TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2023-02-28, n. 202303435
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
Pubblicato il 28/02/2023
N. 03435/2023 REG.PROV.COLL.
N. 12171/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 12171 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto da
D T, rappresentata e difesa dagli avvocati P P e A C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio P P in Roma, via G. Mercalli n. 13;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato P G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento
previa concessione delle opportune misure cautelari,
- della nota prot. CD/135050 del 26.9.19, adottata dal Municipio III di Roma Capitale, avente ad oggetto “ Segnalazione Certificata di Inizio Attività prot. CD/56449 del 12/04/2019, per opere ai sensi del DPR 380/01 ss.mm.ii. da eseguire sull'immobile ubicato in Via Monte Nevoso n. 25, di proprietà della Sig.ra Toscano Daniela ”, con cui viene dichiarata “ l'improcedibilità ed inefficacia della SCIA prot. CD/56449 del 12/04/2019 ” con conseguente sua archiviazione;
- della nota prot. n. QI/146422 del giorno 20.9.19, avente ad oggetto “ SCIA in alternativa al Permesso di Costruire presentata presso il Municipio III con prot. CD/56449 del 12.4.2019, trasmessa con nota prot. CD/103875 del 09.07.2019 e pervenuta con prot. QI/117846 del 10.07.2019. Immobile sito in Via Monte Nevoso 25 - Proprietà Sig.ra D T ”, con la quale il Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica di Roma Capitale ribadiva la conclusione di cui sopra, sulla base del fatto che “ nel caso di specie, trattandosi di intervento realizzato ai sensi dell'art. 6 della L.R. n. 7/2017 (c.d. Rigenerazione Urbana) di completa demolizione e ricostruzione con aumento di SUL, lo stesso è subordinato a Permesso di Costruire ”;
- della nota prot. n. QI/129515 del giorno 1.8.19, avente ad oggetto “ SCIA in alternativa al Permesso di Costruire prot. CD/56449 del 12/04/2019 presentata presso il Municipio III, trasmessa con prot. CD/103875 del 9.07.2019 pervenuta con prot. QI/117846 del 10.7.2019. Immobile sito in Via Monte Nevoso 25 ”, con la quale il Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica di Roma Capitale affermava che “ Con riferimento (...) l'avvenuto deposito di una SCIA in alternativa al Permesso di Costruire per un intervento di demolizione e ricostruzione con premialità del 20% ai sensi dell'art. 6, L.R. 7/2017, si rappresenta che l'idoneo titolo per il caso di specie è il Permesso di Costruire di cui all'art. 20 del DPR 380/2001 ”;
- della nota del Municipio III di Roma Capitale, Ufficio Ispettorato Edilizio prot. n. CD/103875 del giorno 9.7.19 (doc. 5), avente ad oggetto “ Trasmissione SCIA in alternativa al PdC. Immobile in Via Monte Nevoso 25 ”, con la quale veniva comunicato all'odierna ricorrente la trasmissione della pratica edilizia al Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica di Roma Capitale;
- della nota prot. n. 113938 del 30.7.19, avente ad oggetto “ diffida all'esecuzione dei lavori di cui alla SCIA prot. CD-56449 del 12.04.2019. Immobile di via Monte Nevoso 25 ” con la quale il Municipio III di Roma capitale diffidava “ i soggetti in indirizzo alla sospensione immediata dei lavori”, sul presunto ed errato presupposto di un “deposito impropri[o] ” della pratica edilizia al Municipio e sulla base della presunta incompletezza della medesima pratica edilizia;
- del verbale di sequestro compilato in data 1.8.19 dalla Polizia locale di Roma Capitale unitamente ai tecnici dell'Ispettorato Edilizio dell'UOT del Municipio III di Roma Capitale;
- della nota prot. n. 117193 del 7.8.19, avente ad oggetto “ Trasmissione integrazione SCIA in alternativa al PdC. Immobile in Via Monte Nevoso 25 ” con la quale il Municipio III di Roma Capitale trasmetteva ulteriore documentazione attinente la pratica edilizia inoltrata dall'odierna ricorrente al Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica di Roma Capitale;
- di ogni altro atto ad essi presupposto, preordinato, connesso, consequenziale ed esecutivo, anche se ignoto, che comunque incida sui diritti e/o interessi legittimi della ricorrente.
Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati il 22/11/2019
Per l’annullamento, previa adozione delle misure cautelari richieste,
- degli stessi atti già impugnati e sopra meglio indicati, così come interpretati ed integrati dall’Ente resistente nella nota prot. n. 159004 del 5.11.19, depositata nel presente giudizio in data 7.11.19.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 gennaio 2023 il dott. Giuseppe Licheri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso introduttivo proposto nei termini di rito, la sig.ra D T impugnava i provvedimenti – meglio sopra identificati – con cui, nella sostanza, il Municipio III di Roma Capitale, negando la riconducibilità dell’intervento edilizio proposto al novero di quelli che, a mente dell’art. 24 del d.P.R. n. 380/2001, possono eseguirsi sulla base della presentazione di una SCIA sostitutiva del permesso di costruire, dichiarava l’inefficacia della SCIA prodotta il 12.4.2019 e, per l’effetto, escludeva la legittimità delle opere eseguite dalla ricorrente sul proprio immobile sito in Roma alla via Monte Nevoso n. 25.
Premetteva la ricorrente di essere proprietaria dell’immobile in questione e che, in tale veste, presentava una SCIA alternativa al permesso di costruire (p.d.c.) in data 12.4.2019, ricavandone l’attestazione di protocollazione n. CD/2019/56449.
Con essa, la proponente si prefissava di eseguire “ interventi di ristrutturazione edilizia RE3 ai sensi dell’art. 6 della L.R. 7 del 18 luglio 2017 (c.d. “Rigenerazione urbana”) consistente nella demolizione e successiva ricostruzione della medesima volumetria calcolata sulla base del progetto originale del 1936, ma con aumento della SUL sempre calcolata sulla base del progetto originale del 1936 ”, interventi ritenuti dalla medesima riconducibili al disposto dell’art. 23 del d.P.R. n. 380/2001 (nella versione allora applicabile), dichiarando altresì – quanto alle previsioni urbanistiche – che l’immobile interessato ricadeva nella Città Storica – tessuto T7 e che i lavori, prevedendo la realizzazione di opere strutturali in conglomerato cementizio armato, avrebbero richiesto l’autorizzazione sismica di cui all’art. 94 del d.P.R. n. 380/2001 senza tuttavia aver allegato alla SCIA – quantomeno, in questa prima fase – la documentazione occorrente per il rilascio della predetta autorizzazione.
Ancora, nella propria segnalazione, la ricorrente dichiarava che l’immobile non era sottoposto a tutela né ricadeva in zona sottoposta a tutela ma che, rientrando nella Carta per la Qualità, ai sensi dell’art. 16 delle NTA di piano, avrebbe richiesto il parere preventivo della Sovrintendenza Capitolina ritenuto però dalla medesima, nel caso di specie, non necessario in quanto “ la L. R. n.7/17 è in deroga agli strumenti urbanistici comunali e quindi il vincolo della carta della qualità essendo vincolo di PRG, non necessita di parere da parte della Sovrintendenza capitolina ”.
