TAR Roma, sez. I, sentenza 2020-07-14, n. 202008032
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Pubblicato il 14/07/2020
N. 08032/2020 REG.PROV.COLL.
N. 05921/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5921 del 2018, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv.ti M B e F F, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Roma, piazza Paganica, 13;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliato
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
-OMISSIS-, non costituita in giudizio;
per l'annullamento
- del verbale n. 346 del 17 luglio 2017 della Commissione del concorso a 500 posti notaio (indetto con D.D. 21 aprile 2016), nella parte in cui contiene la valutazione negativa delle prove scritte effettuate dal ricorrente ed in quella che dichiara non idoneo lo stesso (assieme alla allegata scheda contenente la formulazione standard della motivazione del provvedimento) e di conseguenza non lo ammette a sostenere la prova orale;
- dell'eventuale e successivo atto amministrativo che dichiara la non idoneità del dott. -OMISSIS- e di conseguenza non ammette lo stesso a sostenere la prova orale;
- dell'atto con il quale la Commissione definisce i criteri di valutazione delle prove scritte dei candidati;
- dell'atto di approvazione dell'elenco alfabetico contenente i risultati delle valutazioni delle prove scritte, elaborato dalla Commissione e pubblicato sul sito del Ministero della Giustizia;
- di ogni altro atto, anche se non conosciuto, antecedente, presupposto, susseguente, conseguente, consequenziale, applicativo e connesso al provvedimento principale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatrice, nell'udienza del giorno 8 luglio 2020, la dott.ssa Laura Marzano in collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’art. 84, comma 6, D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito in L. 27/2020, come modificato dall’art. 4, D.L. 30 aprile 2020, n. 28;
Udito il difensore della parte ricorrente in collegamento da remoto in videoconferenza, ai sensi dell’art. 4 D.L. 28/2020, nonché del decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 134/2020 e delle Linee Guida sull’applicazione del predetto art. 4 D.L. 28/2020, come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente ha partecipato al concorso per il conferimento di posti notarili indetto dal Ministero del Giustizia con Decreto dirigenziale del Direttore Reggente della Giustizia civile del 21 aprile 2016, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 33 del 26 aprile 2016 – IV serie speciale.
All’esito della correzione dei tre elaborati scritti, la Commissione lo ha dichiarato “non idoneo”;pertanto il ricorrente non è stato ammesso a sostenere la prova orale.
I risultati delle prove scritte sono stati pubblicati sul sito del Ministero tra il 12 ed il 15 febbraio 2018, ed in pari data è stato pubblicato anche l’elenco dei candidati ammessi alle prove orali.
Con il ricorso in epigrafe il ricorrente, ha quindi, impugnato il giudizio di non idoneità espresso nei di lui confronti, unitamente agli atti presupposti e consequenziali, formulando i seguenti motivi:
I) Violazione di legge con riguardo all’art. 11 D.Lgs. 166/2006 e eccesso di potere per errore di fatto, manifesta illogicità e manifesta irragionevolezza degli atti che valutano come insufficiente la prova di diritto civile.
Con tale motivo il ricorrente contesta il giudizio di insufficienza dato con riguardo all’elaborato di diritto civile, al punto n. 13 della motivazione, confutando e ritenendo errati i quattro profili sui quali si è appuntato il giudizio negativo della Commissione.
II) Violazione di legge con riguardo all’art. 11 D.Lgs. 166/2006 ed eccesso di potere per errore di fatto, manifesta illogicità e manifesta irragionevolezza degli atti che valutano come insufficiente la prova attinente al diritto commerciale.
Con tale motivo il ricorrente contesta il giudizio di insufficienza dato con riguardo all’elaborato di diritto commerciale, al punto n. 13 della motivazione, confutando e ritenendo errati i due profili sui quali si è appuntato il giudizio negativo della Commissione.
III) Violazione di legge con riguardo all’art. 11 del D.Lgs. 166/2006 ed eccesso di potere per errore di fatto, manifesta illogicità e manifesta irragionevolezza degli atti dichiarano non idoneo il candidato, poiché l’elaborato, attinente all’atto di ultime volontà, sarebbe gravemente insufficiente per travisamento della traccia.
Con tale motivo, suddiviso in due parti, il ricorrente contesta il giudizio di insufficienza dato con riguardo all’elaborato mortis causa , in particolare soffermandosi: sul punto n. 2 della motivazione (prima parte), che ritiene erroneo sostenendo la correttezza della soluzione offerta nell’elaborato;sul punto n. 8 della motivazione, sostenendo l’insussistenza dell’errore di diritto rilevato dalla Commissione.
Il Ministero della Giustizia si è costituito in giudizio per resistere al gravame, del quale ha eccepito l’inammissibilità per omessa notifica ad almeno un controinteressato, chiedendone, comunque, la reiezione per infondatezza.
Alla camera di consiglio del 20 giugno 2018 il ricorrente ha rinunciato all’istanza cautelare.
In vista della trattazione del merito il ricorrente ha depositato ulteriore documentazione e una memoria conclusiva.
All’udienza dell’8 luglio 2020 la causa è stata, infine, trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Deve essere brevemente tratteggiato il quadro normativo e giurisprudenziale riferibile alla fattispecie in esame.
S l’art. 11, comma 7, D.Lgs. 166/2006 la Commissione procede alla lettura degli elaborati di ciascun candidato, quindi esprime un giudizio complessivo di idoneità per l’ammissione alla prova orale: tale giudizio viene dunque formulato, di regola, ultimata la lettura di tutti e tre gli elaborati.
S le previsioni introdotte con l’art. 34, comma 50, lettera f), D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, come sostituito dalla legge di conversione 17 dicembre 2012, n. 221, l’eventuale giudizio di non idoneità deve essere sinteticamente motivato con ricorso a “formulazioni standard ”, che la Commissione deve predisporre contestualmente alla definizione dei criteri cui si atterrà nella correzione dei compiti: ciò al fine di semplificare e snellire il lavoro della Commissione, di rendere omogenea l’applicazione dei criteri prestabiliti e di rendere più semplice la verifica, ab externo , della osservanza dei criteri che la Commissione si è data.
L’art. 11, comma 7, D.Lgs. 166/2006, stabilisce ancora che “Nel caso in cui dalla lettura del primo o del secondo elaborato emergano nullità o gravi insufficienze, secondo i criteri definiti dalla Commissione, ai sensi dell’art. 10, comma 2, la Sottocommissione dichiara non idoneo il candidato, senza procedere alla lettura degli elaborati successivi”.
Le cause di nullità e le “gravi insufficienze”, prefigurate dall’art. 11, comma 7, sono idonee a precludere l’ulteriore corso della correzione degli elaborati di un candidato e la successiva attività valutativa della commissione - che si estrinseca nel giudizio complessivo di idoneità o non idoneità alla prova orale -, evidentemente in quanto indici di gravi lacune nella preparazione del candidato;essi sono perciò definiti anche come “errori ostativi” (cfr. (Cons. Stato, Sez. IV, 25 ottobre 2016, n. 4459;T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 2 dicembre 2013, n. 10349;id. 9 aprile 2013, n. 3570: giurisprudenza da ultimo richiamata in T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 9 aprile 2019, n. 4591).
Nel caso di specie la Commissione, in sede di definizione dei criteri di correzione, ha infatti stabilito di ritenere rilevanti, ai sensi dell’art. 11, comma 7, tutte le cause di nullità formali e sostanziali nonché le “gravi insufficienze”, come declinate nel verbale n. 9 del 13 dicembre 2016.
2. Tanto premesso in linea generale, il Collegio osserva che la tipologia delle censure formulate in ricorso suggerisce di soffermarsi preliminarmente sull’ambito entro il quale è consentito il vaglio giurisdizionale in subjecta materia.
Come più volte affermato in giurisprudenza, anche della Sezione, il giudizio della Commissione, comportando una valutazione essenzialmente qualitativa della preparazione scientifica dei candidati, attiene alla sfera della discrezionalità tecnica, censurabile – unicamente sul piano della legittimità – per evidente superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità, laddove tali profili risultino emergenti dalla stessa documentazione e siano tali da configurare un palese eccesso di potere, senza che, con ciò, il giudice possa o debba entrare nel merito della valutazione ( ex multis , T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 21 ottobre 2016, n. 10500).
Il giudizio di legittimità non può, infatti, trasmodare in un rifacimento, ad opera dell'adito organo di giustizia, del giudizio espresso dalla Commissione, con conseguente sostituzione alla stessa, potendo l'apprezzamento tecnico dell’organo collegiale essere sindacabile soltanto ove risulti macroscopicamente viziato da illogicità, irragionevolezza o arbitrarietà.
La giurisprudenza è costante nell’affermare che le valutazioni della Commissione del concorso notarile, come in generale tutti i giudizi aventi ad oggetto prove d’esame o di concorso, sono espressione di discrezionalità sindacabile solo ab extrinseco , nel caso di manifesta irragionevolezza o palese travisamento rilevabili ictu oculi (Cons. Stato, Sez. IV, 8 febbraio 2017, n. 558;T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 16 luglio 2010, n. 26342).
Deve, pertanto, ritenersi inammissibile una censura che miri unicamente a proporre una diversa valutazione dell’elaborato, atteso che in tal modo verrebbe a giustapporsi alla valutazione di legittimità dell'operato della Commissione una – preclusa – cognizione del merito della questione (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 8 febbraio 2019, n. 1690).
3. Tanto chiarito in linea di principio, si può prescindere dall’esame dell’eccezione preliminare di inammissibilità sollevata dalla difesa erariale, peraltro infondata, essendo il ricorso da respingere.
La Commissione, nel corso della seduta plenaria del 13 dicembre 2016, ha predisposto la scheda delle c.d. “motivazioni standard ”, che includono 17 diverse tipologie di errori, dei quali 9 integranti “ grave insufficienza ” e comportanti la declaratoria di inidoneità, e quelli dal n. 10 al n. 17 integranti “errori non ostativi”.
Gli elaborati del ricorrente, cui era assegnato il n. 818, sono stati corretti in data 12 luglio 2017.
Nel verbale n. 346, relativo a tale seduta, l’atto mortis causa è stato ritenuto:
- al punto 2 gravemente insufficiente per travisamento della traccia “per non aver previsto che il legato a favore di F fosse “in sostituzione di legittima””;
- al punto 8 gravemente insufficiente per presenza di errori di diritto nell’atto “per aver previsto che il legato a favore di C potesse essere effettuato a tacitazione dei diritti alla medesima spettanti ex art. 9- bis della Legge 898/70”.
4. Il ricorrente contesta tali giudizi con il terzo motivo.
In particolare, con riferimento al legato, ammette di aver predisposto a favore di F il legato chiesto dal testatore, senza ulteriori specificazioni ma sostiene che, stante la qualità di legittimario di F (come evidenziato nella parte teorica della prova), tale disposizione andrebbe considerata come legato in conto di legittima, alla stregua della differenza fra il legato in sostituzione e quello in conto legittima desumibile dalla disposizione contenuta nell’art. 551, comma 2, c.c..
Quindi sostiene che nel suo elaborato la volontà del testatore era chiara: tenuto conto della accertata qualità di legittimario di F, egli vorrebbe destinare al nipote solo alcuni beni, identificati per qualità e quantità. Richiama, in proposito la distinzione fra il legato di eguale valore e quello di valore inferiore alla legittima e conclude che non sussisterebbe il grave errore di travisamento della traccia, come invece afferma nella motivazione la Commissione.
