TAR Roma, sez. II, sentenza 2018-02-28, n. 201802214

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. II, sentenza 2018-02-28, n. 201802214
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201802214
Data del deposito : 28 febbraio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/02/2018

N. 02214/2018 REG.PROV.COLL.

N. 02552/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2552 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
S S, rappresentato e difeso dagli avvocati F T e D G, con domicilio eletto presso lo studio Tedeschini, in Roma, Largo Messico, 7;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri e Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, in persona dei legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, con domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

A P, S B, F P G e R C non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

- del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 2015, registrato alla Corte dei Conti in data 30 dicembre 2015 al n. 3205, con il quale è stato nominato Presidente del Consiglio di Stato l’avv. A P;

- della nota del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 4 dicembre 2015;

- del “verbale di riunione” della IV Commissione del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa n. 41 dell’11 dicembre 2015;

- del parere espresso dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, con la delibera n. 177 del 18 dicembre 2015;

- della deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata nella seduta del 23 dicembre 2015 “all’esito di una valutazione diretta alla scelta del magistrato più idoneo all’incarico, tenuto conto anche di quanto espresso dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa nella formulazione del proprio parere”;

integrato da motivi aggiunti depositati il 30 novembre 2016.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Vista la sentenza non definitiva della Sezione n. 6125 del 24 maggio 2017;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 novembre 2017 la dott.ssa Floriana Venera Di Mauro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il Collegio è chiamato alla compiuta definizione nel merito del ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto dal Presidente di Sezione del Consiglio di Stato S S avverso gli atti del procedimento conclusosi con il decreto del Presidente della Repubblica in data 29 dicembre 2015, recante la nomina dell’avv. A P quale Presidente del Consiglio di Stato.

Il ricorso è stato parzialmente definito con la sentenza di questa Sezione n. 6125 del 2017 – confermata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4717 del 2017 – che in parte ha dichiarato inammissibili e in parte ha respinto la maggior parte delle censure proposte, riservando l’esame delle rimanenti all’esito del compimento di incombenti istruttori.

2. Le vicende del procedimento di nomina censurato dal ricorrente possono essere così riassunte:

- a seguito delle dimissioni presentate dal Presidente del Consiglio di Stato G G, il Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa ha informato la Presidenza del Consiglio dei Ministri della vacanza della carica di Presidente del Consiglio di Stato a decorrere dal 1° ottobre 2015, richiedendo di adottare i conseguenti provvedimenti;

- il Presidente del Consiglio dei Ministri, con nota del 4 dicembre 2015, ha chiesto al Consiglio di Presidenza di indicare una “rosa” di cinque magistrati, ai sensi e per gli effetti di quanto stabilito dall’articolo 22, primo comma, della legge n. 186 del 1982;

- nella seduta dell’11 dicembre 2015, la Quarta Commissione del Consiglio di Presidenza ha adottato, con tre voti favorevoli e un astenuto, una delibera in cui ha dichiarato: “ di rendere il parere per la nomina del Presidente del Consiglio di Stato indicando al Presidente del Consiglio dei Ministri i seguenti magistrati, graduati tra loro nella posizione di cui infra, in esito alla valutazione della rispettiva posizione in ruolo nonché dei meriti e delle attitudini di ciascuno rispetto alla specifica funzione di cui trattasi:

1. S B;

2. A P;

3. F P G;

4. S S;

5. R C
”;

- tale delibera è stata approvata nella seduta plenaria del Consiglio di Presidenza in data 17 dicembre 2015;

- in data 29 dicembre 2015 è stato adottato il decreto del Presidente della Repubblica, registrato alla Corte dei Conti il 30 dicembre 2015, con il quale, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, è stato nominato Presidente del Consiglio di Stato A P.

3. Con il ricorso introduttivo del presente giudizio, il Presidente S S ha impugnato il già richiamato decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 2015, di nomina dell’avv. A P quale Presidente del Consiglio di Stato, nonché gli atti del procedimento di nomina, ossia: la nota del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 4 dicembre 2015;
il “ verbale di riunione ” della Quarta Commissione del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa n. 41 dell’11 dicembre 2015;
il parere espresso dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, con la delibera n. 177 del 18 dicembre 2015;
la deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata nella seduta del 23 dicembre 2015 “ all’esito di una valutazione diretta alla scelta del magistrato più idoneo all’incarico, tenuto conto anche di quanto espresso dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa nella formulazione del proprio parere ”.

Contro tali atti, il ricorrente ha articolato plurime censure di violazione di legge ed eccesso di potere, poi integrate con la proposizione di motivi aggiunti, a seguito dell’acquisizione, mediante apposita istanza di accesso, della deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata nella seduta del 23 dicembre 2015, già impugnata con il ricorso introduttivo del giudizio.