Così ricostruito sinteticamente il contenuto della SCIA in sostituzione di p.d.c. presentata il 12.4.2019, la ricorrente proseguiva ad esporre che:
- in data 18.6.2019 – ossia dopo 70 giorni dalla presentazione della segnalazione – procedeva ad inviare al Municipio III la comunicazione di inizio lavori;
- in data 9.7.2019, dopo 88 giorni dalla presentazione della SCIA, riceveva comunicazione dal Municipio III dell’intervenuta trasmissione della pratica, per competenza, al Dipartimento programmazione ed attuazione urbanistica (Dip. PAU), assumendo che la SCIA fosse stata prodotta ex art.23 c.1 lett. “ c ” (e cioè come “ intervento di nuova costruzione qualora siano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni plano-volumetriche ”), senza che venisse fatto alcun cenno all’eventuale esercizio di poteri inibitori o alla necessità di eventuali integrazioni documentali;
- il 30.7.2019, dopo ben 109 giorni dalla presentazione della SCIA, il Municipio III comunicava la sospensione dei lavori sul presunto presupposto di un “ deposito impropri[o] ” della pratica edilizia al Municipio;
- l’1.8.2019, la Polizia Locale ed i tecnici municipali, all’esito di sopralluogo sul cantiere, ne disponevano il sequestro – inviando gli atti alla competente A.G. penale – e rilevavano, nel relativo verbale, che “ l’idoneo titolo per il caso di specie è il Permesso di Costruire di cui all’art. 20 del DPR 380/2001 ”. Lo stesso giorno, il Dip. PAU invitava la ricorrente a presentare, presso lo stesso, apposita richiesta di p.d.c. salvo poi, il 20.9.2019, contraddittoriamente ritenersi incompetente alla definizione della pratica inoltratagli dal Municipio e rimettendo l’affare al medesimo affinché l’autorità municipale procedesse alla conclusione della stessa “ attraverso comunicazione di improcedibilità e/o irricevibilità e/o inefficacia o annullamento in autotutela ”;
- il 26.9.2019, successivamente anche al dissequestro dell’immobile, il Municipio III, a 167 giorni di distanza dalla presentazione della SCIA, dichiarava la stessa improcedibile ed inefficace dando atto: che il 30.7.2019 era stata prodotta documentazione integrativa;che l’intervento mantiene la volumetria del progetto approvato nel 1936 ma che esso non corrisponde all’immobile come rilevato in sede di prima rilevazione catastale nel 1939 (di consistenza inferiore sia quanto a volumetria che a SUL);che il fabbricato costituente l’ ante operam del progetto presentato coincide con la planimetria catastale del 1939;che nella rappresentazione ante operam vi erano modifiche prospettiche diverse rispetto al catastale del 1939;che l’ampliamento di SUL previsto era rapportato al progetto presentato nel 1936 (peraltro mai definito con formale licenza) e non al fabbricato come censito nel 1939;che non era stata prodotta l’autorizzazione della Sovrintendenza capitolina nonostante l’immobile ricada nella Città Storica.
Contro i provvedimenti, come sopra sinteticamente illustrati, la ricorrente proponeva il presente gravame affidato ai seguenti motivi di doglianza.
Con il primo motivo, veniva contestata la violazione degli artt. 7, 10-bis, 19 e 21-nonies della l. n. 241/1990, nonché dell’art. 23 del d.P.R. n. 380/2001, e l’eccesso di potere sotto varie specie.
Nella sostanza, ad avviso della ricorrente, i provvedimenti gravati sarebbero illegittimi in quanto espressione di poteri inibitori tardivamente esercitati rispetto ai termini perentori stabiliti dal combinato disposto degli artt. 19, comma 3, della l. n. 241/90 e 23 del d.P.R. n. 380/01.
Né al fine di procrastinare la data di decorrenza del termine di trenta giorni per l’esercizio dei poteri inibitori, potrebbe utilmente considerarsi l’invio della documentazione integrativa operata dalla ricorrente in data 26.7.2019, la quale avrebbe avuto ad oggetto un documento di carattere fiscale e l’aggiornamento del “ post operam ” dell’elaborato grafico, e non già documentazione che, ai sensi dell’art. 23, co. 1, d.P.R. n. 380/01, doveva già essere unita all’atto di presentazione della segnalazione.
