TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2010-05-13, n. 201011109
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Testo completo
N. 11109/2010 REG.SEN.
N. 02832/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 2832 del 2009, proposto da:
P G, rappresentato e difeso dagli avv. D D B, G P, con domicilio eletto presso G P in Roma, via Gerolamo Belloni, 88;
contro
Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, Consiglio di Stato;Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del provvedimento del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa n. 0000784 del 13.1.2009, ricevuto in data 20.1.2009, con il quale si comunica il rigetto da parte del Consiglio di Presidenza nella seduta del 5 dicembre 2008, della richiesta di riammissione in servizio nei ruoli della magistratura amministrativa formulata dal ricorrente;
in parte qua, della deliberazione adottata dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa in data 5/12/08 relativamente al settimo punto “Riammissione in servizio” comunicata in data 3/3/09 con nota prot. n. 5378/C.P.
della nota prot. n. 0021055 a firma del Segretario Cons. Francesco Riccio con la quale si è comunicato il preavviso di rigetto in merito alla richiesta di riammissione in servizio nei ruoli della magistratura amministrativa;
di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, ancorchè interno e non conosciuto, ivi compresi i deliberati delle Commissioni interne al Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, con particolare riferimento al verbale della IV Commissione del 19 settembre 2008 ed al deliberato del plenum del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa del 26/9/08;
e per la declaratoria del diritto del ricorrente ad essere riammesso in servizio ex art. 132 T.U. n. 3 del 1957 come magistrato amministrativo nella qualifica posseduta, all’atto della decadenza ex art. 127 comma 1 lett. c) del medesimo T.U. n. 3 del 1957 intervenuta in data 31/7/03.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 marzo 2010 la dott. Stefania Santoleri e udito per la parte ricorrente l’Avv. G P;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente è stato nominato magistrato amministrativo a seguito di superamento di pubblico concorso dal 18/12/92, ed è rimasto nei ruoli della magistratura amministrativa fino al 31/7/03 quando è stato dichiarato decaduto, ai sensi dell’art. 127, comma 1, lett. c) del T.U. n. 3/57.
Nel novembre del 2007, il ricorrente ha chiesto la riammissione in servizio a norma dell’art. 132 del T.U. n. 3/57.
La sua richiesta è rimasta a lungo inevasa, poi a seguito di un sollecito dello stesso ricorrente, il Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa ha deliberato in data 26/9/08 di non accogliere la sua domanda di riammissione.
Con nota prot. n. 21055 del 2/10/08 il Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa ha comunicato il preavviso di rigetto.
Il ricorrente ha depositato una memoria nella quale ha provveduto a contestare quanto indicato nel preavviso di diniego.
In data 5/12/08 il Plenum del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa ha confermato il rigetto della sua istanza di riammissione.
Avverso il provvedimento di diniego di riammissione in servizio, ed avverso tutti gli atti del procedimento, il ricorrente deduce i seguenti motivi di impugnazione:
Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. 241/90 e s.m.i. con riferimento all’art. 132 T.U. n. 3/57 – Eccesso di potere per sviamento – contraddittorietà – manifesta ingiustizia – difetto di istruttoria – disparità di trattamento.
Lamenta il ricorrente il difetto di motivazione del provvedimento impugnato.
Sostiene, innanzitutto, che i presupposti per la riammissione in servizio sussisterebbero perché egli sarebbe stato dichiarato decaduto ex art. 127 lett. c) del T.U. n. 3/57 – escamotage utilizzato comunemente dai magistrati per poter rientrare in servizio – e vi sarebbe posto nell’organico.
I motivi addotti dal Consiglio di Presidenza per negare la sua riammissione non avrebbero consistenza in quanto:
- i procedimenti disciplinari non sussisterebbero perché il primo sarebbe stato dichiarato estinto, ed il secondo si sarebbe concluso con la minima sanzione dell’ammonizione;
- il profilo della decadenza sarebbe del tutto illogico, atteso che l’istituto viene comunemente utilizzato dal personale di magistratura per lasciare il servizio ed assumere incarichi esterni con possibilità di riammissione, visto che le dimissioni non consentirebbero di riprendere il servizio dopo la cessazione dell’incarico;
- l’assunzione presso la SIAE sarebbe intervenuta successivamente alla declaratoria di decadenza.
Pertanto, gli elementi fattuali addotti per motivare il rigetto della sua richiesta di riammissione, sarebbero del tutto inconsistenti, ed il giudizio negativo sulla sua affidabilità non troverebbe alcun fondamento fattuale, essendo del tutto illogico.
