TAR Milano, sez. IV, sentenza 2023-07-14, n. 202301815

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Milano, sez. IV, sentenza 2023-07-14, n. 202301815
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Milano
Numero : 202301815
Data del deposito : 14 luglio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/07/2023

N. 01815/2023 REG.PROV.COLL.

N. 01884/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1884 del 2019, proposto da
Associazione Musulmani di Bergamo, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati A D L e S M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio Marianna Piacenza in Milano, via Leopardi n. 7;

contro

Regione Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati S G, P P e A G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

dell'Azienda Socio Sanitaria Territoriale (ASST) Papa Giovanni XXIII e del Ministero per i Beni e le Attività culturali (ora Ministero della Cultura), non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

della D.G.R. 20 maggio 2019, n. XI/1655 e del relativo allegato;

del decreto del Dirigente della U.O. Sedi Istituzionali e Patrimonio Regionale 25 giugno 2019, n. 9267;

di ogni atto connesso, presupposto o consequenziale, anche non conosciuto, ivi espressamente compresa la nota di comunicazione del decreto sopracitato.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Lombardia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza di smaltimento del giorno 5 luglio 2023, svolta ai sensi dell'art. 87, co. 4 bis , cod. proc. amm. e dell'art. 13 quater delle norme di attuazione al cod. proc. amm., la dott.ssa M A e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con ricorso notificato il 19 luglio 2019 e depositato il 9 settembre 2019, l'Associazione Musulmani di Bergamo ha impugnato, unitamente ai connessi atti indicati in epigrafe, la delibera di Giunta regionale (D.G.R.) n. XI/1655, del 20 maggio 2019, con la quale la Regione Lombardia ha esercitato la cd. prelazione culturale sull'immobile denominato "Chiesa Casa Frati". Il bene, appartenente al più ampio complesso immobiliare degli ex Ospedali riuniti di Bergamo, è composto da una chiesa, da locali accessori già utilizzati come alloggio dei frati cappuccini e dalla circostante area di pertinenza ed è stato dichiarato d'interesse storico-artistico con decreto ministeriale dell'11 aprile 2008. La prelazione è stata esercitata, ai sensi degli artt. 60, 61 e 62 d.lgs. 42/2004 (codice dei beni culturali), a seguito della vendita, con contratto del 2 maggio 2019, della proprietà della Chiesa Casa Frati dall'

ASST

Papa Giovanni XXIII, proprietaria dell'immobile, all'odierna ricorrente, che si era aggiudicata il predetto bene all'esito di un'asta pubblica.

2. L'esponente ha lamentato l'illegittimità della D.G.R. n. XI/1655 per i seguenti motivi di diritto.

I) Eccesso di potere e violazione degli artt. 21 quinquies e 21 nonies l. 241/1990.

Ad avviso della ricorrente, l'esercizio della prelazione si porrebbe in contraddizione con il precedente contegno della Regione, che aveva autorizzato, ai sensi dell'art. 5 d.lgs. 502/1992, la vendita del complesso immobiliare comprensivo della Chiesa Casa Frati (D.G.R. n. 4335 del 2012), così manifestando il proprio disinteresse al bene. In ogni caso, l'esercizio della prelazione necessiterebbe di un previo ritiro in autotutela del provvedimento autorizzativo, ritiro che non potrebbe considerarsi implicito nella D.G.R. n. XI/1655, in quanto irrispettosa dei presupposti sostanziali e formali sanciti dagli artt. 21 quinquies o 21 nonies l. 241/1990.

II) Violazione dell'art. 12, co. 1 ter , d.l. 98/2011 e dei principi di economicità e buon andamento.

