TAR Firenze, sez. III, sentenza 2011-08-02, n. 201101283
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N. 01283/2011 REG.PROV.COLL.
N. 01801/1996 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1801 del 1996, proposto da:
M P F e C M R, rappresentato e difeso dagli avv. P P, A S, con domicilio eletto presso A S in Firenze, via Masaccio 172;
contro
Comune di Sesto Fiorentino, rappresentato e difeso dall'avv. N G, con domicilio eletto presso N G in Firenze, via Vittorio Alfieri N. 19;
per l'annullamento
a) del parere negativo della Commissione Edilizia Integrata, espresso in data 23.01.96;
b) del diniego di autorizzazione n. 4/1996, ai sensi dell'art. 7 della legge 29.06.1939, emanato in data 01.02.1996;
c) del diniego di condono edilizio di cui alla nota del Sindaco di Sesto Fiorentino prot. n. 7841/95 del 26.02.1996;
atti tutti relativi alla domanda di concessione a sanatoria, busta 1447/95.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Sesto Fiorentino;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 dicembre 2010 il dott. E D S e uditi per le parti i difensori A. Stancanelli delegato da G. Stancanelli e S. Ferretti delegato da N. Giallongo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. In data 9 dicembre 1989, i Sigg.ri Mannaioni e Camerino, odierni ricorrenti, proponevano domanda di autorizzazione edilizia per la realizzazione di una piscina ad uso privato, quale pertinenza della propria abitazione sita in Sesto Fiorentino, Via delle Croci n. 1.
L’area è sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi della legge n. 1497/1939, al fin di tutelare “il vario compenetrarsi di aree coltivate e aree forestali [… e il] complesso di cose immobili avente valore estetico tradizionale, dove l’opera della natura e quella dell’uomo si compenetrano vicendevolmente” (d.m. 25 marzo 1965).
In ragion del vincolo gravante sull’area – con istanza 16 novembre 1990 – i Sigg.ri Mannaioni e Camerino chiedevano l’autorizzazione ex art. 7 della legge n. 1497/1939.
Il parere favorevole della Commissione per il Paesaggio veniva annullato dal d.m. 23 agosto 1991 del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali con una duplice motivazione:
a) “in quanto sancisce la compatibilità ambientale di opere suscettibili di condurre alla cancellazione dei tratti distintivi dell’area protetta e che incidono negativamente sulle motivazioni costitutive del vincolo comportandone, di fatto, l’eliminazione”;
b) per carenza di motivazione, in quanto il Comune non avrebbe offerto congrui argomenti a sostegno dell’autorizzazione paesaggistica.
Il suindicato provvedimento ministeriale veniva gravato dai Sigg.ri Mannaioni e Camerino con ricorso accolto dal TAR Toscana con sentenza riformata dal Consiglio di Stato, in quanto il decreto di annullamento ha “acclarato la contraddittorietà della deliberazione [comunale] rispetto alla valutazione sottesa alla dichiarazione di notevole interesse pubblico di cui al decreto ministeriale 25 marzo 1965” (Sez. VI, 25 luglio 1994, n. 1267).
Prima che il contenzioso venisse definito, i ricorrenti ponevano in essere l’intervento edilizio, come desumibile dal sopralluogo di P.M. del 13 luglio 1991, nel corso del quale veniva accertata l’avvenuta realizzazione delle opere ritenute dal Ministero non compatibili, e cioè:
a) la realizzazione di una piscina di m. 12 x 6, rivestita in PVC e con cimasa in cotto a bordo vasca;
b) la realizzazione di ulteriori opere funzionali alla posa di impianti tecnici e di servizio inerenti la piscina.
A seguito di tale accertamento, il Comune di Sesto Fiorentino ingiungeva alla proprietà – con ordinanza n. 214/1991 – la demolizione delle opere sine titulo.
La predetta ingiunzione veniva impugnata dai Sigg.ri Mannaioni e Camerino con ricorso al TAR Toscana che veniva respinto con sentenza 26 gennaio 1993 n. 15.
Formatosi il giudicato sul d.m. 23 agosto 1991 di annullamento del parere favorevole della Commissione per il Paesaggio e del successivo provvedimento sanzionatorio, i ricorrenti, il 27 febbraio 1995, richiedevano la legittimazione postuma del manufatto ai sensi della legge n. 724/1994.
