TAR Roma, sez. I, sentenza 2010-07-22, n. 201027746

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2010-07-22, n. 201027746
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201027746
Data del deposito : 22 luglio 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 08383/2009 REG.RIC.

N. 27746/2010 REG.SEN.

N. 08383/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 8383 del 2009, proposto da:
R S, rappresentata e difesa dall'avv. L A, con domicilio eletto presso Studio Legale Titomanlio - Abbamonte in Roma, via Terenzio, n. 7;

contro

Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato presso la quale domicilia ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

nei confronti di

C V, n.c.;

per l'annullamento

- del verbale n. 440 dell’11.2.2009 a firma della Commissione di esame del concorso di nomina a 230 posti di notaio, indetto dal Ministero della Giustizia con D.D.G. del 10 luglio 2006, di cui si è presa visione a mezzo atto di accesso il 19.8.2009, con cui la d.ssa R S, a seguito della correzione della prime due prove scritte, è stata esclusa dalla procedura, e per l’effetto non è stato corretto il suo terzo elaborato, con conseguente esclusione dalle prove orali;

- della predetta graduatoria, datata 9.7.2009, pubblicata in data 10.7.2009, formata a seguito dello svolgimento e della correzione delle prove scritte del concorso a 230 posti di notaio, bandito dal Ministero della Giustizia con D.D.G. del 10 luglio 2006, nella parte in cui la d.ssa R S non risulta ammessa dalla Commissione esaminatrice alle prove orali;

- dei verbali della Commissione esaminatrice, ed in particolare di quello dell’11.2.2009, nel quale la Commissione ha esaminato gli elaborati della candidata dichiarando, “dopo la lettura del secondo elaborato...il candidato non idoneo”;

- del verbale n. 7 della Commissione dell’8.11.2007 in cui si decidono i criteri di correzione delle prove scritte;

- di ogni altro atto presupposto, conseguenziale e/o comunque connesso ivi compreso il bando di concorso del 10 luglio 2006, nonché il provvedimento successivo alla pubblicazione della graduatoria di fissazione delle prove orali, nella parte in cui non è stato inserito il nominativo della d.ssa Sarno, nonché ogni ulteriore provvedimento, allo stato ignoto, di approvazione della graduatoria e/o degli esiti concorsuali allo stato della procedura;
con richiesta di risarcimento del danno in forma specifica, ovvero per equivalente.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Avvocatura dello Stato;

Visti gli atti tutti di causa;

Relatore alla pubblica udienza del 28 aprile 2010 la d.ssa S M e uditi altresì gli avv.ti delle parti, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;


FATTO

1. Espone parte ricorrente di aver preso parte alle prove scritte della selezione concorsuale precedentemente indicata, risultando non idonea ai fini dell’ammissione alle prove orali in esito alla correzione del secondo elaborato (atto societario), nel quale la Commissione ha riscontrato, a maggioranza, i seguenti “gravi errori di diritto”:

- il candidato omette qualunque riferimento all’art. 2437 – ter del c.c che prevede l’obbligo per gli amministratori di redigere e depositare la valutazione delle azioni societarie prima dell’assemblea per consentire ai soci che intendessero esercitare il diritto di recesso di valutarne anche gli aspetti economici;

- in tema di aumento di capitale non indica un termine per la sottoscrizione, in violazione del combinato disposto degli artt. 2439 e 2440 c.c ..

Questi i motivi di doglianza:

- la determinazione del valore di liquidazione delle azioni va comunque effettuata secondo le norme previste per il recesso ai sensi degli artt. 2437 e ss. c.c.

Tale circostanza esime dall’indicazione espressa nel verbale, con conseguente validità della delibera, in sé idonea ad essere iscritta nel Registro delle Imprese;
nessuna norma prevede un obbligo di menzionare nel verbale i criteri di valutazione delle azioni, valendo, in mancanza di una diversa clausola statutaria, quelli legali. La ricorrente si richiama alla massima n. 51 del Consiglio Notarile di Milano del 19.11.2004 (Predeterminazione del valore delle azioni in caso di deliberazioni che attribuiscono diritto di recesso – art. 2437 - ter c.c.).

Con riguardo alla delibera di aumento di capitale, rileva che l’art. 2440 c.c. non prevede un termine per la sottoscrizione.

Del resto, anche il termine per le “sottoscrizioni” e i “versamenti” in denaro, di cui all’art. 2439 c.c. non è, secondo la giurisprudenza prevalente, un termine essenziale.

Nell’ ipotesi di verbale di aumento con conferimento in natura, deliberato e non immediatamente sottoscritto dal socio, è compito degli amministratori portare a compimento l’ iter successivo, delegando agli stessi l’attuazione della delibera assembleare.

- nel verbale dell’11 febbraio 2009, la Commissione, in violazione dei criteri predeterminati, ha fatto riferimento alla sussistenza di “gravi errori di diritto” tout court , senza fare alcun riferimento “alla scelta delle soluzioni e/o nell’illustrazione delle parti tecniche”;

- il giudizio di non idoneità è stato comunque deliberato a maggioranza, evidenziando così i contrasti determinatati in seno alla Commissione, in seno alla quale, il giorno della correzione degli elaborati della ricorrente, era presente il commissario (dr. Schiantarelli) che ha poi presentato un esposto al Ministro in ordine al procedimento di correzione delle prove.

La questione relativa alla termine per la sottoscrizione dell’aumento di capitale in una società, rientra tra quelle che, secondo quanto riferito dal suddetto commissario, ha fatto registrare un mutamento di orientamento della Commissione (essendo stato, nel prosieguo delle correzioni, ritenuto un errore “non grave”);

Si è costituita, per resistere, l’Avvocatura generale dello Stato.