4. Definendo parzialmente il giudizio, con la sentenza n. 6125 del 2017, questa Sezione:

- ha dichiarato inammissibili, per carenza delle condizioni soggettive della legittimazione ad agire e dell’interesse a ricorrere, le doglianze (formulate sia nell’atto introduttivo che nei motivi aggiunti) dirette a censurare il decreto del Presidente della Repubblica e la delibera del Consiglio dei Ministri per non avere esternato le ragioni per cui si sarebbero discostati dall’indicazione (contenuta nella delibera del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa) del Presidente S B, Presidente di Sezione più anziano in ruolo, quale magistrato da nominare per la carica di Presidente del Consiglio di Stato;

- ha dichiarato inammissibili, per difetto di interesse, i motivi diretti a lamentare che la Presidenza del Consiglio abbia chiesto e ottenuto dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa l’indicazione di una rosa di candidati, anziché di un solo nome;

- ha dichiarato inammissibile per irrilevanza (e, in parte, anche per manifesta infondatezza) la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 22 della legge n. 186 del 1982 prospettata in via subordinata dal ricorrente sotto il duplice profilo secondo cui: a) la norma, ove interpretata nel senso di escludere che il Consiglio di Presidenza debba rendere un parere (non solo obbligatorio, ma anche) vincolante avente ad oggetto la designazione del magistrato da nominare – e di rimettere, quindi, in definitiva la nomina alla valutazione discrezionale del Governo – violerebbe l’articolo 108, secondo comma, Cost., secondo cui “ la legge assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali ”;
b) la stessa indipendenza garantita dall’articolo 108, secondo comma, Cost. verrebbe meno ammettendo la possibilità di disattendere la consuetudine di nominare il Presidente del Consiglio di Stato secondo l’anzianità dei Presidenti di Sezione che non hanno demeritato;

- ha dichiarato inammissibile il motivo diretto a lamentare che il Presidente Patroni Griffi sarebbe stato inserito nella cinquina sebbene non in possesso del requisito di aver svolto per almeno cinque anni funzioni direttive;

- ha dichiarato infondata nel merito la censura diretta a lamentare che la seduta della Quarta Commissione del Consiglio di Presidenza, inizialmente pubblica, sarebbe stata illegittimamente trasformata in “segretissima”, con ordine di allontanamento “extra omnes”, senza verbalizzazione e senza il personale di segreteria a ciò addetto;

- ha ritenuto infondate le censure specificamente rivolte avverso la deliberazione adottata dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 23 dicembre 2015, volte a sostenere sia la sussistenza di alcune violazioni del regolamento interno del Consiglio dei Ministri sia l’inversione dell’ iter procedimentale specificamente previsto dall’articolo 22 legge n. 186 del 1982;

- ha ritenuto opportuno, al fine di scrutinare la censura di difetto di istruttoria – fatta valere come vizio proprio della “cinquina” con graduazione dei nominativi contenuta nel parere del Consiglio di Presidenza e come vizio derivato della deliberazione del Consiglio dei Ministri e del successivo decreto del Presidente della Repubblica recante il provvedimento di nomina impugnato – acquisire copia dei fascicoli personali del ricorrente, del controinteressato e ogni altro documento che ha costituito oggetto di valutazione da parte del Consiglio di Presidente al fine di rendere il parere in contestazione.

5. Come anticipato, la decisione di primo grado è stata integralmente confermata dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4717 del 2017.

Il Giudice d’appello ha peraltro rimarcato come il difetto di istruttoria sia stato dedotto dal ricorrente inscindibilmente rispetto al difetto di motivazione e, sulla base di questa considerazione, ha affermato che entrambi i profili – difetto di istruttoria e difetto di motivazione – devono ritenersi non ancora definiti in primo grado. Da ciò il riconoscimento – pure contenuto nella sentenza del Consiglio di Stato – della valenza meramente incidentale della premessa contenuta nella sentenza di primo grado, ove si legge che “ in ragione di tutto quanto contenuto nel verbale della riunione della IV Commissione permanente dell’11 dicembre 2015 e nel verbale della riunione plenaria del Consiglio di Presidenza del 17 dicembre 2015, la motivazione della graduazione dei cinque nominativi della cinquina risiede compiutamente ed esaustivamente nella congiunta valutazione dei criteri della posizione in ruolo, del merito e delle attitudini di ciascuno rispetto alla specifica funzione di Presidente del Consiglio di Stato ”.

6. Gli incombenti istruttori disposti dalla Sezione con la sentenza non definitiva sono stati adempiuti il 5 luglio 2017, mediante il deposito agli atti del presente giudizio dei documenti richiesti.

7. In prossimità dell’udienza pubblica fissata per la definizione del presente giudizio, l’Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria, con cui si è limitata a produrre la sentenza del Consiglio di Stato n. 4717 dell’11 ottobre 2017.

Il 10 novembre 2017 la difesa del Presidente S ha depositato una replica, mediante la quale:

- ha svolto un’estesa critica nei confronti della sentenza del Consiglio di Stato, che il ricorrente ha dichiarato di aver impugnato innanzi alla Corte di Cassazione, per motivi inerenti alla giurisdizione, con ricorso in data 31 ottobre 2017, depositato il 9 novembre 2017, unito in copia alla replica;

- ha affermato che i motivi dedotti contro la sentenza del Consiglio di Stato rivestirebbero carattere pregiudiziale rispetto alla pronuncia definitiva in primo grado del giudizio, in quanto: (i) laddove la Corte di Cassazione dovesse accogliere la censura (già respinta dal Consiglio di Stato con la sentenza impugnata) di illegittima composizione del Collegio giudicante che ha emesso la sentenza non definitiva in primo grado (ossia la sentenza della Sezione n. 6125 del 2017), questa pronuncia verrebbe ad essere caducata; (ii) innanzi alla Corte di Cassazione è stata anche proposta una censura diretta a contestare la stessa giurisdizione del giudice amministrativo sulla controversia;

- in considerazione di tali ritenuti profili di pregiudizialità, ha chiesto la sospensione del presente giudizio, ai sensi dell’articolo 79, comma 1 c.p.a. e degli articoli 295 e/o 296 c.p.c., in attesa della pronuncia della Corte di Cassazione sull’impugnazione della sentenza del Consiglio di Stato;

