TAR Napoli, sez. II, sentenza 2020-11-30, n. 202005652

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. II, sentenza 2020-11-30, n. 202005652
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202005652
Data del deposito : 30 novembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/11/2020

N. 05652/2020 REG.PROV.COLL.

N. 02113/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2113 del 2015, proposto da
N C, rappresentato e difeso dall'avvocato F T, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via Vittoria Colonna n. 9;

contro

Comune di Frattamaggiore in persona del Sindaco pro tempore, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati L P e A D B, con domicilio eletto presso lo studio Giuseppe Ferraro in Napoli, via Ligorio Pirro n. 25;

per il risarcimento del danno

determinato dall' illegittimità del provvedimento n. 11172 del 7 luglio 1997, recante diniego di concessione edilizia.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Frattamaggiore in persona del Sindaco pro tempore;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 17 novembre 2020, celebrata con modalità da remoto ai sensi dell’art. 25 del. D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, la dott.ssa Germana Lo Sapio;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.Il ricorrente, in data 13 marzo 1997, ha richiesto il rilascio della concessione edilizia. L’istanza è stata rigettata con il provvedimento prot. 11172 del 7 luglio 1997, sul presupposto del suo contrasto con la deliberazione consiliare “ con la quale sono stati riproposti i vincoli del P.R.G. per la salvaguardia delle aree e delle opere di interesse pubblico ”.

Con sentenza del T.A.R. Napoli, sez. II, 28 aprile 1999 n. 1156, confermata in grado di appello), il diniego è stato annullato ed il Comune è stato condannato a riesaminare l’istanza, accogliendola “ ove non ostino ragioni diverse da quelle esaminate ”. Nelle more del giudizio, e nonostante le istanze di riesame della relativa proposta, è stato dapprima adottato (deliberazione del Consiglio Comunale n. 4 del 16 giugno 1999, antecedente alla notifica della sentenza n. 1156/1999) e poi approvato un nuovo piano urbanistico (Decreto del Presidente della Provincia n. 884 del 7 novembre 2001), che ha modificato la destinazione edilizia originaria del suolo di proprietà del ricorrente, imprimendone quella ad “attrezzatura scolastica”, sì da precludere definitivamente la chance dell'intervento edilizio come progettato originariamente dal ricorrente.

Deve osservarsi che parte ricorrente ha impugnato anche tali sopravvenute prescrizioni urbanistiche;
ma il ricorso è stato rigettato con sentenza del T.A.R. Napoli, II sez., 21 maggio 2003, n. 8238, anche questa confermata in secondo grado.

Alla luce delle sopravvenute prescrizioni urbanistiche, il Comune ha pertanto rigettato l’istanza con provvedimento n. 750 del 13 gennaio 2004. Anche tale diniego è stato impugnato con separato ricorso RG n. 3811/2007, ma, in considerazione della mancata coltivazione dell’interesse a ricorrere, il giudizio è stato dichiarato perento con sentenza del T.A.R. Napoli, II sez., 18 dicembre 205, n. 5817, passata in giudicato.

2. Con il ricorso introduttivo, parte ricorrente ha quindi chiesto la condanna al risarcimento del danno derivante dalla accertata illegittimità del primo diniego, risalente al 1997.

Nella ricostruzione della articolata vicenda, ampiamente riportata in ricorso, parte ricorrente assume che le conseguenze dannose, ormai non più risarcibili in forma specifica per le sopravvenute previsioni del P.R.G., sarebbero eziologicamente riconducibili al primo provvedimento di diniego, che è già stato dichiarato illegittimo dal giudice amministrativo;
in merito, specifica, in particolare, che se l’amministrazione avesse concluso correttamente il procedimento avviato su istanza dell’interessato del 3 marzo 1997, il titolo edilizio sarebbe stato rilasciato, non ostandovi altre ragioni impeditive, prima della modifica della destinazione urbanistica dell’area di interesse.

3. Quanto al danno patrimoniale, il ricorrente lamenta la sussistenza sia del lucro cessante, consistente nella mancata vendita e nella mancata locazione delle unità abitative che sarebbero state ricavate dall’edificazione del fabbricato, allegando una stima riferita, come data di decorrenza, al mese di gennaio 2000, sul presupposto che a quella data l’edificio sarebbe stato legittimamenrte realizzato, pari, rispettivamente ad euro € 402.195,62, ed ad € 293.151,85 (somma da rivalutare anno per anno e alla quale andrebbero sommati gli interessi legali);
sia del danno emergente, consistente nel costo di realizzazione dei lavori di urbanizzazione già eseguiti a proprie spese, pari ad € 22.000.

4. Il Comune, costituitosi in data 29 aprile 2015, con memoria del 17 agosto 2020 ha eccepito la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno ex art. 2947 c.c.