La parte pubblica ha depositato una memoria unica per tutti i ricorsi chiamati alla pubblica udienza del 28 aprile 2010, alla quale il presente ricorso è stato trattenuto per la decisione.

DIRITTO

1. È opportuno procedere alla individuazione del pertinente quadro normativo di riferimento;
e, di seguito, dei criteri dalla Commissione esaminatrice stabiliti ai fini della valutazione delle prove scritte.

1.1. Stabilisce l’art. 10, comma 2, del D.Lgs. 24 aprile 2006 n. 166 che la Commissione, prima di iniziare la correzione, definisce i criteri che regolano la valutazione degli elaborati e l'ordine di correzione delle prove stesse.

Il successivo comma 6 affida al Presidente del predetto organismo il compito di assicurare, all'interno delle sottocommissioni che procedono alla correzione, una periodica variazione dei componenti, compatibilmente con le esigenze organizzative;
ed attribuisce al medesimo Presidente, allo scopo di garantire omogeneità di valutazioni, la facoltà di convocare riunioni plenarie o sedute allargate della commissione in modo che possano assistere alla correzione anche altri commissari che, nell'occasione, non hanno diritto di voto e di intervento (comma 7).

Quanto alle modalità di correzione degli elaborati, l’art. 11 prevede (comma 1) che ciascuna sottocommissione proceda, collegialmente e nella medesima seduta, alla lettura dei temi di ciascun candidato, al fine di esprimere un giudizio complessivo di idoneità per l'ammissione alla prova orale.

Prosegue il comma 2 indicando che, “salvo il caso di cui al comma 7, ultimata la lettura dei tre elaborati, la sottocommissione delibera a maggioranza se il candidato merita l'idoneità”.

La previsione normativa da ultimo indicata stabilisce, poi, che “nel caso in cui dalla lettura del primo o del secondo elaborato emergono nullità o gravi insufficienze, secondo i criteri definiti dalla commissione, ai sensi dell'articolo 10, comma 2, la sottocommissione dichiara non idoneo il candidato senza procedere alla lettura degli elaborati successivi”.

1.2. A fronte dell’illustrato contesto normativo, intende la Sezione in primo luogo soffermarsi sulle modalità di formazione della volontà della Commissione esaminatrice.

Tale problematica, con riferimento alla procedura all’esame (ed alla prima attuazione, nel quadro di essa fornita, alla modificazioni introdotte dal D.Lgs. 166/2006) merita di essere approfondita verificando:

- se le determinazioni a quest’ultima rimesse in tema di valutazione di non idoneità dei candidati ai fini dell’ammissione al prosieguo della procedura debbano – o meno – essere rese con il voto della (sola) maggioranza dei componenti dell’organismo;

- ovvero se, laddove la Commissione apprezzi (in esito alla correzione del primo o del secondo elaborato) la presenza di gravi insufficienze o di nullità, la relativa decisione debba essere assistita dall’unanimità dei voti.

Tale precisazione si rende necessaria al fine di decifrare le conseguenze della previsione normativa di cui al riportato comma 2 dell’art. 11;
il quale (come osservato) stabilisce che “salvo il caso di cui al comma 7, ultimata la lettura dei tre elaborati, la sottocommissione delibera a maggioranza se il candidato merita l'idoneità”.

Proprio l’impiegata locuzione “delibera a maggioranza” potrebbe infatti indurre a ritenere che, fuori dai casi contemplati dalla disposizione da ultimo indicata, le determinazioni debbano essere assunte dall’organismo collegiale con l’unanimità dei voti dei componenti.

Tale – pur ipotizzabile – linea interpretativa non merita condivisione né sul piano logico, né a fronte della letterale interpretazione della disposizione di che trattasi.

Va innanzi tutto dato atto che la Commissione costituisce un collegio perfetto.

Secondo un noto – quanto condivisibile – insegnamento giurisprudenziale, il criterio più sicuro per individuare quando un organo collegiale debba ritenersi “perfetto” è quello che assegna tale connotazione al collegio per il quale, accanto ai componenti effettivi, sono previsti anche componenti supplenti.

Lo scopo della supplenza è proprio quello, da un lato, di garantire che il collegio possa operare con il plenum – anziché con la sola maggioranza – in caso di impedimento di taluno dei membri effettivi, e, dall'altro lato, l'esigenza che la Commissione svolga le sue operazioni con continuità e tempestività, senza che il suo agire sia impedito o ritardato dall'impedimento di taluno dei suoi componenti (cfr., ex plurimis , Cons. Stato, sez. VI, 21 marzo 2005 n. 1112).

Ciò osservato, è jus receptum che la volontà dell’organismo collegiale, ove non diversamente (quanto espressamente) disposto dalla norma, si formi con il concorso della maggioranza dei componenti dello stesso.

Tale regola, quanto alla disciplina normativa della procedura concorsuale all’esame, non subisce eccezioni.

La locuzione di cui al citato comma 2 dell’art. 11 non impone, infatti, che la Commissione sia tenuta ad esprimere il proprio giudizio con l’unanimità dei voti dei componenti nel caso in cui, in esito alla lettura del primo o del secondo elaborato, emergano “nullità” o “gravi insufficienze” suscettibili di determinare una immediata valutazione di non idoneità, suscettibile di escludere l’esame (rispettivamente) del secondo e terzo, ovvero del terzo, elaborato.