L’istanza veniva negativamente delibata dalla Commissione edilizia integrata (C.E.I.) nella seduta del 23 gennaio 1996, in quanto “la realizzazione della piscina per le sue caratteristiche estetico-formali contrasta in modo palese con il limitrofo complesso immobiliare i cui connotati storico-tipologici di valori, propri di un’edilizia inserita in un contesto ambientale e paesaggistico agricolo, impongono un’azione di salvaguardia rispetto alla quale non risulta compatibile il mantenimento della piscina”.
In recepimento del parere della C.E.I., il Comune di Sesto Fiorentino dapprima denegava l’autorizzazione paesaggistica con provvedimento n. 4/1996 del 1° febbraio 1996, e successivamente il condono con provvedimento 26 febbraio 1996.
Con il ricorso in esame, i Sigg.ri Mannaioni e Camerino hanno, quindi, impugnato gli sfavorevoli provvedimenti del Comune di Sesto Fiorentino, deducendo i seguenti motivi di doglianza:
1) “Eccesso di potere per contraddittorietà. Difetto di motivazione: violazione di legge (art. 3 l. 7 agosto 1990 n .241) o eccesso di potere”, in quanto l’Ente avrebbe denegato l’autorizzazione paesaggistica (e quindi la legittimazione in sanatoria) in conseguenza del pregresso annullamento d’ufficio, ritenendosi vincolato dalla deliberazione del Ministero;la C.E.I., inoltre, non avrebbe tenuto conto che la piscina non sarebbe visibile da alcun luogo pubblico (strada o altro), ma solo dalla proprietà dei ricorrenti e da altra limitrofa;
2) “Eccesso di potere per travisamento e/o erronea considerazione dei fatti”, in quanto la C.E.I. avrebbe erroneamente delibato l’impatto della piscina sul contesto ambientale circostante pregiudicato da altre (peggiori) consistenze;
3) “Violazione dell’art. 32 della l. 28 febbraio 1985 n .47 in relazione all’art. 7 della l. 26 giugno 1939 n. 1497. Eccesso di potere per illogicità manifesta e/o travisamento dei fatti”, in quanto la Commissione edilizia integrata avrebbe reso il parere sfavorevole sulla base di considerazioni che prescindono da quelle poste a fondamento del vincolo ministeriale o, comunque, fraintendendone il contenuto;
4) “Eccesso di potere per sviamento di potere”, in quanto il parere della C.E.I. scaturirebbe dalla volontà dell’organo tecnico-consultivo di appoggiare la posizione assunta con riferimento alla piscina per cui è causa da un Consigliere del Gruppo Verde;
5) “Eccesso di potere per illogicità manifesta e/o travisamento o erronea valutazione dei fatti”, in quanto la piscina edificata non avrebbe caratteristiche estetico-formali particolari e, comunque, incompatibili con il vincolo paesaggistico ovvero con l’ambiente agricolo.
2. Il ricorso è infondato.
Contrariamente a quanto assunto dai ricorrenti (primo motivo), non vi sono elementi che possano indurre ragionevolmente a ritenere che il parere sfavorevole espresso dalla C.E.I. e il conseguente diniego di sanatoria non siano frutto di un’autonoma valutazione della compatibilità paesaggistica del manufatto per cui è causa, svincolata dal contenuto del d.m. 23 agosto 1991 con cui era stato annullato il pregresso parere favorevole della Commissione per il Paesaggio.
Depongono, viceversa, a favore della piena autonomia delle determinazioni in questione sia la circostanza che nessuno degli atti impugnati richiami, sia pure implicitamente, il citato d.m. 23 agosto 1991, sia il tenore di tali atti. L’articolata motivazione degli stessi, infatti, dalla quale sono implicitamente evincibili anche le ragioni per le quali il Comune ha maturato un diverso orientamento in ordine alla compatibilità paesaggistica del manufatto per cui è causa, comprova che il Comune non ha acriticamente recepito il contenuto del d.m. di annullamento.
Quanto, poi, alla circostanza, dedotta sempre con il primo motivo di ricorso, che l’opera abusiva oggetto della domanda di condono non arrecherebbe alcun pregiudizio estetico, rimanendo riparata dalla vista diretta del pubblico, è sufficiente evidenziare che la maggiore o minore visibilità dell'opera abusiva non può rilevare ai fini del giudizio di compatibilità con i valori paesaggistici tutelati, in quanto la compatibilità delle opere con le esigenze di tutela ambientale non è un giudizio legato alla maggiore o minore visibilità delle opere stesse, ma al rispetto di determinati criteri e modalità di costruzione, che costituiscono i presupposti per il corretto adeguamento del vincolo paesaggistico (cfr., T.A.R. Valle d'Aosta, sent. n. 103 del 23.05.2003;nello stesso senso T.A.R. Umbria, sent. n. 218 del 24.03.1998).
Per quanto riguarda, poi, le doglianze di cui al secondo, terzo e quinto motivo di ricorso, va rilevato che il parere contrario formulato dalla C.E.I. per l’opera abusiva di cui si controverte, risulta motivato in termini che risultano del tutto chiari e univoci e non evidenzia, alla luce della documentazione anche fotografica prodotta, profili di travisamento o palese illogicità della valutazione, insindacabile nel merito, compiuta dalla C.E.I.. Dalla motivazione del parere si evince l’avvenuto accertamento della esistenza di un impatto negativo sull’ambiente protetto del manufatto in questione. L’Amministrazione comunale ha recepito detto giudizio di disvalore che, stanti le caratteristiche strutturali dell’opera – le quali rendono irrilevante la natura pertinenziale o meno della stessa - non può considerarsi privo di una sua puntuale e logica giustificazione.
Nel caso de quo il parere della C.E.I. non risulta né ellittico, né affidato a clausole di stile;al contrario, come si è detto, la Commissione ha diffusamente esternato, con riferimento allo stato dei luoghi, le ragioni per le quali le caratteristiche costruttive ed i materiali utilizzati arrecano pregiudizio alla bellezza tutelata: “la realizzazione della piscina per le sue caratteristiche estetico-formali contrasta in modo palese con il limitrofo complesso immobiliare i cui connotati storico-tipologici di valori, propri di un’edilizia inserita in un contesto ambientale e paesaggistico agricolo, impongono un’azione di salvaguardia rispetto alla quale non risulta compatibile il mantenimento della piscina”.
La C.E.I. ha, dunque, compiuto una accurata valutazione dell’impatto della piscina abusiva in relazione all’immobile limitrofo, ritenendo che le caratteristiche tipologiche dello stesso – riconducibili alla tradizionale edilizia rurale toscana, perfettamente integrata nel contesto circostante – contrastino insanabilmente con la realizzazione sine titulo di una piscina di m. 12 x 6 nel resede terrazzato prossimo agli uliveti storici circostanti (come, peraltro, già opinato dal Ministero in sede di annullamento della pregressa autorizzazione).
Né può fondatamente sostenersi che la C.E.I., nell’assumere l’incompatibilità della piscina con il fabbricato limitrofo, avrebbe frainteso il bene tutelato dal vincolo, non consistente nel suindicato fabbricato, bensì nel “vario compenetrarsi di aree coltivate e aree forestali [… e il] complesso di cose immobili avente valore estetico tradizionale, dove l’opera della natura e quella dell’uomo si compenetrano vicendevolmente”.
Infatti, come agevolmente desumibile dalla esaustiva motivazione, il manufatto abusivo di cui si controverte, di rilevanti dimensioni (con il tradizionale fondo azzurro e la pavimentazione dell’area circostante), è stato ritenuto lesivo dei valori paesaggistici tutelati dal vincolo ministeriale in quanto, risultando in manifesto contrasto con il fabbricato finitimo avente un valore estetico e tradizionale da preservare, ha alterato il rapporto tra tale fabbricato e l’ambiente circostante, ledendo il tutelato equilibrio tra opera dell’uomo e opera della natura.
Né, inoltre, vi sono elementi per ritenere che alla sfavorevole delibazione dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo sia sotteso l’assunto che la destinazione agricola dell’area osti alla realizzazione della piscina.
L’area oggetto di intervento, infatti, non era solo zona agricola, bensì area di elevato pregio ambientale riconosciuto dal d.m. 25 marzo 1965, ed è proprio il vulnus recato al bene oggetto di tutela che ha motivato il diniego.
Nessun rilievo, ha, poi, la circostanza che la zona si trovi in una situazione di fatto già pregiudicata da precedenti interventi.
Infatti, è principio consolidato in giurisprudenza che l’avvenuta edificazione di un’area o le sue condizioni di degrado non costituiscono ragione sufficiente per recedere dall’intento di proteggere i valori estetici o culturali ad essa legati (cfr., ex multis, Cons. di Stato, sez. V, 12 settembre 2009 n. 3770).
Quanto, infine, alla doglianza di cui al quarto motivo di ricorso, è sufficiente rilevare che è del tutto indimostrato l’assunto secondo il quale gli atti gravati conseguirebbero alla presa di posizione del Gruppo Verde.
3. Il ricorso va, pertanto, respinto.
4. Quanto alle spese di giudizio, le stesse seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.