Del resto, proseguiva la ricorrente, la circostanza che la documentazione consegnata fosse completa e conforme al disposto normativo sarebbe stata acclarata dalla stessa nota del Municipio III del 9.7.2019 la quale, minuziosamente elencando tutti gli allegati al progetto, avrebbe dimostrato di averne piena contezza e di non aver rilievi da formulare in ordine alla necessità di una sua eventuale integrazione.
Con il secondo motivo di gravame, la ricorrente lamenta, nuovamente, la violazione, sotto altro profilo, delle medesime norme già fatte oggetto di censura con il primo mezzo di ricorso e, inoltre, denuncia la violazione degli artt. 3, 10 e 44 del d.P.R. n. 380/2001, dell’art. 22 del d.lgs. n. 222/2016 e, dell’art. 6 della L.R. Lazio n. 7/2017, nonché vizio di incompetenza relativa per violazione della delibera G.C. n. 148/2012 ed eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, sviamento, illogicità e ingiustizia manifeste.
Sostiene la ricorrente che la SCIA presentata si riferiva ad un intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 380/2001, ossia un intervento di demolizione e ricostruzione di un edificio con la stessa volumetria di quello preesistente, assentibile mediante segnalazione certificata come previsto, tra l’altro, anche dal d.lgs. n. 222/2016.
A suo avviso, poi, l’ampliamento di SUL operato con l’intervento in questione sarebbe stato legittimato dal disposto dell’art. 6 della L.R. Lazio n. 7/2017, secondo il quale sono sempre consentiti interventi di ristrutturazione edilizia o interventi di demolizione e ricostruzione con incremento fino a un massimo del 20 percento della volumetria o della superficie lorda esistente, confermando che ben possono rientrare negli interventi di ristrutturazione anche aumenti della SUL sino alla soglia del 20 percento, senza per ciò dover modificare il titolo edilizio necessario, inquadrabile nella SCIA e non certo nel permesso di costruire.
Ancora, viene contestato il provvedimento declaratorio dell’inefficacia della SCIA avversato nella parte in cui esso rileverebbe il mancato licenziamento del titolo edilizio prot. n. 19653 del 1936, sostenendo, viceversa, che lo stesso sia stato correttamente e formalmente licenziato.
Inoltre, viene censurata la prevalenza attribuita da Roma Capitale a quanto riportato nella mappa catastale del 1939 rispetto a quanto attestato nel titolo edilizio del 1936, costituendo quest’ultimo l’unico ed esclusivo titolo su cui sarebbe cristallizzato il diritto edificatorio e la dimensione dell’immobile, al ripristino dell’originaria consistenza del quale sarebbe diretto l’intervento proposto, conclusione questa avvalorata anche da un parere all’uopo reso dall’Ordine degli architetti di Roma.
Quanto, poi, alla mancanza del parere della Sovrintendenza capitolina, la ricorrente deduce la superfluità dello stesso sulla scorta dell’interpretazione dell’art. 6 della L.R. Lazio n. 17/2017 resa dalla Giunta Regionale con propria deliberazione n. 867 del 19.12.2017, secondo la quale “ le disposizioni di cui all’articolo 6 della legge costituiscono il recepimento in sede di legislazione regionale di indirizzi di una legge dello stato, dandone immediata attuazione. Per questo, tali disposizioni rappresentano di fatto norme di carattere sovraordinato alla pianificazione comunale. Proprio per la natura sovraordinata della norma il legislatore regionale ha espressamente esplicitato nel comma 1 che gli interventi diretti sono sempre consentiti. (...) Pertanto, l’attuazione di tali interventi avviene con modalità diretta e non potrà trovare ostacoli o limitazioni in altre prescrizioni contenute nei Piani Regolatori Generali e nei loro allegati, sempre nel rispetto delle destinazioni d’uso ivi previste ”, di talché le previsioni contenute nella legge regionale non potrebbero trovare ostacoli o limitazioni in qualsivoglia fonte regolamentare, quale è l’art. 16 delle NTA al PRG il quale imporrebbe, per gli immobili inseriti in Carta della Qualità, il previo parere della Sovrintendenza capitolina.