Aggiunge che “La Commissione è incorsa in errore, perché il suo giudizio si è fondato sulla superficiale lettura della traccia. Essa, difatti, ha ritenuto che la soluzione fosse quella del legato sostitutivo, ritenendo che l’uso nella traccia dell’avverbio esclusivamente sia riferibile con riguardo alla quantità beni da destinare a F e non alla loro qualità. Al contrario, l’uso di tale lemma indica in maniera chiara un preciso ed inequivocabile l’intento pratico del cliente, al quale il notaio deve dare seguito nell’ambito delle possibilità che la legge consente. Come si è visto, nell’ambito di tali possibilità, la soluzione scelta dal candidato è quella corretta” (così testualmente a pagg. 17-18 del ricorso).
Il che, a suo dire, denoterebbe che “la decisione dell’amministrazione sia viziata da errore di fatto, manifesta illogicità e manifesta irragionevolezza”.
4.1. Deve essere riportato il testo della traccia, che richiedeva di raccogliere le ultime volontà di T e tradurle nella forma giuridica più rispettosa delle intenzioni del testatore, nonché idonea ad assicurare gli effetti voluti dalla parte: "T dichiara al notaio che il figlio P, premorto mentre era detenuto in esecuzione di una pena di anni 8 di reclusione, ha riconosciuto come suo figlio F, al quale il testatore non vuole lasciare alcunché. Tuttavia, qualora F fosse suo legittimario, vorrebbe lasciare al medesimo esclusivamente il danaro e i titoli esistenti e relativi al conto bancario intestato a T presso la banca Gamma s.p.a.".
Osserva il Collegio che la traccia esplicitava la volontà del testatore di "non lasciare alcunché" al nipote ( ex filio ) F e, in subordine, solo se legittimario, di assegnargli alcuni beni, specificamente individuati, estromettendolo (per quanto consentito dalla legge) dalla successione in universum ius .
Dunque, per realizzare la volontà del testatore, era necessario optare per il legato in sostituzione di legittima, essendo tale istituto di fatto preordinato alla diseredazione del legittimario, che, conseguendo il legato, non acquista la qualità di erede (art. 551 c.c.);è proprio la giurisprudenza, infatti, ad affermare che, al fine della configurabilità del legato in sostituzione di legittima, occorre che dal complessivo contenuto delle disposizioni testamentarie risulti l'inequivoca volontà del de cuius di tacitare il legittimario con l'attribuzione di determinati beni, precludendogli la possibilità di mantenere il legato e di attaccare le altre disposizioni per far valere la riserva, laddove, in difetto di tale volontà, il legato deve ritenersi "in conto" di legittima ( ex multis : Cass. sez. II, 19 novembre 2019, n. 30082).
Quindi la scelta del legato in conto di legittima, piuttosto che del legato sostitutivo, correttamente è stata ritenuta non congrua con la traccia. Né, alla ritenuta incongruità, può sopperire la tesi prospettata in ricorso, relativa all’aver implicitamente pronosticato il futuro rifiuto del legato sostitutivo da parte del legittimario, atteso che tale prospettazione non era presente nella traccia e neanche è presente nell’elaborato.
Quanto precede depone per l’infondatezza della doglianza con cui il ricorrente censura il giudizio della Commissione per arbitrarietà, illogicità o per essere frutto di travisamento della traccia.
4.2. Inoltre la traccia chiedeva di predisporre un testamento con il quale C (ex moglie, divorziata, del testatore T) avrebbe potuto beneficiare di un assegno mensile di € 500,00, a spese di S, figlio del testatore, in continuità con quanto già pagato, dallo stesso testatore T, a titolo di assegno divorzile.
