TAR Roma, sez. I, sentenza 2016-10-21, n. 201610493

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2016-10-21, n. 201610493
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201610493
Data del deposito : 21 ottobre 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/10/2016

N. 10493/2016 REG.PROV.COLL.

N. 01524/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1524 del 2015, proposto da:
M R, rappresentata e difesa dagli avvocati L P C.F. PLSLRA70D68H501K, M S C.F. SNNMRA38E03H501M, C C C.F. CLNCRL68B05H501J, M D L C.F. DLLMRC75D22H501W, elettivamente domiciliata in Roma, viale Parioli, 180, presso lo studio legale Sanino;

contro

Il Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Luigi Russo, Luigia La Greca non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

del provvedimento di mancata ammissione del ricorrente alle prove orali del concorso a 250 posti di notaio indetto con D.D. 22.3.2013, ivi comprese le delibere e/o i verbali della commissione di concorso concernenti la formazione dei criteri di massima, i criteri stessi, i provvedimenti di nomina dei commissari, la approvazione della graduatoria finale.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 ottobre 2016 la dott.ssa R C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con il ricorso in epigrafe la dottoressa M R, premesso di aver partecipato al concorso per esame a 250 posti di notaio, indetto con decreto del Direttore Generale della Giustizia Civile del d.d. 22 marzo 2013, impugna, unitamente agli atti presupposti indicati in epigrafe, il provvedimento di mancata ammissione alle prove orali del concorso medesimo.

Espone, in fatto, di essere stata dichiarata “ non idonea ” dalla Commissione esaminatrice per asserite gravi insufficienze riscontrate nella lettura del primo compito (atto mortis causa ), a seguito delle quali non è stata ammessa a sostenere le prove orali.

2. Ciò premesso, deduce le seguenti censure:

1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 11 del d.lgs 24.4.2006, n. 166. Violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 7, del d.lgs 24.4.2006, n. 166. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, in particolare illogicità, irragionevolezza, difetto di istruttoria, contraddittorietà, carenza di motivazione, confusione e perplessità. Violazione della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Il giudizio della Commissione, che ha ritenuto l’elaborato della ricorrente gravemente insufficiente sotto un duplice profilo ed insufficiente per la non corretta tecnica notarile nella redazione dell’atto, risulterebbe viziato da travisamento dei fatti e da irragionevolezza, in quanto vi si contestano errori nello svolgimento della traccia che in fatto non sussistono. E’ ben vero che il giudizio espresso dalla commissione giudicatrice del concorso notarile non può formare oggetto di sindacato giurisdizionale, ma la giurisprudenza ha chiarito che questa regola non trova applicazione nei casi in cui emergano elementi idonei ad evidenziare uno sviamento logico, un errore di fatto, una contraddittorietà ictu oculi rilevabile, ciò che, in concreto, si sarebbe verificato nel caso in esame.

3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 11 del d.lgs 24.4.2006, n. 166. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, in particolare illogicità, irragionevolezza, difetto di istruttoria, contraddittorietà, carenza di motivazione, confusione e perplessità. Violazione della legge 7 agosto 1990, n. 241.

La ricorrente contesta le modalità di fissazione dei criteri valutativi e il contenuto dei medesimi. La Commissione ha proceduto individuando dapprima le ipotesi di immediata esclusione (nullità dell’atto, gravi insufficienze), individuandole in maniera tale da evitare di procedere alla lettura del secondo e del terzo elaborato;
ha poi proceduto alla fissazione dei più generali criteri di correzione delle prove, stabilendo le condizioni per il giudizio complessivo d’idoneità, in tal modo violando la ratio della normativa vigente, la quale fa obbligo alla Commissione di procedere innanzi tutto alla predeterminazione dei criteri di valutazione di idoneità degli elaborati dei candidati, ai sensi dell’art. 10, comma 2, d.lgs. n. 166 del 2006 e, solo dopo, all’individuazione dei criteri per affermarne invece la nullità o la grave insufficienza, in presenza delle quali soltanto può pronunciare un giudizio di non idoneità. A causa dell’erronea applicazione della normativa vigente la ricorrente è stata dichiarata inidonea sulla base di una sola valutazione, cioè quella finale relativa al primo elaborato, mentre avrebbe dovuto essere giudicata in base all’esame complessivo della sua preparazione, maturità e capacità risultante dall’insieme dei tre elaborati.

