TAR Lecce, sez. II, sentenza 2016-03-16, n. 201600483
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N. 00483/2016 REG.PROV.COLL.
N. 01470/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1470 del 2015, proposto da:
Azienda Ospedaliera Pia Fondazione di Culto e Religione “Card. G. Panico”, rappresentata e difesa dall'avv. E S D, con domicilio eletto presso il suo studio in Lecce, Via 95 Rgt Fanteria, 9;
contro
Regione Puglia, rappresentata e difesa dall'avv. S O D Lecce, con domicilio eletto presso l’avv. Giovanni Calasso in Lecce, piazzetta Scipione De Summa, 15;
Azienda Sanitaria Locale Lecce, non costituita;
per l'annullamento
della determinazione dirigenziale del Servizio Assistenza Ospedaliera e Specialistica dell'Assessorato alle Politiche della Salute della Regione Puglia n. 33 del 12.3.2012;
della determinazione dirigenziale del Servizio Assistenza ospedaliera e Specialistica dell'Assessorato alle Politiche della Salute della Regione Puglia n. 55 del 26.4.2012;
di ogni altro atto a questo presupposto, connesso e/o consequenziale anche di estremi e contenuto sconosciuti;
per l'accertamento e la declaratoria del diritto della ricorrente alla remunerazione di tutte le prestazioni (ovvero, in via gradata, quantomeno di quelle di pronto soccorso/emergenza-urgenza) erogate nell'anno 2011 in favore della pubblica utenza, con conseguente condanna della Regione Puglia a provvedere in tal senso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Puglia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 novembre 2015 la dott.ssa Claudia Lattanzi e uditi l’avv. prof. E. Sticchi Damiani, per la ricorrente, e l’avv. A. Shiroka, in sostituzione dell'avv. S. O. Di Lecce, per la Regione;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La ricorrente, ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, il 6 novembre 1968, ha ottenuto il riconoscimento ex l. 132/1968, alla classificazione quale ospedale generale di zona, sottoscrivendo apposita convenzione con la Regione il 21 giugno 1978, e successivamente è divenuta azienda ospedaliera giusta delibera regionale 112/2001.
La Regione, per l’anno 2001, con DIEF 2011 ha disposto un’assegnazione finanziaria in favore della ricorrente di euro 74.710.000, così ripartita: euro 68.500,000 quale quota per la remunerazione delle prestazioni ospedaliere e ambulatoriali di tariffa, inclusa l’alta specialità;euro 1.500.00 per il rimborso della spesa farmaceutica;euro 4.410.000 per la remunerazione delle prestazioni non tariffabili incluse quelle di emergenza-urgenza.
Alla data del 31 dicembre 2011, la ricorrente ha rendicontato alla Regione: euro 75.925.109,18 di prestazioni ospedaliere ed ambulatoriali, comprensive dell’alta specialità;euro 4.482.290,68 di spesa farmaceutica: euro 7.029.803,84 quali prestazioni non tariffabili (di emergenza/urgenza);per un totale di euro 87.437.203,70.
La Regione, con determine dirigenziali n. 33 e n. 35 rispettivamente del 12 marzo 2012 e il 26 aprile 2012, ha effettuato una ricognizione contabile delle somme spettanti alla ricorrente e, nell’anno 2011, ha liquidato la complessiva somma di euro 77.692.290,68.
La ricorrente ha cercato di ottenere il pagamento di tutte le prestazioni erogate nell’anno 2011, o in subordine quantomeno quelle di pronto soccorso/emergenza-urgenza, riconosciute dalla Asl con nota del 24 dicembre 2014, come indifferibili, appropriate ed effettivamente rese, per un ammontare complessivo di euro 7.029.803,84, ma liquidate solo nella misura di euro 4.410.000.
Avverso i provvedimenti è stato proposto il presente ricorso per i seguenti motivi:1. Violazione della normativa statale e regionale in materia di equiparazione delle aziende ospedaliere gestite da enti ecclesiastici civilmente riconosciuti alle strutture ospedaliere pubbliche;falsa ed erronea presupposizione delle circostanze di fatto e di diritto;eccesso di potere;violazione del principio di proporzionalità;violazione dei principi di buon andamento e dell’affidamento;ingiustizia manifesta.
Sostiene la ricorrente: che le modifiche apportate con il d.l. 112/2008 hanno mantenuto l’equiparazione degli ospedali classificati alle strutture pubbliche;che in base alla l. 132/1968, tutt’ora in vigore, le strutture quale quella della ricorrente sono inserite nel sistema pubblico di assistenza in posizione parificata alle strutture ospedaliere pubbliche;che la posizione delle case di cura si differenzia da quella delle strutture come quella della ricorrente, in quanto le prime partecipano all’assistenza solo in base ad apposite convenzioni e solo se il loro apporto sia ritenuto necessario, mentre le seconde fanno parte della rete pubblica di assistenza e la stipula delle convenzioni è prevista solo per la disciplina dei rapporti;che le convenzioni sottoscritte dagli ospedali classificati prevedevano esclusivamente la remunerazione secondo la retta di degenza al pari di quanto è previsto per gli ospedali pubblici, senza alcun limite all’erogazione;che l’equiparazione tra ospedali classificati e ospedali pubblici si rinviene anche nel d.lgs. 502/1992, il cui art. 4 stabilisce che a questi enti si applica la disciplina prevista per le aziende e i presidi ospedalieri pubblici;che le novità introdotte nel 2008 non hanno fatto venir meno l’obbligo di erogare le prestazioni ad libitum; che la normativa stabilisce che eventuali limiti possono essere applicati solo in presenza di un preventivo accordo e che tale accordo, nel 2011, non era ancora stato formalizzato;che nell’anno in questione non si è registrata un’attività di pianificazione delle risorse e che non ci si poteva rifare a un tetto di spesa precedente, in quanto sino a quel momento non c’era stato un limite di spesa;che la riforma operata con il d.l. 112/2008 ha stabilito la sopravvenuta previsione si stipulare accordi ma non ha innovato circa l’equiparazione tra enti ecclesiastici e ospedali pubblici;che l’accordo previsto per gli ospedali classificati è cosa diversa rispetto al contratto imposto ai soggetti privati accreditati;che gli ospedali classificati hanno l’obbligo di rendere le prestazioni;che l’invalicabilità dei tetti di spesa, nella regione Puglia, è stata introdotta dall’anno 2010 solo per i contratti e non anche per gli accordi;che la Regione, nonostante l’assenza di un accordo, ha continuato a inviare, per il tramite delle proprie strutture pubbliche, pazienti;che comunque la ricorrente ha il diritto di vedersi remunerate tutte le prestazioni di pronto soccorso/emergenza – urgenza.
La Regione, con memoria del 21 ottobre 2015, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso in quanto non è stato impugnato nei termini il DIEP che disponeva l’assegnazione delle risorse. Nel merito ha richiamato la sentenza 2072/2014 di questa Sezione che ha deciso, rigettandolo, un ricorso proposto dalla stessa ricorrente e avente medesimo contenuto relativo a annualità differenti.
Le parti hanno depositato ulteriori memorie.
Alla pubblica udienza del 26 novembre 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
È anzitutto infondata l’eccezione di inammissibilità proposta dalla difesa della Regione, posto che la ricorrente non contesta il DIEP ma le sue censure sono tese a riconoscere l’equiparazione tra la propria struttura e gli ospedali pubblici, con la conseguente applicazione anche alla propria struttura della disciplina concernente gli ospedali pubblici.
Nel merito il ricorso è infondato.
È da rilevare anzitutto che questa Sezione, con sentenza 2072/2014 da ritenersi integralmente richiamata, ha già avuto modo di pronunciarsi su questioni analoghe proposte con il presente ricorso relative all’anno 2009 e ha ritenuto di respingere le richieste motivando in base a quanto statuito dal Consiglio di Stato, pronunciatosi sempre su questione analoghe relative però agli anni 2008 e 2010, con sentenze 735/2013 e 2591/2014.
La ricorrente ritiene che, allorché una struttura ospedaliera risulti “classificata” tale qualificazione si sostanzierebbe nel riconoscimento di una idoneità tecnico operativa, che consentirebbe alla struttura di essere collocata nell’ambito del sistema sanitario pubblico tra i soggetti abilitati ad erogare prestazioni.
Numerose sentenze del Consiglio di Stato hanno ricordato che la posizione degli ospedali privati classificati doveva, prima delle riforme legislative, ritenersi, sotto alcuni aspetti, “equiparata” a quella degli ospedali pubblici, ma che a seguito della riforma attuata con il d.l. 112/2008 non sia più possibile ritenere la suddetta equiparazione, almeno con riferimento alla remunerazione delle prestazioni.
“ L’equiparazione certamente comportava, fin dalla legge n. 132 del 1968, la presenza degli ospedali classificati, al fianco di quelli pubblici, quale componente stabile del servizio sanitario, e rilevava nel momento della definizione delle aree di intervento e delle capacità operative delle strutture, assicurando ai primi una positiva considerazione ai fini del finanziamento pubblico dei necessari investimenti, a seconda del ruolo e delle funzioni rispettivamente attribuite nell’ambito della programmazione regionale.
Con riferimento al sistema di remunerazione delle prestazioni, introdotto, in attuazione dell’articolo 8 del d.lgs. 502 del 1992, con il D.M. 15 aprile 1994, l’equiparazione degli ospedali privati classificati aveva comportato anche il riconoscimento, per le prestazioni da essi erogate, delle medesime tariffe applicate alle aziende ospedaliere pubbliche.
Ciò premesso la Sezione ha, peraltro, rilevato che prima del decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008 (convertito nella legge n. 133 del 6 agosto 2008), vi era la possibilità che le prestazioni rese oltre i volumi predeterminati in sede di programmazione nazionale e regionale, nonché negli accordi contrattuali, potessero essere, in qualche misura, remunerate. E si era sostenuto che, per gli ospedali classificati, come per le aziende ospedaliere pubbliche, le prestazioni eccedenti i tetti prefissati, non soltanto potessero ma addirittura dovessero essere remunerate” (Cons. St., sez. III, 28 novembre 2014, n. 5901, con richiamo di tutte le sentenze del Consiglio di Stato in questo senso).
Tuttavia, a seguito della riforma attuata con d.l. 112/2008, sempre in relazione alla dedotta equiparazione tra ospedali pubblici e ospedali ecclesiastici è stato rilevato che in via generale, come rilevato nelle sentenze 12 aprile 2012, n. 3 e n. 4 della Adunanza plenaria di questo Consiglio, un nuovo modello di servizio sanitario nazionale si è andato delineando a partire dal d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, ed è ispirato alla coniugazione del principio di libertà dell’utente con il principio di programmazione delle prestazioni a carico del servizio pubblico. L'evoluzione della disciplina della programmazione sanitaria - si sottolinea - è stata in seguito caratterizzata dal progressivo accentuarsi del carattere autoritativo della pianificazione (art. 32, comma 8, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, art. 2 comma 5 della legge 28 dicembre 1995 n. 549 e successive modificazioni, art. 1, comma 32, della legge 23 dicembre 1996, n. 662). Alle Regioni è stato pertanto affidato il compito di adottare determinazioni di natura autoritativa e vincolante in tema di limiti alla spesa sanitaria, in coerenza con l'esigenza che l'attività dei vari soggetti operanti nel sistema sanitario si svolga nell'ambito di una pianificazione finanziaria. Va soggiunto che il sistema di programmazione è incentrato su di un modello bifasico in seno al quale alla ricordata fase autoritativa regionale segue un momento di negoziazione su base territoriale. In forza di tale modello bifasico plasmato dalla citata legge 27 dicembre 1997, n. 449, la Regione non solo definisce unilateralmente il tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario per singola istituzione o per gruppi di istituzioni ed i preventivi annuali delle prestazioni, ma vincola la successiva contrattazione dei piani determinandone modalità ed indirizzi. Va richiamata altresì la copiosa giurisprudenza, del giudice delle leggi e del giudice della legittimità, che sul punto è intervenuta dichiarando conformi alla Carta costituzionale le misure di volta in volta adottate dal legislatore o dall’Amministrazione al fine di fronteggiare con immediatezza situazioni di gravissima emergenza finanziaria che, se sottovalutate o comunque trascurate, potrebbero compromettere la funzionalità di settori di spiccato interesse collettivo (cfr. ad esempio le sentenze della Corte costituzionali 28 luglio 1995, n. 416 e 23 luglio 1992, n. 356;secondo quest’ultima "non è pensabile poter spendere senza limite, avendo riguardo soltanto ai bisogni quale ne sia la gravità e l'urgenza;è viceversa la spesa a dover essere commisurata alle effettive disponibilità finanziarie, le quali condizionano la quantità ed il livello delle prestazioni sanitarie, da determinarsi previa valutazione delle priorità e delle compatibilità e tenuto ovviamente conto delle fondamentali esigenze connesse alla tutela del diritto alla salute";cfr. anche Cons. St., Ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1;id. sez. V, 19 novembre 2009, n. 7236;id. 25 gennaio 2002, n. 418;id. Ad. plen., 12 aprile 2012, n. 3) ” (Cons. St., sez. II, 7 aprile 2015., n. 1086).
In sostanza, “ la classificazione degli ospedali gestiti da privati e da enti ecclesiastici tra i presidi del servizio sanitario nazionale non implica in nessun caso di per sé l'assoluta parificazione della loro disciplina a tutti i fini, con la conseguenza che non può ritenersi applicabile "sic et simpliciter" all'ospedale ecclesiastico privato classificato la disciplina prevista per gli enti ospedalieri pubblici ” (Tar Lazio, sez. III quater, 17 luglio 2008, n. 70705).
La ratio della differenziazione è stata individuata, “ nel fatto che gli ospedali pubblici rappresentano la vera e propria struttura del servizio sanitario nazionale, e il vero e proprio intervento diretto del servizio sanitario nazionale nei confronti della collettività, così come espressamente previsto dalla riforma del sistema attuata con la legge n. 833 del 1978, mentre tutte le altre strutture che in qualche modo confluiscono nello stesso sistema sono tutte in misura maggiore o minore complementari dello stesso sistema, per cui non può non rilevarsi che le strutture pubbliche, tenute comunque a rendere il servizio, debbono essere per quanto possibile messe in condizione di operare ” (Cons. St., sez. II, 1086/2015, cit.).
In conclusione, è stato rilevato che: è del tutto escluso che gli enti ecclesiastici possano essere inclusi tra le amministrazioni pubbliche;l’inserimento dei detti ospedali nel S.s.n. ha un mero rilievo operativo e funzionale e non implica di per sé una assoluta parificazione della loro disciplina a tutti i fini;solamente le strutture pubbliche sono vincolate a rendere, nei limiti dell’assetto strutturale e organizzativo, le prestazioni richieste e necessarie, mentre le altre strutture – al di là del tetto di spesa alle stesse assegnato – non hanno tale incondizionato obbligo potendo in alternativa negare la prestazione richiesta ovvero erogarla con oneri a carico del richiedente;il diritto alla salute trova una sua tutela compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili nell’ambito della programmazione regionale;il serio rischio di collasso per l’intero sistema sanitario nazionale impone che la programmazione regionale tenga strettamente conto dei vincoli esterni di bilancio fissati dal Parlamento in sede di legge finanziaria (Cons. St., sez. II, 1086/2015, cit.).
Le novità legislative introdotte con il d.l. 112/2008, con l’inserimento nell’articolo 8-quinquies del d.lgs. 502/1992, i commi 2-quater e 2-quinquies, hanno evidenziato la diversità di trattamento tra le strutture pubbliche e le strutture private, negando la possibilità che le prestazioni rese oltre i volumi predeterminati potessero essere remunerate.
Il Consiglio di Stato ha chiarito che “ il selettivo richiamo contenuto nell’ultimo periodo del comma 2-quater comporta che agli accordi in questione non si applichi il comma 1, lettera d) - vale a dire la disposizione che consentiva di rivedere l'importo del corrispettivo preventivato in funzione del volume delle attività erogate e dei risultati raggiunti, con la conseguenza che il corrispettivo preventivato in sede di programmazione regionale e negli accordi contrattuali diventa, di fatto, un tetto di spesa invalicabile … Ad ulteriore garanzia del rispetto dei volumi di prestazione e dei tetti di spesa, individuati in sede di programmazione regionale ma da recepirsi in sede contrattuale, vi è poi la previsione del comma 2-quinquies, sulla (se non automatica, comunque doverosa) sospensione dell’accreditamento, e quindi della possibilità di erogare prestazioni per conto del servizio sanitario nazionale, per l’ipotesi di mancata stipula degli accordi contrattuali … Tali disposizioni, secondo la Sezione, riguardano tutti gli enti erogatori, ad eccezione delle aziende ospedaliere e dei presidi delle unità sanitarie locali (viceversa, chiamate a stipulare accordi contrattuali alla luce di tutti i contenuti indicati dall'articolo 8-quinquies, comma 2, compresa la lettera d), che consente la rideterminazione, a consuntivo, del corrispettivo preventivato), e riguardano quindi, anche gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e classificati … A conforto di quanto affermato, le citate sentenze hanno citato anche l'articolo 1, comma 18, ultimo periodo, del d. lgs. n. 502 del 1992 – anch’esso introdotto dal d.l. n. 112 del 2008 – secondo cui le attività e funzioni assistenziali delle strutture equiparate di cui al citato articolo 4, comma 12, con oneri a carico del servizio sanitario nazionale, sono esercitate esclusivamente nei limiti di quanto stabilito negli specifici accordi di cui all'art. 8 quinquies” (Cons. St., sez. III, 5901/2014, cit.).
Proprio gli approdi a cui è giunta la giurisprudenza amministrativa costante conducono a ritenere – com’è stato già rilevato nella sentenza del Consiglio di Stato n. 25941/2014 richiamata dalla sentenza di questa Sezione che si è già occupata della questione (2072/2014) – che la mancanza dell’accordo non può comunque comportare l’inesistenza di un tetto di spesa e cioè la completa remunerazione delle prestazioni effettuate posto che si deve far applicazione del tetto di spesa assegnato per l’anno precedente: “questa Sezione ha tuttavia affermato che, nel vigente quadro normativo, spetta alla Regioni provvedere con atti autoritativi e vincolanti per la programmazione, alla fissazione del tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario regionale e di distribuire le risorse disponibili per singola istituzione o per gruppi di istituzione, nonché di provvedere alla determinazione dei preventivi annuali delle prestazioni, assicurando l’equilibrio complessivo del sistema sanitario dal punto di vista organizzativo e finanziario”.
“Né, infine, tale ordine di considerazioni può risultare condizionato dalla dedotta ‘inerzia’ della Regione Puglia, la quale non avrebbe invitato la ricorrente alla tempestiva definizione di un accordo ex art. 8 quinquies d.lgs. n. 502 del 1992”, posto che “gli effetti cogenti della normativa sopravvenuta non potevano risultare condizionati dall’atteggiamento delle parti, anche se pubbliche ” (sent. 2072/2014 cit.).
In conclusione, è da respingere la richiesta della ricorrente di ottenere il pagamento di tutte le prestazioni erogate nell’anno 2011.
È invece da accogliere la richiesta subordinata di pagamento della prestazioni indifferibili e urgenti, ai sensi dell’art. 2041 c.c., e riconosciute come tali dall’Asl con nota del 24 dicembre 2014, così come ritenuto dal Consiglio di Stato nelle sentenze richiamate dalla sentenza di questa Sezione 2072/2014.
Le spese possono essere compensate stante la particolarità delle questioni trattate.