Osserva il Collegio che risulta corretto il giudizio della Commissione laddove ha rilevato errori di diritto (punto 8 del giudizio), nell'avere il candidato, senza che ciò fosse richiesto dalla traccia e per di più senza fornire alcuna motivazione nella parte teorica, accostato il legato di prestazione periodica ad un istituto non contemplato dalla traccia (quale la tacitazione del diritto all'assegno previsto, dall'art. 9 bis L. 898/1970, per il caso in cui il beneficiario di assegno divorzile versi in stato di bisogno "dopo il decesso dell'onerato"), l'avere attribuito al legato una funzione solutoria di un credito non certo nella sua insorgenza, essendo demandato al giudice il suo accertamento.
In conclusione il terzo motivo è infondato.
5. Sempre nel verbale n. 346 del 12 luglio 2017, si legge al punto 13, che riguarda l’insufficienza dell’elaborato “per difetto di completezza e/o di coerenza logica e/o di ordine e/o di chiarezza e/o di esattezza sotto il profilo giuridico sia in relazione alla motivazione delle scelte compiute, sia in relazione allo svolgimento della parte teorica”, la Commissione ha ravvisato tale insufficienza nell’elaborato di diritto commerciale “per non aver effettuato alcun riferimento, né in parte pratica né in parte teorica, al sovrapprezzo delle azioni a seguito di un aumento oneroso del capitale sociale con limitazione del diritto di opzione;per aver omesso ogni indicazione in merito al trattamento delle azioni proprie in riferimento agli aumenti di capitale”.
Il ricorrente contesta entrambi tali rilievi con il secondo motivo, sostenendo che le mancanze ascrittegli non sarebbero ravvisabili nel suo elaborato.
5.1. Quanto al sovrapprezzo il ricorrente sostiene che non sarebbe vero che egli non ne abbia fatto menzione affermando che egli avrebbe applicato correttamente la disciplina di cui all’art. 2441, comma 6, c.c. con implicito riferimento al sovraprezzo delle azioni, “per il tramite dell’allegazione della relazione degli amministratori motivatamente approvata dal collegio sindacale”. Aggiunge che “la relazione degli amministratori, quando indica i criteri del prezzo di emissione, significa che le azioni daranno emesse in sovraprezzo, poiché qualora fossero emesse al valore nominale non ci sarebbe stata la necessita della determinazione dei predetti criteri. Peraltro, qualora l’aumento del capitale sociale avvenga per il conferimento di un bene in natura, come nel caso di specie (autoveicolo industriale) l’emissione delle nuove azioni, con la procedura prevista dalla norma richiamata, è obbligatoria”.
Osserva il Collegio che il rilievo della Commissione circa il sovrapprezzo, a fronte del tenore della riportata censura, non appare frutto di travisamento, alla stregua del dettato normativo di cui agli artt. 2343 e 2441 c.c.. Invero, come noto al ricorrente, la delibera di aumento oneroso "con esclusione del diritto di opzione", in ragione della (futura) liberazione delle azioni di nuova emissione, mediante conferimento in natura, avrebbe imposto l'applicazione di un sovrapprezzo alla stregua delle norme richiamate. Quindi la deliberazione assembleare avrebbe dovuto determinare "il prezzo delle azioni in base al valore del patrimonio netto, tenendo conto, per le azioni quotate in mercati regolamentati, anche dell'andamento delle quotazioni nell'ultimo semestre" (art. 2441 comma 6, c.c.), in modo da compensare l'esclusione del diritto di opzione altrimenti spettante ai soci.
Pertanto era imprescindibile, nella delibera, la specifica indicazione che le azioni di nuova emissione, da liberare mediante conferimento in natura, fossero offerte ad un prezzo da indicare, ovviamente maggiore del valore nominale, in quanto calcolato in base al patrimonio netto;viceversa, come rileva anche la difesa erariale, negli elaborati di diritto commerciale del ricorrente il termine "sovrapprezzo" non risulta mai utilizzato né risulta trattato l’argomento.
5.2. Analogamente per quanto riguarda la questione delle azioni proprie, il ricorrente sostiene che sarebbe sufficiente il riferimento all’art. 2357 ter c.c., che contiene la disciplina delle azioni proprie, richiamo che egli avrebbe fatto sia nella parte teorica, sia in quella pratica.
