TAR Genova, sez. I, sentenza 2018-05-29, n. 201800501
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Pubblicato il 29/05/2018
N. 00501/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00213/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 213 del 2017, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati G R, A B e A G, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A G in Genova, via XX Settembre 6/9;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso
ex lege
dall'Avvocatura Distrettuale, domiciliata in Genova, viale Brigate Partigiane, 2;
per l’accertamento e la declaratoria
del diritto della ricorrente a percepire, in relazione ai permessi fruiti e fruendi ex art. 33, comma 6, della legge n. 104/1992, l'intero trattamento economico, comprensivo dell'indennità di cui all'art. 3 della legge n. 27/1981 e, per l'effetto, condannare il Ministero della Giustizia a corrispondere l'importo dell'indennità giudiziaria non pagata in relazione ai permessi già usufruiti dalla ricorrente, oltre al maggior importo tra interessi legali e rivalutazione monetaria dalla maturazione al saldo.
Con condanna alle spese ed onorari di giudizio ed alla ripetizione del contributo unificato corrisposto.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2018 la -OMISSIS-E G e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La -OMISSIS--OMISSIS-, -OMISSIS-che attualmente ricopre l’incarico di -OMISSIS- -OMISSIS-, nel giugno 2016 è stata riconosciuta portatrice di handicap in situazione di gravità ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 ( Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate ), con conseguente diritto alla fruizione dei permessi previsti dall’articolo 33, comma 6, della medesima legge.
Ritenendo illegittima la decurtazione dell’indennità giudiziaria operata nei suoi confronti in corrispondenza dei periodi di utilizzo dei permessi de qua, la -OMISSIS- ha presentato l’odierno ricorso ai fini dell’accertamento del suo diritto a percepire l’intero trattamento economico, comprensivo dell’indennità giudiziaria prevista dall’articolo 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 ( Provvidenza per il personale di -OMISSIS- ), con conseguente condanna dell’amministrazione resistente al versamento degli importi ad essa spettanti a tale titolo per i permessi fruiti e fruendi.
La richiesta formulata nel ricorso introduttivo si fonda sul combinato disposto degli articoli 33, comma 4 della citata legge n. 104 del 1992 e dell’articolo 8 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, ora articolo 43 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, secondo cui per i permessi in questione è dovuta “ un'indennità pari all'intero ammontare della retribuzione ”.
Ad avviso dell’esponente la previsione del diritto all’“ intera retribuzione ” deve intendersi riferita non solo al trattamento economico di base, ma altresì ai compensi incentivanti e a tutti gli emolumenti connessi alle specifiche caratteristiche della prestazione lavorativa.
A sostegno di tale argomentazione evidenzia in primo luogo la circostanza che i periodi di fruizione dei permessi in questione – a differenza di quanto previsto per altre tipologie di assenza dal servizio- sono computati ai fini della maturazione delle ferie e della tredicesima mensilità, nonché dell’anzianità di servizio.
L’esponente richiama inoltre la ratio dei permessi previsti dalla legge 104/1992, finalizzati a garantire i diritti di libertà ed autonomia della persona, la tutela della salute ed il rispetto dei doveri di solidarietà sociale, in attuazione degli articoli 2, 3, 32 e 38 della Costituzione e, conseguentemente, la necessità di evitare decurtazioni o riduzioni del correlato trattamento economico che possano recare pregiudizio, creare disparità di trattamento o disincentivarne l’utilizzo.
Ulteriormente, aderendo ad un’interpretazione letterale dell’articolo 3 della legge 27 del 1981, sottolinea come detti permessi non rientrino nel novero delle ipotesi testuali per le quali tale norma ha escluso la spettanza dell’indennità giudiziaria.
Ai sensi del citato articolo 3 l’indennità in questione è “ da corrispondersi in ratei mensili con esclusione dei periodi di congedo straordinario, di aspettativa per qualsiasi causa, di astensione facoltativa previsti dagli articoli 32 e 47, commi 1 e 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 e di sospensione dal servizio per qualsiasi causa .”.
Tale elenco dovrebbe intendersi quindi come tassativo, di talché gli istituti non compresi nell’elencazione darebbero - a contrario - titolo alla corresponsione dell’indennità di cui è questione.
La ricorrente sottolinea infine come le assenze dal servizio per la fruizione dei permessi, in ragione della loro breve durata, non determinano interruzioni nell’attività del -OMISSIS- tali da far venir meno gli oneri ad essa connessi.
Si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia, chiedendo la reiezione del ricorso.
Deduce infatti che l’indennità giudiziaria non può essere considerata una voce ordinaria della retribuzione personale, ma costituisce per sua stessa definizione un’indennità speciale, strettamente connessa all’effettiva prestazione del servizio e conseguentemente dovuta nella sola ipotesi in cui l’attività giudiziaria viene concretamente esercitata.
Richiama in senso conforme le numerose pronunce con cui, rigettando le sollevate questioni di legittimità costituzionale della normativa in questione alla luce di diversi parametri costituzionali, la Corte Costituzionale ha costantemente sottolineato la stretta correlazione dell’indennità de qua con l’effettività del servizio e – d’altro canto- ha riconosciuto la più ampia libertà del legislatore nell’introdurre specifiche eccezioni a tale principio generale e quindi la possibilità di riconoscere per legge l’indennità giudiziaria solo in alcune delle ipotesi che legittimano la mancata prestazione dell’attività lavorativa.
Attesa tale discrezionalità legislativa, la Corte ha ritenuto tra l’altro infondata la questione di legittimità costituzionale della normativa che prevede l’esclusione dell’indennità giudiziaria nelle ipotesi di congedo straordinario per malattia, atteso che “ la Costituzione non impone di attribuire al dipendente assente per malattia lo stesso trattamento economico di cui gode in costanza di attività lavorativa, essendo sufficiente che al lavoratore siano assicurati mezzi adeguati anche durante il periodo di malattia ” (Corte Costituzionale, 14 luglio 2006, n. 287).
All’interpretazione letterale dell’articolo 3 della legge 27 del 1981, l’amministrazione resistente contrappone quindi il richiamo alla formulazione aperta della norma, che dispone l’esclusione dell’indennità non solo nelle ipotesi espressamente nominate, ma anche per tutti i casi “ di sospensione dal servizio per qualsiasi causa ”.
Le parti hanno depositato le proprie memorie difensive. All’udienza pubblica del 16 maggio 2018 la causa è stata ritenuta in decisione.
Il ricorso è infondato.
Non si ritiene di aderire all’interpretazione dell’articolo 3 della legge 27 del 1981 proposta da parte ricorrente, sia in quanto fondata sulla valorizzazione della sola parte finale del primo comma di detta disposizione, sia in quanto la tesi prospettata pare in contrasto con la ratio della norma.
L’indennità giudiziaria costituisce una speciale indennità non pensionabile, istituita dall’articolo 3 della legge n. 27 del 1981 a favore dei magistrati ordinari, che è stata estesa da interventi normativi successivi alle magistrature speciali e, ancorché con diversa disciplina, al personale amministrativo che partecipa della funzione giudiziaria.
Ai sensi della disposizione in esame l’indennità giudiziaria è stata istituita a favore dei magistrati “ in relazione agli oneri che gli stessi incontrano nello svolgimento della loro attività ”. Tale voce retributiva è quindi riconosciuta in ragione delle caratteristiche peculiari dell’attività dagli stessi svolta, della sua gravosità oltre che del particolare impegno richiesto, anche sotto il profilo organizzativo.