Inoltre, i criteri individuati dalla Commissione per la valutazione complessiva dei candidati peccano di genericità e di illogicità e sono in parte sovrapponibili a quelli relativi alle gravi insufficienze;
la omnicomprensività delle ipotesi di grave insufficienza rende non configurabili altri casi di insufficienza non gravi.

La ricorrente chiede pertanto l’annullamento degli atti oggetto di censura.

3. Il Ministero della giustizia si è costituito in giudizio per resistere al ricorso, e ne ha domandato la reiezione nel merito, sul rilievo della piena legittimità delle operazioni di correzione degli elaborati e della sufficienza, logicità e congruità della motivazione del giudizio negativo, insindacabile nel suo contenuto valutativo.

4. Con memoria depositata il 18 marzo 2016 la ricorrente ha ripreso e sviluppato le censure svolte nel ricorso insistendo per l’accoglimento del gravame.

5. I dottori Luigi Russo e Luigia La Greca non si sono costituiti in giudizio.

6. Alla pubblica udienza del 5 ottobre 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Come esposto in narrativa, la dottoressa M R non è stata ammessa a sostenere le prove orali del concorso notarile, per essere stata dichiarata non idonea a seguito di valutazione della prova scritta. In particolare il suo primo elaborato (atto mortis causa ), è stato ritenuto “ gravemente insufficiente ” sotto due profili ed “ insufficiente ” per la non corretta tecnica notarile nella redazione dell’atto.

2. Con il primo motivo di doglianza la ricorrente contesta la valutazione di “ gravemente insufficiente ” che del primo elaborato è stata operata dalla Commissione, in quanto asseritamente affetta da travisamento dei fatti e da irragionevolezza.

2.1 - Il vaglio giurisdizionale sollecitato con le proposte censure suggerisce di soffermarsi preliminarmente sull’ambito entro il quale lo stesso è consentito, al fine di parametrare specularmente l’ammissibilità delle doglianze sollevate avverso l’esercizio della discrezionalità valutativa, confluito nell’adozione del giudizio gravato.

2.2 Come più volte affermato in giurisprudenza, anche della Sezione (Tar Lazio, sez. I, n. 2467 del 2012 e n. 26342 del 2010), il giudizio della Commissione, comportando una valutazione essenzialmente qualitativa della preparazione scientifica dei candidati, attiene alla sfera della discrezionalità tecnica, censurabile – unicamente sul piano della legittimità – per evidente superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità, laddove tali profili risultino emergenti dalla stessa documentazione e siano tali da configurare un palese eccesso di potere, senza che, con ciò, il giudice possa o debba entrare nel merito della valutazione ( ex multis , Consiglio di Stato, sez. IV, n. 172 del 2006;
Tar Lazio, sez. I, 6 settembre 2013, n. 4626).

Il giudizio di legittimità non può, infatti, trasmodare in un rifacimento, ad opera dell'adito organo di giustizia, del giudizio espresso dalla Commissione, con conseguente sostituzione alla stessa, potendo l'apprezzamento tecnico dell’organo collegiale essere sindacabile soltanto ove risulti macroscopicamente viziato da illogicità, irragionevolezza o arbitrarietà.

Deve, pertanto, ritenersi inammissibile una censura che miri unicamente a proporre una diversa valutazione dell’elaborato, atteso che in tal modo verrebbe a giustapporsi alla valutazione di legittimità dell'operato della Commissione una – preclusa – cognizione del merito della questione.

La mancanza dei connotati della manifesta illogicità e irragionevolezza e l’assenza del “ travisamento dei fatti ” invocato dal ricorrente preclude, quindi, all’adìto Giudice di sindacare il merito della valutazione effettuata dalla Commissione, valutazione che, peraltro, appare al Collegio, nella sua sinteticità, ben motivata sotto ogni profilo contestato, con riferimento sia ai criteri di valutazione dalla stessa predeterminati sia alla gravità degli errori.

