. come attesta il relativo verbale, in data 12.10.2012, sicchè l'occupazione illegittima è durata dal 1.2.2008 fino al 12.10.2012,

per complessivi anni 4, mesi 8 e giorni 12.

Con il presente ricorso, rivolto sia nei confronti del Comune delegante, sia del consorzio delegato, chiedono sia “accertato” il proprio diritto, pro quota ereditaria, al pagamento del risarcimento del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale, che quantificano, in evidente applicazione analogica dell’art. 42 bis T.U. espr. (d.p.r. n. 327/2001), ed in via presuntiva, - per il danno patrimoniale, in misura del 5% annuo sul valore di mercato del bene, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulle somme dovute in relazione al valore del suolo annualmente rivalutato;

- per il danno non patrimoniale, sempre in applicazione analogica dell’art. 42 bis T.U. espr., in misura pari al 20% sul valore di mercato del bene.

Resiste in giudizio il Comune di Bari, il quale, dopo una puntuale ricostruzione dei fatti, contesta, in primo luogo il proprio difetto di legittimazione passiva circa l'obbligazione dedotta in giudizio, sotto un duplice profilo.

In primo luogo, infatti, l’attività amministrativa illegittima discenderebbe da un atto (illegittimo) posto in essere esclusivamente da parte del soggetto delegato M.A.A.B., senza potersi ascrivere alcuna responsabilità per detta attività in capo al soggetto delegante.

Sotto altro profilo, sarebbe del tutto evidente che il titolo della domanda risarcitoria risiede nell’attività materiale posta in essere dall'occupante M.A.A.B., dovendosi ascrivere ad esso consorzio non solo l'avvenuta illegittima occupazione di urgenza, ma anche il grave ritardo nella restituzione dei suoli ai ricorrenti, attività che non poteva che essere posta in essere dall'occupante autore dell'attività materiale di apprensione del bene.

Nel merito, l’Ente comunale ha contestato in modo deciso l’applicabilità del criterio di liquidazione reclamato dai ricorrenti, invocando, al contrario, i criteri ordinari di cui all’art. 2043 cc., ivi compreso il relativo onere probatorio in ordine alla quantificazione del danno.

Nel contempo ha proposto, in via riconvenzionale, a mezzo di ricorso incidentale ritualmente notificato, verso il M.A.A.B. azione di manleva, o - subordinatamente in caso di accoglimento delle domande svolte verso il Comune di Bari a qualsiasi titolo - azione di regresso ex art.2055, co 2, cc.

Da ultimo, in data 9.2.2015, in vista dell’udienza di discussione fissata per il 12.3.2015, il difensore delle parti ricorrenti ha formulato istanza preliminare di accertamento di regolarità della notifica telematica effettuata nei confronti del M.A.A.B., rimasto contumace, proponendo, istanza di rimessione in termini.

All’udienza di discussione, la causa è stata, infine, tratta in decisione.

Preliminarmente, ritiene il Collegio che non abbia margini di delibazione positiva l’istanza di rimessione in termini.

Si verte, infatti, in materia di giudizio risarcitorio da mancata restituzione di un bene, sicchè nessuna decadenza risulta maturata, non trovando applicazione i termini propri del giudizio impugnatorio.

Tanto premesso, ritiene il Collegio che non vi siano ragioni per ritenere che la notifica telematica non sia andata a buon fine.

Risultano, infatti, rispettate tutte le formalità di cui all’art. 3 bis, L. n. 53/94.

L’unico dubbio evidenziato dalla difesa di parte ricorrente, nel corso dell’udienza di discussione, attiene, peraltro, l’indirizzo di posta elettronica del consorzio intimato, atteso che, al momento della notifica non risultava istituito il sito INPEC e quello cui il ricorso è stato spedito è quello risultante dal Registro delle Imprese.

Orbene, nel caso di specie non emergono ragioni per ritenere che tale indirizzo sia erroneo (il rapporto telematico di ricezione non evidenzia alcun difetto di ricezione), né la difesa ha indicato un diverso indirizzo telematico di PEC in uso al momento della notifica.