Altrettanto irrilevante, secondo la ricorrente, sarebbe la circostanza per cui, sull’intervento proposto, si sia espresso “ in linea con i motivi di questo ufficio, il Dip PAU (...) ” in quanto, proprio alla luce delle regole di organizzazione interna di Roma Capitale (contenute nella delibera G.C. n. 148 del 23.5.2012), il Dipartimento in questione è incompetente ad esaminare procedure inerenti le SCIA ma solo procedimenti coinvolgenti richieste di p.d.c.
Con il terzo motivo di gravame, infine, viene lamentata la violazione di un complesso di norme (di carattere sovranazionale – quale l’art. 1 del prot. add. CEDU – costituzionale – come l’art. 27 Cost. – e primario – quali, ancora una volta, gli artt. 1, 7, 10-bis, 19 e 21-nonies l. n. 241/1990 e 23 d.P.R. n. 380/2001) espressive dei principi di legittimo affidamento, buona fede, trasparenza, proporzionalità dell’azione amministrativa e contraddittorio procedimentale, nonché eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità, ingiustizia e sviamento.
Nella sostanza, con il presente motivo di ricorso la sig.ra Toscano censura la correttezza dell’operato di Roma Capitale il quale, a suo parere, non si sarebbe uniformato ai canoni prescritti dal rispetto dei principi sopra citati.
Si concludeva il gravame così articolato con la richiesta di sospensione cautelare dei provvedimenti impugnati.
Si costituiva in giudizio Roma Capitale depositando documentazione formata dagli uffici.
Alla camera di consiglio del 13.11.2019 la ricorrente, preso atto del deposito documentale effettuato da parte dell’amministrazione resistente, chiedeva un rinvio per la proposizione di motivi aggiunti.
Con ricorso del 22.11.2019 la sig.ra Toscano avanzava motivi aggiunti di ricorso nei confronti degli atti già impugnati, per come interpretati ed integrati dall’Ente resistente alla luce della nota prot. n. 159004 del 5.11.2019, depositata in giudizio da Roma Capitale il 7.11.2019.
Ad avviso della ricorrente, infatti, con la nota in questione Roma Capitale, a distanza di 209 giorni dalla presentazione della SCIA, avrebbe contestato ulteriori ragioni di presunta irregolarità dell’intervento edilizio in questione ulteriori e diverse rispetto a quelle già illustrate con gli atti gravati in via principale.
Tra gli altri, oggetto di nuovi rilievi sarebbero la mancata allegazione alla SCIA dell’autorizzazione sismica prevista dall’art. 93 del d.P.R. n. 380/2001 – autorizzazione ritenuta dalla ricorrente necessaria solo prima dell’inizio delle opere strutturali, non ancora intraprese al momento della sospensione dei lavori, e comunque presentata dalla stessa in data 8.8.2019 – e l’affermazione secondo la quale l’intervento, così come proposto, risulterebbe avere stili “ architettonici completamente disallineati con il progetto del 1936 e con lo stato dei luoghi ”- circostanza, questa, ritenuta non corrispondente al vero e comunque manifestante l’incompetenza dell’Ente che l’ha emessa, essendo il giudizio sul pregio architettonico dell’opera rimesso ad altra amministrazione.
Contro i provvedimenti gravati con motivi aggiunti, la ricorrente articolava due mezzi di censura.
Il primo – recante violazione degli artt. 7, 10-bis, 19 e 21-nonies l. n. 241/1990 e dell’art. 23 d.P.R. n. 380/2001 – riproduce, in sostanza, il motivo di ricorso sub I del gravame introduttivo.