- ha chiesto, in alternativa, la sospensione del giudizio ai fini della rimessione alla Corte costituzionale o alla Corte di giustizia dell’Unione Europea di una pluralità di questioni, e in particolare: (a) illegittimità costituzionale dell’articolo 22 della legge n. 186 del 1982 – in riferimento agli articoli 24, 108, secondo comma, 103, primo comma, 113, 97, secondo comma, 100 primo e terzo comma, 102 e 111 della Costituzione, nonché all’articolo 3 in relazione all’articolo 10 della legge n. 195 del 1958 – laddove interpretato nel senso di assegnare al Governo un potere che pregiudica l’indipendenza del giudice amministrativo, intendendo il parere del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa solo come tale e non in termini di “concerto” con il Governo;
(b) illegittimità costituzionale dell’articolo 22 della legge n. 186 del 1982, in riferimento agli articoli 117, primo comma della Costituzione, 6 e 13 della CEDU, 41 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, per violazione dei principi del legittimo affidamento, dell’obbligo dell’amministrazione di motivare le proprie decisioni, del diritto di ogni persona a che la sua causa sia esaminata da un giudice indipendente e imparziale;
(c) violazione dell’articolo 6, par. 1 della CEDU e, quindi, del principio di imparzialità e indipendenza del giudice, in relazione alla giurisdizione del giudice amministrativo sui propri organi di vertice, oltretutto più elevato;
(d) questione pregiudiziale, ai sensi dell’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, con riferimento agli articoli 41 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e al principio del legittimo affidamento, per gli stessi profili già dedotti quali questioni di legittimità costituzionale.

La difesa erariale ha quindi depositato, il 20 novembre 2017, un’ulteriore memoria, in risposta alla replica del ricorrente;
replica della quale ha comunque eccepito l’inammissibilità.

La difesa del Presidente S ha successivamente prodotto, il 21 novembre 2017, il certificato di pendenza dell’impugnazione proposta in Cassazione contro la sentenza del Consiglio di Stato n. 4717 del 2017.

8. All’udienza pubblica del 22 novembre 2017 la difesa di parte ricorrente ha chiesto il rinvio della trattazione della causa. A tale istanza si è opposta la difesa erariale. La causa è stata quindi discussa ed è, infine, passata in decisione.

9. Il Collegio deve preliminarmente dare atto delle ragioni per le quali non ritiene di poter accedere alla richiesta di rinvio della trattazione della controversia, che la parte ricorrente ha formulato sulla base delle medesime ragioni poste alla base dell’istanza di sospensione del processo per la pendenza del giudizio promosso innanzi alla Corte di Cassazione contro la sentenza n. 4717 del 2017 del Consiglio di Stato.

Al riguardo, deve osservarsi che il mero rinvio dell’udienza, ossia il rinvio non funzionale al compimento di ulteriori atti diretti alla prosecuzione della trattazione del ricorso, può essere accordato dal giudice, nel silenzio del codice di rito, soltanto qualora si renda necessario per la garanzia delle esigenze difensive delle parti (come nel caso del rinvio per assicurare la maturazione di termini a difesa non ancora decorsi o per consentire la proposizione di motivi aggiunti), ovvero laddove le parti rappresentino concordemente l’esistenza di vicende esterne al processo, tali da poter determinare il superamento della situazione di fatto o di diritto sulla quale si è originariamente innestata la vicenda processuale, in modo da rendere la sentenza inattuale o potenzialmente interferente con lo svolgimento dell’attività amministrativa ancora in corso.

Non è, invece, consentito al giudice rinviare la trattazione della causa laddove nessuna di tali eventualità si sia verificata e, per di più, una delle parti vi si opponga, traducendosi, altrimenti, il differimento della decisione in un sostanziale diniego di giustizia, oltre che in una potenziale lesione del principio della ragionevole durata del giudizio di cui all’articolo 111, secondo comma Cost.

A fortiori , il rinvio non può essere accordato per ragioni che vengono allegate anche quali cause di sospensione del giudizio, atteso che la sospensione costituisce un istituto disciplinato dalla legge processuale e subordinato a un apposito provvedimento del giudice, a sua volta emesso in presenza di precisi presupposti. La sospensione, perciò, non equivale a un mero differimento della definizione di merito della controversia, ma costituisce anch’essa l’esito di una decisione giurisdizionale, sia pure solo in rito, avverso la quale è accordata tutela alle parti, cui spetta la possibilità di proporre appello, ai sensi dell’articolo 79, comma 3 c.p.a.

10. Ciò posto, deve scrutinarsi preliminarmente l’eccezione di inammissibilità della replica prodotta dalla difesa del ricorrente, in quanto ritenuta esorbitante rispetto ai contenuti assegnati a tale scritto difensivo dall’articolo 73, comma 1 c.p.a.

10.1 L’eccezione è fondata in parte.

10.2 Occorre preliminarmente ricordare che, ai sensi della disposizione ora richiamata, le repliche devono essere riferite “ ai nuovi documenti e alle nuove memorie depositate in vista dell'udienza ”. Si tratta, quindi, di scritti difensivi che – per ragioni di pienezza del diritto alla difesa e, in particolare, di garanzia della parità delle armi tra le parti – non hanno contenuto libero, ma possono soltanto controbattere alle produzioni avversarie (cfr., ex multis , Cons. Stato, 15 aprile 2013, n. 2042 sull’inammissibilità della produzione di repliche in assenza di memorie difensive depositate dalla controparte), salva la possibilità per il Collegio di accordare la presentazione tardiva di memorie e documenti, pur sempre nel rispetto del contraddittorio, “ qualora la produzione nel termine di legge sia risultata estremamente difficile ” (articolo 54, comma 1 c.p.a.).

