TAR Roma, sez. III, sentenza 2018-06-15, n. 201806690

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. III, sentenza 2018-06-15, n. 201806690
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201806690
Data del deposito : 15 giugno 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/06/2018

N. 06690/2018 REG.PROV.COLL.

N. 01959/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1959 del 2017, proposto da:
Vodafone Italia S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati F C, G L P, D A e A B C, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso avv. F C in Roma, via Vittoria Colonna 32;

contro

Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Telecom Italia S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati F L, F Carelli e Francesco Saverio Cantella, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso avv. F L in Roma, via G. P. da Palestrina n. 47;

nei confronti

Fastweb S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Guarino ed Elenia Cerchi, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso avv. Andrea Guarino in Roma, piazza Borghese n. 3;
Wind Tre Spa non costituita in giudizio;

per l'annullamento

della delibera dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 584/16/CONS del 1 dicembre 2016 (pubblicata sul sito istituzionale dell'Autorità in data 23 dicembre 2016), recante “Approvazione delle Linee Guida per la valutazione della replicabilità delle offerte al dettaglio dell'operatore notificato per i servizi di accesso alla rete fissa”, di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguenziale.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, di Telecom Italia Spa e di Fastweb Spa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 febbraio 2018 il dott. Claudio Vallorani e uditi per le parti i difensori: per la parte ricorrente l'Avv. F. Cintioli, per Telecom Italia S.p.A. l'Avv. F. Lattanzi, per Fastweb S.p.A. l'Avv. Baruchello in sostituzione degli Avv.ti A. Guarino e E. Cerchi e per l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni l'Avvocato dello Stato Andrea Fedeli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

1. Il ricorso per cui è causa riguarda la delibera dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (di seguito anche “AGCOM” o “Autorità”) n. 584/16/CONS con la quale sono state approvate le “Linee guida per la valutazione della replicabilità delle offerte al dettaglio dell’operatore notificato per i servizi di accesso alla rete fissa” . Attraverso di esse l’AGCOM definisce i criteri e le modalità del c.d. test di prezzo per la verifica della replicabilità delle offerte commerciali di Telecom Italia S.p.A. da parte di operatori alternativi (OLO), come l’odierna ricorrente Vodafone Italia S.p.A., nei mercati delle telecomunicazioni fisse.

Con l’espressione “replicabilità” ci si riferisce alla condizione in cui il prezzo di un’offerta rivolta ai clienti finali dall’operatore dotato di significativo potere di mercato (nella fattispecie, Telecom) sia praticabile dagli operatori concorrenti (c.d. “OLO”) e, quindi, sia da essi sostenibile in base ai costi dei fattori di produzione che è necessario impiegare per poter commercializzare la stessa offerta.

Il test di prezzo delineato ed imposto, dalla delibera impugnata, a Telecom Italia - quale operatore dotato di significativo potere di mercato (SPM) nel settore delle telecomunicazioni fisse - è lo strumento elaborato dall’AGCOM per verificare la replicabilità delle offerte al dettaglio di Telecom da parte degli operatori concorrenti.

2. L’applicazione a Telecom del test “de quo” come delineato dalle “Linee guida per la valutazione della replicabilità delle offerte al dettaglio dell’operatore notificato per i servizi di accesso alla rete fissa” oggi impugnate (si tratta, come detto, della delibera AGCOM n. 584/16/CONS del primo dicembre 2016), presuppone l’individuazione di Telecom come operatore che detiene un significativo potere di mercato (“SMP” ), ai sensi dell’art. 17, comma 2, d.lgs. n. 259/2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche o, semplicemente, “CCE” ), che così qualifica l’operatore che “individualmente o congiuntamente con altri, gode di una posizione equivalente ad una posizione dominante, e dunque di forza economica tale da consentirgli di comportarsi in misura notevole in modo indipendente dai concorrenti, dai clienti e dai consumatori”.

Alla conferma della identificazione di Telecom come operatore “SPM” l’Autorità è da ultimo pervenuta con la delibera n. 623/15/CONS del 5 novembre 2015, assunta a conclusione di apposita analisi dei mercati dei servizi di accesso alla rete fissa, svolta ai sensi degli artt. 19 e ss. del CCE, rilevando che Telecom, “nonostante la presenza di alcuni operatori alternativi che stanno investendo o pianificano di investire in reti di nuova generazione in alcune zone del territorio italiano, … è ancora l’unico operatore verticalmente integrato lungo tutta la catena tecnologica e impiantistica a livello nazionale” e, dunque, “è comunque ancora in grado di razionalizzare i costi di natura tecnico-operativa ed effettuare scelte coordinate tra livelli wholesale e retail della catena del valore” . Gli operatori alternativi (quali Vodafone, Fastweb, Wind), invece, “ dispongono di una minore libertà d’azione in quanto, da un lato, devono rispettare i vincoli imposti da Telecom Italia nell’acquisto di servizi intermedi e, dall’altro lato, si trovano a competere con quest’ultima nel mercato a valle” (v.par. 273 -275 - doc. 8 ric.). Ciò, ad avviso dell’AGCOM, vale nei mercati dei servizi all’ingrosso di accesso locale e di accesso centrale alla rete telefonica fissa, sia in rame che in fibra ottica. Tali mercati hanno dimensione geografica nazionale.

3. Il Codice delle comunicazioni elettroniche (d.lgs. n. 259 del 2003) prevede che, tra gli obblighi che possono essere imposti alle imprese che dispongono di un significativo potere di mercato, figurano:

- l’obbligo di non discriminazione, affinché “…l’operatore applichi condizioni equivalenti in circostanze equivalenti nei confronti di altri operatori che offrono servizi equivalenti, e inoltre che esso fornisca a terzi servizi e informazioni garantendo condizioni e un livello di qualità identici a quelli che assicura per i propri servizi o per i servizi delle proprie società consociate o dei propri partner commerciali” (art. 47 CCE);

- l’obbligo di controllo dei prezzi “qualora l'analisi del mercato riveli che l'assenza di un'effettiva concorrenza comporta che l’operatore interessato potrebbe mantenere prezzi ad un livello eccessivamente elevato o comprimerli a danno dell’utenza finale” (art. 50 CCE);

- obblighi che “possono includere prescrizioni affinché le imprese identificate non applichino prezzi eccessivi, non impediscano l'ingresso sul mercato né limitino la concorrenza fissando prezzi predatori, non privilegino ingiustamente determinati utenti finali, non accorpino in modo indebito i servizi offerti” ( art. 67, co. 2, CCE).

Con la richiamata delibera n. 623/15/CONS, AGCOM ha dato concreta attuazione ai predetti obblighi regolamentari nei confronti di Telecom. In particolare l’art. 11 di essa (dedicato agli “obblighi di non discriminazione” ), ha disposto che “ tutte le offerte di Telecom Italia di servizi di accesso al dettaglio (inclusi i bundle) devono essere replicabili da parte di un operatore efficiente e, pertanto, sono sottoposte ad un test di replicabilità, in modalità ex ante ossia prima del lancio commerciale, da parte dell’Autorità” (art. 11, comma 7).

In altri termini, le offerte di Telecom per i servizi di accesso al dettaglio alla rete fissa devono essere replicabili da parte degli operatori alternativi e l’analisi di replicabilità di queste offerte deve esser svolta in concreto ed “ex ante” (prima cioè che l’offerta sia in effetti commercializzata) mediante il c.d. test di prezzo, le cui modalità e criteri di effettuazione sono definiti dall’AGCOM con propria delibera.

4. Fino all’adozione della delibera oggetto della presente impugnazione, la metodologia del test di prezzo era disciplinata dalla delibera n. 499/10/CONS del 23 settembre 2010 (integrata dalla delibera n. 604/13/CONS che ha esteso ai servizi su banda ultra-larga la disciplina di cui alla delibera n. 499/10/CONS).

Il mutamento delle condizioni del mercato di riferimento e gli sviluppi tecnologici conosciuti dal settore hanno indotto l’AGCOM ad avviare, con la delibera n. 537/13/CONS del 30 settembre 2013, il procedimento di “aggiornamento della metodologia dei test di replicabilità”.

Dopo alcune proroghe ed una sospensione il procedimento è stato riavviato solo alla fine del 2015, quando, con la delibera n. 660/15/CONS del 1 dicembre 2015, l’AGCOM ha sottoposto a consultazione pubblica la propria definitiva proposta delle “Linee guida per la valutazione della replicabilità delle offerte al dettaglio dell’operatore notificato”.

