TAR Palermo, sez. II, sentenza 2009-05-06, n. 200900867

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Palermo, sez. II, sentenza 2009-05-06, n. 200900867
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Palermo
Numero : 200900867
Data del deposito : 6 maggio 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02823/2004 REG.RIC.

N. 00867/2009 REG.SEN.

N. 02823/2004 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2823 del 2004, proposto da B C, M R, B S, B F, M G, C C, A B, B A, V F, S A, C L, T C, B M, G L, T A M vedova di R G, rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dall'avv. M B, ed elettivamente domiciliati presso il suo studio, in Palermo, via Principe di Villafranca n. 10,

contro

Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla copia notificata del ricorso, dagli avv.ti Aurelio Agueci, Giovanni Cola e Vincenzo Triolo, con domicilio eletto presso la Direzione regionale dell’INPS in Palermo, via Maggiore Toselli n. 5,

nei confronti di

ASSESSORATO REGIONALE DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Stato, domiciliata per legge presso i propri uffici in Palermo, via A. De Gasperi n. 81,

per l'annullamento

delle note del 3 gennaio 2004, ricevute in data 12.2.2004, con le quali l’INPS di Palermo ha respinto le domande di erogazione dell’incentivo all’autoimpiego disciplinato dagli artt. 3, comma 5 e 4 del Decreto interministeriale 21.5.1998, come integrato dall’art. 7 del D.Lgs. n. 81 del 28.2.2000,

e per la condanna dell’INPS al risarcimento dei danni subiti dai ricorrenti, ai sensi dell’art. 7, comma 1 lett. c) della legge 21.7.2000 n. 205, sostitutivo dell’art. 35 del D.lgs. 31.3.1998 n. 80.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio dell’istituto Nazionale della Previdenza Sociale e dell’Assessorato Regionale del Lavoro e della Previdenza sociale;

viste le memorie difensive depositate da parte ricorrente e dall’INPS;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell'udienza pubblica del giorno 06.04.2009 il Referendario dott.ssa M B C e uditi per parte ricorrente l’avv.to Roberto Croce, in sostituzione dell’avv. M B, e l’avvocato dello Stato Giacomo Ciani per l’Assessorato Regionale;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

1.Con ricorso ritualmente notificato, i ricorrenti, tutti appartenenti alla categoria dei “lavoratori socialmente utili”, utilizzati dal Comune di Palermo nell’ambito del progetto “ Palermo Produce”, hanno impugnato i provvedimenti indicati in epigrafe, ritenendo non corretta la decisione dell’INPS di negare loro l’incentivo economico per le cd. forme di autoimpiego promosse dai lavoratori socialmente utili, avendo gli stessi avviato un progetto di microimprenditorialità che prevedeva la loro partecipazione, in qualità di soci lavoratori, all’interno di due cooperative con sede in Palermo.

L’INPS, infatti, dal momento che l’indennità di mobilità percepita dai lavoratori non era a carico del “Fondo Nazionale per l’occupazione”, aveva respinto le istanze dei ricorrenti sul presupposto che essi non avessero svolto attività a carico del Fondo, e quindi, per questa ragione, non avessero diritto al beneficio.

2. Ciò premesso, il diniego dell’INPS è stato impugnato per i seguenti motivi:

I) violazione e falsa applicazione del’art. 3 comma 5 nonché dell’art. 4 del Decreto Interministeriale 21.5.1998. Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del D.lgs 81/00 nonché della circolare interpretativa del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale n. 100 del 26.7.1998. Eccesso di potere per sviamento.

Secondo i ricorrenti, l’erogazione del sussidio non sarebbe soggetta a condizione alcuna, ed in base all’art. 3, comma 5 del decreto interministeriale 21.5.1998 spetterebbe sia ai lavoratori socialmente utili che dimostrino di aver avviato forme di autoimpiego o di microimprenditorialità, sia in caso di avvio di nuove società cooperative, qualora il lavoratore vi partecipi in qualità di socio;
detta soluzione sarebbe confermata anche dalla Circolare del Ministero del lavoro n. 100/98.

II) Violazione delle norme sopra calendate sotto altro profilo. Erronea applicazione dell’art. 50 della Legge 27.12.2002 n. 289;
eccesso di potere per sviamento.

L’INPS avrebbe rigettato le istanze di ammissione agli incentivi applicando erroneamente la disposizione sopra citata, la quale prevede un “assegno di utilizzo” in favore dei l.s.u., a carico del Fondo per l’occupazione, che ha però natura diversa rispetto all’incentivo disciplinato dall’art. 4 del D.Interm. 21.5.1998, il quale, per espressa statuizione normativa, è cumulabile con il primo.

III) Eccesso di potere sotto il profilo della motivazione insufficiente e della contraddittorietà con le conclusioni dell’istruttoria.