In particolare: assenza di rilevanza per i procedimenti disciplinari a carico del dott. Pascone – eccesso di potere per carenza di istruttoria – travisamento dei fatti – sviamento di potere – manifesta illogicità ed ingiustizia. Violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 20 del R.D.L. 31/5/46 n. 511 in quanto applicabili ai magistrati amministrativi.
La sanzione dell’ammonizione non potrebbe costituire un valido presupposto per il diniego di riammissione, considerato che si tratterebbe di una sanzione assai lieve (al momento della sua irrogazione nemmeno formalizzata) non rilevante ai fini dell’avanzamento nella carriera, tant’è che non gli avrebbe impedito di ottenere la promozione al grado di consigliere di T.A.R.
2 bis) Violazione e falsa applicazione dell’art. 87 T.U. n. 3/57, dell’art. 55 comma 2 del D.Lgs. n. 165/01 e dell’art. 7, comma 8 della L. 300/70.
La sanzione dell’ammonimento sarebbe scaduta dopo il passaggio del biennio successivo alla sua irrogazione.
Essendo stata comminata nel 2000, essa avrebbe perso ogni effetto.
In particolare, la decadenza dal servizio “richiesta dall’interessato per assumere altro incarico” – Difetto di istruttoria – travisamento dei fatti – sviamento di potere – manifesta illogicità e ingiustizia.
L’intervenuta decadenza dal servizio non potrebbe costituire motivo valido per fondare il provvedimento di diniego di riammissione, atteso che nella prima istruttoria era stato asserito che il ricorrente avesse assunto servizio presso la SIAE prima della decadenza da magistrato;detto presupposto era stato smentito dal ricorrente facendo riferimento alla nota dello stesso Consiglio di Presidenza n. 2189/CP del 28/10/03, avendo dimostrato di aver assunto servizio presso l’Ente solo in seguito alla intervenuta decadenza ai sensi dell’art. 127 lett. c) del T.U. n. 3/57.
La valutazione negativa sulla decadenza sarebbe del tutto illogica, atteso che si tratterebbe di una prassi consolidata utilizzata dai magistrati per assumere incarichi esterni e poi rientrare in servizio alla cessazione dell’incarico.
L’allontanamento dal servizio sarebbe intervenuto in periodo feriale e non avrebbe interferito con le funzioni pubbliche svolte.
In particolare: la mancanza dell’affidabilità – Arbitrarietà del giudizio – Carenza assoluta di motivazione – Travisamento – Difetto di istruttoria.
Il giudizio di inaffidabilità se reso sulla base dei presupposti costituiti dalla sanzione e dalla decadenza sarebbe del tutto contraddittorio ed illogico, se basato su altri elementi sarebbe del tutto immotivato ed arbitrario.
Insiste quindi il ricorrente per l’accoglimento del ricorso.
Con ordinanza n. 1421/09 il Tribunale ha ordinato all’Amministrazione di depositare in giudizio copia del fascicolo personale del ricorrente.
Gli atti sono stati regolarmente depositati e posti a disposizione del ricorrente che ne ha preso visione.
Con memoria depositata il 22 febbraio 2010, il ricorrente ha depositato una memoria difensiva, nella quale ha meglio illustrato i motivi di censure tenuto anche conto di quanto risultante dal proprio fascicolo personale.
All’udienza pubblica del 3 marzo 2010, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe il ricorrente ha impugnato il provvedimento con il quale il Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa ha deliberato di respingere la sua domanda di riammissione in servizio ai sensi dell’art. 132 del T.U. n. 3/57.
Lo stesso ricorrente era stato dichiarato decaduto dal servizio ai sensi dell’art. 127 comma 1 lett. c) dello stesso T.U. 3/57.
Secondo l'art. 132 in combinato disposto con l'art. 127 comma 1, lett. C) del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, può essere riammesso in servizio l'impiegato decaduto che non assuma o non riassuma servizio entro il termine prefissogli, senza giustificato motivo, ovvero che sia rimasto assente dall'ufficio per un periodo non inferiore a quindici giorni.
La norma - come interpretata dalla costante giurisprudenza - non impone un obbligo di riammettere comunque in servizio il dipendente che ne faccia richiesta, ma rimette all'amministrazione la valutazione discrezionale dell'opportunità della riammissione, con particolare riguardo all'effettiva sussistenza di un interesse pubblico ad avvalersi della prestazione del richiedente.