Sarebbe stato disatteso il disposto dell'art. 12, co. 1 ter , d.l. 98/2011, che, ai fini del contenimento della spesa pubblica, subordina qualsivoglia acquisto di immobili da parte degli enti territoriali e del servizio sanitario nazionale ai requisiti di indilazionabilità e indispensabilità dell'operazione nonché alla congruità del prezzo di acquisto rispetto ad apposita stima dell'Agenzia delle Entrate. Da un lato, erroneamente la D.G.R. n. XI/1655 darebbe conto dell'inapplicabilità della succitata norma. Dall'altro lato, pur illustrando in via tuzioristica la ricorrenza dei presupposti normativi, il provvedimento recherebbe motivazioni stereotipate dei requisiti dell'indilazionabilità e dell'indispensabilità dell'acquisto. Infine, la prelazione non sarebbe stata esercitata al prezzo stimato dall'Agenzia delle Entrate, come invece richiesto dall'art. 12, co. 1 ter , d.l. 98/2011, bensì a un prezzo più alto: il valore di perizia, infatti, era stato posto alla base dell'asta vinta dall'Associazione Musulmani di Bergamo attraverso il rialzo del prezzo.

III) Violazione dell'art. 62 d.lgs. 42/2004 ed eccesso di potere sub specie contraddittorietà, irragionevolezza e illogicità manifeste, nonché difetto di motivazione.

Il progetto di valorizzazione culturale della Chiesa Casa Frati, costituente la ragione giustificatrice dell'esercizio della prelazione, sarebbe generico, inconsistente e disallineato rispetto al vincolo artistico gravante sul bene nonché rispetto alle competenze della Regione.

IV) Eccesso di potere per contraddittorietà e disparità di trattamento.

La decisione assunta rispetto alla Chiesa Casa Frati sarebbe incongrua alla luce del diverso trattamento riservato all'immobile limitrofo, denominato "Casa Rossa", il quale, seppur di valore storico-artistico e alienato a terzi, non è stato oggetto di prelazione né interessato da alcun progetto di valorizzazione culturale.

3. Si è costituita, per resistere al gravame, la Regione Lombardia. Oltre a dedurre l'infondatezza delle censure avversarie, l'amministrazione resistente ha eccepito l'inammissibilità del ricorso per violazione del principio del ne bis in idem o per difetto di giurisdizione, in quanto la medesima controversia sarebbe stata proposta anche in sede civile e, in tale ambito, decisa dapprima dal Tribunale di Bergamo e poi dalla Corte d'Appello, con sentenza attualmente impugnata in Cassazione. La Regione ha altresì eccepito l'inammissibilità del gravame per difetto d'interesse, poiché, il 1° luglio 2019, in considerazione dell'intervenuto esercizio della prelazione, la Regione avrebbe concluso con l'ASST un ulteriore contratto di acquisto della proprietà della Chiesa Casa Frati, del quale la ricorrente avrebbe omesso di dedurre l'inefficacia. Pertanto, pur a fronte dell'annullamento del provvedimento, l'Associazione non potrebbe conseguire il bene della vita anelato, ossia la titolarità dell'immobile.

4. La causa è passata in decisione all'udienza straordinaria di smaltimento del 5 luglio 2023.

DIRITTO

5. Principiando dalle questioni preliminari sollevate dalla Regione Lombardia, le stesse si rivelano infondate.

6. Rispetto alla prima eccezione, occorre anzitutto chiarire in punto di fatto che, successivamente al deposito del presente ricorso in data 21 ottobre 2019, l'Associazione Musulmani di Bergamo ha agito in sede civile per contestare che l'esercizio della prelazione culturale da parte della Regione Lombardia integri una condotta discriminatoria (per motivi religiosi) ai sensi dell'art. 43 d.lgs. 286/1998 e per richiederne la cessazione e la rimozione degli effetti (doc. 25 ricorrente). Il Tribunale di Bergamo ha accolto la domanda attorea e ha revocato la D.G.R. n. XI/1655 (doc. 26 ricorrente). Viceversa, la Corte d'Appello ha riformato la decisione di prime cure dichiarando, da un lato, l'illegittimità della revoca diretta del provvedimento da parte del giudice di prime cure e, dall'altro lato, l'inammissibilità dell'azione dell'Associazione per difetto d'interesse (doc. 27 ricorrente). Come già accennato, quest'ultima sentenza è stata impugnata in Cassazione, sicché il processo civile è tuttora pendente.