Il diniego sarebbe stato emesso nonostante la favorevole istruttoria da parte dell’Ufficio provinciale del lavoro.

3. Per resistere al ricorso si sono costituiti in giudizio l’INPS e l’Assessorato Regionale del Lavoro e della Previdenza sociale.

In particolare l’INPS, con la propria memoria difensiva, ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di materia previdenziale, devoluta alla competenza inderogabile del Giudice ordinario in funzione di Giudice del Lavoro. Nel merito, ha ribadito la correttezza delle proprie valutazioni all’atto del diniego delle incentivazioni richieste, essendovi incompatibilità tra il trattamento di mobilità percepito dai ricorrenti e la loro utilizzazione in attività non finanziate dal Fondo per l’Occupazione.

4. Alla pubblica udienza del 6 aprile 2009, presenti i difensori delle parti - che si sono riportati agli scritti difensivi insistendo nelle relative conclusioni - la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

1. Il Collegio ritiene fondata l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata da parte resistente, trattandosi di controversia devoluta alla competenza del giudice ordinario in virtù del criterio del “petitum sostanziale” del giudizio ((cfr. per il criterio del petitum sostanziale ex plurimis: Cass., Sez. Un., 26 maggio 2004 n. 10180;
Cass., Sez. Un., 27 giugno 2003 n. 10243).

La questione sottoposta all’esame del Collegio, infatti, non si può risolvere nella semplice censura dell’operato dell’INPS, ma ha riguardo al mancato pagamento di emolumenti asseritamente spettanti in virtù dell’appartenenza a una particolare categoria di lavoratori (i cd. socialmente utili), il cui rapporto giuridico con l’Amministrazione non è qualificabile in termini di lavoro subordinato, ma presenta natura previdenziale, essendo disciplinato da una legislazione speciale volta a garantire diritti che trovano il loro fondamento nell'art. 38 Cost., connessi alla realizzazione di un interesse di carattere superiore e generale.

2. Sul punto, si rendono necessari alcuni brevi chiarimenti: la dottrina e la giurisprudenza hanno tradizionalmente inquadrato l’istituto del “lavoro socialmente utile”, originario dell’esperienza anglosassone, come strumento la cui funzione socioeconomica è quella di offrire al lavoratore una tutela sociale condizionata alla prestazione lavorativa “ fuori mercato” in attività socialmente utili, oltre che ad un dovere di attivarsi personalmente per uscire dall'assistenzialismo e porsi, pertanto, parzialmente fuori dal sistema del walfare, in quanto la prestazione economica a carico dello Stato è parzialmente compensata dallo svolgimento di un’attività che reca, o dovrebbe recare, effettivi benefici alla collettività. In questo, il lavoro socialmente utile si differenzia delle altre forme di assistenza al lavoratore quali Cassa integrazione, indennità di mobilità, ecc.

Da ciò discende che il sovvenzionamento di queste forme di lavoro con denaro pubblico non consente di qualificare il lavoratore socialmente utile, prevalentemente adibito a progetti di pubblica utilità, quale “lavoratore subordinato” e di fargli pretendere, per l’effetto, la relativa retribuzione e l’ordinaria copertura contributiva.

2.1. La materia è resa assai più complessa per via dei numerosi, e spesso sovrapposti, interventi del legislatore, a partire dal D.L. 28 maggio 1981, n. 244, art. 1 bis (convertito con modificazione nella L. n. 390 del 1981), per proseguire col D.L. 16 maggio 1994, n. 299, art. 14, convertito in L. 19 luglio 1994, n. 451, e concludersi con l’attualmente vigente D.Lgs. 28 febbraio 2000, n. 81, che integra, appunto, la disciplina preesistente, mirando soprattutto ad incentivare l'avvio dei soggetti "utilizzati" verso forme di impiego stabile, anche attraverso una restrizione del campo di applicazione dell'istituto ai soli soggetti già impegnati in progetti di l.s.u.

2.2. Più in particolare, per quanto concerne le forme di incentivazione all’assunzione, esse sono state oggetto di specifica disciplina da parte dell’art. 7 del Decreto legislativo da ultimo citato, e prima ancora da parte del Decreto del Ministero del Lavoro e della Sicurezza Sociale 21 maggio 1998, il quale all’art. 4 ha dettato la disciplina specifica per l’erogazione di somme di denaro da parte dell’INPS, volte ad incentivare l’assunzione di l.s.u., prevedendo al comma 3 l’erogazione rateale dell’incentivo “anche mediante conguaglio sui versamenti contributivi” e al comma 5 che “ gli oneri relativi alle erogazioni di cui al comma 1 saranno annualmente rimborsati all'INPS a valere sul Fondo per l'occupazione”.

Ai sensi dell’art. 3 del citato D.M., detto incentivo, che è quello richiesto dai ricorrenti con il presente ricorso, spetta altresì ai lavoratori socialmente utili che dimostrino di aver avviato forme di autoimpiego o di microimprenditorialità (anche in cooperativa), mediante erogazione in un’unica soluzione (non più rateale), e può essere cumulato con l’”assegno” per la prestazioni eseguite dagli l.s.u. ai sensi dell'articolo 50, comma 4, della Legge 27 dicembre 2002, n. 298.

Si hanno, pertanto, due diverse modalità di erogazione del medesimo contributo: a rate, al datore di lavoro che assuma l.s.u., oppure direttamente (e in unica soluzione) al lavoratore socialmente utile che dimostri di essere imprenditore di se stesso;
resta identico l’ente erogatore e resta identica la natura del contributo, stante anche il tenore letterale del comma 5 dell’art. 3 (“ ai lavoratori di cui al comma 4 che dimostrino di aver avviato forme di autoimpiego o di microimprenditorialità, a prescindere dai casi di cui al comma 1, spetta altresì l'incentivo di cui all'art. 4, comma 1, del presente decreto, che in tal caso viene erogato in unica soluzione”).

3. Proprio dall’esame delle discipline sopra menzionate, emerge chiaramente la natura “ previdenziale” del cd. “incentivo” all’autoimpiego rivendicato dai ricorrenti: esso, infatti, lungi dall’essere considerato alla stregua di una mera retribuzione del lavoratore socialmente utile, rappresenta una forma di erogazione di tipo previdenziale, identica, come detto, a quella elargita al datore di lavoro e, come tale, scomputabile a conguaglio dai contributi pensionistici che il datore è tenuto a versare all’INPS.

Correttamente, quindi, la dottrina giuslavoristica ha parlato nel caso in esame di un rapporto giuridico previdenziale, che viene disciplinato da una legislazione volta a garantire al lavoratore diritti, che trovano il loro fondamento nel disposto dell'art. 38 Cost.;
il che impedisce al suddetto lavoratore, impegnato in attività presso le amministrazioni pubbliche, la rivendicazione nel confronti di dette amministrazioni di un rapporto di lavoro subordinato, e del suoi consequenziali diritti. In altri termini il lavoratore socialmente utile, svolgendo la sua attività per la realizzazione di un interesse di carattere generale, ha diritto ad emolumenti, cui non può riconoscersi natura retributiva.

4. Pertanto, se, come detto, la giurisdizione del giudice ordinario o di quello amministrativo deve essere in concreto identificata non già in base al criterio della soggettiva prospettazione della domanda (ossia in base alla qualificazione compiutane dall'interessato) ma alla stregua del "petitum sostanziale", individuato dagli elementi oggettivi che caratterizzano la sostanza del rapporto posto a fondamento delle pretese in base al quale i lavoratori in epigrafe hanno avanzato in questo giudizio richieste economiche nei confronti dell’INPS, è evidente che nel caso concreto non possa che configurarsi la giurisdizione del giudice ordinario, come chiarito dalla Suprema Corte nella sentenza 3 gennaio 2007 n. 3.

La suddetta decisione richiama autorevole giurisprudenza (cfr. Corte Cost. 31 maggio 1995 n. 209) per osservare come “nella materia previdenziale - ma anche in alcuni rapporti aventi ad oggetto prestazioni di natura assistenziale - l'atto di riconoscimento della prestazione non ha carattere autoritativo, non costituisce cioè un provvedimento amministrativo in senso tecnico, perchè non implica alcuna disponibilità del bene della vita che forma oggetto della situazione giuridica soggettiva del privato e non può essere definito, pertanto, che mero atto amministrativo dichiarativo della situazione giuridica vantata dall'interessato, perchè è diretto ad enunciare la sussistenza di un diritto, la cui nascita è preesistente alla sua dichiarazione”.

5. Consegue da quanto sinora detto che - conformemente a quanto già statuito da queste Sezioni Unite (cfr. Cass., Sez. Un., 30 maggio 2005 n. 11346;
Cass., Sez. Un., 22 febbraio 2005 n. 3508;
Cass., Sez. Un., 26 novembre 2004 n. 22276) - va dichiarata, in relazione alla presente controversia, la giurisdizione del giudice ordinario.

Il ricorso, pertanto, è inammissibile per difetto di giurisdizione, salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta in questa sede anche innanzi al giudice ordinario munito di giurisdizione, conformemente al dettato dell’art. 30 L. n° 1034/1971, nel testo risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale n° 77 del 14 marzo 2007.

6. Sussistono giusti motivi, avuto riguardo alla natura della controversia e alla complessità delle questioni trattate, per la compensazione fra le parti delle spese del giudizio.

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