TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2018-11-19, n. 201806688

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2018-11-19, n. 201806688
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201806688
Data del deposito : 19 novembre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/11/2018

N. 06688/2018 REG.PROV.COLL.

N. 01893/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1893 del 2018, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati S P, M P e R P, con i quali elettivamente domicilia presso l’avvocato G D F in Napoli alla via Manzoni n. 257;

contro

Ministero della difesa, in persona del Ministro p.t rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliata in Napoli alla via Diaz, n. 11;

per l'annullamento

del provvedimento n. M_D GMIL REG2018 0119022 16.2.2018 e M_D E 22579 REG20180004010 19.2.2018 relativo al rigetto dell’istanza per il -OMISSIS-, emesso dal Ministero della difesa;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 novembre 2018 la dott.ssa P P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Espone il ricorrente di aver fatto parte dell’esercito con il grado di Caporale Maggiore Scelto fino all’anno 2012, anno in cui cessava dal servizio per una grave infermità riportata a causa dello stesso.

In particolare, dagli atti di causa risulta che il ricorrente:

- in data 4 maggio 2010 veniva dichiarato -OMISSIS-;

- in data 29 febbraio 2012 sottoscriveva il contratto individuale di lavoro e prendeva servizio presso l’amministrazione civile della difesa;

- in data 3 marzo 2015 dopo -OMISSIS-;

- in data 24 maggio 2017 ritenendo di aver recuperato la piena idoneità al servizio militare chiedeva la riammissione in servizio;

- in data 16 febbraio 2018 la Direzione Generale per il personale militare rigettava con il provvedimento in questa sede impugnato la domanda di riammissione in servizio.

A sostegno del gravame deduce varie censure di violazione di legge ed eccesso di potere nonché di illegittimità costituzionale (artt. 3, 4, 35 e 97 della Costituzione e analoghi principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo) dell’art. 2, comma 9 del DM 18 aprile 2002.

Si è costituita per resistere l’amministrazione intimata.

Alla pubblica udienza dell’8 novembre 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.

Oggetto della presente controversia è il provvedimento con il quale la Direzione Generale per il personale militare del Ministero della difesa ha ritenuto di non potere accogliere la domanda del ricorrente volta a essere riammesso nei ranghi militari dopo aver cessato di farne parte, per motivi di salute, nel 2012 ed essere transitato nel medesimo anno nei ruoli civili.

L’amministrazione ha fatto applicazione dell’art. 2, comma 9 del DM 18 aprile 2002 il quale stabilisce che “il militare trasferito nei ruoli del personale civile del Ministero della difesa non può essere riammesso nel ruolo di provenienza”.

Al riguardo il Consiglio di Stato (n. 1484/2015) ha ricordato che “l’art. 14, comma 5 della legge n. 266 del 1999 - così come vigente prima delle modifiche introdotte con il d.lgs. n. 66 del 2010 (Codice dell’ordinamento militare) - stabiliva che “il personale delle Forze armate, incluso quello dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della Guardia di finanza, giudicato non idoneo al servizio militare incondizionato per lesioni dipendenti o meno da causa di servizio, transita nelle qualifiche funzionali del personale civile del Ministero della difesa e, per la Guardia di finanza, del personale civile del Ministero delle finanze, secondo modalità e procedure analoghe a quelle previste dal decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1932, n. 339, da definire con decreto dei Ministri interessati, da emanare di concerto con i Ministri del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e per la funzione pubblica”.

In ossequio al disposto del citato articolo è stato adottato dal Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la funzione pubblica, il decreto ministeriale del 18 aprile 2002, il quale, all’art. 2, comma 9, prevede che “il militare trasferito nei ruoli del personale civile del Ministero della difesa non può essere riammesso nel ruolo di provenienza”.

La disciplina di cui al citato art. 14, comma 5 è stata, successivamente, in parte superata dal disposto dell’art. 930 (“transito nell'impiego civile”) del d. lgs. n. 66 del 2010 (Codice dell’ordinamento militare) il quale ha stabilito che “il personale delle Forze armate giudicato non idoneo al servizio militare incondizionato per lesioni dipendenti o meno da causa di servizio, transita nelle qualifiche funzionali del personale civile del Ministero della difesa, secondo modalità e procedure definite con decreto del Ministro della difesa, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e della pubblica amministrazione e innovazione”....il succitato decreto non risulta ancora adottato: le procedure relative al transito del personale militare nelle qualifiche funzionali del personale civile, dunque, non possono che rimanere tuttora disciplinate dal citato decreto ministeriale del 18 aprile 2002, che non è stato abrogato e che, nella parte in cui esclude la riammissione nei ruoli di provenienza del personale militare transitato nei ruoli civili dell’Amministrazione, non si pone in contrasto con la successiva normativa di rango legislativo di cui al Codice dell’ordinamento militare, atteso che quest’ultima nulla stabilisce in relazione all’istituto della riammissione nei ruoli di provenienza del personale militare transitato nei ruoli civili dell’Amministrazione. Il Codice dell’ordinamento militare, infatti, ha disciplinato esclusivamente l’istituto della riammissione in servizio a seguito del pieno proscioglimento da vicende penali (art. 935 bis) e della riammissione in servizio del personale dell’Arma dei Carabinieri in congedo ad eccezione di quello cessato dal servizio permanente (art. 961), con la conseguenza che, nel silenzio della normativa legislativa di riferimento, non può che ritenersi tuttora vigente il principio di cui all’art. 2, comma 9 del decreto ministeriale del 18 aprile 2002, che esplicitamente esclude la riammissione in s.p.e. dei militari trasferiti nei ruoli del personale civile del Ministero della difesa”.

Da quanto precede (e con riguardo alle censure di difetto di istruttoria, di motivazione e di violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990) è evidente che l’amministrazione militare non poteva fare altro che respingere la domanda avanzata dal ricorrente, cessato da oltre 6 anni dal servizio, di essere riammesso nei ranghi militari.

L’ordinamento militare non contempla, infatti, la possibilità che un militare cessato dal servizio permanentemente possa a domanda esservi riammesso.

Il carattere assolutamente vincolato dell’impugnato diniego rende del tutto irrilevante l’omissione della comunicazione del preavviso di rigetto. Del resto non essendovi nessun margine per una diversa valutazione della posizione dell’istante nessuna ulteriore istruttoria e motivazione si rendeva necessaria.

Resta da considerare la paventata illegittimità costituzionale (sotto il profilo della violazione degli artt. 3, 4, 35 e 97 della Costituzione e degli altri analoghi principi contenuti nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo) delle richiamate disposizioni tenendo presente le sentenze della Corte Costituzionale n. 3/1994 (con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 132 del DPR n. 3/1957 – testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato – nella parte in cui non consente la possibilità di riammissione in servizio del personale dispensato per motivi di salute) e n. 249/2009 (con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzione dell’art. 80 del d.lg. n. 443/1992 – ordinamento del personale del corpo della Polizia Penitenziaria – nella parte in cui non consente la possibilità di presentare istanza di riammissione nei ruoli per riacquisto di idoneità fisica”).

In primo luogo, osserva il Collegio (sulla scia delle pronunce del Consiglio di Stato in materia – cfr. 1484/2015, 3330/2017, 2225/2015, 1960/2018) che non è suscettibile di applicazione al caso di specie l’art. 132 del d.P.R. n. 3 del 1957 (T.U. imp. civili dello Stato) riguardando questo il pubblico impiego in generale e non anche quello militare, avente speciali caratteristiche che giustificano un diverso trattamento. Sulla stessa linea interpretativa si pone la pronuncia del Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., n. 135 del 2011, secondo cui “il principio generale della riammissione in servizio, affermato per il rapporto di pubblico impiego civile dall'art. 132 del D.P.R. del 10.1.1957 n. 3, non è applicabile ai rapporti di impiego del personale militare, i quali sono regolati da una normativa speciale”. Del resto, l’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 ("Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche") espressamente prevede che “In deroga all'articolo 2, commi 2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287”. Ne consegue che “il personale in regime di diritto pubblico, fra cui è ricompreso, per espressa disposizione legislativa, il personale militare, rimane disciplinato dai rispettivi ordinamenti, escludendosi, così, un’automatica applicabilità del citato art. 132 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3” (cfr. Cons. Stato, Adunanza Sez. II, n. 1188 del 10 aprile 2014). Tale orientamento è stato confermato dal Consiglio di Stato, essendosi appunto rilevato che “non può, per altro verso, propugnarsi l’applicabilità anche in ambito militare della disposizione dell’art. 132 d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3” (cfr. sentenza, n. 3330 del 6 luglio 2017).

In secondo luogo, con la sentenza della Corte Costituzionale n. 294 del 2009 è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 80 del d. lgs. n. 443 del 1992, relativo all’Ordinamento del personale del Corpo di polizia penitenziaria, ovvero di una forza di polizia nei confronti della quale, ai sensi dell’art. 1, comma 4 della legge n. 395 del 1990 (“Ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria”), trovano applicazione “in quanto compatibili” le norme sul rapporto d’impiego degli impiegati civili dello Stato.

La disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze delle Forze Armate, di cui al precitato Codice dell’ordinamento militare, invece, non contiene alcuno specifico rinvio alla normativa relativa agli impiegati civili dello Stato: i principi enucleati dalla Corte Costituzionale con riferimento all’Ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria, quindi, non sono estensibili alla fattispecie sottoposta all’esame della Sezione e ciò neanche al limitato fine di utilizzarli quali “canoni ermeneutici” per l’interpretazione della normativa di cui al d. lgs. n. 66 del 2010 (Codice dell’ordinamento militare), attesa la specificità dell’ordinamento delle Forze Armate che trova il suo fondamento nell’art. 52 della Costituzione e la sua puntuale disciplina nel predetto d. lgs. n. 66 del 2010.

Le suesposte considerazioni consentono inoltre al Collegio (cfr. sempre C.d.S. n. 1484/2015) di ritenere manifestamente infondata anche la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla parte ricorrente, relativa alla violazione del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione, poiché la rilevata specificità dell’ordinamento delle Forze Armate rende differenziata la posizione giuridica degli appartenenti a queste ultime da quella degli altri dipendenti pubblici, con la conseguenza che non sussistendo l’asserita omogeneità di situazioni giuridiche soggettive non può parlarsi di violazione del principio di uguaglianza. Sotto tale profilo non si ravvisa alcun contrasto con le disposizioni costituzionali poste a tutela del lavoro (artt. 4 e 35 Cost.) dal momento che, comunque, la norma consente al dipendente dichiarato non idoneo permanentemente al servizio militare di transitare nei ruoli civili e, dunque, di non perdere il lavoro.

La manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla parte ricorrente trova, peraltro, conferma nell’ordinanza n. 430 del 2005, con la quale la Corte Costituzionale ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 43, comma 2 della legge 113 del 1954 (ora trasfuso nell’ art. 933 del precitato d. lgs. n. 66 del 2010), censurato, in riferimento agli art. 3 e 97 Cost., nella parte in cui non prevede che l’Amministrazione della difesa possa riammettere in servizio l’ufficiale cessato a domanda dal servizio permanente effettivo e collocato in congedo.

Tramite detta pronuncia la Consulta ha rilevato che “la mancata previsione di tale possibilità rinviene la propria ratio nel particolare status dell’ufficiale in servizio permanente, per il quale il legislatore prevede peculiari forme di selezione attitudinale, di addestramento e di formazione professionale, in connessione con i compiti che la Repubblica assegna alle Forze armate” e che “deve escludersi che la norma censurata sia manifestamente irragionevole o arbitraria o contrasti con il principio di buon andamento della p.a., tenuto conto, da un lato, che al legislatore ordinario compete un’ampia discrezionalità nella materia dell’inquadramento e dell’articolazione delle carriere degli ufficiali, e dall’altro, che la riammissione in servizio di colui che sia cessato dal servizio a seguito di domanda non costituisce un istituto caratterizzante l’impiego pubblico”.

A quanto esposto deve aggiungersi che le considerazioni che precedono sono riferibili a tutti gli appartenenti alle Forze Armate, ivi compresi i sottufficiali - categoria di cui faceva parte il ricorrente - poiché lo speciale status di cui godono tali soggetti non deriva dal loro grado ma dai compiti che l’ordinamento assegna alle Forze Armate stesse.

Le conclusioni cui è pervenuta la Corte e che fanno leva sulla discrezionalità del legislatore nel disciplinare la materia sono replicabili anche nel caso in cui la cessazione dal servizio sia avvenuta per motivi di salute e, dunque, per una causa indipendente dalla volontà dell’interessato. Ciò in quanto rimane valido quanto affermato dalla Corte circa la non manifesta irragionevolezza della scelta del legislatore (proprio alla luce della particolare selezione attitudinale, di addestramento e di formazione professionale in connessione con i delicati assegnati alle Forze Armate) di non consentire (anche in questi casi) la riammissione in servizio.

Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto.

Le spese, stante la particolarità della controversia, devono essere compensate.

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