Implica, piuttosto, che le determinazioni dell’organismo – da adottare sempre e comunque con la maggioranza dei voti dei componenti dello stesso – debbano essere formate, quanto all’espressione del conclusivo giudizio di idoneità, in esito all’apprezzamento di tutti e tre gli elaborati: salvo il caso, di cui al comma 7 dello stesso art. 11, in cui vengano in evidenza – appunto – nullità o gravi insufficienze già dalla lettura della prima, ovvero della seconda prova (in quanto tali, suscettibili di condurre alla pretermissione della valutazione degli altri elaborati ed immediatamente suscettibili di condurre all’espressione di un giudizio di non idoneità).

E, quindi, l’eccezione contenuta nella norma (“salvo il casi di cui al comma 7”) si riferisce non già all’applicazione della regola dell’espressione del giudizio a maggioranza dei componenti: quanto, piuttosto, all’obbligo di valutazione di tutti e tre gli elaborati (obbligo che, come si è visto, viene meno soltanto laddove le lacune riscontrate nel primo o nel secondo rivelino carattere di accentuata gravità, sì da condurre senz’altro – e, quindi, senza l’obbligo di procedere alla lettura delle rimanenti prove – all’esclusione dal prosieguo della procedura).

Se un criterio di carattere logico-funzionale impone l’illustrata interpretazione della norma, anche un apprezzamento meramente letterale del comma 2 in questione conferma la lettura che la Sezione ha inteso dare alla previsione legislativa di che trattasi.

Dispone infatti lo stesso comma 2 che “salvo il caso di cui al comma 7, ultimata la lettura dei tre elaborati, la sottocommissione delibera a maggioranza se il candidato merita l'idoneità”.

Laddove, diversamente, il Legislatore avesse inteso attribuire alla formazione dell’unanimità carattere condizionante la legittimità del giudizio di non idoneità, la previsione in discorso avrebbe dovuto essere diversamente articolata sotto il piano logico-sintattico (ad esempio, alla stregua della seguente formulazione: “la sottocommissione delibera a maggioranza se il candidato merita l'idoneità ultimata la lettura dei tre elaborati, fatto salvo il caso di cui al comma 7”.

L’introduzione dell’obbligatoria espressione dell’unanimità dei consensi (limitata ai casi di cui al ripetuto comma 7) avrebbe, in altri termini, dovuto ricevere anche dal tenore testuale della norma rilevanza ed enfasi espressive ben diverse (quanto univoche): sì da consentire di apprezzare compiutamente la presenza di un’effettiva volontà di introdurre una così rilevante eccezione alla generale regola della maggioranza: non potendosi, con ogni evidenza, ritenere che – nel silenzio della voluntas legis – un’ipotesi derogatoria della specie possa essere diversamente argomentata, laddove (come si è dimostrata) anche gli argomenti di carattere logico-sistematico non consentono di apprezzare la legittimità di conclusioni difformi rispetto a quelle dalla Sezione sopra illustrate.

1.3. Quanto sopra osservato, va ulteriormente rilevato come dalla lettura delle riportate disposizioni legislative è dato evincere che costituisce onere della Commissione la (pre)determinazione dei criteri di valutazione, alla stregua di quanto previsto dal comma 2 dell’art. 11 del D.Lgs. 166/2006.

Tale adempimento, peraltro, riceve accentuata rilevanza ove la fondamentale disposizione di cui al comma 2 dell’art. 11 venga letta in combinato disposto con la previsione di cui al successivo comma 7, atteso che:

- se è vero che è rimessa all’organo concorsuale la “generale” fissazione dei “criteri che regolano la valutazione degli elaborati”;

- la (consentita) possibilità di escludere un candidato dalla partecipazione alle prove orali, nel caso in cui dal primo o dal secondo elaborato emergano “nullità” o “gravi insufficienze”, postula, con ogni evidenza, che siffatte categorie vengano adeguatamente precisate mediante l’individuazione delle tipologie di “errori” suscettibili di essere ricondotte nell’ambito della generica declaratoria di legge.

In altri termini, alla declaratoria generale dei criteri di valutazione accede l’ulteriore onere della specificazione contenutistica delle fattispecie della “nullità” e della “grave insufficienza”: ovvero di quegli elementi che, in ragione della insuperabile, ovvero accentuatamente grave, presenza di inesattezze, consentano di procedere senz’altro alla esclusione del candidato dalla procedura selettiva.

1.4. Il modus procedendi al riguardo seguito dalla Commissione è esplicitato nel verbale n. 7 dell’8 novembre 2008, nell’ambito del quale è contenuta la declaratoria dei criteri per la valutazione degli elaborati.

In primo luogo, il predetto organismo ha stabilito che, ai sensi del comma 7 dell’art. 11 del D.Lgs. 166/2006, “non si procederà alla lettura del secondo o del terzo elaborato, dichiarando non idoneo il candidato:

a) in caso di nullità, comprese quelle formali, a meno che dal complessivo esame dell’intero elaborato si evinca inequivocabilmente che tali nullità derivino da meri errori materiali;

b) nel caso in cui l’elaborato presenti una delle seguenti “gravi insufficienze” e precisamente:

- travisamento della traccia o contraddittorietà tra le soluzioni adottate o tra le soluzioni medesime e le relative motivazioni;

- gravi errori di diritto nella scelta delle soluzioni e/o nell’illustrazione delle parti teoriche;

- totale mancanza delle ragioni giustificative della soluzione adottata e/o delle argomentazioni giuridiche a supporto dei ragionamenti svolti nell’elaborato;

- gravi carenze della parte teorica anche per omessa trattazione di punti significativi della stessa;

- evidente inidoneità nell’analisi e nella risoluzione dei problemi e/o dei temi posti nella traccia;

- gravi errori di grammatica e/o di sintassi”.