D’altro canto, la scelta del M.A.A.B. di non costituirsi nel giudizio in esame, risulta attribuibile ad una effettiva e ponderata volontà processuale e non ad un difetto di evocazione, posto che la notifica del ricorso incidentale è avvenuta a mani, senza che neppure ciò abbia determinato la partecipazione al giudizio.

Peraltro, deve aggiungersi che nessun ostacolo precludeva ai ricorrenti di procedere autonomamente a nuova notifica nelle forme ordinarie ( a mezzo ufficiale giudiziario o del servizio postale), senza necessità di autorizzazione da parte del Giudice, atteso che nessuna decadenza è maturata.

Tanto premesso, ritiene la Sezione che, nel merito, la domanda risarcitoria (che i ricorrenti formulano testualmente in termini di “accertamento”, ma che – per il tenore complessivo del ricorso- va intesa nel senso di domanda di condanna al pagamento) risulti infondata per difetto di prova del danno subito.

La natura dirimente di tale elemento, esime, peraltro, da un lato dal valutare le eccezioni di difetto di legittimazione ( rectius: titolarità) passiva dell’obbligazione risarcitoria in capo al Comune intimato, nonché le azioni di manleva e regresso;
dall’altro dal prospettare in via officiosa ogni eventuale (e non manifestamente infondata) questione di decadenza dall’azione risarcitoria, derivante dal mancato rispetto del termine di cui all’art. 30, co. 3, cpa (atteso che la sentenza di annullamento dell’atto lesivo dell’interesse legittimo dei ricorrenti è del 2009, mentre il ricorso è stato notificato nel 2014, sicchè, pur ritenendo applicabile la disposizione in esame solo dopo la data di entrata in vigore del codice sul processo, il termine decadenziale non risulta rispettato).

In ordine alla prova del danno, la Sezione ha più volte ribadito (v. sent. nn. 1328/2014;
45/2015 e 350/2015) che non sussiste alcun automatismo tra l’indisponibilità fisica di un bene (derivante dall’occupazione – benchè senza titolo - da parte della mano pubblica) ed il detrimento patrimoniale derivante da tale evento, nonché il suo ammontare.

Per predicarsi tale automatismo dovrebbe potersi affermare in primo luogo che corrisponda a principio di assoluta e ragionevole normalità (secondo, cioè, il criterio inferenziale dell’ id quod plerumque accidit ) che un suolo ed annesso manufatto produca frutti civili o naturali.

Sennonché tale asserzione risulta tutt’altro che scontata, in quanto un compendio -qual è quello in esame- può essere utilizzato, sempre secondo un criterio di ragionevolezza derivante dalle normali prassi commerciali, o a fini agricoli ovvero di locazione- comodato, ovvero non essere utilizzato affatto, restando improduttivo.

Le ipotesi prospettate sono tra di loro tutte alternative e possibili nel senso che, esaminando le normali prassi commerciali, può aversi contezza che masserie come quella in questione con annesso suolo inedificato trovano collocazione sul mercato, laddove utilizzate, o a fini agricoli ovvero agrituristici o, ancora (e l’ipotesi è tutt’altro che infrequente nella realtà pugliese) rimangono del tutto improduttive, specie se il manufatto sia in rovina o necessiti di ingenti lavori di ristrutturazione e manutenzione (sul punto i ricorrenti non hanno fornito alcuna indicazione circa le condizioni della masseria).

Il criterio automatico, dunque, non trova alcun supporto nel notorio e, pertanto, non può trovare ingresso, dovendosi valutare, caso per caso, le caratteristiche del bene e le sue potenzialità di sfruttamento, senza che si consentano, per mezzo dell’azione giudiziaria, indebite locupletazioni da parte del proprietario.

Ciò che, in estrema sintesi, deve affermarsi, conclusivamente, è che il criterio di liquidazione automatico del danno derogherebbe in maniera rilevante all’onere probatorio sotto un duplice profilo:

- da un lato quello dell’esistenza del danno (in quanto è tutt’altro che pacifico che la mancata disponibilità di un bene determini un detrimento patrimoniale);

- dall’altro, quello della sua quantificazione che viene pretesa in modo forfettario, senza alcun fondamento normativo che supporti tale tesi.

Né può in qualche modo percorrersi la via di un’applicazione analogica ed automatica di quanto previsto dall’art. 42 bis T.U. edil, (“

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