TAR Bologna, sez. I, sentenza 2024-09-20, n. 202400609

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bologna, sez. I, sentenza 2024-09-20, n. 202400609
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bologna
Numero : 202400609
Data del deposito : 20 settembre 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/09/2024

N. 00609/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00899/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 899 del 2021, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato L D, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero della Difesa, non costituito in giudizio;

Comando Legione Carabinieri Emilia Romagna, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege in Bologna, via A. Testoni, 6;

per l'annullamento

- del provvedimento prot. nr. -OMISSIS--OMISSIS-, notificato a mezzo PEC il 4 novembre 2021.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comando Legione Carabinieri Emilia Romagna;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 settembre 2024 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in esame è contestata la legittimità della decorrenza giuridica della destituzione del ricorrente, in quanto fissata senza tenere conto dell’annullamento della destituzione automatica conseguito alla sentenza del Consiglio di Stato -OMISSIS-.

Secondo la tesi sostenuta in ricorso, la citata sentenza avrebbe annullato la destituzione automatica e con essa gli effetti delle sospensioni medio tempore disposte.

Conseguentemente, parte ricorrente chiede la corresponsione delle provvidenze economiche a far data dal 9.1.2007 (data in cui è stata disposta l’annullata destituzione automatica) e per i periodi precedenti, avendo perso efficacia anche le misure precauzionali adottate in pendenza del giudizio.

Ciò a prescindere dal fatto che una seconda destituzione è stata adottata, ancorché, secondo la tesi dell’interessato, sotto le mentite spoglie della esecuzione di una pena accessoria: la sentenza del Consiglio di Stato, avrebbe, infatti, avuto effetti costitutivi, sub specie estintivi, di una sanzione precedentemente inflitta.

È stato, quindi, notificato il ricorso in esame, il quale, ancorché in modo non sempre agevolmente intellegibile, tende a sostenere l’annullabilità e la nullità del secondo provvedimento di destituzione (quello che ha fatto seguito all’annullamento della decadenza automatica), in quanto esso sarebbe stato adottato in violazione dei termini del procedimento disciplinare che, secondo parte ricorrente, sarebbero quelli previsti dalla normativa vigente prima dell’ultima riforma del codice militare. La disciplina del procedimento disciplinare sarebbe stata violata, inoltre, anche in considerazione del fatto che il ricorrente non è mai stato reintegrato, dopo la prima destituzione, annullata dal Consiglio di Stato, con la conseguenza che non avrebbe potuto essere assoggettato a procedimento disciplinare, in quanto non più in servizio.

Peraltro, anche a voler ritenere che la destituzione sia stata conseguenza dell’applicazione della sanzione accessoria disposta dal giudice penale in termini di cessazione dal servizio, tale sanzione ( ex art 32 quinquies c.p.) sarebbe stata irrogata retroattivamente e, dunque, in modo illegittimo: la sanzione dell’estinzione del rapporto di lavoro, infatti, sarebbe stata introdotta, come sanzione accessoria, solo nel 2012 e, dunque, dopo l’avvio del procedimento disciplinare, intervenuto nel 2007. Per tale ragione essa è stata impugnata in Cassazione (-OMISSIS-).

Infine, l’annullamento della destituzione da parte del Consiglio di Stato avrebbe determinato la perdita di efficacia di tutte le sospensioni disposte nel tempo, con la conseguenza che la destituzione non avrebbe potuto essere disposta con effetto dalla data della prima sospensione. Né il ricorso, né la memoria da ultimo depositata indicano, però, quali sarebbero, in concreto, le conseguenze di ciò.

La domanda formulata con il ricorso, volta ad ottenere l’annullamento o la declaratoria di nullità del provvedimento che ha disposto l’estinzione del rapporto di lavoro non può, però, trovare positivo apprezzamento.

La memoria dell’Amministrazione chiarisce, infatti, la sequenza degli eventi, precisando come il ricorrente sia stato oggetto, nel 2015, di una destituzione automatica per effetto dell’interdizione dai pubblici uffici disposta con la sentenza penale.

Ciò sulla scorta degli artt. 866, comma 1 e 867, comma 5 del d.lgs. 66 del 2010, che, però, sono disposizioni che sono state dichiarate incostituzionali con sentenza 286 del 2016, che ha escluso l’automatismo ogni volta che l’interdizione dai pubblici uffici sia temporanea e non perpetua.

Nel caso di specie il militare è stato condannato all’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni.

Dunque anche nella fattispecie, come in ogni caso di interdizione temporanea, si è ritenuto che la destituzione potesse conseguire solo in esito a un apposito procedimento disciplinare. Ragione per cui la destituzione automatica è stata annullata dal Consiglio di Stato, facendo salvo il potere discrezionale dell’Amministrazione di valutare la destituzione.

A seguito di ciò, mentre l’Amministrazione ha avviato il procedimento disciplinare per la perdita dello stato di militare conseguente alle condanne riportate, penalmente è stata applicata la sanzione accessoria della estinzione del rapporto di lavoro.

Più precisamente, il giudice dell’esecuzione presso la Corte d’Appello, in esito all’istanza di applicazione della pena accessoria formulata dal procuratore generale, ha, con provvedimento del -OMISSIS-, dichiarato estinto il rapporto di impiego riguardante il ricorrente, ritenendo del tutto irrilevante sia il fatto che ci sia stata la sospensione quinquennale dal pubblico ufficio, sia la circostanza per cui il condannato risultava già destituito, peraltro in forza di un provvedimento annullato dal giudice amministrativo di secondo grado.

Il provvedimento del 14 ottobre 2021 (impugnato con il ricorso) reca, dunque, da un lato la declaratoria della perdita dello stato di militare sin dal 7 gennaio 2007 (data della prima sospensione) quale conseguenza della pronuncia del giudice penale ora ricordata, nonché la conseguente archiviazione del procedimento disciplinare, che non avrebbe più avuto ragione d’essere nei confronti di un soggetto che non era già più legato da rapporto di pubblico impiego con l’Amministrazione per effetto della suddetta estinzione disposta quale pena accessoria.

Risultano, dunque, del tutto prive di utilità concreta ed improprie le censure connesse alle modalità di svolgimento del procedimento disciplinare, dal momento che, nel caso di specie, l’estinzione del rapporto di lavoro non è stata disposta discrezionalmente dall’Amministrazione in esito al procedimento disciplinare stesso, bensì è stata dichiarata con ordinanza del giudice penale dell’esecuzione - e, quindi, al di fuori di qualsiasi procedimento amministrativo/disciplinare - dei cui effetti l’Amministrazione si è limitata a prendere atto.

Debbono, altresì, essere ritenute destituite di ogni fondamento le doglianze riferite alla legittimità della sanzione della cessazione dal servizio, dal momento che l’Amministrazione si è limitata a prendere atto degli effetti della sua comminazione: esse, infatti, avrebbero potuto essere proposte nella sola sede penale, non sussistendo alcuna discrezionalità del datore di lavoro rispetto alla valutazione della corretta applicazione della pena accessoria disposta nei confronti dell’odierno ricorrente.

Così respinto il ricorso, le spese del giudizio seguono l’ordinaria regola della soccombenza.

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