Nel soggiungere che “analogamente, il candidato sarà dichiarato non idoneo allorquando le mancanze indicate ai punti a) e b) che precedono dovessero risultare dalla lettura del terzo elaborato”, la Commissione ha altresì proceduto all’individuazione, ai sensi del comma 2 dell’art. 10 del D.Lgs. 166/2006, dei criteri “generali” di correzione cui attenersi nella valutazione degli elaborati.

Al riguardo, veniva stabilito che la valutazione delle soluzioni adottate dai candidati, “per ogni questione prospettata nelle singole prove”, sarebbe intervenuta “considerando prioritariamente:

- la rispondenza al contenuto della traccia;

- l’aderenza ai principi e alle norme dell’ordinamento giuridico vigente nonché alle tecniche redazionali”.

Dal contenuto del verbale è dato argomentare che:

- se le nullità o le gravi insufficienze emergono dalla lettura del primo o del secondo elaborato, la Commissione ha escluso, sulla base della presupposta previsione di legge, di passare all’esame – rispettivamente – della seconda o terza prova sostenuta dal candidato;

- se le stesse tipologie inficianti (evidentemente non riscontrate all’interno delle prime due prove) vengano a configurarsi nel terzo elaborato, si procederebbe “analogamente” a declaratoria di non idoneità.

Diversamente, la declaratoria dei criteri “generali” di correzione trova operatività laddove gli elaborati ( rectius : tutti e tre gli elaborati) non presentino le illustrate “nullità” o “gravi insufficienze”;
venendo allora in considerazione la rispondenza contenutistica alla traccia fornita, nonché l’“aderenza ai principi e alle norme dell’ordinamento giuridico vigente nonché alle tecniche redazionali”.

1.5. La formulazione dell’art. 11, invero, ben avrebbe autorizzato ad inferire che – sul presupposto della previa enucleazione dei criteri generali di valutazione degli elaborati (e, con essi, dell’ordine di prioritaria considerazione dalla Commissione stabilito con riferimento a particolari tipologie di mende potenzialmente suscettibili di refluire sul giudizio da esprimere) – l’individuazione delle nullità e delle gravi insufficienze integrasse un posterius logico, nel quadro di un rapporto da genus a species che, in ragione dell’accentuata gravità di taluni errori, potesse rendere operativa l’immediata declaratoria di non idoneità.

Se una diversa (e rovesciata) sistematica individuativa dei criteri di valutazione ben avrebbe potuto informare (probabilmente con carattere di congruità logica maggiormente apprezzabile) l’enucleazione del paradigma di riferimento ai fini dell’esame delle prove scritte, deve tuttavia escludersi che il diverso (quanto inverso) modus procedendi seguito nella fattispecie dalla Commissione presenti elementi di censurabilità sotto il profilo della legittimità.

Una delle novità introdotte dal D.Lgs. 166/2006 è, infatti, rappresentata dalla consentita possibilità di pervenire ad un giudizio di non idoneità anche in difetto della disamina di tutti e tre gli elaborati formati a fronte delle previste prove scritte, laddove – come più volte osservato – emergano fattispecie di “nullità” o di “grave insufficienza”.

Se tali ipotesi meritavano espressa e separata contemplazione ad opera della Commissione in sede di enucleazione dei criteri di valutazione (come appunto dal predetto organismo effettuato nel corso della citata seduta dell’8 novembre 2008), corrispondentemente i criteri (generali) di valutazione degli elaborati non recanti nullità o gravi insufficienze hanno formato oggetto di distinta individuazione, con determinazione invero indenne da mende suscettibili di condurre ad un apprezzamento di illegittimità dell’operato dell’organismo concorsuale.

Va rammentato, in proposito, come la Sezione, con una nutrita serie di decisioni relative a ricorsi proposti avverso gli esiti delle prove scritte riguardanti la precedente tornata concorsuale (concorso a 200 posti di notaio indetto con decreto dirigenziale 1° settembre 2004), abbia ribadito il costante – quanto condivisibile – insegnamento giurisprudenziale per cui i criteri di valutazione delle prove scritte (relativamente a concorsi che, come quello notarile, richiedenti un’elevata specializzazione) non necessitano di particolare analiticità: per tale vicenda apprezzando la funzionalità “alla finalità per la quale la Commissione li ha previsti” dei seguenti criteri:

- travisamento della traccia o contraddittorietà tra le soluzioni adottate, o tra le soluzioni medesime e le relative motivazioni;

- gravi errori di diritto nella scelta delle soluzioni e/o nell’illustrazione delle parti teoriche;

- gravi carenze nella parte teorica, anche per omessa trattazione di punti significativi della stessa;

- vizi formali sanzionati con nullità da leggi;

- gravi e reiterati errori di grammatica e sintassi.

Nel rilevare la presenza di elementi di apprezzabile e convincente continuità (e contiguità) logica fra la declaratoria ora illustrata ed i criteri enucleati dalla Commissione relativamente alla tornata concorsuale ora all’esame, non può non darsi atto della condivisibile – e particolare – attenzione riservata dalla Commissione alle fattispecie di “più gravi” carenze suscettibili di escludere la lettura di tutti gli elaborati: e ciò in quanto l’immediata estromissione dalla procedura concorsuale ex novo introdotta dal comma 7 dell’art. 11 ben meritava una congrua enucleazione delle presupposte ragioni giustificative.

1.6. Ciò osservato (e, quindi, con riferimento agli elaborati non affetti dalle gravi mende sopra illustrate) la “griglia” di valutazione “generale” si dimostra correttamente enucleata attraverso l’individuazione dei criteri sopra riportati: e, quindi, attraverso la verificabilità:

- della rispondenza dell’elaborato alla traccia fornita;

- dell’aderenza delle soluzioni prospettate ai principi e alle norme dell’ordinamento giuridico;

- del rispetto delle tecniche redazionali che assistono la formazione degli atti notarili.