La candidata è stata giudicata inidonea in quanto la Commissione ha ritenuto che il suo elaborato relativo alla prima prova fosse gravemente insufficiente per incongruità della soluzione adottata (con riferimento alla mancata menzione della conoscenza, da parte del testatore, della possibile causa di indegnità del figlio Terzo) e per presenza di errori di diritto nell’atto (con riferimento alle lettere f) ed h), nonché per l’indicazione delle generalità dell’altro genitore del figlio Terzo, in violazione dell’art. 658, comma 2, c.c.), rilevando altresì l’insufficienza del medesimo elaborato per la non corretta tecnica notarile nella redazione dell’atto (in generale e con particolare riferimento alla clausole di cui alle lettere d) e g) della traccia).

2.3 La ricorrente non può quindi essere seguita laddove indirizza le sue censure avverso i dirimenti rilievi formulati dalla Commissione sull’elaborato in rassegna, e ciò in quanto, pur denunciando un “ travisamento ” degli elementi forniti dalla candidata, ella viene in realtà a confutare nel merito i rilievi che il predetto Organismo ha sollevato in ordine alla interpretazione della traccia, alle tesi enunciate e alle soluzioni individuate dal candidato medesimo, ciò che appare palese alla luce della, pur sinteticamente riportata, motivazione del provvedimento di non inidoneità.

Il Collegio non può dunque prendere cognizione delle contestate valutazioni della Commissione, non trattandosi nella fattispecie dell’accertamento di un fatto o del rilievo di una manifesta illogicità valutativa, quanto piuttosto del compimento di un’attività valutativa e comparativa, dell’elaborato della candidata e dei rilievi della Commissione, a tutta evidenza preclusa all’adìto Giudice.

3. Con riguardo al secondo gruppo di censure, giova premettere che, nella fattispecie all’esame dell’adìto Giudice, la predeterminazione dei criteri di valutazione degli elaborati nonché dei criteri di determinazione delle gravi insufficienze costituiva ineludibile attività propedeutica della Commissione esaminatrice, avuto riguardo alla previsione dell’art. 10, comma 2, come richiamata, ai fini che ne occupano, dall’art. 11, comma 7, del d.lgs. 166/2006.

3.1 E, invero, ai sensi della prima disposizione, “ La commissione, prima di iniziare la correzione, definisce i criteri che regolano la valutazione degli elaborati e l'ordine di correzione delle prove stesse ”;
mentre secondo l’art. 11, comma 7, precitato, “ Nel caso in cui dalla lettura del primo o del secondo elaborato emergono nullità o gravi insufficienze, secondo i criteri definiti dalla Commissione, ai sensi dell'articolo 10, comma 2, la sottocommissione dichiara non idoneo il candidato senza procedere alla lettura degli elaborati successivi ”.

Risulta dunque di immediata evidenza che alla generale attività di fissazione dei “ criteri che regolano la valutazione degli elaborati ” (art. 10, comma 2) acceda quella di specifica individuazione delle tipologie di errori che sostanziano le ipotesi di “ nullità ” o “ gravi insufficienze ”, legittimanti l’arresto della correzione degli elaborati e la conseguente esclusione del candidato dalla partecipazione alle prove orali;
e ciò, anche considerato che l’art. 11, comma 7, in esame, si limita alla menzione delle suddette ipotesi senza individuarne i contorni né i contenuti.

Ne consegue che per la Commissione esaminatrice costituiva uno specifico obbligo il precisare adeguatamente siffatte categorie mediante l’individuazione delle tipologie di “ errori ” suscettibili di essere ricondotte nell’ambito della generica declaratoria di legge, come la Sezione, del resto, ha già avuto modo di precisare a questo riguardo (da ultimo, TAR Lazio, Sez. I, nn. 4118, 3560 e 2900 del 2012).

3.2 Alla luce delle superiori considerazioni, destituita di fondamento risulta dunque la censura secondo cui, nella fissazione dei predetti parametri, la Commissione si sarebbe dotata di criteri intenzionalmente preordinati ad una estesa applicazione della fattispecie che la legge stessa configura come eccezione, costituita dall’arresto della correzione degli elaborati conseguente alle rilevate gravi insufficienze o carenze in uno di essi e tale da preordinare l’omissione della lettura del secondo e del terzo elaborato.

L’art. 10, comma 2, d.lgs. n. 166 del 2006 non indica come i criteri devono essere predeterminati. Aggiungasi che nella seduta del 4 dicembre 2013 (verbale n. 8) la Commissione ha individuato prima le ipotesi di esclusione per inidoneità - id est la “ nullità dell’atto, anche solo parziale, per ragioni di natura formale o sostanziale ”, e “ gravi insufficienze consistenti … ” - e poi ha indicato le “ condizioni per il giudizio complessivo di idoneità ”, debitamente elencandole. Quindi, essendo le condizioni per il giudizio di idoneità individuate nel dettaglio, e non in via residuale, non rileva averle indicate dopo quelle di inidoneità.

3.3 Venendo ai contenuti dell’attività di predeterminazione dei criteri, osserva il Collegio che la Commissione, nell’esercizio della propria discrezionalità tecnica, ha correttamente predeterminato i criteri di valutazione, per categorie generali ben definite e con riferimento ad ogni possibile giudizio (inidoneità immediata per gravi insufficienze, idoneità/inidoneità per insufficienze meno gravi), secondo formulazioni inequivoche, che immediatamente rinviano ad istituti del diritto positivo ed alla relativa scienza giuridica, nonché ad altri precisi parametri propri di ambiti di conoscenze logiche, tecniche e linguistiche generalmente condivise e ritenute indispensabili per l’esercizio della professione notarile.

3.4 Ne discende la non ravvisabilità, nei predetti criteri “ generali ”, sia della genericità sia della sovrapponibilità rispetto ai criteri relativi alle “ gravi insufficienze ” degli elaborati, oggetto di censura da parte dell’odierna deducente.

Quanto a quest’ultima censura, in particolare si osserva che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, i criteri relativi al giudizio di inidoneità per grave insufficienza sono stati individuati con riferimento a profili di valutazione distinti rispetto a quelli stabiliti in via generale per i giudizi complessivi di idoneità o inidoneità, di tal che le due tipologie di criteri presentano ciascuna propri ambiti applicativi, senza che sia possibile una loro indifferenziata e confusiva applicazione rispetto al medesimo oggetto.

3.5 In ogni caso, giova al riguardo rammentare che la giurisprudenza, anche di questo Tribunale, ha più volte affermato che “ L’attività di determinazione dei criteri di valutazione rientra nell'ampia discrezionalità della Commissione esaminatrice ed è pertanto sottratta al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, impingendo nel merito dell'azione amministrativa, salvo che non sia "ictu oculi” inficiata da irragionevolezza, irrazionalità, arbitrarietà o travisamento dei fatti ” (Cons. Stato, sez. IV, n. 5862 del 2008;
8 giugno 2007, n. 3012;
11 aprile 2007, n. 1643;
nonché TAR Lazio, sez. I, nn. 3560 e 2900 del 2012 e n. 35387 del 2010).

Tale condizione non ricorre nella fattispecie in esame ove la Commissione ha utilizzato criteri di valutazione chiari e pertinenti, garantendo anzi il principio di trasparenza dell'attività amministrativa, che rappresenta il fine perseguito dal legislatore nel determinare la necessità di fissazione e verbalizzazione dei criteri “ in un momento nel quale non possa sorgere il sospetto che questi ultimi siano volti a favorire o sfavorire alcuni concorrenti ” (cfr. Consiglio Stato , sez. V, n. 1398 del 2011).

4. Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere respinto.

5. Quanto alle spese di giudizio, in considerazione della particolarità della vicenda contenziosa, può disporsene l'integrale compensazione fra le parti costituite.

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