10.3 Lo scritto difensivo censurato, secondo quanto sopra esposto, è volto sostanzialmente ad articolare due richieste, dirette nei confronti del Giudice:

1) la sospensione del giudizio in attesa della decisione del ricorso per Cassazione, depositato il 9 novembre 2017, proposto contro la sentenza del Consiglio di Stato n. 4717 del 2017;

2) la sospensione del giudizio ai fini della rimessione alla Corte costituzionale o alla Corte di giustizia delle questioni indicate dal ricorrente.

Al riguardo, deve osservarsi che soltanto la prima di tali istanze risulta essere motivata da ragioni che non potevano essere introdotte nel giudizio nei termini prescritti e, comunque, in un momento precedente a quello di deposito della replica (10 novembre 2017), mentre la seconda mira a riproporre argomenti che non solo non costituiscono una replica alle nuove difese della controparte, ma attengono a questioni già esplicitamente o implicitamente coperte dalla sentenza non definitiva della Sezione n. 6125 del 2017, e come tali non ulteriormente deducibili in questa sede.

10.4 Più in dettaglio, la memoria va ritenuta ammissibile nella parte in cui è diretta a domandare la sospensione del giudizio per la pendenza del predetto ricorso per Cassazione, per motivi inerenti alla giurisdizione, contro la sentenza del Consiglio di Stato.

Sono infatti riscontrabili entrambi i presupposti per accordare il tardivo deposito della copia dell’atto introduttivo dell’impugnazione e della conseguente memoria di parte, ossia:

- l’estrema difficoltà di operare la produzione nel termine di legge, atteso che il ricorso per Cassazione è stato depositato il 9 novembre 2017 e il deposito difensivo nel presente giudizio è avvenuto il 10 novembre 2017;

- la piena garanzia del contraddittorio, in quanto l’Avvocatura dello Stato ha diffusamente articolato le proprie difese – opponendosi alla sospensione del giudizio – nella memoria depositata, a propria volta, il 20 novembre 2017, che va conseguentemente anch’essa considerata ammissibile.

10.5 La replica è, invece, inammissibile e non può, conseguentemente, essere presa in esame dal Collegio nella parte in cui sottopone al giudicante questioni di legittimità costituzionale e di compatibilità europea aventi ad oggetto – nei termini sopra indicati – per un verso le norme regolatrici del procedimento di nomina del Presidente del Consiglio di Stato (ossia le previsioni dell’articolo 22 della legge n. 186 del 1982), per altro verso lo stesso incardinarsi della giurisdizione del giudice amministrativo, ritenuto giudice non terzo rispetto al sindacato sugli atti di nomina dei vertici del Plesso della Giustizia amministrativa.

Tale inammissibilità, come anticipato, rileva sotto due distinti profili.

10.5.1 Anzitutto, sotto un profilo – per così dire – formale, la replica non controbatte, per questa parte, ad alcuna ulteriore produzione depositata dalla difesa avversaria in vista dell’udienza, né è sorretta dall’esigenza di allegare fatti o proporre questioni non precedentemente deducibili. Conseguentemente, lo scritto risulta manifestamente esorbitante rispetto al preciso limite di contenuto tracciato dall’articolo 73, comma 1 c.p.a. e, inoltre, non autorizzabile ai sensi dell’articolo 54, comma 1 c.p.a.

10.5.2 Sotto altro profilo, di natura sostanziale, sono le stesse questioni dedotte con la replica a risultare, per questa parte, manifestamente inammissibili, in quanto dirette a sollecitare una diversa pronuncia su aspetti già esplicitamente o implicitamente decisi con la sentenza non definitiva n. 6125 del 2017, confermata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4717 del 2017.

E’ sufficiente, al riguardo, osservare quanto segue.

A) Tutti i profili attinenti all’articolazione del procedimento di nomina del Presidente del Consiglio di Stato sono stati vagliati dalla precedente pronuncia della Sezione, che ha, inoltre, ritenuto irrilevanti e, in parte, anche manifestamente infondate, le questioni di legittimità costituzionale prospettate relativamente alla disciplina legislativa dello stesso procedimento (cfr. i punti 5.1 e 5.2 della sentenza n. 6125 del 2017). Peraltro, già il Consiglio di Stato ha riscontrato il formarsi del giudicato sul capo della sentenza di primo grado – non ritualmente contestato in appello – che ha dichiarato la “ inammissibilità delle questioni di costituzionalità dell’articolo 22 legge n. 186 del 1982 prospettate nel giudizio di primo grado dal ricorrente e ribadite in appello anche con riferimento (oltre che all’articolo108 Cost.) alla violazione della CEDU e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ” (cfr. il punto 29 della sentenza n. 4717 del 2017).

B) Le questioni che, secondo la parte, sorreggerebbero il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea – oltre ad attenere anch’esse alla disciplina del procedimento di nomina, e quindi a risultare coperte dalla precedente decisione di primo grado, che ha esaminato tutte le censure articolate sotto questo profilo – sono state comunque già poste, in termini identici rispetto a quanto allegato in questa sede, nel giudizio d’appello conclusosi con la sentenza n. 4717 del 2017, che le ha rigettate, rilevando che “ la fattispecie oggetto del presente giudizio è estranea al campo di applicazione del diritto dell’Unione Europea ed è regolata solo da norme nazionali prive di ogni legame con tale diritto ” (cfr. il punto 42 della suddetta pronuncia).