È evidente che, all’interno delle macrocategorie come sopra fissate dalla Commissione non possono non trovare applicazione anche le species dal medesimo organismo elaborate quale tipologie sintomatiche della presenza di “nullità” o “gravi insufficienze”: evidentemente, laddove le imperfezioni presentate dall’elaborato non dimostrino un grado di criticabilità tale da imporre un’immediata declaratoria di non idoneità al prosieguo della procedura selettiva.

In altri termini, alla fissazione dei suindicati criteri “generali” di valutazione accede la complementare valutabilità, all’interno di essi, di quelle puntuali specificazioni – evidentemente ove non presenti con il carattere di accentuata (quanto insanabile) gravità di cui al comma 7 dell’art. 11 – suscettibili di informare l’apprezzamento del contenuto delle prove al fine di pervenire:

- ad un giudizio di non idoneità reso in esito alla correzione di tutti e tre gli elaborati;

- ovvero, alla graduazione del punteggio nel caso di valutata “idoneità” ai fini dell’ammissione alle prove orali.

In tal senso – e pur sempre ferma la rammentata esplicitazione dei criteri “generali” di valutazione – la disamina degli elaborati fuori dall’ipotesi di cui al comma 7 ben avrebbe potuto tenere conto di:

- profili di non puntuale aderenza alla traccia insuscettibili di indurne il travisamento;

- errori di diritto “non gravi” nella scelta delle soluzioni e/o nell’illustrazione delle parti teoriche;

- carenze “non gravi” nella parte teorica;

- vizi formali non recanti nullità

- occasionali – e comunque non gravi – errori di grammatica e sintassi.

Tale ricostruzione logica del processo valutativo avrebbe senz’altro ricevuto – non può omettere la Sezione di ribadire – migliore esplicitazione laddove la Commissione, nella predeterminazione dei criteri, avesse seguito un ordine espositivo inverso rispetto a quello seguito: ovvero, avesse riservato prioritaria considerazione ai criteri “generali” demandando ad una successiva definizione contenutistica le fattispecie suscettibili di determinare l’applicabilità dell’ipotesi sancita dal comma 7 dell’art. 11 del D.Lgs. 166/2006.

Peraltro, come del resto precedentemente osservato, anche in presenza di un difforme procedimento logico di individuazione dei criteri di che trattasi, deve tuttavia escludersi che le determinazioni assunte dalla Commissione nella seduta dell’8 novembre 2008 si prestino a censure sotto il profilo della legittimità.

Un consolidato indirizzo giurisprudenziale ha definito tale attività frutto dell'ampia discrezionalità amministrativa di cui è fornita la commissione per lo svolgimento della propria funzione: conseguentemente escludendo che le relative scelte siano assoggettabili al sindacato di legittimità del giudice amministrativo (impingendo esse nel merito dell'azione amministrativa) salvo che non siano ictu oculi inficiate da irragionevolezza, irrazionalità, arbitrarietà o travisamento dei fatti ( ex pluribus , Cons. Stato, sez. IV, 27 novembre 2008 n. 5862, 8 giugno 2007 n. 3012, 11 aprile 2007 n. 1643, 22 marzo 2007 n. 1390, 17 settembre 2004 n. 6155, 17 maggio 2004 n. 2881, 10 dicembre 2003 n. 8105, 2 marzo 2001 n. 1157).

Ribadita, doverosamente, l’esclusa sindacabilità nel merito della scelte in materia compiute dall’organismo concorsuale, vanno considerate, quali coordinate di apprezzabile legittimità dell’operato posto in essere dalla Commissione:

- l’operata distinzione, in osservanza del disposto normativo, fra mende suscettibili di determinare un immediato giudizio di non idoneità ed imperfezioni valorizzabili solo in esito all’esame di tutti e tre gli elaborati;

- la pure effettuata categorizzazione – congruamente esplicitata sotto il profilo contenutistico – delle tipologie inficianti nel quadro delle categorie fissate dal comma 7;

- e, da ultimo, la parimenti evidenziata consistenza delle generali condizioni di valutazione delle prove scritte (suscettibili – fuori, si ripete, dalla riscontrata presenza di insanabili imperfezioni – di determinare l’espressione di un giudizio di non idoneità a fronte di una complessiva disamina degli elaborati, ovvero, nella diversa ipotesi di un positivo apprezzamento delle prove, di condurre alla graduazione del relativo punteggio).

2. Quanto al merito delle soluzioni prescelte dalla ricorrente, giudicate dalla Commissione non idonee al fine di consentirne l'ammissione alle prove orali, va preliminarmente rammentato che, dal momento che il giudizio di legittimità non può trasmodare in un pratico rifacimento, ad opera dell'adito organo di giustizia, del giudizio espresso dalla Commissione (con conseguente sostituzione del primo alla seconda), trova espansione il principio per cui l'apprezzamento tecnico della Commissione è sindacabile soltanto ove risulti macroscopicamente viziato da illogicità, irragionevolezza o arbitrarietà.

Come più volte affermato (anche dalla Sezione), il giudizio della Commissione, comportando una valutazione essenzialmente qualitativa della preparazione scientifica dei candidati, attiene alla sfera della discrezionalità tecnica, censurabile – unicamente sul piano della legittimità – per evidente superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità:

- se emergenti dalla stessa documentazione

- ed ove tali da configurare un palese eccesso di potere,

senza che, con ciò, il giudice possa o debba entrare nel merito della valutazione (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 17 gennaio 2006 n. 172).

Pur in presenza del superamento dell’equazione concettuale tra discrezionalità tecnica e merito (riservato all'amministrazione nella determinazione del regolamento di interessi più opportuno, e dunque insindacabile), nondimeno il limite del controllo giurisdizionale è dato dal fatto che l'applicazione della norma tecnica non sempre si traduce in una legge scientifica universale, caratterizzata dal requisito della certezza: ed anzi, quando contiene concetti giuridici indeterminati, dà luogo ad apprezzamenti tecnici ad elevato grado di opinabilità (si confronti, in proposito, la sentenza 25 giugno 2004 n. 6209 di questa Sezione).

Si dimostra, pertanto, infondata una censura che miri unicamente a proporre una diversa modalità di soluzione del tema oggetto di concorso (anche ove supportata dall'allegazione di pareri “ pro veritate ”), atteso che in tal modo verrebbe a giustapporsi alla valutazione di legittimità dell'operato della Commissione una – preclusa – cognizione del merito della questione.

Il Collegio non ignora che tale tradizionale orientamento è stato affinato sulla scorta della più recente elaborazione giurisprudenziale in tema di discrezionalità tecnica la quale ha precisato che, nel controllo giurisdizionale sull’esercizio del potere che ha quale presupposto la valutazione di un fatto, in base a conoscenze scientifiche (nella fattispecie derivanti dalla scienza giuridica), la cognizione del giudice amministrativo è comunque piena e non solo estrinseca.

Essa investe cioè non solo le modalità del procedimento valutativo ma anche l’attendibilità del giudizio espresso dall’organo amministrativo.

Il limite oggettivo di tale apprezzamento, come già accennato, rimane tuttavia pur sempre determinato “dalla opinabilità e relatività di ogni valutazione scientifica e dalla impossibilità per il giudice di sostituirsi all’amministrazione, in quanto il potere di valutazione sia stato attribuito dall’ordinamento all’amministrazione stessa e non si verta in tema di giurisdizione di merito” (così in termini, Cons. St., IV, 13 ottobre 2003, n. 6201).

Va, inoltre, ricordato che ciò che conta, in sede di valutazione degli elaborati svolti in una procedura per l'accesso ad una professione a numero chiuso, non è solamente la esattezza delle soluzioni giuridiche propugnate e prescelte, ma anche (e soprattutto) la modalità espositiva.

Ove così non fosse, dovrebbe ammettersi che tutti i candidati estensori di elaborati recanti soluzioni corrette debbano necessariamente superare la prova concorsuale, il che non può sicuramente avvenire, posto che le finalità del concorso risiedono nella selezione dei migliori e non già di tutti coloro che dimostrino di saper comunque giungere a conclusioni esatte.

Con particolare riguardo al concorso notarile, il d.lgs. n.166/ 2006 ha poi inteso risolvere i problemi applicativi insorti in precedenza, equiparando, ai fini dell’ammissione all’orale, il voto di sufficienza a quello di idoneità (35 punti) e stabilendo (art. 11, comma 5) che il giudizio di non idoneità è motivato mentre nel giudizio di idoneità il punteggio vale motivazione.

In precedenza, come noto, la giurisprudenza amministrativa aveva costantemente escluso, in relazione ai c.d. novantisti, che la Commissione fosse tenuta a motivare, analiticamente, il mancato raggiungimento, in sede di valutazione degli elaborati sufficienti, del superiore quorum necessario per ottenere l’ammissione all’orale.

La predetta innovazione normativa, comporta però, a parere del Collegio (stante la necessità, in precedenza evidenziata, di selezione dei migliori) che l’ammissione agli orali consegua pur sempre ad un giudizio di sufficienza qualificata, e non già ad una sorta di declassamento del precedente giudizio di idoneità, come del resto dimostrato per tabulas dal fatto che la fissazione dello standard di ammissione è avvenuta facendo slittare il giudizio di sufficienza verso l’alto, rilevando, al riguardo, il solo voto che, in precedenza, era considerato di “eccellenza”.

3. Ciò osservato in linea di principio, va tuttavia rilevato, quanto alla vicenda concorsuale in esame, che – secondo quanto documentalmente illustrato e verbalizzato da un componente della Commissione esaminatrice (con ampio risalto, anche mediatico, delle relative considerazioni) – la Commissione stessa avrebbe, nel corso delle operazioni di valutazione degli elaborati, provveduto ad un progressivo “aggiustamento” e/o “affinamento” del metro di giudizio preordinato alla verifica della correttezza delle soluzioni prospettate dai candidati a fronte delle tracce ai medesimi fornite.

Si sarebbe, pertanto, pervenuti alla formulazione di giudizi che, a fronte dell’identità delle soluzioni proposte:

- in taluni casi si sono orientati nel senso di ritenere che esse integrassero la presenza di “gravi insufficienze”, sì da consentire l’immediata espressione di un giudizio di “non idoneità” ai sensi del comma 7 dell’art. 11 del D.Lgs. 166/2006;

- mentre in altre ipotesi (relative a compiti solo successivamente corretti;
e, quindi, in esito ad una rimeditazione in ordine alla correttezza delle soluzioni fornite), l’opinione rassegnata dalla Commissione ha (diversamente) ritenuto non gravi le mende riscontrate, ovvero addirittura corretto il percorso logico-giuridico seguito dal candidato.

In particolare, il progressivo mutamento degli orientamenti valutativi della Commissione avrebbe riguardato:

- il legato di usufrutto con facoltà di vendita (nel caso di opzione per il legato di somma di denaro riveniente da vendita di immobili, si è in un primo momento considerata errata la formula che invece è presente in più manuali di diritto delle successioni, dove si dà per implicita la partecipazione dell’usufruttuario alla procedura di vendita);

- il termine per la sottoscrizione dell’aumento di capitale in una società (è stata considerata gravemente errata, sì da determinare l’esclusione del candidato, la mancata apposizione del termine, mentre, a seguito di approfondimenti, pur permanendo il convincimento che si tratti di un’imperfezione, è stato tuttavia escluso che essa potesse integrare una “grave insufficienza”);

- il legato di contratto (è stato in molti casi ritenuto errore grave l’utilizzo del legato di contratto per il mantenimento previsto dalla traccia di diritto successorio, laddove successivi approfondimenti hanno condotto ad escludere che si potesse trattare di errore);

- la necessità del consenso alla cancellazione di ipoteca, nel caso di rinuncia all’ipoteca stessa (da ricerche condotte, sarebbe emerso che non solo la rinuncia all’ipoteca assorbe il problema, ma costituisce, anzi, la modalità più corretta a garanzia del venditore, tenendo anche presenti recenti pronunce in tema di buon fine degli assegni circolari).

3.1. Va in primo luogo osservato come il modificato orientamento della Commissione relativamente alle tematiche sopra individuate non sia confutabile in punto di fatto, atteso che la stessa difesa erariale (si confronti, al riguardo, la “memoria unica” depositata il 16 aprile 2010) non ha contestato tale circostanza;
ma, piuttosto, ha affermato che essa non abbia dispiegato rilevanza alcuna in ordine alla correttezza delle operazioni di valutazione poste in essere dalla Commissione;
e, quindi, circa l’espressione dei giudizi di “non idoneità” dalla medesima resi ai sensi del ripetuto comma 7 dell’art. 11.

Tali considerazioni non meritano condivisione alla luce di due distinti profili di valutazione.

3.1.1. In primo luogo, si osserva che la mutata considerazione circa la correttezza di una o più soluzioni fornite con riferimento a problematiche emergenti dalla traccia (nel senso che l’orientamento della Commissione ha in un primo tempo considerato le ipotesi formulate da taluno dei candidati quale “grave insufficienza”;
per poi ritenere, a fronte di elaborati recanti la medesima prospettazione, che la soluzione fornita integrasse un errore non grave, o fosse addirittura corretta) con ogni evidenza propone la presenza di un manifesto vizio di disparità di trattamento fra partecipanti alla procedura concorsuale, nel senso che solo in considerazione della tempistica della correzione alcuni di essi sono stati immediatamente esclusi, mentre nei confronti di altri – i cui compiti sono stati esaminati successivamente alla rimeditazione operata dalla Commissione – si è, almeno, proceduto all’esame (anche) dei rimanenti elaborati (fuori, quindi, dall’applicazione del comma 7 di cui sopra), con riveniente giudizio espresso sul complesso delle prove sostenute.

È, evidentemente, inconfigurabile che il metro valutativo – la cui omogeneità rappresenta elemento cardinale della correttezza delle operazioni di valutazione all’interno di una pubblica procedura di selezione – possa incontrare così incisive e rilevanti trasmutazioni applicative senza che l’intero complesso degli elaborati (e, quindi, anche quelli immediatamente esclusi per effetto di un orientamento della Commissione da quest’ultima successivamente modificato) formasse oggetto di rivisitazione (e, quindi, di conseguente rimeditazione) al fine di riconsiderare la perdurante presenza – o meno – di gravi mende suscettibili di condurre all’esclusione del candidato.

Ben conosce la Sezione il consolidato indirizzo giurisprudenziale (alla cui formazione ha consistentemente contribuito) che ha ripetutamente escluso la sindacabilità delle scelte della Commissione (sulla predeterminazione dei criteri valutativi e sulla relativa applicazione in sede di correzione degli elaborati) in quanto tale attività impinge nel merito dell'azione amministrativa, salvo che essa non sia ictu oculi inficiata da irragionevolezza, irrazionalità, arbitrarietà o travisamento dei fatti ( ex pluribus , Cons. Stato, sez. IV, 17 settembre 2004, n. 6155).

E se è vero che non integra la presenza di elementi sintomatici volti a dimostrare la irragionevolezza o l'arbitrarietà dei criteri e delle modalità di valutazione delle prove scritte il fatto che la Commissione abbia approfondito e riesaminato le soluzioni tecnicamente adeguate e corrette in relazione alle prove concorsuali e alle soluzioni fornite dai candidati, è altrettanto vero che:

- se tale circostanza, per un verso, prova la indiscutibile scrupolosità dell'operato della Commissione, in piena conformità ai canoni di legalità, imparzialità e buon andamento che devono contraddistinguere l'azione amministrativa (ivi compresa l'attività valutativa propria delle commissioni di concorso)

- per altro verso un tale operato può essere considerato scorretto ed illegittimo solo se abbia dato luogo a differenze di correzione degli elaborati concorsuali in danno di taluno dei partecipanti (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 8 giugno 2007 n. 3012).

Proprio tale evenienza risulta essere, nella fattispecie, occorsa, laddove taluni giudizi di immediata non idoneità (formulati ai sensi del ripetuto comma 7 dell’art. 11 del D.Lgs. 166/2006) hanno riguardato esclusivamente elaborati corretti anteriormente alla rimeditazione di talune soluzioni alla quale la Commissione ha proceduto nel valutare, in successive sedute, prove che avevano contenuto sovrapponibile rispetto alle prime.

Se, con ogni evidenza, va escluso che la Commissione non potesse procedere a progressivi “affinamenti” quanto alla correttezza di talune soluzioni da fornire alle problematiche prospettate nelle tracce fornite ai candidati (tale modus procedendi comprovando, anzi, lo scrupolo con il quale il predetto organismo ha affrontato la disamina delle prove), elementari esigenze di omogeneità di giudizio (e, con essa, del metro valutativo) avrebbero dovuto imporre – necessariamente – un riesame di quegli elaborati ritenuti affetti da “gravi insufficienze” relativamente a profili poi diversamente apprezzati con connotazione non insanabilmente insufficiente.