Vodafone, odierna ricorrente, ha partecipato alla consultazione, anche con contributo scritto (doc. 10 ric.), con il quale evidenziava, dal proprio punto di vista, la presenza una serie di criticità.

La proposta di Linee guida è stata successivamente trasmessa dall’Autorità alla Commissione europea che, con la decisione del 31 ottobre 2016 (doc. 11 ric.), ha espresso le proprie osservazioni, soprattutto al fine di “favorire la concorrenza e migliorare il contesto per gli investimenti nella banda larga ultraveloce”.

5. Con la delibera impugnata n. 584/16/CONS del 1 dicembre 2016 l’Autorità ha approvato le “Linee guida per la valutazione della replicabilità delle offerte al dettaglio dell’operatore notificato per i servizi di accesso alla rete fissa” , di cui all’Allegato A alla delibera stessa.

Basandosi sul modello di un operatore efficiente il nuovo test di prezzo elaborato da AGCOM raffronta il ricavo finale del servizio offerto da Telecom con il costo complessivo che un concorrente efficiente dovrebbe sostenere per poter offrire il medesimo servizio in condizioni equivalenti. Il ricavo finale di Telecom deve essere superiore o, quanto meno, pari ai costi sostenuti dal concorrente efficiente (ma non dotato di significativo potere di mercato come Telecom) per offrire il medesimo servizio. In questo caso, l’offerta dell’operatore dominante sarà considerata replicabile.

La struttura del test di prezzo è fissata dalla seguente formula matematica:

P ≥ F = W + X + R (v. par. 95 Linee guida), dove:

- P è il valore dei ricavi attesi associati all’offerta di Telecom sottoposta al test;

- F rappresenta la soglia di replicabilità derivante dalla somma dei costi del concorrente, rappresentati dalle successive voci W, X ed R;

- W sono i costi dei fattori produttivi di rete essenziali (c.d. input essenziali di rete) a cui il concorrente di Telecom può accedere soltanto ricorrendo ai servizi di accesso all’ingrosso offerti dalla stessa Telecom;

- X sono i costi dei fattori produttivi di rete non essenziali (c.d. input non essenziali di rete) che un concorrente efficiente è in grado di replicare attraverso l’utilizzo della propria infrastruttura di rete;

- R sono i costi operativi commerciali, ossia i costi ‘non di rete’ (ad esempio, fatturazione, vendita, marketing) sostenuti da un concorrente efficiente per la commercializzazione dell’offerta nel mercato al dettaglio.

Affinché il test di prezzo possa ritenersi superato e l’offerta retail di Telecom qualificarsi replicabile, è necessario che il valore dei ricavi (P) sia maggiore o pari ai costi (F=W+X+R). Altrimenti tale offerta non potrà esser commercializzata.

6. Con il ricorso all’odierno esame sono stati impugnati la delibera n. 584/16/CONS e gli ulteriori provvedimenti in epigrafe specificati per i seguenti motivi:

I. Violazione e falsa applicazione artt. 13-14 della direttiva 2002/19/CE. Violazione e falsa applicazione degli artt. 17, 19, 45, 47, 50 e 67 del d.lgs. n. 259/2003. Violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 65 della delibera AGCOM n. 623/15/CONS. Violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990. Eccesso di potere per sviamento, contraddittorietà, carenza di istruttoria, travisamento dei fatti, nonché per irragionevolezza e intrinseca illogicità: Vodafone censura, in primo luogo, la scelta dell’Autorità di avere adottato una sola tipologia di test, denominata DCF (“Discount Cash Flow”) - ritenuta metodologia meno stringente e probante a tutto vantaggio dell’operatore SPM - e di avere abbandonato la metodologia PbP (“Period by Period” ), che nel precedente assetto era applicata insieme alla prima. Il test “PdP” mira ad accertare che, in ciascun sotto-periodo dell’offerta di durata pari a mesi 12, il prezzo praticato consenta il recupero dei costi variabili generati dal singolo cliente, al contrario il test DCF è finalizzato a verificare che, alla fine del periodo di permanenza media del cliente nell’offerta, il prezzo “retail” praticato garantisca il recupero dei costi complessivi, fissi e variabili, generati dall’offerta stessa;
l’AGCOM ha anche inteso introdurre delle modifiche alla metodologia applicativa del test DCF attraverso: la considerazione dei “dati storici consolidati” relativi alla clientela in luogo dei piani previsionali di acquisizione di clienti futuri;
l’applicazione separata del test a ciascuna promozione di offerta;
l’individuazione del periodo medio di permanenza del cliente nell’offerta quantificato in 24 mesi per la clientela residenziale e in 36 mesi per la clientela non residenziale;
lamenta la ricorrente che, inspiegabilmente, tali “adattamenti” (i quali vanno nella direzione di un maggior rigore del test) non sono stati affatto previsti per l’esecuzione del test DCF sulle offerte “ultra boardband” su rete in fibra, avendoli l’Autorità limitati alle sole offerte su rame;
tale distinzione, ad avviso della ricorrente, è illegittima per eccesso di potere;
non trova alcun appiglio nelle disposizioni del Codice della Comunicazioni Elettroniche;
non tiene conto della circostanza che Telecom Italia “sta estendendo la propria dominanza anche nell’offerta dei servizi “retail” su rete in fibra (dove la quota di mercato detenuta sarebbe addirittura pari al 74%);
la struttura del test di prezzo prevista per le offerte di servizi su rete in fibra, di conseguenza, sarebbe illegittima in quanto: i. il test DCF sarà applicato, non alle singole offerte “retail” lanciate da Telecom ma ad un insieme di offerte (con concrete possibilità di abbassare strumentalmente il prezzo medio dell’offerta cumulativa, così rendendo poco probante ed attendibile l’esito della verifica);
ii. l’analisi di replicabilità verrà fatta sui programmi di acquisizione dei clienti comunicata da Telecom e non su dati reali;
iii. la permanenza media delle offerte “retail” su rete in fibra alla clientela residenziale verrà calcolata in mesi 36 (e non 24 come previsto per le offerte su rete in rame), quando il vincolo in essere di permanenza contrattuale non può essere superiore a mesi 24.

II. Violazione e falsa applicazione artt. 13-14 della direttiva 2002/19/CE. Violazione e falsa applicazione degli artt. 17, 19, 45, 47, 50 e 67 del d.lgs. n. 259/2003. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 11 e 65 della delibera AGCOM n. 623/15/CONS. Violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990. Eccesso di potere per contraddittorietà, carenza di istruttoria, travisamento dei fatti, nonché per irragionevolezza e intrinseca illogicità: la società ricorrente critica la scelta dell’Autorità di avere ammesso la possibilità di effettuare un test di prezzo differenziato per le offerte “local” di Telecom, così definendo quelle destinate a specifiche aree geografiche (ad es. una provincia o una città);
poiché i costi degli input essenziali di rete sono calcolati in base alla media ponderata dei prezzi nazionali dei servizi di accesso all’ingrosso, non si vede come l’AGCOM possa adeguare il criterio del mix produttivo alle specificità infrastrutturali delle aree del territorio nazionale entro cui determinate offerte vengano commercializzate (è quanto prevede il par. 83 delle Linee Guida): in ogni caso l’introduzione di obblighi regolatori “ex ante” non può prescindere da una preventiva analisi delle condizioni competitive del mercato mentre, invece, nella specie manca e non è prevista l’effettuazione neanche in futuro di una specifica analisi di mercato per le offerte “local”; peraltro la previsione appare contraddittoria atteso che la precedente delibera n. 623/15/CONS ha stabilito che il mercato rilevante ha dimensione nazionale ed ha imposto un obbligo di controllo sui prezzi su tutto il territorio nazionale;
per tali ragioni non è ammissibile, secondo la ricorrente, una differenziazione geografica degli obblighi dell’operatore “incumbent” e la delibera va annullata “in parte qua”;

III. Violazione e falsa applicazione artt. 13-14 della direttiva 2002/19/CE. Violazione e falsa applicazione degli artt. 17, 19, 45, 47, 50 e 67 del d.lgs. n. 259/2003. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 11 e 65 della delibera AGCOM n. 623/15/CONS. Violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990. Eccesso di potere per contraddittorietà, carenza di istruttoria, travisamento dei fatti, nonché per irragionevolezza e intrinseca illogicità: come sopra rilevato, i costi sostenuti da un concorrente efficiente (cioè un operatore modello) per l’acquisto degli input essenziali (voce “W” della formula matematica sopra riportata) vengono calcolati secondo il criterio del “mix produttivo” e, dunque, mediante una media ponderata dei costi dei vari servizi “wholesale” per l’accesso alla rete fissa di Telecom;
parte ricorrente – una volta chiarita sul piano tecnico la distinzione tra servizi di accesso ULL (“Unbundling Local Loop” ) e “bitstream” (vedi pagg. 25 e 26 del ricorso) - censura la formula per il calcolo del mix produttivo di cui al punto 74, lett. b) dell’Allegato A alla delibera impugnata;
tale formula sarebbe illogica ed irragionevole in quanto considera tutte le linee come “ULL” anche quando esse utilizzino un servizio “bitstream”; considerato che i servizi ULL hanno un costo nettamente inferiore ai servizi “bitstream”, il ricorso ad una media ponderata fra i due costi che considera tutte le linee di una centrale aperta al servizio ULL come linee ULL (indipendentemente dal fatto che lo siano realmente) e che valorizza le linee Telecom come linee ULL (anziché “bitstream” ) comporta, da avviso di Vodafone, una inevitabile alterazione del risultato del test di replicabilità a tutto vantaggio dell’operatore dominante;
in altri termini l’aumento artificiale delle linee ULL comporta il riconoscimento agli OLO di un costo di accesso inferiore a quello che risulterebbe laddove le linee fossero considerate come “bitstream”;

IV. Violazione e falsa applicazione artt. 13-14 della direttiva 2002/19/CE. Violazione e falsa applicazione degli artt. 17, 19, 45, 47, 50 e 67 del d.lgs. n. 259/2003. Violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990. Eccesso di potere per contraddittorietà, carenza di istruttoria, travisamento dei fatti, nonché per irragionevolezza e intrinseca illogicità: la delibera impugnata sarebbe, altresì, illegittima nella parte in cui detta la disciplina dell’analisi di replicabilità di quelle offerte che comprendono, oltre ai servizi di telefonia fissa, anche l’offerta di servizi audiovisivi fruibili attraverso la rete telefonica;
questo per un duplice ordine di ragioni:

(i) in primo luogo, perché sottostima i costi che gli operatori di comunicazione devono sostenere per l’acquisizione della banda trasmissiva indispensabile per garantire alla clientela l’effettiva fruizione dei servizi audiovisivi (doc. 1, allegato tecnico, par. 6, pag. 28);
la trasmissione di dati, evidenzia Vodafone, non avviene sempre allo stesso modo ma può essere effettuata usufruendo di diverse “qualità” di banda – ciascuna avente un diverso costo - messe a disposizione da Telecom con la propria offerta di riferimento;
i diversi tipi di qualità di banda, nel gergo tecnico, sono identificati attraverso la sigla “CoS” e variano da un livello CoS=0 (il più basso) ad un livello Cos=6 (il più alto);
al fine di trasmettere i contenuti audiovisivi attraverso la rete in modo efficiente è necessario utilizzare una qualità di banda superiore a quella base, poiché, diversamente, soprattutto nel caso di congestione della rete, il video trasmesso potrebbe subire interruzioni e ritardi;
non a caso la stessa Telecom Italia, nell’ambito delle proprie Offerta di riferimento per i servizi di accesso alla rete (doc. 14 ric.), descrive la banda CoS=0 come poco adatta alla fornitura di servizi real time (caratteristica dei servizi “ live streaming” ) e precisa che è preferibile che gli operatori, per l’offerta dei servizi audiovisivi, utilizzino una banda di qualità compresa tra la CoS=3 e la CoS=5;
viceversa, con la delibera impugnata, AGCOM, pur dichiarando di voler tener conto “delle caratteristiche di offerta e dei modelli di business di tale mercato”, non ha affatto considerato le predette circostanze relative all’offerta di contenuti audiovisivi attraverso la rete;
l’Autorità, infatti, del tutto immotivatamente ha disposto nelle Linee guida che, nella valutazione della replicabilità dell’offerta dei contenuti audiovisivi, non si debba computare il costo di utilizzo della banda CoS=3 o CoS=5, bensì quello della diversa, ed assai più scadente ed economica, banda CoS=0;

(ii) in secondo luogo, la delibera non chiarisce con esattezza il metodo di calcolo dei costi relativi agli investimenti iniziali che gli operatori di comunicazione devono sostenere per l’acquisto dei diritti di trasmissione di contenuti audiovisivi (doc. 1, allegato tecnico, par. 10, pag. 28).

7. Si è costituita in giudizio per resistere al ricorso, con il patrocinio dell’Avvocatura Generale dello Stato, l’AGCOM la quale ha depositato in corso di causa ampia memoria difensiva corredata da documenti.

Si altresì costituita la controinteressata Telecom Italia S.p.a., chiedendo il rigetto del ricorso.

Si è costituita in giudizio anche la Fastweb S.p.a. con comparsa meramente formale.

Scambiate tra le parti le memorie conclusive, la causa è stata discussa alla pubblica udienza del 7 febbraio 2018, quando è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

8. Venendo all’esame del merito delle censure svolte da Vodafone Italia S.p.a., si premette che le disposizione legislative e regolatorie di riferimento sono quelle già richiamate nelle superiore narrativa in fatto a cui si fa espresso rinvio.

Sul primo motivo di gravame – il quale, come visto, si incentra sul carattere ingiustificato della differenziazione tra il test di prezzo relativo alle offerte su rame e quello applicabile alle offerte di servizi su fibra (quest’ultimo ritenuto dalla ricorrente meno stringente e attendibile) - si può osservare quanto segue.

AGCOM parte dal dato di fondo, che non risulta invero né smentito né confutato da parte ricorrente, costituito dalle differenti condizioni competitive dei due mercati dei servizi in rame e dei servizi in fibra, rispetto ai quali si osserva che, mentre nei primi si è continuato a registrare un monopolio della Telecom nella fornitura degli “input wholesale”, al contrario nel mercato dei servizi a banda ultralarga gli “OLO” sono vincolati in misura minore dal dover ricorrere alla risorse di rete dell’operatore SPM, atteso che la realizzazione di infrastrutture di accesso finanziate con danaro pubblico (a seguito di appositi bandi competitivi) e i piani di investimento privati relativi alle infrastrutture in discorso hanno concorso a rendere disponibili risorse di rete alternative a quelle possedute da Telecom. Pertanto, fermo restando l’assoggettamento al test di replicabilità nei confronti di tutte le offerte “retail” dell’operatore regolato, per le offerte aventi ad oggetto servizi su fibra ottica, l’Autorità ha ritenuto di distinguere la metodologia applicativa del test DCF, in relazione alle condizioni competitive di quel mercato che sono oggettivamente diverse (vedi quanto esposto al paragrafo 5.3. della delibera oggi impugnata) e che si profilano come ancor più nettamente diversificate in futuro, nella prospettiva dell’incremento di infrastrutture facenti capo ad operatori diversi da Telecom nel mercato “ultrabroadband”.

Venendo al più puntuale esame delle specifiche censure articolate da Telecom Italia, si rileva in primo luogo che nessuna delle offerte di Telecom nel mercato al dettaglio è sottratta alla verifica di replicabilità, così come imposto dalla delibera 623/15/CONS. Il fatto che la valutazione delle promozioni aggregate ad una stessa offerta avvenga in forma aggregata non comporta la mancata verifica di singole offerte e contestuali promozioni le quali, evidentemente, concorrono tutte alla formazione del prezzo sottoposto al test DCF. Nessun pregio può avere l’ “argomento” secondo cui l’aggregazione dell’offerta e delle promozioni ad essa relative si presterebbe ad un possibile abbassamento della media del prezzo, ove venissero attuate condotte strumentali (per non dire apertamente scorrette) da parte dell’operatore SPM, giacché in una simile ipotesi avremmo a che fare con condotte miranti ad eludere o a distorcere gli esiti della verifiche, le quali, se accertate, comporterebbero sicuramente l’avvio di un procedimento sanzionatorio a carico dell’operatore notificato.

Quanto alla censura, strettamente collegata a quella appena esaminata, secondo cui la delibera non avrebbe dovuto riferirsi esclusivamente al piano previsionale di acquisizioni trasmesso da Telecom Italia, il quale può contenere dati che possono essere poi smentiti dalla realtà, appare convincente ai fini del rigetto della censura quanto argomentato dall’AGCOM nelle proprie difese (vedi pag. 9 della memoria), laddove si evidenzia che è prevista dal provvedimento impugnato anche una verifica “ex post” da svolgere sulla base dei dati del consuntivo, ai sensi del par.

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