Si tratta di una tesi che non coglie nel segno essendo pacifico, anche alla stregua del tenore della censura, che in nessuna parte degli elaborati risulta una chiara trattazione in merito del tema delle azioni proprie in sede di aumento gratuito, né la trattazione in ordine alla possibilità, per la società titolare di azioni proprie, di beneficiare (o non beneficiare) dell'aumento gratuito di capitale, avendo egli trattato solo del diritto di voto (occasionalmente sospeso per le azioni proprie), del diritto di opzione e del diritto agli utili (proporzionalmente attribuiti alle altre azioni), del conteggio delle azioni proprie nei quorum costitutivi e deliberativi (in sintesi, del contenuto prescrittivo dell'art. 2357 ter c.c.).
I rilievi che precedono consentono di affermare che, nel caso di specie, non è ravvisabile la manifesta illogicità e irragionevolezza nel giudizio reso dalla Commissione, né emerge il travisamento dei fatti invocato dal ricorrente;tanto preclude a questo Giudice di sindacare il merito della valutazione effettuata dalla Commissione, valutazione che, peraltro, appare al Collegio poggiare su elementi concreti ed obbiettivi, con riferimento sia ai criteri di valutazione dalla stessa predeterminati sia alla gravità degli errori rilevati (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 14 novembre 2019, n. 13100).
Dunque anche il secondo motivo è infondato.
6. Con il primo motivo il ricorrente censura il giudizio relativo alla prova di diritto civile, nell’ambito della quale la Commissione ha ravvisato l’insufficienza dell’elaborato “per difetto di completezza e/o di coerenza logica e/o di ordine e/o di chiarezza e/o di esattezza sotto il profilo giuridico sia in relazione alla motivazione delle scelte compiute, sia in relazione allo svolgimento della parte teorica”, “per aver lasciato indeterminata la quota di legittima spettante ai partecipanti all’atto;per aver completamente taciuto, sia nell’atto che nella parte teorica, ogni riferimento alle dichiarazioni relative all’attestato di prestazione energetica e alle dichiarazioni previste dalla legge “Bersani”;per omessa previsione di un inventario indicante il valore dei singoli beni ai sensi dell’art. 782 c.c., pur dando atto in parte teorica della plausibile natura donativa del patto di famiglia;per avere impropriamente fatto riferimento ad un “incarico” nella individuazione del negozio giuridico utilizzato per la delegazione di pagamento di P a T”.
6.1. Il ricorrente, nella premessa del rogito riguardante il "patto di famiglia", risulta aver lasciato indeterminata la quota frazionaria spettante a ciascun legittimario, il che depone per la correttezza del rilievo della Commissione, tenuto conto che tale indeterminatezza, come rilevato anche dalla difesa erariale, non risulta colmata neppure dalla restante parte dell’elaborato né nella motivazione, né in parte teorica.
Inoltre nella parte relativa ai negozi giuridici conclusi dalle parti è effettivamente utilizzata l’espressione “incarico” per l’individuazione del negozio giuridico utilizzato per la delegazione di pagamento di P a T.
Il ricorrente, in proposito, sostiene che non corrisponderebbe a verità che egli abbia pretermesso il tema della delegazione di pagamento, atteso che all’art. 3) dell’atto, egli fa espresso riferimento alla delegazione di pagamento, “poi però lo stesso usa il lemma incarico come sinonimo di questo” e ritiene che l’uso del sinonimo debba essere considerato ammissibile.
Osserva il Collegio che la censura è eccentrica rispetto al tema, atteso che la Commissione non ha ritenuto tale “sinonimo” inammissibile, come opina il ricorrente, ma ha giudicato tale espressione “impropria” nel contesto di un rogito notarile, con una valutazione che sfugge a qualsivoglia censura di irragionevolezza o arbitrarietà, denotando tale espressione una non adeguata padronanza del linguaggio tecnico esigibile da un notaio.
6.2. Il ricorrente censura poi la motivazione relativa all'omessa “previsione di inventario indicante il valore dei singoli beni ai sensi dell'art. 782 c.c., pur dando atto in parte teorica della plausibile natura donativa del patto di famiglia".
Osserva il Collegio che nell’elaborato il ricorrente ha accostato il patto di famiglia alla donazione, in più di un passaggio della parte motiva e della parte teorica;ciò avrebbe richiesto la specificazione delle cose mobili oggetto di trasferimento, con indicazione analitica del loro valore, come previsto dall'art. 782, comma 1, c.c., mediante l’inventario.
Mancando tale specificazione, la motivazione della Commissione non appare, sul punto, né illogica né arbitraria.
A parere del Collegio tali rilievi depongono autonomamente per la correttezza del giudizio reso sulla prova di diritto civile, il che dequota la censura ulteriore secondo cui, quanto alla rilevata mancanza di “ogni riferimento alle dichiarazioni relative all’attestato di prestazione energetica e alle dichiarazioni previste dalla legge “Bersani”, il ricorrente da una parte ha fatto riferimento al c.d. "attestato di prestazione energetica" e, dall’altra, "le dichiarazioni previste dalla legge "Bersani" si sarebbero potute omettere non essendovi il pagamento di un corrispettivo in danaro, a fronte del negozio traslativo immobiliare.
In proposito appare utile considerare come la motivazione del giudizio di non idoneità si presenti, in concreto, affidata a una pluralità di ragioni di grave insufficienza, le quali risultano già in sé idonee a motivare il giudizio di non idoneità: tanto comporterebbe la carenza di interesse allo scrutinio della censura da ultimo citata (cfr., in fattispecie analoga, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 11 gennaio 2018, n. 311).
In chiusura il Collegio osserva che il ricorrente in realtà, pur denunciando in ciascun motivo un “travisamento” degli elementi forniti dal candidato (con ciò invocando la piena legittimità del sindacato giurisdizionale dando atto di conoscerne i limiti), tende inammissibilmente (a tal fine allegando tre pareri pro veritate resi da esperti) a confutare nel merito i rilievi della Commissione in ordine alle omissioni ravvisate.
Il Collegio non può dunque prendere cognizione delle contestate valutazioni della Commissione, non trattandosi nella fattispecie dell’accertamento di un fatto o del rilievo di una manifesta illogicità valutativa, quanto piuttosto del compimento di un’attività valutativa e comparativa, dell’elaborato del candidato e dei rilievi della Commissione, con tutta evidenza preclusa a questo Giudice (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 14 novembre 2019, n. 13099).
La mancanza dei connotati della manifesta illogicità e irragionevolezza e l’assenza del “travisamento dei fatti” invocata dal ricorrente con riferimento all’intero compendio motivazionale preclude, quindi, all’adìto Giudice di sindacare il merito della valutazione effettuata dalla Commissione, valutazione che, come sopra rilevato, appare al Collegio ben motivata con riferimento sia ai criteri di valutazione dalla stessa predeterminati sia alla gravità degli errori.
Il Collegio concorda infine con la tesi a più riprese affermata dalla giurisprudenza secondo cui, ai fini della confutazione del giudizio della Commissione di concorso, è irrilevante la presentazione di pareri pro veritate , atteso che spetta in via esclusiva a quest'ultima la competenza a valutare gli elaborati degli esaminandi e — a meno che non ricorra l'ipotesi residuale della abnormità — non è consentito al giudice della legittimità sovrapporre alle determinazioni da essa adottate il parere reso da un soggetto terzo, quale che sia la sua qualifica professionale e il livello di conoscenze e di esperienze acquisite nella materia de qua (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 10 dicembre 2019, n. 14146;Cons. Stato, Sez. IV, 5 gennaio 2017, n. 11).
Conclusivamente, per quanto precede, il ricorso deve essere respinto.
6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.