Il secondo – con cui viene indicata la violazione degli artt. 3, 19 e 21-nonies l. n. 241/1990, degli artt. 3, 10, 23 e 44 d.P.R. n. 380/2001, dell’art. 2 d.lgs. n. 222/2016, dell’art. 6 L.R. Lazio n. 7/2017, della delibera G.C. n. 148/2012 e, infine, eccesso di potere sotto varie forme – ribadisce motivi di doglianza già espressi con il ricorso introduttivo ed afferenti alla qualificazione dell’intervento edilizio, per come operato dall’amministrazione resistente, nonché all’iter procedimentale preliminare all’atto pregiudizievole adottato.
Infine, il terzo motivo aggiunto di gravame – imperniato sulla violazione delle stesse norme sopra invocate e, inoltre, del d.lgs. n. 28/2011, della L. R. Lazio n. 6/2008, del regolamento regionale n. 14/2016, nonché sull’incompetenza e sull’eccesso di potere – propone le doglianze afferenti ai profili asseritamente innovatori contenuti nella nota impugnata col ricorso accessorio, lamentandone la violazione delle garanzie procedimentali e, comunque, l’infondatezza in fatto ed in diritto.
Anche il ricorso per motivi aggiunti si concludeva con l’articolazione dell’istanza cautelare ai sensi dell’art. 55 c.p.a.
Replicava Roma Capitale contestando la fondatezza di tutti i motivi del ricorso principale e del gravame accessorio, nonché la sussistenza dei presupposti per la concessione della tutela cautelare.
Con ordinanza n. 239 del 16.1.2020, veniva respinta l’istanza di sospensione dei provvedimenti impugnati.
Con memoria ex art. 73 c.p.a., parte ricorrente riproponeva gli argomenti già spesi con i precedenti scritti difensivi, insistendo per l’accoglimento delle conclusioni già formulate ed indicando il sopravvenuto rilascio del parere favorevole della Sovrintendenza capitolina all’effettuazione dell’intervento in questione.
All’udienza pubblica del 17.1.2023, dopo ampia discussione, la causa veniva trattenuta in decisione.
In estrema sintesi, con il presente ricorso la sig.ra Toscano si duole, nella sostanza, della circostanza che Roma Capitale abbia dichiarato inefficace la SCIA sostitutiva di p.d.c. da ella presentata il 12.4.2019, qualificando l’intervento edilizio proposto come “ nuova costruzione ” necessitante, ad avviso dell’amministrazione, di titolo abilitativo espresso ancorché, quale secondo ella sarebbe, “ ristrutturazione edilizia ” per mezzo di demolizione e ricostruzione di un edificio con la stessa volumetria di quello preesistente e con un mero incremento di SUL, attività consentite dalla disciplina regionale in materia di rigenerazione urbana (art. 6 L.R. Lazio n. 7/2017) e non integranti nuova edificazione sottoponibile perciò, sempre a giudizio della ricorrente, a SCIA in sostituzione di p.d.c.
Per meglio affrontare i temi sollevati dai singoli motivi di ricorso, pare al Collegio utile delineare il quadro normativo vigente ratione temporis ed applicabile al caso di specie.
L’art. 3, comma 1, lett. d ) del d.P.R. n. 380/2001, nel testo in vigore tanto al momento della presentazione della SCIA (12.4.2019), quanto al momento dell’adozione del provvedimento gravato con il ricorso principale (26.9.2019) [e, quindi, antecedentemente alle modifiche introdotte dall’art. 10 del d.l. n. 76/2020], così qualificava gli interventi di ristrutturazione edilizia: “ gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria [e sagoma] di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente ”.
Allo stesso modo, il punto 8, della tab. 1 “ Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi ”, allegata al d.lgs. n. 222/2016, nel disciplinare la ristrutturazione c.d. “ pesante ” attuabile tramite SCIA alternativa al p.d.c., così qualifica[va] la fattispecie: “ Gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti urbanisticamente rilevanti della destinazione d'uso. Elementi costitutivi della fattispecie previsti dalla legge: - non prevedano la completa demolizione dell'edificio esistente - e comportino: