TAR Lecce, sez. I, sentenza 2013-02-11, n. 201300297

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Lecce, sez. I, sentenza 2013-02-11, n. 201300297
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Lecce
Numero : 201300297
Data del deposito : 11 febbraio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01765/2002 REG.RIC.

N. 00297/2013 REG.PROV.COLL.

N. 01765/2002 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce - Sezione Prima

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1765 del 2002, proposto da:
Perrone A L, rappresentato e difeso dall'avv. G D A e presso lo studio di quest’ultimo elettivamente domiciliato in Lecce, via B. Martello, 19;

contro

Comune di Trepuzzi, rappresentato e difeso dall'avv. A V e presso lo studio di quest’ultimo elettivamente domiciliato in Lecce, via Zanardelli 7;

per la declaratoria

dell'illegittimità del comportamento del Comune di Trepuzzi nella procedura di occupazione e/o espropriazione di una porzione di terreno di proprietà del ricorrente, sulla quale è stata realizzata una sede stradale

nonchè per la condanna

del Comune di Trepuzzi al pagamento, in favore del ricorrente, del risarcimento del danno, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Trepuzzi;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 novembre 2012 la dott.ssa Patrizia Moro e uditi per le parti gli avv.ti A. Tolomeo in sostituzione dell’avv. G. Degli Atti, A.Vantaggiato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il sig. Perrone espone quanto segue:

- è proprietario di un appezzamento di terreno sito in Trepuzzi alla via Giuseppe Elia;

- a seguito di approvazione del piano particolareggiato adottato con delibera consiliare n.31 del 19/7/1987 e approvato definitivamente con atto deliberativo del Consiglio Comunale n.61 del 20/11/1987, una parte del terreno è stata, nel novembre 1992, occupata dall’Amministrazione Comunale di Trepuzzi per la realizzazione di una sede viaria, prevista tra le opere del suindicato piano urbanistico.

- l’occupazione ha interessato 150 mq circa dell’originaria e complessiva estensione del terreno e i lavori relativi all’opera pubblica suindicata sono stati ultimati in data 30/7/1993.

1.1. Con il ricorso all’esame pertanto il ricorrente chiede il risarcimento dei danni subiti in virtù dell’illegittima occupazione del terreno in assenza di alcun provvedimento di occupazione d’urgenza e di un valido decreto di esproprio.

Con atto depositato in data 5 luglio 2002 si è costituito in giudizio il Comune di Trepuzzi insistendo per la inammissibilità e infondatezza del ricorso.

Nella pubblica udienza del 7 novembre 2012 la causa è stata introitata per la decisione.

2. Deve in primo luogo respingersi l’eccezione di difetto di giurisdizione del G.A. adito sollevata dalla difesa civica.

E’oramai consolidato l'orientamento che attribuisce alla giurisdizione amministrativa le controversie, anche risarcitorie, che abbiano a oggetto un' occupazione originariamente legittima, e che sia poi divenuta sine titulo a causa del decorso dei termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità senza il sopravvenire di un valido decreto di esproprio;
ciò in quanto in questi casi trattasi non già di meri comportamenti materiali, ma di condotte costituenti espressione di un'azione originariamente riconducibile all'esercizio del potere autoritativo della p.a. (cfr. Cons. Stato, Ad. Pl., 22 ottobre 2007, nr. 12;
id., 30 luglio 2007, nr. 9;
id., 30 agosto 2005, nr. 4;
C.g.a.r.s., 10 novembre 2010, nr. 1410;
Cons. Stato, sez. IV, 6 novembre 2008, nr. 5498).

E’ stato anche affermato che rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo l'azione con la quale i proprietari di un'area hanno chiesto la restituzione del fondo o, in subordine il risarcimento dei danni, o viceversa, deducendo la sopravvenuta illegittimità degli atti di occupazione , ancorché originariamente avvenuti a seguito di una corretta dichiarazione di pubblica utilità;
rientra, invece, nella giurisdizione del giudice ordinario la domanda relativa alla richiesta dell'indennità di occupazione legittima, senza che l'eventuale connessione tra tale domanda e quella di risarcimento del danno possa giustificare l'attribuzione di entrambe le domande allo stesso giudice, essendo indiscusso in giurisprudenza il principio generale dell'inderogabilità della giurisdizione anche in presenza di motivi di connessione (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 4 febbraio 2011 , n. 804).

2.1. Nella specie, il procedimento sfociato nell’occupazione subita dal ricorrente ha avuto la sua origine nell’approvazione del piano particolareggiato adottato con delibera consiliare n.31 del 19/6/1987 approvato definitivamente con atto del C.C. n.61 del 20/11/1987 il cui elaborato, oltre a contenere il progetto dell’opera da realizzare, contiene anche l’elenco delle ditte interessate.

Ai sensi dell’art. 1 l. 3 gennaio 1978 n. 1, l’approvazione di un progetto di opera pubblica equivale ex lege a dichiarazione di pubblica utilità, nonché indifferibilità ed urgenza dei relativi lavori (C. Stato, sez. V, 23-05-2011, n. 3075), sicchè la controversia appartiene alla sfera giurisdizionale del G.A.

2.2. Devono del pari respingersi le eccezioni sollevate dalla difesa civica con le quali si eccepisce oltre alla prescrizione del diritto del ricorrente al risarcimento dei danni subiti, anche la c.d. “dicatio ad patriam” ossia l’acquisto della natura demaniale di una strada privata.

Escluso che la realizzazione dell’opera pubblica determini l’acquisizione dell’area alla mano pubblica,secondo l’indirizzo giurisprudenziale, cui il Collegio ritiene di aderire (Cfr. Cass. civ., sez. I, 7 marzo 2011, nr. 5381;
Cons. Stato, sez. IV, 2 agosto 2011, nr. 4590), il danno da occupazione illegittima si ricollega ad una condotta antigiuridica con carattere permanente, in quanto si protrae nel tempo e dà luogo ad una serie di fatti illeciti, a partire dall'iniziale apprensione del bene, con riferimento a ciascun periodo in relazione al quale si determina la perdita di detti frutti, con la conseguenza che in ogni momento sorge per il proprietario il diritto al risarcimento del danno già verificatosi e nello stesso momento decorre il relativo termine di prescrizione quinquennale;
pertanto, il diritto al risarcimento dei danni rimane colpito dalla prescrizione per il periodo anteriore al quinquennio precedente la proposizione della domanda, anche qualora i frutti vengano richiesti secondo il criterio dell'attribuzione degli interessi compensativi sulla somma corrispondente al valore venale dell'immobile.

Difatti, muovendosi dal rilievo che neanche il protrarsi dell’occupazione può costituire fattore impeditivo all’esercizio del diritto al risarcimento, deve concludersi nel senso che la prescrizione ricomincia a decorrere da ogni momento dell’illecito permanente (de die in diem);
il risultato è che, in assenza di validi atti interruttivi, il diritto al risarcimento dovrebbe essere riconosciuto unicamente per i cinque anni di occupazione anteriori alla proposizione dell’azione risarcitoria.

Nella specie, i ricorrenti hanno inviato una prima richiesta con racc. del 23.9.1995, una successiva con nota del 25.3.1997 e un’altra in data 4.2.2002 sicchè, essendo intervenuti atti interruttivi della prescrizione, questa non risulta intervenuta, con conseguente diritto al risarcimento a far data dalla data dell’ occupazione del bene, ossia dal 23 novembre 1992 ( come risulta dal processo verbale di consegna del 23 novembre 1992).

Quanto al secondo aspetto, ossia al dedotto intervento dell’istituto della c.d. dicatio ad patriam, questo presuppone storicamente una manifestazione di volontà del privato proprietario nel senso dell'asservimento all'uso pubblico ( dicatio ad patriam ) ,che sussiste ( ad esempio ) quando vi sia stata una convenzione di lottizzazione o analogo atto d'obbligo, relativo alla realizzazione dei c.d. standards, seguita dalla trasformazione del suolo mediante la realizzazione dell'opera e dall'effettiva utilizzazione di quest'ultima in conformità al progetto, ancorché sia rimasta inadempiuta l'obbligazione di trasferire all'ente pubblico la proprietà.

Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, inoltre, costituisce strada pubblica quel tratto viario avente finalità di collegamento, con funzione di raccordo o sbocco su pubbliche vie (Cass. Civ., Sez. II, 7 aprile 2000 n.4345;
idem, 28 novembre 1988 n.6412) nonché la destinazione al transito di un numero indifferenziato di persone (Cons;
Stato, Sez. V, 7 dicembre 2010 n.8624).

Sotto quest'ultimo aspetto, un'area privata può ritenersi assoggettata a uso pubblico di passaggio quando l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato (Cons. Stato, Sez. V, 14 febbraio 2012 n.728).

In sintesi, l'adibizione a uso pubblico di un'area può avvenire, mediante la c.d. dicatio ad patriam , con il comportamento del proprietario che mette il bene a disposizione della collettività indeterminata di cittadini, oppure con l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata protratto per lunghissimo tempo, di talchè il bene stesso viene ad assumere caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale (Cass. Civ., Sez. II, 21 maggio 2001 n.6924;
idem, 13 febbraio 2006 n.3075).

Insomma, la giurisprudenza con gli enunciati sopra esposti afferma che perché un'area possa ritenersi sottoposta ad un uso pubblico è necessario oltrechè l'intrinseca idoneità del bene, che l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone per soddisfare un pubblico, generale interesse.

Sostanzialmente, quanto alla dicatio ad patriam e all’acquisto della proprietà o di una servitù di uso pubblico, rilevano essenzialmente :1 ) l’esistenza di una manifestazione di liberalità da parte del proprietario ( nella specie inesistente ) nel caso di dicatio ad patriam;
2) il decorso di venti anni per l’acquisto della servitù di uso pubblico o della proprietà per usucapione.

Nella specie, non vi è stato alcun atto del privato atto a dar luogo alla dicatio ad patriam e comunque l’amministrazione comunale non ha in alcun modo provato la sussistenza degli elementi costituitivi all’uopo necessari.

Quanto all’acquisizione da parte dell’ente pubblico di una servitù di uso pubblico o della proprietà per usucapione, si deve rilevare che la strada è stata realizzata nel 1993 e il ricorso è stato notificato nell’anno 2002, sicchè non risulta decorso il ventennio necessario per l’acquisto dell’uno o dell’altro titolo.

3. Superate le questioni pregiudiziali può ora passarsi a esaminare il merito del ricorso il quale è comunque fondato solo parzialmente.

3.1. Secondo la meno recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (tra le ultime di quell’orientamento: Sez. Un. Civili, 23 maggio 2008 , n. 13358) "si ha occupazione acquisitiva o appropriativa quando il fondo occupato nell'ambito di una procedura espropriativa ha subito una irreversibile trasformazione in esecuzione di un'opera di pubblica utilità senza che sia intervenuto il decreto di esproprio o altro atto idoneo a produrre l'effetto traslativo della proprietà. In tale ipotesi il trasferimento del diritto di proprietà in capo alla mano pubblica si realizza con l'irreversibile trasformazione del fondo - con destinazione ad opera pubblica o di uso pubblico - ed il proprietario di esso può chiedere unicamente la tutela per equivalente, cioè il risarcimento del danno. Infatti è dal momento dell'irreversibile trasformazione del bene e della sua destinazione ad opera pubblica che si verifica l'estinzione del diritto di proprietà in capo al titolare ed il contestuale acquisto dello stesso diritto, a titolo originario, da parte dell'ente pubblico."

Tale orientamento è stato messo in discussione dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, che lo ha ritenuto non aderente alla Convenzione europea (sent. 30 maggio 2000, rich. n. 24638/94, Carbonara e Ventura, e 30 maggio 2000, rich. n. 31524/96, Società Belvedere Alberghiera) in quanto un comportamento illecito o illegittimo non può essere posto a base dell'acquisto di un diritto, per cui l'accessione invertita contrasta con il principio di legalità, inteso come preminenza del diritto sul fatto;
ne consegue che la realizzazione dell'opera pubblica non costituisce di per se impedimento alla restituzione dell'area illegittimamente espropriata.

Successivamente l'articolo 43 del d.p.r. n. 327 del 2001 ha stabilito al primo comma che : "valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni."

Tale articolo è stato poi dichiarato incostituzionale con sentenza della Corte Costituzionale n. 293/2010 e successivamente è entrato in vigore l'art. 34, comma 1, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111, che ha colmato il vuoto normativo formatosi a seguito della richiamata sentenza della Corte Costituzionale, inserendo nel testo unico sugli espropri l'art. 42 bis il quale ha previsto al comma 1 che, in caso di occupazione senza titolo del bene privato per scopi di pubblica utilità, l'Amministrazione "valutati gli interessi in conflitto" può disporre, con formale provvedimento, l'acquisizione del bene al suo patrimonio indisponibile, con la corresponsione al privato di un indennizzo per il pregiudizio subito, patrimoniale e non patrimoniale, e al comma 8 che le sue disposizioni "trovano altresì applicazione ai fatti anteriori".

Quanto all’orientamento giurisprudenziale formatosi di recente sul punto, è ormai consolidato in giurisprudenza il principio per cui la realizzazione di un'opera pubblica su fondo illegittimamente occupato, ovvero legittimamente occupato ma non espropriato nei termini di legge, non è di per sé in grado di determinare il trasferimento della proprietà del bene a favore della Amministrazione: deve infatti ritenersi ormai superato l'orientamento che riconnetteva alla costruzione dell'opera pubblica e alla irreversibile trasformazione del fondo che a essa conseguiva effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato, dovendo invece affermarsi che la suddetta trasformazione su fondo illegittimamente occupato integra un mero fatto non in grado di assurgere a titolo d'acquisto (TAR Puglia-Bari sez. III n. 2131/08;
TAR Puglia-Bari sez. I n. 3402/2010, confermata da C.d.S. sez. IV n. 4590/2011;
C.d.S. sez. IV n. 4970/2011;
C.d.S. sez. IV n. 3331/11).

Il diritto di proprietà, d'altro canto, non può essere fatto oggetto di atti abdicativi (TAR Puglia-Bari sez. III n. 2131/08, par. 6.1.2), e quindi anche la richiesta di risarcimento formulata dal privato, finalizzata a ottenere il mero controvalore del fondo compromesso dalla realizzazione dell'opera pubblica, ancorché interpretata quale manifestazione della volontà di rinunciare alla proprietà del fondo, non può valere a determinare in capo al privato la perdita di proprietà del fondo illegittimamente occupato dall'opera pubblica.

Discende da quanto sopra che in tali casi solo un formale atto di acquisizione del fondo riconducibile a un negozio giuridico, ovvero al provvedimento ex art. 42 bis D.P.R. 327/01 può precludere la restituzione del bene: di guisa che in assenza di un tale atto è obbligo primario della Amministrazione quello di restituire il fondo illegittimamente appreso (C.d.S. n. 4970/2011).

Correlativamente, mantenendo il privato la proprietà di questo ultimo, egli non ha alcun titolo per chiedere un risarcimento commisurato alla perdita della proprietà del fondo, potendo invece agire per la restituzione di esso e per il risarcimento del danno conseguente al mancato godimento del bene durante il periodo di occupazione illegittima.(TAR Puglia-Bari sez. II n. 2131/08).

3.2.Tanto sopra premesso va rilevato che nel caso sottoposto alla attenzione del Collegio non risulta che fra l’amministrazione comunale e il ricorrente si sia addivenuti alla sottoscrizione di un accordo per la cessione volontaria della proprietà del fondo, né risulta che vi sia stato un atto di acquisizione del fondo.

Di conseguenza, perdurando il diritto di proprietà del ricorrente sul terreno indicato in ricorso, deve respingersi la domanda risarcitoria formulata con il ricorso introduttivo del giudizio, tesa ad ottenere il risarcimento del danno determinato dalla perdita della proprietà del fondo, fermo restando il potere dell'Amministrazione di attivare la procedura prevista dal citato art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001.

3.3. Quanto alla perdita della disponibilità dell’area per il periodo di occupazione illegittima, il Collegio ritiene che la domanda risarcitoria espressa dal privato in senso ampio e generale, e quindi comprendente ogni voce connessa all’occupazione e utilizzazione illegittime, possa comprendere anche il risarcimento del danno per la mancata disponibilità dell’area per tale periodo.

Entro tali limiti pertanto la stessa va accolta.

Per l’ammontare del danno, dovrà farsi riferimento all’art.42 bis del D.P.R. 327/2001 il quale dopo aver disposto al 1° comma che “ Valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest'ultimo forfettariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene”, al 3° comma prevede che “Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, l'indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui al comma 1 è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l'occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell'articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7. Per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l'interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma”.

In applicazione dell’art.34 del d.lgs.104/2012 il Comune di Trepuzzi dovrà quindi proporre al sig. Perrone una somma corrispondete al 5% del valore del bene ( determinato tenuto conto dell’art. 19 della l.r. n.3 del 2005) per ogni anno dell’occupazione illegittima a partire dal 23 novembre 1992, in relazione ai terreni effettivamente occupati per la realizzazione del progetto di cui al Piano particolareggiato approvato con delibera consiliare n. 61/1987, sulla base delle citate disposizioni di cui all’art. 42 bis del d.lgs.327/2001, nel termine di gg.90 dalla comunicazione e /o notificazione del presente provvedimento.

4. Conclusivamente il ricorso nei limiti anzidetti deve essere accolto.

4.1. Sussistono nondimeno giustificati motivi (in considerazione dell’evoluzione giurisprudenziale suindicata e del parziale accoglimento del ricorso) per compensare le spese di giudizio.

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