5. All’udienza di smaltimento del 17 aprile 2020, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

6. Il ricorso deve essere respinto in accoglimento dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla controparte.

7. Va osservato che la fattispecie in esame ricade nell’alveo applicativo della disciplina sulla risarcibilità del danno dal lesione di interessi legittimi (pretensivi), anteriore all’entrata in vigore dell’art. 30 del c.p.a. che ha sancito, in relazione alla “temporizzazione” dell’azione risarcitoria, in luogo della prescrizione del diritto la decadenza per l’esercizio dell’azione risarcitoria (cfr. Ad. Plen. 6 giugno 2015, n.6 e, in relazione al carattere innovativo della decadenza, Corte Cost. 4 maggio 2017, n. 94 secondo cui il più breve termine di decadenza di centoventi giorni costituisce il punto di equilibrio tra l’esigenza di tutela del danneggiato e quella di certezza del rapporto giuridico amministrativo, anche nella sua “ declinazione risarcitoria ”). Non può pertanto applicarsi alla fattispecie in esame neanche l’articolata disciplina, contenuta nell’art. 30 c.p.a., in relazione al dies a quo del predetto termine di decadenza, nella duplice alternativa dell’effettiva introduzione o meno della parallela ed autonoma azione di annullamento ex art. 29 c.p.a.

8. Tanto premesso, in relazione alla disciplina applicabile ratione temporis , va ancora sottolineato che, stante la ritenuta – secondo l’orientamento maggioritario rinvenibile in materia prima della specifica regola decadenziale prevista dall’art. 30 citato – natura extracontrattuale della responsabilità della pubblica amministrazione da attività provvedimentale illegittima, deve ritenersi applicabile il termine quinquennale di prescrizione ex art. 2947 c.c.

9. La questione da dirimere nel caso specifico attiene, però, in particolare, al dies a quo della decorrenza del predetto termine di prescrizione, poiché è emerso agli atti che parte ricorrente ha notificato all’amministrazione, ritenuta debitrice dell’obbligo risarcitorio, plurimi atti di diffida stragiudiziale, idonei come tali ad interrompere il decorso del termine (atti prot. n. 21903 del 27 ottobre 2004;
prot. n. 9641 del 20 maggio 2008;
prot. n. 10157 del 11 aprile 2013).

10. Ritiene il Collegio che – nel quadro normativo anteriore all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo e tenuto conto dei principi ricognitivi affermati, anche con riguardo a tale contesto, dalla nota sentenza dell’Ad. Plen. 23 marzo 2011, n. 3 – il termine di decorrenza del termine di prescrizione debba individuarsi, non già con riferimento all’annullamento giudiziale dell’atto amministrativo (con sentenza autoesecutiva di annullamento, o secondo una prospettiva che trae linfa dalla innovativa disciplina vigente, dal suo passaggio in giudicato), ma con decorrenza dalla data di perfezionamento dell’illecito, ovvero dalla data di adozione dell’atto illegittimo, con cui si è concretizzato il “ comportamento illecito ” riferibile all’amministrazione.

Invero, la fattispecie risarcitoria connessa al diniego illegittimo di un titolo edilizio ha natura istantanea, poiché occorre distingue il perfezionamento della predetta fattispecie, fonte dell’obbligo risarcitorio (costituita da tutti i requisiti richiesti dall’art. 2043 c.c., ivi compreso l’elemento soggettivo e il rapporto di causalità materiale tra il comportamento illecito e il danno “contra jus”) e della correlativa posizione giuridica attiva in capo al danneggiato, dalla proiezione delle asserite conseguenze economiche verificatesi nella sua sfera giuridica che, nel caso di specie, parte ricorrente ha collocato in un arco temporale successivo all’adozione dell’atto, considerando il tempo occorrente per la realizzazione effettiva dell’intervento edilizio oggetto dell’interesse legittimo.

9. Tale conclusione è avvalorata dalla considerazione – sopra già evocata con il richiamo ai principi affermati da Ad. Plen. 3/2011 in ordine alla inconfigurabilità della cd. pregiudiziale amministrativa– che, anche nel quadro antecedente all’entrata in vigore dell’art. 30 c.p.a., l’intervenuto annullamento dell’atto amministrativo lesivo non costituisce un requisito di ammissibilità della domanda risarcitoria, salvo, sul piano di diritto sostanziale e non processuale, a riverberarsi su di essa, ai sensi dell’art. 1227 c.c. (Cons. Stato Sez. VI, 11 novembre 2020, n. 6942;
ma il principio è consolidato: cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 21 maggio 2014, n.2610 citata anche dalla resistente).

Ne consegue che la pendenza del giudizio di annullamento – o in astratto finanche la sua non introduzione da parte del danneggiato – non costituisce un impedimento giuridico alla possibilità legale di esercitare la tutela risarcitoria ex art. 2935 cod. civ.,;
né l’efficacia interruttiva del termine di prescrizione può derivare dall’introduzione di un giudizio diverso, per petitum e causa petendi e processualmente autonomo, da quello risarcitorio (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 06 novembre 2008, n. 5498).

10. Tanto premesso, va rilevato che, pur trovando fonte il danno all’interesse legittimo pretensivo nel diniego del titolo edilizio, prot. 11172 del 7 luglio 1997, la domanda di risarcimento è stata proposta con ricorso avviato per la notifica nel marzo 2015, ovvero dopo che era ampiamente decorso il termine quinquennale (non essendo stato tempestiva e idonea ad interrompere il quinquennio neanche la prima diffida stragiudiziale risalente al 2004, inoltrata pertanto quando la prescrizione si era già verificata).

11. L’accoglimento dell’eccezione di prescrizione è sufficiente a concludere per il rigetto della domanda risarcitoria, in ossequio al principio della ragione più liquida, esonerando il Collegio dall’esame anche delle altre eccezioni sollevate da controparte.

Tuttavia, la peculiarità e l’articolazione in fatto della complessiva vicenda giustifica la compensazione delle spese di lite tra le parti.

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