TAR Milano, sez. IV, sentenza 2019-10-24, n. 201902221
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Pubblicato il 24/10/2019
N. 02221/2019 REG.PROV.COLL.
N. 01795/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO I
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1795 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da
N M S, rappresentato e difeso dagli avv.ti U F e M O, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti A M e A M Alea, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico presso gli uffici dell’Avvocatura comunale, in Milano, via della Guastalla n. 6;
nei confronti
M B, rappresentato e difeso dagli avv.ti L D e G L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico presso lo studio del primo, in Milano, piazza F. Corridoni n. 11;
Quanto al ricorso principale e quanto al successivo ricorso per motivi aggiunti:
per l’annullamento
- del permesso di costruire in sanatoria per opere edilizie n. 326 del 7 febbraio 2007 - atti 1212670.0/2400 rilasciato dal Comune di Milano, Settore sportello unico per l’edilizia, Ufficio Condono, a favore del signor M B;
- nonché di tutti gli atti presupposti connessi e consequenziali, tra cui in particolare la “certificazione di abitabilità - agibilità per permesso di costruire in sanatoria”, rilasciata in data 7 febbraio 2007 dal direttore del settore Sportello unico per l’edilizia, Ufficio condono.
Visti il ricorso principale, il ricorso per motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Milano e di B Massimo;
Visti tutti gli atti e i documenti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 settembre 2019 la dott.ssa A T e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
A seguito di trasposizione in sede giurisdizionale di ricorso straordinario al Capo dello Stato il signor N M S ha impugnato avanti a questo Giudice il permesso di costruire in sanatoria in epigrafe indicato, rilasciato ex articolo 32 L. n. 326/2003 dal Comune di Milano al signor M B.
Espone al riguardo il deducente che il controinteressato è proprietario, all’interno del medesimo edificio condominiale, di un appartamento sovrastante il proprio, nel quale ha eseguito senza titolo un intervento edilizio in ampliamento.
Il ricorrente ritiene che l’atto di sanatoria impugnato sia illegittimo e per questo ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi:
1) “Violazione o falsa applicazione dell’art. 32 L. 326/2003 e art. 2 L.R. Lombardia 31/2004”, per avere l’ampliamento sanato superato il limite massimo del 20% della volumetria originaria ovvero dei 500 mc.;
2) “Violazione o falsa applicazione dell’art. 32 L. 326/2003 e art. 2 L.R. Lombardia 31/2004 Violazione ed errata applicazione dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000;Eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto assoluto di istruttoria”, per avere il controinteressato reso in sede di domanda di sanatoria una falsa dichiarazione in ordine al rispetto da parte dell’intervento abusivo dei sopra indicati limiti quantitativi e per non aver fornito la documentazione necessaria per calcolare l’aumento della volumetria determinatosi per l’effetto dell’abuso;
3) “Violazione artt. 2, 3, 9, 10 L. 241/1990 Violazione artt. 1117 c.c. Eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione”, per non avere il Comune valutato gli apporti procedimentali a suo tempo forniti dal ricorrente, volti a evidenziare le criticità legate al rilascio del richiesto provvedimento di sanatoria.
Si è costituito in giudizio il Comune di Milano, dapprima con atto di mero stile e successivamente con memorie difensive, opponendosi alla prospettazione avversaria e concludendo per la reiezione del ricorso promosso dal signor N M S.
Si è costituito in giudizio anche il signor M B, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, e contestando nel merito le tesi ex adverso propugnate.
Con ordinanza collegiale il Tribunale ha disposto una verificazione volta ad accertare l’incremento volumetrico delle opere oggetto di permesso di costruire in sanatoria rispetto alla consistenza originaria del manufatto e, segnatamente, l’incremento percentuale rispetto alla volumetria dell’intero fabbricato preesistente nonché rispetto alla singola unità immobiliare del controinteressato.
Gli esiti della verificazione possono così essere compendiati: l’incremento volumetrico determinato dall’ampliamento in termini assoluti è pari a 345,60 mc. e in rapporto percentuale è pari al 6,46% rispetto all’intero fabbricato condominiale e al 40,69% rispetto al solo appartamento del signor B.
Le conclusioni del verificatore sono state contestate dal controinteressato nella parte in cui viene calcolato il rapporto percentuale della volumetria oggetto di condono rispetto alla volumetria complessiva della sua unità immobiliare, ritendo non condivisibile la metodologia seguita per determinare la superficie lorda di pavimento e la volumetria oggetto della domanda di condono edilizio.
Di contro, il signor Mascheroni Stianti, sulla scorta degli esiti della verificazione, ha promosso ricorso per motivi aggiunti, deducendo, quale ulteriore motivo di impugnazione avverso il provvedimento già gravato, il vizio di “Violazione e falsa applicazione dell’art. 32, commi 25, 32, 35 e 37, D.L. 30 settembre 2003, n. 269 convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326 e dell’art. 40, comma 1, L. 28 febbraio 1985, n. 47. Violazione e falsa applicazione degli artt. 47 e 75, D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 e 6, L. 241/1990. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione”.
Sostiene il ricorrente che il permesso di costruire in sanatoria rilasciato dal Comune sarebbe nullo per falsità dei dati (segnatamente, superficie lorda di pavimento e volumetria) dichiarati dal controinteressato nell’istanza di condono e sulla base dei quali il provvedimento è stato adottato, con l’ulteriore conseguenza che vi sarebbe una discrasia tra l’oblazione versata e quella effettivamente dovuta.
Si sono opposti anche al nuovo gravame l’Amministrazione resistente e il controinteressato, concludendo per la reiezione anche del ricorso per motivi aggiunti.
Le parti hanno insistito sulle rispettive posizioni in successivi scritti difensivi.
Alla pubblica udienza del 26 settembre 2019 la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
Viene in decisione il giudizio instaurato dal signor N M S avverso il permesso di costruire in sanatoria rilasciato, ai sensi dell’articolo 32 D.L. n. 269/2003 e della L.R. Lombardia n. 31/2004dal Comune di Milano al signor M B, proprietario dell’appartamento sovrastante il proprio.
Preliminarmente il Collegio deve farsi carico dell’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse sollevata dalla difesa del controinteressato.
L’eccezione è infondata.
Invero, «costituisce jus receptum il principio generale a mente del quale in materia edilizia, la vicinitas, ossia l’esistenza di uno stabile collegamento con il terreno interessato dall’intervento edilizio, è circostanza sufficiente a comprovare la sussistenza sia della legittimazione che dell’interesse a ricorrere, senza che sia necessario al ricorrente allegare e provare di subire uno specifico pregiudizio per effetto dell’attività edificatoria intrapresa sul suolo limitrofo (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 10/9/2018, n. 5307)» (così, testualmente, C.d.S., Sez. VI, sentenza n. 3386/2019).
Il ricorrente è proprietario dell’appartamento sottostante a quello ove è stato effettuato l’intervento edilizio abusivo e come tale ha, quindi, interesse e legittimazione a ricorrere avverso il provvedimento che ha sanato il predetto abuso.
Può, dunque, passarsi al merito.
Innanzitutto, occorre determinare quale sia l’effettiva portata precettiva dell’articolo 2, comma 1, L.R. Lombardia n. 31/2004, applicato nel caso di specie e per il quale i contendenti hanno proposto opzioni ermeneutiche contrastanti.
Ora, la disposizione testualmente prevede che «Fatti salvi gli ampliamenti entro i limiti massimi del 20 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, di 500 metri cubi, non sono suscettibili di sanatoria le opere abusive relative a nuove costruzioni, residenziali e non, qualora realizzate in assenza del titolo abilitativo edilizio e non conformi agli strumenti urbanistici generali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge. L’esclusione non opera per le strutture pertinenziali degli edifici prive di funzionalità autonoma». La prescrizione abbassa i limiti fissati dall’articolo 32, comma 25, D.L. 269/2003 nel «30% della volumetria originaria» ovvero, in alternativa, i «750 mc.».
Avuto riguardo a un criterio logico-sistematico, deve ritenersi che i 500 mc. (così come i 750 mc. nella legislazione statale) rappresentino il limite massimo dell’ampliamento sanabile, una sorta di norma di chiusura. L’incremento volumetrico, cioè, non deve superare il 20% (30% nella legislazione statale) della volumetria originaria, cosicché sia garantita una certa proporzione tra il manufatto originario e quello risultante all’esito dell’intervento da condonare, e sia scongiurato il rischio che da una costruzione modesta se ne ricavi una di dimensioni imponenti. Al contempo, ancorché contenuto nel limite del 20% della volumetria originaria, l’ampliamento non può, comunque, superare i 500 mc., di modo da riservare la sanatoria agli abusi di minore impatto.
Dunque, i due limiti debbono essere rispettati entrambi: non basta che l’intervento edilizio eseguito senza titolo dal signor B si sia mantenuto al di sotto del 500 mc. (circostanza questa che non è in contestazione), ma è pure necessario che non ecceda la volumetria originaria.
Il punto è allora stabilire quale sia la volumetria originaria, se, cioè, quella dell’intero fabbricato condominiale, così come sostengono la resistente e il controinteressato, o quella del solo appartamento, così come sostiene il ricorrente.
Orbene, l’opzione ermeneutica proposta dal Comune e dal signor B non convince per gli esiti irrazionali cui conduce. Vero è, infatti, che se tutti i condomini (o anche una rilevante parte di essi) si avvalessero della medesima facoltà, nel complesso si potrebbe arrivare al superamento di uno o di entrambi i suvvisti limiti quantitativi.
E a nulla vale l’osservazione che nel caso di specie il solo signor B ha presentato domanda di condono, dovendosi determinare il significato di una disposizione normativa in astratto e non in concreto, non potendo il significato variare caso per caso.
Ulteriormente, a voler seguire la tesi in esame, a parità di dimensioni dell’unità immobiliare, si potrebbero condonare volumi diversi a seconda che l’unità immobiliare sia o meno inserita in un fabbricato condominiale, ovvero a seconda delle dimensioni del fabbricato condominiale in cui l’unità medesima si inserisce.
In conclusione, la volumetria originaria rispetto alla quale va calcolato il limite del 20% è quella dell’appartamento che è stato ampliato.
Ebbene, la verificazione disposta dal Tribunale ha appurato che l’ampliamento volumetrico realizzato dal controinteressato supera il limite del 20% della volumetria originaria del relativo appartamento.
Il Collegio non vede ragioni per discostarsi dalle conclusioni del verificatore.
Da un lato, infatti, risulta corretta la scelta di utilizzare ai fini del calcolo della volumetria le definizioni tecniche contenute negli strumenti urbanistici comunali vigenti all’epoca del rilascio del provvedimento di sanatoria, perché garantisce una uniformità di trattamento rispetto alle altre partiche istruite dal Comune.
Dall’altro lato, a tutto voler concedere, le parti dell’edificato funzionali all’utilizzo dei nuovi spazi, conteggiate dal verificatore ancorché non oggetto di condono, non incidono in modo rilevante sul rapporto percentuale tra incremento di volumetria e volumetria originaria, nel senso che questa rimane comunque al di sopra del limite del 20%.
In conclusione, fondato e assorbente è il primo motivo di impugnazione con il quale il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 32 L. n. 326/2003 e 2 L.R. Lombardia 31/2004.
Il ricorso principale e il susseguente ricorso per motivi aggiunti sono quindi accolti, e per l’effetto il provvedimento di condono edilizio impugnato è annullato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate a favore del signor N M S nella misura indicata in dispositivo.
Restano definitivamente a carico del Comune di Milano e del signor M B le spese della verificazione, nella misura già liquidata con decreto presidenziale.
Al verificarsi dei presupposti di legge, il Comune di Milano provvederà al rimborso al signor N M S dei contributi unificati effettivamente versati.