Con riferimento alle caratteristiche di tale indennità si richiama ex pluris la Sentenza della Corte Costituzionale n. 223/2012, citata anche nelle memorie difensive dell’amministrazione resistente, che ricostruisce la consolidata giurisprudenza costituzionale in materia: “(…) va osservato che la giurisprudenza di questa Corte ha dapprima definito tale indennità come voce collegata al “servizio istituzionale svolto dai magistrati” (ordinanza n. 57 del 1990). Successivamente, la sentenza n. 238 del 1990 ha ulteriormente precisato che la “speciale” indennità di cui si tratta, correlandosi al peculiare status dei magistrati, costituisce una componente del loro normale trattamento economico, soggetto ad una regolamentazione autonoma. Tale componente, tuttavia, secondo la Corte, è necessariamente correlata al concreto esercizio delle funzioni, in quanto espressamente collegata ai particolari “oneri” che i magistrati “incontrano nello svolgimento della loro attività”, la quale comporta peraltro un impegno senza prestabiliti limiti temporali. La corresponsione della stessa è, dunque, strettamente connessa all’effettiva prestazione del servizio (sentenza n. 407 del 1996 e ordinanza n. 106 del 1997).
(…) tale indennità, sebbene sia stata nel tempo considerata anche come una componente normale della retribuzione, non ha perso la sua natura particolare, conseguente all’essere la stessa diretta a compensare un complesso di oneri inscindibilmente connessi alle modalità di esercizio delle funzioni svolte dai magistrati .”
In senso conforme Tar Lazio, sez. I, 17 febbraio 2010, n. 2301 ha riconosciuto la non spettanza dell’indennità in questione in ipotesi di assenza dal servizio per infermità a seguito di infortunio in itinere , atteso che “ ciò che assume rilievo è l’effettività della prestazione del servizio, nella globalità dei compiti a esso connessi, in primo luogo costituiti dalla partecipazione alle udienze e dalla conseguenti incombenze relative alla trattazione delle cause ”, Tar Lecce, sez. I, 30 luglio 2014, n. 2032, secondo cui “ l’indennità giudiziaria si correla all’effettivo svolgimento dell’attività lavorativa, sicché essa non compete – di regola e salvo eccezioni – in tutti i casi in cui essa non viene svolta ”, C.d.S., sez. IV, 18 settembre 2007, n. 4852: “ E’ fuori discussione, infatti, che l’indennità giudiziaria, dovuta pacificamente a tutti coloro che partecipano della funzione giudiziaria a qualsiasi livello, è per sua stessa definizione un’indennità speciale, dovuta se e nella misura in cui l’attività di specie viene concretamente esercitata, e non, correlativamente, una voce ordinaria della retribuzione personale .”. (id. C.d.S., sezione IV, 6 ottobre 2003, n. 5841, C.d.S., sez. IV, 18 dicembre 2008, n. 6366).
La corresponsione dell’indennità in questione viene del resto pacificamente esclusa per tutti i casi di assenza dal servizio per infortunio o malattia, senza distinzioni a seconda della patologia o gravità.
Le numerose pronunce del giudice costituzionale che nel tempo hanno positivamente vagliato la norma de qua sotto il profilo della sua legittimità costituzionale, così come quelle del giudice amministrativo, ancorché relative a fattispecie diverse da quella in esame, hanno affermato quindi alcuni principi che non possono essere disconosciuti ai fini della decisione odierna.
Nell’ambito della disciplina del lavoro pubblico, così come di quello privato, sono previste talune ipotesi che legittimano la sospensione della prestazione lavorativa per un periodo più o meno breve. Le disposizioni legislative e contrattuali riconoscono e disciplinano -a tal fine- gli istituti dei riposi, dei permessi, dei congedi e delle aspettative, che conoscono una regolamentazione specifica e differenziata, sotto il profilo dei soggetti titolari e delle modalità di fruizione oltre che del trattamento economico correlato, non solo in corrispondenza della singola tipologia di istituto, ma, all’interno del medesimo istituto, in ragione della specifica causa che ne giustifica la fruizione, trovando il loro elemento unificatore nella temporanea assenza della prestazione lavorativa.