C) Le contestazioni attinenti alla stessa legittimità dell’attribuzione al giudice amministrativo del sindacato sugli atti di nomina dei vertici del Plesso della Giustizia amministrativa sono manifestamente inammissibili in quanto dirette a provocare – sulla base della prospettata questione di violazione dell’articolo 6, par. 1 CEDU – una nuova decisione del giudice di primo grado sulla sussistenza della propria giurisdizione, già implicitamente ritenuta nella sentenza n. 6125 del 2017, con la quale questo Tribunale amministrativo ha parzialmente definito la causa.

10.6 Alla luce di quanto esposto, deve perciò ritenersi ammissibile soltanto la parte della replica del ricorrente diretta a chiedere la sospensione del giudizio per la pendenza del ricorso per Cassazione contro la sentenza del Consiglio di Stato n. 4717 del 2017.

La replica non può, invece, essere presa in considerazione, né sono comunque ammissibili – neppure in ragione della loro allegazione orale in udienza – le questioni ivi dedotte, nella parte attinente alla prospettazione delle richiamate questioni di legittimità costituzionale e di compatibilità europea.

11. Il Collegio è, perciò, chiamato a interrogarsi sulla sussistenza di ragioni che impongano o comunque rendano opportuna la sospensione del giudizio, secondo quanto allegato dalla difesa del ricorrente.

11.1 Al quesito deve rispondersi negativamente.

11.2 Secondo i principi, la sospensione prevista dall’articolo 295 c.p.c. – applicabile nel processo amministrativo in virtù del richiamo operato dall’articolo 79, comma 1 c.p.a. (cfr., ex multis , Cons. Stato, Sez. V, 17 febbraio 2016, n. 640) – è consentita solo per la c.d. pregiudizialità tecnica (o necessaria), ravvisabile unicamente quando una controversia (pregiudiziale) costituisca l’indispensabile antecedente logico-giuridico dal quale dipenda la decisione della causa pregiudicata, in ragione del fatto che il rapporto giuridico della prima rappresenta un elemento costitutivo della situazione sostanziale dedotta nella seconda, per cui il relativo accertamento si imponga nei confronti di quest’ultima con efficacia di giudicato, al fine di assicurare l’uniformità di decisioni (Cass. civ., SS.UU., ord. 27 luglio 2004, n. 14060;
nello stesso senso, ex multis : Cass., Sez. III, 28 febbraio 2017, n. 5014;
Id., Sez. VI, ord. 2 marzo 2016, n. 4183;
Id., Sez. II, 20 febbraio 2008, n. 4314;
Id., Sez. lav., 7 aprile 2006, n. 8174;
nonché, con riferimento al processo amministrativo: Cons. Stato, sez. VI, 1° settembre 2017, n. 4156;
Id., Sez. V, 17 febbraio 2016, n. 640).

In questa prospettiva, l’istituto della sospensione necessaria, in quanto finalizzato a evitare il conflitto di giudicati, “ può trovare applicazione solo quando in altro giudizio deve essere decisa, con efficacia di giudicato, una questione pregiudiziale in senso tecnico-giuridico, sussistendo in tal caso il rischio del conflitto di giudicati, e non anche qualora oggetto dell'altra controversia sia una questione pregiudiziale soltanto in senso logico, non configurandosi in questo caso il menzionato rischio ” (così Cass. civ., SS.UU., ord. 27 luglio 2004, n. 14060).

11.3 Tale rapporto non è ravvisabile tra il giudizio instaurato dal ricorrente alla Corte di Cassazione e quello oggetto della presente decisione.

Il ricorso innanzi alla Corte di Cassazione è, infatti, diretto a contestare la sentenza del Consiglio di Stato n. 4717 del 2017: (a) nella parte in cui avrebbe omesso di pronunciarsi sullo stesso legittimo radicarsi della giurisdizione del giudice amministrativo;
(b) laddove ha respinto la censura attinente alla dedotta nullità della sentenza non definitiva di primo grado per illegittima composizione del Collegio giudicante;
(c) nella parte in cui ha affermato la sussistenza di profili di difetto di interesse ad agire del Presidente S contro la nomina del Presidente del Consiglio di Stato.

Nessuna delle statuizioni che la Corte di Cassazione potrebbe rendere su tali profili si pongono quali questioni pregiudiziali in senso logico-giuridico, nel senso sopra detto, rispetto all’oggetto del presente giudizio, che è limitato allo scrutinio delle censure di difetto di istruttoria e di motivazione del parere reso dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa sulla nomina impugnata.

Va, in particolare, sottolineato che – in conformità ai principi ora richiamati, e contrariamente a quanto diffusamente allegato, anche in udienza, dalla difesa del ricorrente – nessuna rilevanza possono assumere, quali cause di sospensione necessaria del processo, le censure dirette contro la composizione del Collegio che ha pronunciato la sentenza n. 6125 del 2017. E ciò in quanto la presente decisione, che viene resa da un diverso Collegio, si riferisce soltanto alle specifiche questioni di merito sopra richiamate;
questioni rispetto alle quali la sentenza n. 6125 del 2017 si è limitata a disporre un mero adempimento istruttorio (peraltro in accoglimento dell’istanza di parte ricorrente).

In ogni caso, laddove la pronuncia della Corte di Cassazione o la statuizione dell’eventuale giudice del rinvio dovessero risultare idonee (pur sempre per ragioni attinenti alla giurisdizione, quali prospettabili innanzi alla Corte, e non per la sussistenza di un nesso di pregiudizialità logico-giuridica, nel senso sopra indicato) a riverberarsi sulla presente decisione, o addirittura a travolgerla, tali profili sarebbero pienamente deducibili mediante l’impugnazione della sentenza.

11.4 Va, perciò, esclusa la sussistenza di ragioni di sospensione necessaria del processo.

11.5 Non può, infine, accedersi neppure alla richiesta di sospensione facoltativa, ai sensi dell’articolo 296 c.p.a., poiché – in disparte ogni altra considerazione – manca un’istanza concorde di tutte le parti, avendo, anzi, la difesa erariale manifestato una espressa opposizione.

D’altro canto, deve pure tenersi presente il principio, che il Collegio condivide, secondo il quale nell'attuale sistema processuale, improntato al principio costituzionale della ragionevole durata del processo, deve reputarsi di norma (...) esclusa (salvi i casi eccezionalmente previsti dalla legge) ogni possibilità di disporre la sospensione per ragioni di mera opportunità (...) ” (Cass. civ., Sez. II, 20 febbraio 2008, n. 4314).

11.6 In definitiva, per tutte le ragioni sin qui esposte, la causa va definita nel merito.

12. A tal fine, deve tenersi presente che, come più volte ricordato, il thema decidendum è circoscritto, in questa sede, alle sole censure di difetto di istruttoria e di motivazione prospettate dal ricorrente come vizio proprio del parere del Consiglio di Presidenza (nella parte in cui contiene la graduazione dei cinque nominativi inseriti nella c.d. “cinquina”) e come vizio derivato della delibera del Consiglio dei Ministri e del successivo decreto del Presidente della Repubblica recante il provvedimento di nomina impugnato.

12.1 Si tratta, più in dettaglio, delle censure prospettate nei motivi rubricati dal ricorrente come (3) e (5) del ricorso introduttivo del giudizio, ove il Presidente S afferma che l’Organo di autogoverno avrebbe estrapolato dal ruolo i nominativi dei cinque magistrati più anziani e li avrebbe poi graduati, senza alcuna valutazione dei periodi di effettivo esercizio delle funzioni direttive e senza alcuna reale istruttoria sul merito e sull’attitudine allo svolgimento della specifica funzione e, comunque, immotivatamente.

Il difetto di istruttoria emergerebbe, di per sé, dalla mancata acquisizione dei fascicoli personali o di altra notizia o documentazione, per cui non sarebbero noti gli elementi presi in esame ai fini della valutazione. L’unico dato che la Commissione risulterebbe aver considerato consisterebbe, per ciascun magistrato, nei soli periodi di fuori ruolo e delle funzioni svolte in tali periodi. Si tratterebbe, tuttavia, di circostanze che non potrebbero ragionevolmente condurre a una valutazione di merito e attitudini all’incarico di Presidente del Consiglio di Stato e che, anzi, sarebbero inammissibili a questo fine ove a tali dati volesse darsi rilevanza politica.

Infine, la “novità” della graduazione per merito e attitudine, oltre a comportare l’acquisizione di elementi istruttori ulteriori rispetto al calcolo dell’anzianità e dall’assenza di motivi di demerito, avrebbe richiesto l’instaurazione di un contraddittorio con i magistrati inclusi nella “cinquina”.

12.2 Risulta, invece, già rigettata in primo grado e in appello, come sopra ricordato, la doglianza attinente alla mancata predeterminazione dei criteri per la valutazione.

12.3 Analogamente, la censura relativa all’inserimento nella “cinquina” del nominativo del Presidente Patroni Griffi, nonostante il mancato esercizio di funzioni direttive per almeno cinque anni, è già stata ritenuta inammissibile, nel presente giudizio, con decisione confermata, sul punto, dalla sentenza resa in appello.

13. Ciò posto, il Collegio deve rilevare che – nel confermare la sentenza di primo grado, con riferimento alla legittimità della mancata predeterminazione di criteri di valutazione per la nomina a Presidente del Consiglio di Stato – la sentenza d’appello ha avuto modo di sottolineare la “ peculiarità dell’incarico da attribuire (tenuto conto dell’indiscutibile rilievo che tale incarico riveste sotto il profilo non solo giurisdizionale ma anche istituzionale) ” e la “ conseguente natura ampiamente discrezionale del potere esercitato dal Consiglio di Presidenza nel rendere il parere previsto dall’art. 22 della legge n. 186 del 1982 ” (cfr. il punto 32 della sentenza n. 4717 del 2017). In questa prospettiva, si è, altresì, chiarito che “ Il parere reso dal Consiglio di Presidenza, comportando una scelta discrezionale di alta amministrazione nell’ambito di una cerchia ristretta di soggetti in possesso di titoli specifici e tutti dotati di elevatissima professionalità e capacità, sfugge alla logica propria delle procedure di stampo schiettamente concorsuale (alle quali, invece, l’appellante fa specifico riferimento quanto lamenta la mancata predeterminazione dei criteri a monte) e non richiede, di conseguenza, un giudizio strettamente comparativo svolto in applicazione di criteri di valutazione predeterminati ” (cfr. ancora il punto 32, ora richiamato).

14. Nell’alveo di tali principi, le censure di difetto di istruttoria e di motivazione devono essere respinte.

15. Va in primo luogo escluso che la valutazione diretta a graduare i magistrati inseriti nella “cinquina” richiedesse necessariamente il compimento di specifiche attività istruttorie, che il ricorrente afferma essere non avvenute e, in particolare, l’acquisizione dei fascicoli personali degli interessati, tanto da far discendere un profilo di illegittimità della valutazione dalla mera circostanza di tale mancata acquisizione.

15.1 Al riguardo, occorre debitamente sottolineare la circostanza che la “cinquina” è stata individuata dal Consiglio di Presidenza selezionando i primi cinque magistrati con la maggiore anzianità di ruolo. E – deve inoltre aggiungersi – tutti tali magistrati sono stati ritenuti idonei, per merito e attitudine, a ricoprire l’incarico, di eccezionale rilevanza istituzionale, di Presidente del Consiglio di Stato. La valutazione di cui si duole il ricorrente attiene, infatti, sotto questo profilo, non già alla mancata inclusione tra i designati per la nomina, bensì alla graduazione operata tra i cinque magistrati interessati.

Tale graduazione riguarda, dunque, magistrati posti al vertice della giustizia amministrativa, o meglio i cinque apicali nel ruolo del personale magistratuale.

Si tratta – come correttamente evidenziato dalla difesa erariale – di una platea ristrettissima e ben conosciuta di persone in servizio da moltissimi anni al Consiglio di Stato e, inoltre, di altissima e notoria professionalità. Circostanze, queste, che non potevano che dequotare, già di per se stesse, gli oneri istruttori dell’Organo di autogoverno.

15.2 D’altro canto, la straordinaria importanza e l’eccezionale rilievo istituzionale dell’incarico giustificavano di per sé lo svolgimento, da parte del Consiglio di Presidenza, di valutazioni non fondate sulla mera ponderazione dei dati attinenti alla pregressa carriera dei magistrati interessati, ma involgenti una valutazione, de futuro , sulle capacità potenziali, manifestate dai componenti della “cinquina”, a ricoprire la carica di vertice della Giustizia amministrativa. E un tale giudizio, con ogni evidenza – oltre ad essere ampiamente discrezionale e a non risolversi in una valutazione strettamente concorsuale tra i candidati, come già sottolineato – non può ritenersi indefettibilmente ancorato alla valutazione di elementi documentali, quali quelli desumibili dai fascicoli personali.

I dati in possesso dell’Istituto, quale “datore di lavoro” dei magistrati, ben potevano far emergere, infatti, l’attività svolta dagli interessati (attività che in questo caso, come detto, poteva peraltro reputarsi notoria, almeno nei dati essenziali), ma non necessariamente avrebbero dovuto essere ritenuti determinanti ai fini della valutazione delle attitudini specifiche ad assumere – nell’ambito di una rosa di cinque candidati di altissimo profilo, tutti idonei – un incarico di tale eccezionale rilievo.

E’, infatti, da ritenere ragionevole che valutazioni di questo tipo, in considerazione della peculiare natura della nomina e dell’amplissima discrezionalità spettante all’Organo di autogoverno, tengano conto anche di elementi, attinenti alle doti personali dell’interessato, che difficilmente emergono, e comunque non necessariamente devono ricavarsi, dai documenti che concorrono alla formazione del fascicolo personale.

16. Alla luce di tali considerazioni, non assume rilevanza il dato, sottolineato nel ricorso, per cui l’unico elemento istruttorio acquisito dalla Quarta Commissione risulta essere costituito dal ruolo dei magistrati aggiornato, con l’indicazione dei periodi di collocamento fuori ruolo e delle funzioni svolte in tali periodi.

Posto, infatti, che – come detto – la Commissione non era soggetta a precisi vincoli nello svolgimento dell’istruttoria, l’acquisizione del ruolo aggiornato non poteva che risultare imprescindibile al fine di prendere in considerazione il dato dell’anzianità, che pure è entrato nella valutazione, ai fini della formazione della “cinquina”.

Quanto all’indicazione dei periodi di fuori ruolo, si tratta di un’informazione che – contrariamente alle allegazioni del ricorrente – era potenzialmente utile ai fini del parere da rendersi, in quanto consentiva di ricavare dati sia sui periodi di svolgimento effettivo delle funzioni giurisdizionali, sia sulla complessiva attività svolta dai magistrati interessati, anche all’esterno dell’Istituto.

17. Deve poi rimarcarsi che l’acquisizione dei fascicoli personali è stata disposta, nel presente giudizio, in accoglimento di un’apposita istanza istruttoria del ricorrente.

A fronte della produzione di quanto richiesto, tuttavia, il Presidente S non ha articolato ulteriori censure contro gli atti già impugnati, né ha comunque svolto alcuna difesa basata sui dati ricavabili dai documenti depositati.

In altri termini, il ricorrente si è limitato ad affermare che – contrariamente a quanto ritenuto dal Collegio – la completezza dell’istruttoria richiedesse necessariamente l’acquisizione, da parte del Consiglio di Presidenza, dei fascicoli personali degli interessati o di altri elementi di valutazione, ma non ha spiegato, neppure dopo la produzione dei documenti richiesti, quali dati, desumibili da tali fascicoli o ricavabili aliunde , farebbero emergere la manifesta irragionevolezza o arbitrarietà del giudizio reso dall’Organo di autogoverno, tanto da sottoporlo al sindacato di questo Tribunale amministrativo.

Anche sotto questo profilo, la censura di difetto di istruttoria non può, perciò, essere condivisa.

18. Analoghe considerazioni devono essere svolte con riferimento all’ulteriore profilo – dedotto anche in termini di violazione dell’articolo 7 della legge n. 241 del 1990 – di mancato svolgimento di un contraddittorio procedimentale con i magistrati inseriti nella “cinquina”.

Al riguardo, deve anzitutto osservarsi che il parere è stato reso dall’Organo di autogoverno sulla base della richiesta formulata dal Presidente del Consiglio dei Ministri, in conformità al modulo procedimentale di cui all’articolo 22 della legge n. 186 del 1982, e non presupponeva, perciò, la presentazione di appositi atti di candidatura da parte degli eventuali interessati.

D’altro canto – e in disparte ogni altra considerazione – non è stato allegato alcun elemento specifico che avrebbe potuto essere utilmente fornito dal Presidente S al procedimento valutativo, laddove l’odierno ricorrente fosse stato messo in condizione di interloquire con il Consiglio di Presidenza.

Non emerge, pertanto, neppure in questa diversa prospettiva, la dedotta carenza di istruttoria, né comunque una violazione delle garanzie di partecipazione procedimentale idonea a influire sulle sorti del provvedimento impugnato. E ciò in considerazione della lettura necessariamente sostanziale che – in ossequio al consolidato orientamento della giurisprudenza – deve essere fatta di tali garanzie, le quali possono dirsi violate solo in caso di effettiva frustrazione della possibilità per l’interessato di sottoporre all’amministrazione dati di fatto o di diritto idonei ad incidere sulla determinazione finale (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. IV, 31 maggio 2012, n. 3263). In questa prospettiva, e alla luce della previsione dell’articolo 21- octies , comma 2, secondo periodo della legge n. 241 del 1990, la giurisprudenza è infatti pervenuta ad affermare il principio per cui “ l’interessato che lamenta la violazione dell'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento ha anche l'onere di allegare e dimostrare che, se avesse avuto la possibilità di partecipare, egli avrebbe potuto sottoporre all'amministrazione elementi che avrebbero potuto condurla a una diversa determinazione da quella che invece ha assunto ” (così Cons. Stato, Sez. VI, 27 aprile 2015, n. 2127;
nello stesso senso: Id., Sez. III, 12 maggio 2017, n. 2218;
Id., Sez. VI, 4 marzo 2015, n. 1060;
Id., Sez. V, 5 dicembre 2014, n. 5989;
Id., Sez. V, 18 aprile 2012, n. 2257;
Id., Sez. VI, 29 luglio 2008, n. 3786).

19. Fin qui si è dunque chiarito che – per un verso – la peculiare natura del parere da rendere e la ristretta platea dei soggetti coinvolti ben consentivano di rendere la valutazione senza particolari vincoli istruttori, e che – per altro verso – non risulta allegata né dimostrata, nel presente giudizio, l’omessa acquisizione o la mancata valutazione di alcuno specifico elemento idoneo a influire concretamente sul giudizio dell’Organo di autogoverno.

20. Occorre a questo punto rilevare che, nella sentenza n. 6125 del 2017, la Sezione ha già avuto modo di affermare che “ in ragione di tutto quanto contenuto nel verbale della riunione della IV Commissione permanente dell’11 dicembre 2015 e nel verbale della riunione plenaria del Consiglio di Presidenza del 17 dicembre 2015, la motivazione della graduazione dei cinque nominativi della “cinquina” risiede compiutamente ed esaustivamente nella congiunta valutazione dei criteri della posizione in ruolo, del merito e delle attitudini di ciascuno rispetto alla specifica funzione di Presidente del Consiglio di Stato ” (cfr. il punto 10 della sentenza).

Come sopra detto, il Consiglio di Stato ha riconosciuto a questa affermazione la natura di considerazione svolta incidenter tantum , ritenendo la censura di difetto di motivazione non coperta dalla pronuncia resa in primo grado, in quanto inscindibilmente legata allo scrutinio delle doglianze di difetto di istruttoria.

Sulla base di tutto quanto sin qui esposto, il Collegio non può peraltro che confermare quanto precedentemente affermato, dovendo escludersi, in considerazione delle conclusioni raggiunte in relazione allo svolgimento dell’istruttoria, l’emergere di profili di difetto di motivazione.

21. Nessun ulteriore elemento avrebbe dovuto, infatti, essere acquisito e, conseguentemente, non risulta alcuna omessa valutazione di dati rilevanti.

22. D’altro canto, una volta selezionati i cinque componenti della “cinquina”, tutti ritenuti idonei alla nomina, non poteva ritenersi necessaria una particolare motivazione delle ragioni della graduazione operata tra di essi. L’eccezionale rilievo istituzionale della carica consentiva, infatti, all’Organo di autogoverno di svolgere valutazioni ad ampio spettro, che devono reputarsi adeguatamente esternate con l’indicazione dei profili – il merito professionale e l’attitudine all’esercizio della specifica funzione – presi in considerazione a questo fine. E ciò – secondo i principi – con il solo limite dell’assoluta irragionevolezza o arbitrarietà della scelta così operata;
limite che, però, non risulta essere stato superato nel caso di specie, non essendo stati tali profili neppure dedotti.

23. In definitiva, per tutte le ragioni sin qui esposte, il ricorso e i motivi aggiunti devono essere respinti.

24. La complessità delle questioni esaminate sorregge, tuttavia, la compensazione delle spese tra le parti.

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