TAR Genova, sez. II, sentenza 2009-10-21, n. 200902914

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Genova, sez. II, sentenza 2009-10-21, n. 200902914
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Genova
Numero : 200902914
Data del deposito : 21 ottobre 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01156/2005 REG.RIC.

N. 02914/2009 REG.SEN.

N. 01156/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 1156 del 2005, proposto da:
I C, rappresentato e difeso dagli avv. G G, L S, con domicilio eletto presso G G in Genova, via Corsica 21 Anzi via Roma 11/1;

contro

Comune di Genova, rappresentato e difeso dall'avv. A D M, con domicilio eletto presso A D M in Genova, via Garibaldi 9;

nei confronti di

R Q, rappresentato e difeso dall'avv. R D, con domicilio eletto presso R D in Genova, via Corsica 10/4;

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

della autorizzazione 21 ottobre 2005 n.293 all’ampliamento dei locali della Farmacia “Ponticelli” con contestuale spostamento dell’ingresso, nonché per l’annullamento dellae D.I.A. presentate in data 1 marzo 2005 e 12 luglio 2005 per l’esecuzione dei lavori necessari all’ampliamento della Farmacia “Ponticelli” ed allo spostamento dell’ingresso;
nonché la condanna del Comune intimato al risarcimento dei danni patiti in conseguenza del provvedimento impugnato.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Genova;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di R Q;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 ottobre 2009 il cons. Davide Ponte e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Con il gravame introduttivo del giudizio l’odierna ricorrente, nella qualità di titolare della farmacia Piva inclusa nella sede farmaceutica 28 della pianta organica genovese, impugnava l’autorizzazione e le dia di cui in epigrafe con cui erano stati assentiti i lavori di accorpamento alla farmacia Monticelli (odierna controinteressata sede n. 27) dei locali posti su corso de Stefanis 2r, 4r e 6r con conseguente autorizzazione all’ampliamento della stessa farmacia Monticelli.

Agli atti impugnati si muovevano pertanto le seguenti censure:

- con riguardo alle dia violazione degli artt. 22 tu edilizia e 5 l.r. 29\2002, 2 l. 475\1968, 13 d.P.R. 1275\1971 e 2 l.r. 3\1991 e della vigente pianta organica di farmacie, in quanto i lavori assentiti comportano una trasformazione incompatibile con la distribuzione del territorio tra farmacie di cui alla pianta organica;

- analoghe violazioni ed eccesso di potere per difetto di presupposto e istruttoria travisamento ed illegittimità derivata.

Veniva altresì formulata domanda di risarcimento danni conseguenti al provvedimenti, sub specie di perdita di guadagno derivante dall’illegittimo ampliamento della farmacia vicina.

L’amministrazione comunale intimata ed il titolare della farmacia controinteressata, costituitisi in giudizio, chiedevano la declaratoria di inammissibilità sotto diversi profili ed il rigetto del gravame.

Con ordinanza n. 556\2005 veniva respinta la domanda cautelare proposta da parte ricorrente.

All’udienza dell’ 1\10\2009 la causa passava in decisione

DIRITTO

In via preliminare occorre esaminare i diversi profili di eccezione sollevati dalla difesa di parte controinteressata, che peraltro risultano prima facie infondati.

In primo luogo, relativamente alla declaratoria di inammissibilità per mancato esperimento dell’azione di accertamento, a fronte della natura di d.i.a. di due dei tre atti oggetto di impugnazione, il Collegio non può che ribadire quanto già evidenziato in precedenza, insieme alla prevalente giurisprudenza, cioè che la d.i.a. è uno strumento di semplificazione e non di liberalizzazione, che consente al privato di ottenere un titolo abilitativo, sub specie di autorizzazione implicita di valore provvedimentale, a seguito del decorso dei termini prescritti per l'esercizio dei poteri inibitori da parte della P.A. (cfr. ad es. T.A.R. Liguria Genova, sez. II, 9 gennaio 2009 , n. 43).

La tesi a mente della quale la denuncia di inizio attività è un atto privato non impugnabile per cui il soggetto terzo è legittimato unicamente a presentare all'Amministrazione istanza formale per l'adozione dei provvedimenti sanzionatori previsti e ad impugnare l'eventuale silenzio-rifiuto su di essa formatosi (oppure il provvedimento emanato dalla stessa all'esito dell'avvenuta verifica), contrasta con: l'effettività della tutela anche giurisdizionale dei terzi, in quanto l'opzione criticata non appare conforme all'art. 24 della Costituzione nella misura in cui scollega la possibilità di agire in sede giurisdizionale dal momento di avvio dei lavori e quindi dalla concreta lesione degli interessi coinvolti;
la certezza delle posizioni giuridiche coinvolte, quindi anche (e soprattutto) di chi aspira legittimamente a realizzare gli interventi edilizi ammessi dalla pianificazione vigente senza rischi potenziali di successivi interventi dell'autorità sollecitata da privati la cui legittimazione non sempre è facilmente identificabile per le stesse amministrazioni coinvolte.

Invero, la stessa opinione giurisprudenziale da ultimo invocata da parte controinteressata (CdS sez. VI 717\2009) si muove nella medesima ottica tesa a garantire la certezza del diritto per la p.a. e per chi presenta la dia nonchè la tutela giurisdizionale per chi contesta l’intervento;
il diverso strumento processuale ipotizzato, in termini di azione di accertamento, se per un verso andrebbe meglio inquadrato in termini di ricostruzione teorica (sul punto spunti potranno venire dall’esercizio della delega di riforma del processo amministrativo di cui all’art. 44 l. 69 del 2009), per un altro verso anche la decisione della sesta sezione richiamata si muove nella medesima traccia della sottoposizione della domanda al termine di impugnativa decadenziale di sessanta giorni, al pari dell’azione impugnatoria, cosicché a fronte di una continua evoluzione giurisprudenziale sarebbe palesemente irragionevole escludere l’ammissibilità di una tempestiva impugnativa di interventi di trasformazione dell’esistente solo per il nomen formale assegnato allo strumento utilizzato.

In secondo luogo, relativamente all’inammissibilità per la mancata notifica agli enti controinteressati, per ciò che concerne le pp.aa. che adottano atti endoprocedimentali la qualifica invocata appare già in astratto non condivisibile (cfr. in via applicativa del principio ad es. T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 25 ottobre 2007 , n. 10094): controinteressato è colui che, oltre ad essere formalmente individuato quale beneficiario dell’atto impugnato (in quanto definitivo del procedimento), ha un interesse sostanziale al mantenimento dello stesso, connesso al bene della vita sottostante (nel caso de quo l’ampliamento dell’attività economica) mentre nel caso de quo le amministrazioni hanno esercitato un potere affidato dalle norme vigenti ed attuato sotto forma di atti endiprocedimentali, diversi dall’atto finale lesivo delle situazioni giuridiche azionate dai ricorrenti e favorevole per l’interesse sostanziale predetto.

In generale, la qualità di controinteressato spetta a chi abbia un interesse qualificato alla conservazione dell'atto impugnato (c.d. elemento sostanziale) e sia identificato nell'atto stesso, o quanto meno sia facilmente identificabile in virtù del contenuto di quest'ultimo (c.d. elemento formale);
pertanto, tale qualità non può spettare ad un soggetto pubblico che abbia compiuto atti preparatori o endoprocedimentali, non riconoscendosi un interesse qualificato alla conservazione dell'atto distinto da quello generale della p.a. alla conservazione degli atti legittimi, di talché ad esso non deve essere notificato il relativo ricorso giurisdizionale ai sensi dell'art. 21, comma 1, l. n. 1034 del 1971 (cfr. ad es. T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 13 marzo 2006 , n. 283, T.A.R. Campania, sez. V, 7 dicembre 2004, n. 18510;
T.A.R. Lazio, sez, I, 3 dicembre 1987, n. 1899).

In terzo luogo, relativamente alla presunta carenza di interesse, appare in contrario evidente la sussistenza di un interesse concreto ed attuale in capo al titolare di farmacia avverso gli atti ampliativi della farmacia limitrofa che si viene a collocare in area riservata dalla pianta organico vigente al medesimo ricorrente.

Infine, palesemente infondata appare altresì l’eccezione relativa al presunto difetto di giurisdizione, atteso che, se da un lato la natura della situazione giuridica azionata dinanzi ad atti autoritativi di ampliamento di farmacia assume i primari connotati di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione amministrativa generale, dall’altro lato la materia dell’edilizia rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Nel merito il ricorso è fondato sotto entrambi i profili dedotti.

Dall’analisi della documentazione versata in atti, ed in specie della pianta organica vigente all’epoca, appare evidente come l’area interessata e chiaramente individuata attraverso i numeri civici indicati espressamente nella pianta (tutti i numeri pari di corso de Stefanis, quindi compresi i nn. 2, 4 e 6) rientrasse nella sede farmaceutica n. 28, di cui è titolare l’odierna parte ricorrente. Conseguentemente, oltre all’impossibilità di individuare la presunta incertezza interpretativa nella lettura della stessa pianta, le determinazioni impugnate appaiono illegittime nei termini dedotti in quanto fondate su di un presupposto all’evidenza errato.

Peraltro, anche nel caso in cui tale incertezza sussistesse l’amministrazione, prima di rilasciare i titoli autorizzativi contestati, avrebbe dovuto svolgere quell’attività istruttoria e provvedimentale necessaria per l’attivazione del percorso modificativo della pianta organica, cosicché il diverso comportamento consolidatosi nell’assenso all’intervento contestato appare viziato nei medesimi termini dedotti, la variazione della pianta dovendo, per logica non solo giuridica, precedere piuttosto che seguire a guisa di ratifica (oltretutto anni dopo) l’assenso alla trasformazione impugnata.

Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso appare fondato con conseguente annullamento degli atti impugnati.

All’accoglimento del gravame consegue altresì l’esame della domanda risarcitoria proposta, parimenti fondata nei limiti che seguono.

In generale, da un punto di vista oggettivo l’illegittimità del provvedimento (come sopra accertata nel caso de quo) e la conseguente lesione dell’interesse diretto concreto ed attuale azionato appaiono assumere primario rilievo nell’individuazione degli elementi di responsabilità dell’amministrazione.

Peraltro, sotto il profilo dell’elemento soggettivo con il conforto della costante opinione giurisprudenziale va ribadito che se la semplice violazione della norma e quindi l'illegittimità del provvedimento non implica di per sé, in materia di risarcimento danni, la sussistenza della colpa dell'amministrazione, di norma tale medesima illegittimità del provvedimento costituisce la base per l'operare di una presunzione semplice che consente al giudice di inferire la colpa dell'amministrazione in assenza di altri elementi che inducano a ritenere la scusabilità dell'errore, quali la particolare complessità dell'istruttoria, l'equivocità degli orientamenti giurisprudenziali la novità della normativa e così via (cfr. ad es. T.A.R. Liguria Genova, sez. II, 13 maggio 2009 , n. 1026).

Nel caso di specie, a fronte dell’accertata illegittimità degli atti impugnati, la presunzione in termini di colpa, rafforzata dalla chiarezza della pianta organica sul punto contestato e dalla mancata attesa della tempestiva modifica della stessa, non risulta superata da altri elementi qualificabili nei sensi di errore scusabile.

Per ciò che concerne il danno lamentato, compresa la relativa prova, ed il nesso di causalità occorre anche qui richiamare i principi ormai consolidatisi in giurisprudenza. Ai fini del risarcimento dei danni provocati da illegittimo esercizio del potere amministrativo il ricorrente, in applicazione del principio generale fissato dall'art. 2967 c.c., secondo il quale chi agisce in giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda, è tenuto a comprovare in modo rigoroso l'esistenza del danno che assume aver subito, non potendo invocare il c.d. principio acquisitivo, in quanto attinente allo svolgimento dell'istruttoria e non all'allegazione dei fatti dell'onere della prova, e l'assolvimento di quest'ultimo assume importanza fondamentale perché il diritto entra nel processo attraverso le prove ma queste ultime devono avere ad oggetto fatti circostanziati, con la conseguenza che se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subito e della sua entità, non può comunque prescindersi dalla necessità di allegare circostanze di fatto precise a dimostrazione della pretesa, atteso che il potere del giudice di liquidare il danno con valutazione equitativa non esonera la parte interessata dall'obbligo di offrire al giudice gli elementi probatori circa la sussistenza del danno, esaurendosi il suo apprezzamento equitativo nella necessità di colmare lacune inevitabili nella determinazione del preciso ammontare del danno (cfr. in materia ex multis Consiglio Stato , sez. V, 16 febbraio 2009 , n. 842).

Nel caso di specie parte ricorrente ha fornito una dettagliata ricostruzione degli elementi concernenti il danno lamentato nonché la sussistenza del nesso di causalità, attesa la diretta inferenza della lesione all’illegittimo rilascio dei titoli ampliativi, in quanto appare evidente e logicamente dimostrato come dall’apertura delle vetrine della farmacia controinteressata sulla zona di competenza della sede farmaceutica n. 28 sia derivata una diminuzione dei ricavi per i locali esistenti di cui è titolare l’odierna parte ricorrente.

Per ciò che concerne in specie i danni lamentati, la presunzione di partenza risulta approfondita dalla dimostrazione della diminuzione dei ricavi nel periodo successivo all’apertura contestata rispetto al pregresso, oltretutto in controtendenza rispetto all’andamento precedente. Sul punto della quantificazione, il prospetto prodotto costituisce una base di calcolo adeguata, in ordine alla quale appare equitativo, a fronte dell’alea del mercato e della mancata indicazione del contestuale incremento della farmacia Piva, procedere alla detrazione di una quota percentuale pari al 50 %.

Conseguentemente, in accoglimento della domanda risarcitoria il Comune di Genova va condannato al pagamento, in favore di parte ricorrente, della somma pari ad euro 70.700.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

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