I permessi si caratterizzano di norma per la durata ridotta dell’assenza dal lavoro, spesso limitata ad alcune ore, ma che può estendersi, come nel caso previsto dall’articolo 33 della legge 104, ad alcuni giorni al mese.
Va ricordato inoltre che i permessi de qua possono essere fruiti non solo da colui che sia affetto da invalidità, ma altresì dai familiari che prestano la loro assistenza al congiunto invalido.
Ciò premesso, si ritiene che il principio generale affermato dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa, secondo cui – in ragione della ratio della sua previsione- l’indennità giudiziaria non è dovuta nei periodi in cui la prestazione lavorativa è sospesa, non possa essere disconosciuto in ragione dello specifico istituto attivato dal dipendente, salvo che l’eccezione al principio predetto sia prevista dallo stesso legislatore.
Derogano alla regola generale di stretta correlazione con l’effettiva prestazione del servizio le ipotesi di congedo ordinario (atteso che la norma istitutiva limita il richiamo al congedo straordinario) e dell’astensione obbligatoria per maternità, originariamente espressamente contemplata dalla norma e poi espunta. Tali eccezioni costituiscono esplicazione dell’ampia discrezionalità riconosciuta al legislatore nel disciplinare in modo differenziato le diverse ipotesi di assenza della prestazione lavorativa.
A favore del riconoscimento di un principio generale nei termini predetti depone, oltre alla formulazione della parte iniziale dell’articolo 3 della richiamata legge n. 27 del 1981, che individua la ragione dell’indennità in questione, anche la lettura della seconda parte della norma, che dispone la sua esclusione con una formulazione molto generale, riferendosi alle ipotesi di congedo straordinario, di aspettativa per qualsiasi causa, di astensione facoltativa e di sospensione dal servizio per qualsiasi causa. La consequenzialità di tali esclusioni rispetto alla ratio dell’indennità - ad esse premessa- porta a concludere nel senso della non tassatività dell’elencazione predetta, che si ricorda –peraltro- non cita espressamente non solo i permessi previsti dalla legge 104 del 1992, quindi da una normativa cronologicamente successiva, ma anche ogni altra tipologia di permesso o di riposo.
Né a sostegno della contraria tesi a favore della tassatività della predetta elencazione si ritiene possa essere richiamata l’argomentazione che fa leva sulla modifica espressa operata dall’art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 ( Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005 ), che ha espunto il riferimento all’astensione obbligatoria per maternità che in precedenza era menzionata testualmente, riconoscendo conseguentemente in tali ipotesi la corresponsione dell’indennità in questione. L’intervento normativo soppressivo, anziché positivo, si è reso infatti necessario in quanto il predetto istituto era espressamente indicato dall’articolo 3 della legge 27 del 1981.
Si ritiene pertanto che il riconoscimento dell’indennità in questione in relazione ai periodi di fruizione dei permessi previsti dalla legge 104 del 1992 non possa essere disposto in via giudiziale, richiedendosi a tal fine uno specifico intervento del legislatore. La Corte Costituzionale, nel rimettere ampia potestà al legislatore ha “ più volte affermato che tali valutazioni discrezionali, operate dal legislatore con riferimento ai destinatari delle indennità, alla decorrenza dell'attribuzione, alla sua misura, alle sue caratteristiche (non pensionabilità o sospensione in relazione ad alcuni eventi) non contrastano con i principi della Costituzione e, in particolare, con quello di uguaglianza di cui all'articolo 3 della Carta (sentenze nn.510 e 119 del 1991 e 238 del 1990;ordinanze nn. 97 e 422 del 1990) .” (Corte Costituzionale 15 luglio 1992, n. 334).
Il ricorso va pertanto respinto.
In considerazione della natura degli interessi coinvolti sussistono i presupposti per la compensazione delle spese del giudizio