La riammissione in servizio del pubblico dipendente dimissionario, disciplinata dall'art. 132 del DPR 10 gennaio 1957, n. 3, costituisce, infatti, espressione di una valutazione ampiamente discrezionale dell'Amministrazione, rispetto alla quale il dipendente non vanta un diritto soggettivo a riprendere servizio al verificarsi della vacanza del posto: egli, infatti, non ha alcuna pretesa direttamente tutelata alla riassunzione, in quanto la norma conferisce all'amministrazione un potere discrezionale alla ricostituzione del rapporto condizionato alla sussistenza dell’interesse pubblico ad avvalersi della prestazione lavorativa dell’istante, tenuto conto dell’utilità della prestazione stessa, ai fini del soddisfacimento delle esigenze dell’apparato organizzativo di riferimento (T.A.R. Lazio Sez. I 7/6/07 n. 5255;Cons. Stato Sez. IV 2373/2004 n. 1510;T.A.R. Lazio Sez. I 5/12/08 n. 11019;7/6/07 n. 5255;Cons. Stato, IV, 25 maggio 1989, n. 343, Cons. Stato, 29 gennaio 1990, n. 225;Cons. Stato Sez. IV 11/12/98 n. 1783).
L’Amministrazione è quindi titolare del potere discrezionale di valutare l'istanza di riammissione sulla scorta di una ponderazione complessiva, che tenga conto delle esigenze organizzative e di tutte le circostanze rilevanti sul piano dell'interesse pubblico ( Cons. St., VI, 24 marzo 2003, n. 1495 ), ma è poi tenuta ad esternare le ragioni ostative all'accoglimento della domanda del dipendente, e ciò proprio per l'ampia discrezionalità esercitabile nella valutazione attuale del pubblico interesse a reintegrare il dipendente stesso nell'organizzazione amministrativa e ad avvalersi nuovamente delle sue prestazioni (Cons. Stato Sez. VI 20/1/06 n. 130).
In sostanza, l’Amministrazione quando nega la riammissione in servizio del dipendente decaduto, deve indicare le ragioni per le quali ritiene non rispondente al pubblico interesse il suo reinserimento, ragioni che possono essere di tipo organizzativo, o che invece possono riguardare propriamente il dipendente stesso che chiede la riammissione, il cui comportamento in servizio sia stato giudicato non immune da rilievi.
Pertanto, nel decretare il diniego di riammissione in servizio, l’Amministrazione non può richiamare genericamente ragioni di inopportunità, ma deve indicare i fatti dai quali abbia dedotto la non rispondenza al pubblico interesse della ricostituzione del rapporto, rendendo quindi possibile, attraverso la disamina della motivazione, il controllo giurisdizionale sul corretto esercizio del potere.
L’operato del giudice , però, diretto a sindacare l’esercizio di un potere discrezionale puro, privo di profili tecnici, ma dedotto dall’esistenza di elementi di fatto incontroversi, non può spingersi fino al punto di esprimere un autonomo giudizio sulle ragioni addotte dall’Amministrazione sostituendo le proprie valutazioni dei fatti a quelle dell’organo titolare del potere, ma deve limitarsi ad accertare se le giustificazioni della determinazione assunta non siano viziate da travisamento, e se il criterio seguito per giungere alla scelta finale non sia palesemente illogico.
In particolare, sulla base di tali limiti pacificamente applicati in giurisprudenza, l’oggettiva severità e l’atteggiamento rigoroso assunto nei confronti di determinati comportamenti tenuti durante il servizio dal dipendente decaduto, non possono costituire di per sé indice di illogicità della scelta, nei casi in cui la particolare rilevanza delle funzioni disimpegnate dal dipendente che chiede la riammissione ne giustifichi l’applicazione.
Ritiene il Collegio che la motivazione addotta dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa per negare la riammissione in servizio del ricorrente resista alle censure proposte, proprio in ragione dei limiti di sindacabilità di cui dispone il giudice amministrativo in materia, atteso che il diniego è stato adottato dopo un’approfondita istruttoria che ha preso in considerazione il comportamento tenuto in servizio dal ricorrente (ed in particolare le vicende connesse all’assunzione di incarichi extraistituzionali non autorizzati), la sanzione disciplinare dell’ammonizione comminata per un comportamento ritenuto dal Consiglio di Presidenza lesivo del prestigio della funzione di magistrato, - avendo il ricorrente rivendicato il pagamento di oltre un miliardo di lire a titolo di illegittimo licenziamento nei confronti dell’Ente Acquedotto Pugliese, per lo svolgimento dell’incarico di direttore generale presso lo stesso Ente, espressamente vietato dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa nella seduta del 18 luglio 1997 (cfr. deliberazione adottata dal Consiglio di Presidenza in data 27/4/00) -, e la particolarità della stessa vicenda dalla quale è poi scaturita la richiesta di decadenza dal servizio, anch’essa connessa all’assunzione di un incarico non autorizzato presso la SIAE.
Occorre infatti rilevare che nell’ambito di un potere ampiamente discrezionale quale è quello nella specie esercitato, l’Amministrazione può legittimamente attribuire rilievo ostativo anche a fatti che, in precedenza inquadrati in fattispecie di lieve entità nell’ambito di distinti procedimenti aventi diverso fine ( ad es.minime sanzioni disciplinari), possono assumere ben altro peso e significato se valutati in sede di richiesta di riammissione e nell’ambito di un giudizio sul complessivo comportamento tenuto in servizio dal richiedente, ben potendo essere considerati indicativi dell’atteggiamento assunto dal dipendente nei confronti dell’Amministrazione di appartenenza, nel corso del rapporto interrotto.
In altri termini, dall’insieme dei comportamenti tenuti durante il servizio, sanzionati disciplinarmente, anche se in modo non eccessivamente penalizzante ed in tempi diversi,si può legittimamente dedurre un giudizio negativo sulla riammissione, diversi essendo i presupposti del provvedimento, il limite della discrezionalità e l’interesse pubblico da assicurare, ciò senza che possa rinvenirsi in tale tipo di giudizio il vizio della manifesta illogicità, tenuto conto delle delicate funzioni che il magistrato è chiamato a svolgere durante il servizio.
Nel caso di specie il ricorrente è incorso in due procedimenti disciplinari entrambi collegati all’assunzione dell’incarico presso l’Ente Acquedotto Pugliese (cfr. verbale della seduta del C.P.G.A. del 27/4/00) uno dei quali conclusosi per motivi formali, e l’altro terminato con la sanzione dell’ammonimento.
Lamenta il ricorrente che detta sanzione si sarebbe estinta per decorso del termine biennale, e che comunque sarebbe stata già considerata dall’Amministrazione non ostativa all’avanzamento di carriera: non avrebbe potuto, quindi, supportare il diniego di riammissione.
Ritiene il Collegio di non poter accogliere detta prospettazione, sia perché l’estinzione della sanzione presuppone l’adozione di un provvedimento espresso che nel caso di specie non è stato mai adottato, sia perché i parametri di giudizio utilizzati dalla P.A. possono essere diversi a seconda se si tratti di consentire un avanzamento di carriera di un magistrato in servizio, o se si tratti di decidere in merito alla riammissione in servizio di un magistrato ormai decaduto, nel qual caso l’Amministrazione - nell’esercizio dell’ampio potere discrezionale di cui dispone - deve valutare la convenienza per l’interesse pubblico alla ricostituzione del rapporto, e può legittimamente attribuire rilievo anche alla sanzione disciplinare dell’ammonizione, o meglio ai fatti per i quali è stata applicata, considerati nel contesto della condotta complessiva tenuta dal dipendente.
Non a caso, infatti, nel negare la riammissione, il Consiglio di Presidenza ha chiarito che sia per il procedimento disciplinare, sia per il complessivo comportamento tenuto in servizio conclusosi con la decadenza, “l’istante non garantisce l’affidabilità necessaria per assumere il provvedimento di riammissione in servizio”, formulando quindi un giudizio prognostico negativo, avuto riguardo, si ribadisce all’interesse pubblico da soddisfare, circa l’utilità e l’opportunità della riattivazione di un rapporto che è stato caratterizzato da episodi idonei, secondo l’avviso dell’organo di autogoverno a concretare una valutazione non del tutto positiva, attraverso una lettura globale dei fatti che lo hanno interessato.
Come ha correttamente rilevato la difesa erariale non è stata la declaratoria di decadenza ex art. 127 comma 1 lett. c) ad aver pesato nel giudizio dell’Amministrazione, essendovi altri precedenti in seno al C.P.G.A. di decadenza seguita da riammissione, ma il contesto nel quale è maturata ed il modo in cui la vicenda si salda con gli eventi che l’hanno preceduta e seguita.
Ritiene quindi il Collegio che il diniego di riammissione in servizio resista alle censure proposte e che quindi il ricorso debba essere respinto.
Quanto alle spese di lite, sussistono tuttavia giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti.