TAR Reggio Calabria, sez. I, sentenza 2013-06-21, n. 201300440

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Reggio Calabria, sez. I, sentenza 2013-06-21, n. 201300440
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Reggio Calabria
Numero : 201300440
Data del deposito : 21 giugno 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00347/2012 REG.RIC.

N. 00440/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00347/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

Sezione Staccata di Reggio Calabria

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 347 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
M C G, rappresentata e difesa dall'avv. S G, con domicilio eletto presso Andrea Cuzzocrea Ing. in Reggio Calabria, via G. De Nava,127;

contro

U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distr.le dello Stato, domiciliata in Reggio Calabria, via del Plebiscito, 15;

per l'annullamento

- quanto al ricorso principale

del provvedimento avente per oggetto “informazione ex art. 10 d.p.r. n. 252/1998”, emesso dalla Prefettura - U.T.G. di Reggio Calabria con prot. n. 45708 in data 7.02.2012, comunicato alla ricorrente con nota 18.04.2012 della Stazione unica appaltante provinciale di Reggio Calabria;

- quanto al ricorso per motivi aggiunti:

del medesimo provvedimento.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 maggio 2013 il dott. P M S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

I. Con nota del 18.04.2012, la SUAP di Reggio Calabria ha comunicato alla ricorrente l'esclusione dalla gara relativa all'affidamento dei "Lavori di riqualificazione ex mattatoio - Creazione di un centro enologico - Comune di Bivongi", in quanto, nei suoi confronti, risultava una informativa prefettizia a carattere interdittivo emessa dall'UTG di Reggio Calabria in data 7.2.2012.

A fondamento di detto ultimo provvedimento è stata posta la seguente circostanza: “il coniuge convivente della nominata in oggetto, già sottoposto a misura di prevenzione, pur se revocata, gravato da pregnanti pregiudizi penali, è stato più volte notato con persone contigue a cosca mafiosa”.

Con ricorso notificato il 18.6.2012 e depositato il 25.6.2012, la ricorrente, premesso di non avere alcun interesse a contestare l’esclusione dalla gara, ha impugnato l’informativa sopra richiamata, affidandosi alle seguenti censure:



1. Violazione di legge – L. 17 gennaio 1994, n. 47, art. 1 – D.Lgs. 8 agosto 1994 n. 490, art.

4 - D.P.R. 3 giugno 1998 n. 252 art. 10 – Errata applicazione delle c.d. informazioni antimafia ad affidamenti di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria.

Asserisce la ricorrente, in somma sintesi, che, in spregio alle norme calendate, l’Amministrazione appaltante avrebbe richiesto l’informativa antimafia pur trattandosi di appalto sottosoglia, sicché, non avendo la stessa mai partecipato a gare soprasoglia, l’attività amministrativa sarebbe illegittima.



2. Violazione di legge: Artt. 27 e 41 della Carta Costituzionale, art. 4 del D.Lgs. 490/1994 e dell’art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1998 n. 252 - Eccesso di potere per errata applicazione della Circolare del Ministro dell’Interno del 18 dicembre 1998.

Riconosce parte ricorrente che il tentativo di penetrazione criminale non presuppone che soggetti con connotazione mafiosa siano assurti a cariche sociali di vertice o direttive, abbiano, cioè, assunto il diretto controllo della compagine societaria, ma che sia sufficiente, e nello stesso tempo necessario, che nei confronti di una società vengano poste in essere ab externo pressioni influenti, tali da determinarne un effettivo condizionamento.

Attraverso la previsione del tentativo di infiltrazione, l’ordinamento cercherebbe di impedire che l’impresa possa essere divenuta strumentale rispetto ad interessi di consorterie criminali locali, obiettivamente agevolandone il raggiungimento degli scopi illeciti per il fatto di essere entrata nella loro orbita di influenza.

Il pericolo del tentativo di infiltrazione mafiosa, dovrebbe dunque implicare l’individuazione di elementi che segnalino in modo sufficientemente univoco, secondo l’ id quod plerumque accidit, che soggetti in grado di influire sulle decisioni di una determinata impresa – siano essi o meno i detentori “ufficiali” del potere di farlo - gravitino in ambienti criminali, o comunque indirizzino le scelte imprenditoriali in modo da favorire organizzazioni malavitose.

All'informativa antimafia andrebbe riconosciuto il carattere di provvedimento anticipatorio, di natura servente rispetto alla tutela di esigenze previste dalla Costituzione, tra cui in primo luogo quelle connesse al perseguimento delle finalità del procedimento penale e di prevenzione, tali da giustificare, nel bilanciamento tra interessi meritevoli di tutela, il temporaneo sacrificio della libertà d'impresa in vista dell'intervento dell'autorità giudiziaria.

Fuori dal detto perimetro, l'informazione prefettizia acquisterebbe connotati inconciliabili con la Carta Costituzionale (art. 41 Cost.), attesa la sua natura di provvedimento amministrativo fondato su accertamenti di polizia, acquisiti in difetto di contraddittorio e senza possibilità di difesa.

I detti principi sarebbero stati trasfusi nella Circolare Ministeriale 18 dicembre 1998 n. 559/Leg/240.517.8 (Istruzioni applicative concernenti il D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252), che, nel fornire ai Prefetti le coordinate per l'applicazione della normativa, avrebbe esattamente individuato la differenza tra evidenze che possano dar luogo ad approfondimenti e fatti che giustificano il rilascio di informazione interdittiva.

In quest’ultimo senso, la circolare avrebbe posto particolare attenzione alle risultanze di tali accertamenti, <<nella considerazione della specifica finalità e del fatto che essi dovranno comportare l’attivazione di procedimenti censori previsti dall’ordinamento (denunce penali, proposte per l’applicazione di misure di prevenzione, misure amministrative di autotutela, attivazione degli organi di controllo, eccetera) senza di cui potrebbe dubitarsi della loro fondatezza.

(....)

<<Qualora non si riscontrino né la sussistenza delle cause di sospensione, divieto o decadenza di cui all’art. 10 della legge n. 575/1965, né gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa (…) la Prefettura rilascerà all’amministrazione interessata la liberatoria attestazione di non sussistenza, allo stato degli accertamenti, delle condizioni interdittive previste dall’art. 4 predetto, anche quando permangano indicazioni negative, ma non siano acquisiti concreti elementi in proposito>>.

La Circolare ministeriale, in definitiva, sarebbe nel senso di circoscrivere l’informazione positiva necessariamente propedeutica all’attivazione di misure ulteriori, proprio perché il suo presupposto sarebbe l’accertamento di un tentativo di infiltrazione mafiosa e la sua finalità quella di evitare che imprese condizionate dalla criminalità organizzata accedano ad appalti d'importo significativo ovvero a provvidenze pubbliche.

Per altro, quando ricorrono sufficienti elementi per ritenere che il libero esercizio delle attività economiche agevoli l'attività delle persone nei confronti delle quali è stata proposta o applicata una misura di prevenzione, ovvero di persone sottoposte a procedimento penale per determinati delitti, il tribunale disporrebbe della sospensione temporanea dall'amministrazione dei beni utilizzabili, direttamente o indirettamente, per lo svolgimento delle predette attività.

Il procedimento finalizzato all'applicazione di una misura di prevenzione nei confronti di un soggetto ritenuto pericoloso, che coinvolga le imprese di cui questi possa disporre, consente il temporaneo esercizio delle attività, attraverso la nomina di un amministratore giudiziario. Lo stesso accade quando l'esercizio di attività economiche venga inteso agevolare organizzazioni criminali.

L'informazione antimafia interdittiva per "infiltrazioni mafiose" sarebbe prevista per anticipare l'attivazione di procedimenti del genere, non certo per sostituirli.

Non sarebbe possibile un provvedimento amministrativo che, in assenza di contraddittorio e di difesa, comporti limitazioni della libertà e conseguenze patrimoniali più gravose di quelle che deriverebbe dalla sottoposizione ad un procedimento giudiziario.

3. – Eccesso di potere per illogicità manifesta – Sviamento di potere.

Il provvedimento impugnato pone la sua motivazione relazionandosi al coniuge della ricorrente, sottoposto svariati anni addietro a una misura di prevenzione, peraltro successivamente revocata, e protagonista, sempre nel lontano passato, di fatti di rilevanza penale.

Questi, inoltre, sarebbe stato notato in compagnia di soggetti controindicati.

Ambedue i presupposti sarebbero inidonei a supportare il provvedimento impugnato.

La sottoposizione di una persona ad una misura di prevenzione successivamente revocata non avrebbe alcuna valenza indiziaria della personalità del soggetto.

Per altro, anche un reato efferato perderebbe di significatività, ove il suo autore mantenga successivamente un comportamento onesto.

Quello commesso dal predetto coniuge della ricorrente, oltretutto, non avrebbe nulla a che fare con la criminalità organizzata.

In ordine alla rilevanza delle “compagnie”, le stesse non sarebbero reiterate, o comunque ripetute, costanti;
nel caso di specie sarebbero meramente occasionali e, dunque, non significative di una affettività ed una comunanza di interessi che le renda veicolo o manifestazione della sussistenza di un effettivo legame interpersonale.

Le stesse, inoltre, non dovrebbero poter essere riconducibili ad una mera conoscenza, spiegabile con la concomitanza di altri fattori leciti, come costumi sociali, conduzione di leciti affari commerciali, semplice cortesia e simili.

Nel caso in esame, dai controlli di polizia non sarebbero emerse frequentazioni potenzialmente rilevanti, limitandosi la Prefettura a riferire che il soggetto è stato “notato” in compagnia di persone controindicate.

Costituitasi, l’Amministrazione intimata ha concluso genericamente per l’irricevibilità, l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza del ricorso.

Con Ordinanza istruttoria n. 100/12 questa stessa Sezione ha disposto l’acquisizione degli atti istruttori propedeutici all’adozione del provvedimento impugnato.

Con Ordinanza n.175/12, di seguito al deposito degli atti richiesti con la predetta istruttoria, è stata rigettata la domanda di sospensione del provvedimento impugnato.

Con ricorso per motivi aggiunti notificato il 16.11.2012, la ricorrente, acquisita la conoscenza dei predetti documentati chiarimenti, ha altresì sostenuto che il medesimo provvedimento impugnato sarebbe affetto dagli ulteriori vizi di difetto di motivazione, travisamento di fatto e irragionevolezza manifesta, essendo fondato su eventi a rilievo penale tutt’altro che pregnanti, ma, semmai, datati e non particolarmente gravi.

Alla udienza pubblica dell’8.5.2013, la causa è stata trattenuta per la decisione.

II. Infondato è il primo motivo di ricorso, in quanto volto a censurare l’attività del seggio di gara ad acquisire, nel caso di appalto sottosoglia, l’informativa impugnata.

La giurisprudenza pacificamente ammette l’acquisizione delle informative interdittive nella c.d. “zona grigia” ossia per gli appalti di importo tra i trecento milioni di lire (ora euro 154.937,00) e la soglia di rilevanza comunitaria (Cfr. Cons. Stato, VI, 29 gennaio 2008 n. 240 e giurisprudenza successiva).

Con la seconda e la terza censura, nonché con il motivo espresso con il ricorso per motivi aggiunti, la ricorrente si duole, in somma sintesi, dell’insussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento impugnato, poiché fondato su fatti penali relativi al proprio coniuge non pregnanti e, comunque, datati, nonché su frequentazioni, sempre del medesimo soggetto, anch’esse risalenti nel tempo e non contestualizzate e, come tali, asseritamente inidonee a supportare un provvedimento interferente con i diritti costituzionalmente garantiti dei cittadini (libertà di impresa) e volto a garantire la lotta avanzata rispetto al fenomeno mafioso nella sua dimensione delle infiltrazioni nelle imprese private.

Come ribadito da questo stesso Tribunale (cfr. TAR Reggio Calabria 11.10.2012, n. 617) <<il principio consolidato che la giurisprudenza osserva in tema di informative antimafia interdittive ai sensi dell’art. 10 comma 7 lett. “c”, del DPR 252/98 è quello secondo cui ai fini dell’esercizio del potere interdittivo è necessario e sufficiente la concomitanza di un quadro di oggettiva rilevanza, dal quale desumere elementi che, secondo un giudizio probabilistico, o anche secondo comune esperienza, possano far presumere non una attuale ingerenza delle organizzazioni mafiose negli affari, ma una effettiva possibilità che tale ingerenza sussista o possa sussistere (ex multis, da ultimo, Consiglio Stato , sez. VI, 3 marzo 2010, n. 1254;
T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 1 marzo 2010 , n. 248;
TAR Reggio Calabria, 20 ottobre 2010, nr. 943).

<<
E’ stato ritenuto coerente con queste premesse il provvedimento interdittivo che si fonda su una serie plurima e reiterata di frequentazioni le cui segnalazioni, ancorchè non contestualizzate, sono comunque riferite a soggetti partecipi o vicini alla medesima cosca (cfr. TAR Reggio Calabria, 28 gennaio 2011, nr. 54)>>.

Alla luce di tali principi, il provvedimento interdittivo impugnato si fonda su elementi di fatto rilevanti e sufficienti a sorreggerne gli effetti.

Invero, diversamente da quanto sostenuto in ricorso e pur prescindendo dai fatti aventi rilievo penale (effettivamente datati seppur relativi anche alla criminalità organizzata), a fondamento della misura interdittiva sono poste frequentazioni “con persone contigue a cosca mafiosa”, vale a dire quelle <<situazioni di interrelazione frequenti con soggetti in tutto o in parte riconducibili alle medesime cosche di ‘ndrangheta attive nella zona territoriale di riferimento>>
(cfr. TAR Reggio Calabria 617/12 cit.), condotte da un soggetto, il coniuge della ricorrente titolare di impresa, che indubbiamente può, con il proprio comportamento e in regime di convivenza, influenzare negativamente l’esercizio dell’attività imprenditoriale (Cfr. Tar Reggio Calabria, 6 aprile 2012, n. 275).

Ed invero, dalla nota del 29.6.2011 della Legione Carabinieri “Calabria” – Comando Provinciale di Reggio Calabria – Reparto operativo emergono, tra le più rilevanti, le seguenti frequentazioni:

- con A N, reiteratamente sin dal 1997 e, da ultimo, l’1 gennaio 2008 e il 17 giugno 2010 (il predetto è cognato di due soggetti appartenenti alla cosca dei Cataldo);

- con L A, più volte sin dal 1997 e, da ultimo, il 23 giugno 2007, già avvisato orale e segnalato per ricettazione e violazione delle norme sulle sostanze stupefacenti;

- con F G, più volte dal 1997 e sino al 23 giugno 2007, segnalato per violazione della legge sugli stupefacenti, associazione per delinquere, truffa, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti;

- con Panetta Antonio Domenico, più volte e sino all’11 novembre 2003 e il 19 luglio 2004, segnalato per associazione per delinquere, detenzione e porto illegale di armi e ricettazione;

- con Alecce Domenico, in data 14 aprile 2001, segnalato per associazione di tipo mafioso e ricettazione;

- con Filippone Giuseppe, il 21 aprile 2001, segnalato per violazione della legge sugli stupefacenti;

con Cocilovo Gianfranco, il 13 aprile 2002, segnalato per associazione di tipo mafioso.

Ritiene il Collegio che, pur in presenza all’interno della predetta nota della Legione dei Carabinieri Calabria della precisazione secondo la quale agli atti del detto Comando e della Guardia di Finanza non vi fossero “attuali elementi di collegamento con la criminalità organizzata per poter affermare che l’impresa possa essere condizionata nelle scelte e/o gli indirizzi, salvo diverso avviso di codesta Prefettura”, non possa escludersi la sussistenza di un rapporto di contiguità del coniuge della ricorrente con soggetti appartenenti alla criminalità organizzata, dimostrato dalle reiterate frequentazioni.

Sicché, ad avviso del Collegio, la Prefettura ha correttamente ritenuto sussistere il presupposto per l’informativa interdittiva, vale a dire la sussistenza di quelle situazioni di interrelazione frequenti con soggetti in tutto o in parte riconducibili alle medesime cosche di ‘ndrangheta attive nella zona territoriale di riferimento.

Da ciò consegue il rigetto del ricorso.

In relazione alla peculiarità della fattispecie, stimasi equo disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

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