3.1.2. Se, alla stregua di quanto sopra esposto, la Sezione ritiene illegittimo l’operato della Commissione con riferimento alla omessa rinnovazione della valutazione di quegli elaborati dimostranti omogeneità di soluzioni rispetto a compiti successivamente diversamente apprezzati, devono conseguentemente essere disattese le argomentazioni con le quali la difesa erariale ha tentato di argomentare l’inammissibilità delle relative doglianze, escludendo la portata inficiante del vizio di disparità di trattamento ove, come nel caso di specie, manifestamente evidenziato dall’illustrato modus procedendi .

L’incondivisibilità delle tesi esposte dall’Avvocatura di Stato nella già citata memoria del 16 aprile appieno rileva ove si tenga presente – unitamente alle già rassegnate considerazioni sul punto – che la difesa erariale, a sostegno della tesi dalla medesima propugnata, ha sostenuto che “una presunta disparità di trattamento nei confronti di altro candidato per errori da quest’ultimo commessi nello svolgimento della traccia non è suscettibile di comportare l’illegittimità del giudizio reso nei confronti del ricorrente, potendo al più refluire in un vizio di legittimità del giudizio reso nei confronti dell’altro candidato”.

Il surriportato principio – anch’esso ben conosciuto dalla Sezione in quanto affermato, fra le altre, in una pronunzia dalla medesima resa (sentenza 4 maggio 2009 n. 4487) – afferisce, invero, a fattispecie affatto speculare rispetto a quella oggetto dell’odierna controversia.

In questo caso, infatti:

- non viene tanto in considerazione l’irrilevanza, per un candidato, del giudizio reso in favore di altro concorrente laddove la valutazione delle prove formate da quest’ultimo non abbia tenuto conto di errori o imperfezioni commesse dal medesimo;

- quanto, piuttosto, l’ipotesi inversa;
nella quale, cioè, un candidato si dolga (come appunto nella vicenda ora all’esame) che le soluzioni fornite siano state ritenute inficiate da “gravi insufficienze”, laddove soluzioni omogenee e/o sovrapponibili, formulate da altro candidato, siano state diversamente apprezzate con accentuata “mitezza”: pervenendosi, quindi, ad una valutazione di non “gravità” dell’inesattezza o, addirittura, di correttezza della (analoga) soluzione per effetto della ( medio tempore operata) rimeditazione in ordine alla risoluzione di particolari problematiche poste dalla traccia fornita ai candidati.

3.3. A compendio delle svolte considerazioni, con riferimento alle problematiche precedentemente individuate ed alla incontroversa modificazione dei relativi criteri di valutazione da parte della Commissione, nel caso di specie va dato dell’illegittimità dell’esclusione della candidata – in applicazione della disposizione di cui al comma 7 dell’art. 11 del D.Lgs. 166/2006 – in quanto:

- talune imperfezioni, errori e/o mende ritenute (con riferimento agli argomenti sopra indicati) suscettibili di integrare una “grave insufficienza” sono state, ad un rimeditato apprezzamento operato dall’organo concorsuale, degradate al rango di più attenuata rilevanza, sì da escludere la sussistenza dei presupposti per un’immediata espressione del giudizio di “non idoneità” (formulata, quindi, senza passare all’esame dei successivi elaborati);
in particolare, nel caso in esame, è stato considerato errore escludente la mancata previsione di un termine per la sottoscrizione dell’aumento di capitale, che, invece, successivamente, è stata considerata una mera imperfezione;

- la diversificata considerazione riservata, ratione temporis (e, quindi, in ragione del perfezionamento del giudizio anteriormente o successivamente al citato “affinamento” interpretativo da parte della Commissione) ad elaborati presentanti omogeneità di soluzioni evidenzia la presenza di un vizio di disparità di trattamento suscettibile di essere stigmatizzato, in ragione della sua incontroversa esistenza e consistenza e della parimenti evidente rilevanza dal medesimo assunto, nella presente sede di legittimità, senza che ciò trasmodi in un precluso apprezzamento di merito sull’operato dell’organo concorsuale.

Ciò è in particolare avvenuto in relazione alla mancata previsione di un termine per la sottoscrizione dell’aumento di capitale, con la quale, come sopra evidenziato, si è effettivamente registrato un andamento ondivago della Commissione.

L’’ulteriore rilievo svolto nel caso di specie, concernente la predeterminazione del valore delle azioni (in caso di deliberazioni che attribuiscono diritto di recesso – art. 2437 - ter c.c.) appare pure esso non incontrovertibilmente configurabile quale errore grave, soprattutto alla luce di quanto dalla ricorrente documentato circa l’orientamento assunto dal Consiglio Notarile di Milano.

L’esclusa configurabilità della presenza di “gravi insufficienze”, se da un lato eclissa la rilevanza di un presupposto per l’operatività del più volte rammentato disposto del comma 7 dell’art. 11, d’altro canto impone, per l’espressione del conclusivo giudizio, la disamina anche della terza prova scritta.

4. Per quanto appena argomentato, il ricorso merita, nei termini indicati, accoglimento, rimanendo ovviamente riservate all’Amministrazione le conseguenziali statuizioni.

La novità delle problematiche coinvolte dalla trattazione del gravame, in ragione della modificazione del quadro normativo di riferimento (oggetto, relativamente alla vicenda concorsuale all’esame, di prima applicazione) integra la presenza di giusti motivi per compensare fra le parti le spese di lite.

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