6.1. Invero, la causa civile non è sovrapponibile a quella oggetto della presente pronuncia. Le due azioni, sebbene dipartano dal medesimo sostrato fattuale (l'esercizio della prelazione culturale), sono volte a far valere distinte posizioni soggettive. In questa sede, come anche si preciserà a breve, è in contestazione la legittimità dell'esercizio del potere di prelazione, in quanto incidente sull'interesse legittimo dell'acquirente al mantenimento della proprietà del bene culturale. Nell'altra sede, è stata proposta una "azione civile contro la discriminazione", attribuita ex lege alla cognizione del giudice ordinario (cfr. artt. 43 e 44 d.lgs. 298/1998 e art. 28 d.lgs. 150/2011) in quanto posta a presidio del diritto soggettivo a non esser discriminati, il cui godimento non è intermediato da alcun potere amministrativo. Come osservato dalla Cassazione, infatti, «il diritto a non essere discriminati si configura, in considerazione del quadro normativo costituzionale (art. 3 Cost.), sovranazionale (Direttiva 2000/43/CE) ed interno (D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215, artt. 3 e 4 nonchè il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 4) di riferimento, come un diritto soggettivo assoluto da far valere davanti al giudice ordinario, a nulla rilevando che il dedotto comportamento discriminatorio consista nell'emanazione di un atto amministrativo » (Cass. Civ., Sez. Un., 15 febbraio 2011, n. 3670;
cfr., altresì, Cass. Civ., Sez. Un., 30 marzo 2011, n. 7186;
Id., Sez. 15 febbraio 2021, n. 3842). Premesso che la condotta discriminatoria deve essere indagata a prescindere dal soggetto – pubblico o privato – che la pone in essere e dagli strumenti – autoritativi o privatistici – di cui esso si avvale, nella sede civile il provvedimento di esercizio della prelazione è preso in considerazione esclusivamente quale strumento fattuale attraverso cui sarebbe stata discriminata la comunità musulmana: dinanzi al giudice ordinario non è in discussione la legittimità del provvedimento, ossia se sia stato leso l'interesse legittimo sotteso al potere di acquisto coattivo del bene culturale, ma solo la questione se, attraverso l'adozione di tale provvedimento – valido o invalido che sia –, l'amministrazione abbia illecitamente inferto il diritto soggettivo a non esser discriminati per motivi religiosi.

6.2. Ad ogni modo, quand'anche vi fosse identità di cause, la circostanza non influirebbe. Infatti, per consolidato insegnamento giurisprudenziale, l'istituto della litispendenza (consistente nella contemporanea pendenza di più processi relativi alla stessa causa) è deputato ad operare per l'ipotesi in cui tale contemporanea pendenza sia radicata presso uffici giudiziari diversi, ma pur sempre appartenenti al medesimo ordine giudiziario. Viceversa, nel caso di contestuale pendenza di identiche azioni dinanzi a diversi plessi giurisdizionali, il concorso tra i processi va risolto a mezzo di una pronuncia sulla giurisdizione e, in caso di decisioni contrastanti, con i rimedi che sono appositamente previsti per questa specifica ipotesi, ossia con la sollevazione di un conflitto di giurisdizione ai sensi dell'art. 362, co. 2, cod. proc. civ. (cfr., ex plurimis , Cass. Civ., Sez. V, 30 luglio 2007, n. 16834;
Id., 24 luglio 2012, n. 18024). Questo giudice, quindi, deve valutare la sussistenza o meno della propria giurisdizione e, se la riscontra, deve decidere la vertenza a prescindere dall'eventualità che, prima o – come nella fattispecie – dopo la proposizione del ricorso, la stessa domanda sia stata avanzata anche dinanzi al giudice ordinario.

6.3. Ebbene, nel caso di specie, indubbiamente sussiste la giurisdizione amministrativa. Superando un precedente indirizzo giurisprudenziale (cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 1 luglio 1992, n. 8079;
Id., 11 marzo 1996, n. 1950;
Id., 15 aprile 2003, n. 5993;
Id., 17 aprile 2003, n. 6221), il giudice del riparto ha da tempo chiarito che l'esercizio della prelazione culturale (disciplinata originariamente dalla l. 1089/1939, poi dal d.lgs. 490/1999 e ora dal d.lgs. 42/2004) non è esplicazione di un diritto soggettivo dell'amministrazione (perciò assimilabile alle varie prelazioni privatistiche disseminate nell'ordinamento), bensì si configura come un provvedimento di acquisto coattivo della proprietà (tra l'altro, destinato a essere adottato, diversamente dalla prelazione, successivamente – e non antecedentemente – alla conclusione del contratto di alienazione onerosa del bene), espressivo di un potere di supremazia per il conseguimento dell'interesse pubblico alla conservazione e al generale godimento di determinati beni, della cui legittimità è chiamato a conoscere il giudice amministrativo (Cass. Civ., Sez. Un., 3 maggio 2010, n. 10619;
Id., 1 aprile 2020, n. 7643;
Id., Sez. II, 15 dicembre 2021, n. 40179).

7. Per quanto concerne la seconda eccezione, si osserva che l'atto di acquisto a cui la Regione fa riferimento per sostenere il difetto d'interesse della ricorrente all'azione, altro non è che un atto di accertamento del mancato avveramento della condizione sospensiva apposta ex lege alla vendita del bene dall'ASST all'Associazione Musulmani di Bergamo (doc. 18 Regione).

7.1. Ai sensi dell'art. 61, co. 4, d.lgs. 42/2004, l'atto di alienazione del bene culturale è « condizionato sospensivamente [al mancato] esercizio della prelazione » e, in forza dell'art. 63, co. 3, d.lgs. 42/2004, «[l] a proprietà del bene passa all'ente che ha esercitato la prelazione dalla data dell'ultima notifica » del relativo provvedimento alle parti del contratto di alienazione. L'acquisto del prelazionario, quindi, non discende da un contratto con l'originario proprietario, ma costituisce l'effetto legale dell'esercizio della prelazione stessa, che – come già esposto – configura, a dispetto della propria denominazione, un acquisto forzoso della proprietà del bene culturale.

7.2. Ebbene, con l'atto del 1° luglio 2019, l'ASST e la Regione si sono limitate a dare atto del mancamento della condizione e dell'intervenuto acquisto del bene da parte della Regione. Ne consegue che un eventuale annullamento del provvedimento di esercizio della prelazione farebbe automaticamente riacquisire il bene in capo al primo acquirente (ossia l'Associazione), senza necessità di avversare ulteriori atti di autonomia privata, e permetterebbe, quindi, alla ricorrente di conseguire il bene della vita anelato.

7.3. A ben vedere, la medesima conclusione s'imporrebbe quand'anche l'ASST e la Regione avessero concluso – sebbene inutilmente, posto l'effetto acquisitivo direttamente discendente dall'esercizio della prelazione culturale – un vero e proprio contratto di vendita. Infatti, annullato l'atto di esercizio della prelazione e venuta a mancare la condizione sospensiva espressa dall'art. 61, co. 4, d.lgs. 42/2004, si consoliderebbe l'acquisto dell'Associazione Musulmani di Bergamo, mentre la successiva vendita ad opera dell'ASST, avvenuta a non domino , sarebbe inefficace. Tale inefficacia è suscettibile di accertamento incidenter tantum (per il giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 8 cod. proc. amm.), senza che emerga, in capo alla ricorrente, l'onere di muovere una specifica impugnativa del contratto sopravvenuto.

8. Può procedersi all'analisi del merito delle censure.

9. Come accennato, con il primo motivo di ricorso l'esponente deduce che, contraddittoriamente e comunque in spregio agli artt. 21 quinquies e 21 nonies l. 241/1990, la Regione avrebbe esercitato la prelazione dopo aver autorizzato, con D.G.R. n. 4335 del 2012, l'alienazione a terzi del compendio costituito dagli ex Ospedali riuniti di Bergamo e comprensivo della Chiesa Casa Frati.

9.1. La doglianza è infondata.

9.2. Il complesso immobiliare di cui fa parte la Chiesa Casa Frati era di proprietà dell'

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