TAR Roma, sez. 2T, sentenza 2023-01-09, n. 202300246
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Pubblicato il 09/01/2023
N. 00246/2023 REG.PROV.COLL.
N. 10449/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10449 del 2017, proposto da C B, R M, S M, L G, A N, R G, W Z, C C, A B, A B, S V, M P, S D G, M S, S F, B A, D P, R B, B P, M P, B S, S M, N D P, L G, P M, D L C, A M, V C, R D P, D D M, G S, Desirée 2012 S.r.l., Mistery S.r.l., Hilary S.r.l., Roma Capitale Real Estate S.r.l., C M, P Griguoli, rappresentati e difesi dall'avvocato Alessandro Castellana, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza Benedetto Cairoli n. 2;
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Michele Memeo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Impugnazione della Deliberazione di Assemblea Capitolina n. 30 assunta nella seduta pubblica del 1/6/2017 (doc. 1), con cui è stato approvato il “Nuovo Regolamento delle Attività Commerciali sulle Aree Pubbliche”, nella parte di cui infra, pubblicata sull'Albo Pretorio on line di Roma Capitale dal 19/6/2017 sino al 3/7/2017, in uno agli atti presupposti, connessi e conseguenziali
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 luglio 2022 la dott.ssa Francesca Mariani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con delibera dell’Assemblea capitolina n. 30 del 1° giugno 2017, pubblicata all’Albo pretorio on line di Roma Capitale dal 19 giugno 2017 al 3 luglio 2017, Roma Capitale ha approvato il “Nuovo Regolamento delle attività commerciali sulle aree pubbliche”.
2. I ricorrenti, titolari di diverse imprese commerciali su area pubblica nel territorio comunale, in virtù di autorizzazioni/concessioni che li abilitano ad esercitare sui posteggi istituiti nel territorio capitolino in seno alle cc.dd. “rotazioni”, sia per la vendita di merci varie (Rotazione C, Integrativa) e sia per la vendita di alimenti e bevande (bibite e sorbetti), hanno impugnato specifiche previsioni regolamentari contenute nella delibera, delle quali hanno chiesto l’annullamento per diverse ragioni di violazione di legge ed eccesso di potere.
3. Tale Regolamento è stato in seguito modificato con deliberazione dell’Assemblea capitolina n. 29 del 28 marzo 2018, avente ad oggetto “Modifica del Regolamento delle attività commerciali sulle aree pubbliche approvato con deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 30 dell’1 giugno 2017, con ripubblicazione integrale”, nonché nuovamente con il “Nuovo Regolamento delle attività commerciali sulle aree pubbliche”, adottato con la DAC n. 108/2020, con contestuale ripubblicazione integrale del testo.
4. Roma Capitale si è costituita con atto di stile e ha depositato in atti memoria degli uffici nella quale si dà conto delle modifiche intervenute.
5. In vista della discussione nel merito del ricorso i ricorrenti hanno insistito nelle proprie tesi, dando peraltro atto della sopravvenuta carenza di interesse alla censura svolta – sub lettera L del ricorso – avverso l’art. 16, comma 4, del Regolamento, oggetto delle ricordate modifiche regolamentari nel corso del giudizio.
6. All’udienza pubblica del 19.07.2022 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente il Collegio, in conformità a quanto richiesto da parte ricorrente, dà atto della cessazione della materia del contendere con riferimento all’impugnativa dell’art. 16, comma 4, per essere stato modificato, con la successiva DAC 29/2018, in senso conforme a quanto domandato dalle ricorrenti con l’originaria domanda di annullamento.
2. Sempre in via preliminare deve chiarirsi che l’intervenuta adozione della DAC 108/2020, non gravata, non preclude l’esame del gravame nel suo complesso: come infatti rilevato dalle ricorrenti, e come emerge dalla stessa lettura della delibera del 2020, con tale ultimo provvedimento Roma Capitale si è limitata a modificare soltanto alcune disposizioni della delibera qui impugnata (non riguardanti le previsioni gravate, se non nei limiti in seguito specificati), disponendo, quanto al resto, una mera “ripubblicazione” del testo coordinato, ciò che esclude un effetto novativo e la consequenziale necessità di una tempestiva impugnazione della delibera stessa.
Medesima tecnica di mera ripubblicazione, del resto, era già stata usata nella delibera 29 del 2018 (con la quale pure erano stati modificati solo alcuni articoli della delibera 30/2017), a nulla rilevando la circostanza che alcune disposizioni, conservando il medesimo contenuto che avevano nella originaria delibera, avessero poi assunto una diversa numerazione.
3. Fermo quanto sopra, venendo al merito delle doglianze, le ricorrenti contestano singole disposizioni, lamentando complessivamente “ VIOLAZIONE DI LEGGE (L.R. Lazio n. 33/1999 – Art. 27 e 28 D.Lgs. 114/98 – Intesa Stato-Regioni di cui alla Conferenza Unificata del 5/7/2012 – Delibera di Giunta Regionale del Lazio n. 417/2014 - D.L. 6/12/2011 n. 201 (c.d. decreto salva Italia), convertito in L. 214/2011) – ECCESSO DI POTERE per difetto di istruttoria, difetto di motivazione, contraddittorietà, illogicità, difetto del presupposto, travisamento di fatto, disparità di trattamento, irragionevolezza, incompetenza ”.
In particolare:
- sub lettera A) è contestata la previsione di cui all’art. 2, comma 1, lett. a), secondo periodo, e lett. b), con cui l’Amministrazione avrebbe disposto un “allargamento” della definizione di “dante causa”, rilevante ai fini dell’anzianità di impresa, anche al precedente affittuario, poiché essa precluderebbe ingiustamente la dovuta sommatoria dell’anzianità per il caso in cui il titolare affitti la azienda e poi la riacquisisca, poiché (come sembra intendersi dal tenore della doglianza e dal non chiarissimo dato testuale) in quel caso il suo “dante causa” sarebbe soltanto l’affittuario e non potrebbe invece farsi valere l’anzianità del precedente titolare di impresa.
In quest’ottica la doglianza è fondata: ed invero, come si evince dalla precedente disposizione di cui all’art. 2, comma 1, lettera a), l’obiettivo della disciplina è quello di premiare l’effettivo esercizio dell’impresa nel tempo, ai fini di selezione (così recita la disposizione ora citata: “ Per anzianità di impresa si intende l’iscrizione quale impresa attiva nel registro delle imprese riferite al commercio su aree pubbliche, collegata nel suo complesso al soggetto titolare dell’impresa al momento della partecipazione alla selezione, cumulata con quella del dante causa al quale sia eventualmente subentrato nella titolarità del posteggio medesimo ). Di conseguenza, considerato che un’impresa data in gestione ad affittuario è comunque effettivamente esercitata, non vi è ragione di prevedere per il titolare che la riacquisisca una limitazione al cumulo dell’anzianità, permettendogli di sommare soltanto l’anzianità dell’affittuario, che, in realtà, già gli pertiene, in quanto meramente derivata.
- sub lettera B) i ricorrenti hanno censurato le disposizioni di cui all’art. 2, lettere c) e w) del medesimo regolamento, che, nel definire la nozione di area mercatale e di area mercatale fuori mercato entro le quali sono operativi i numeri massimi di assegnazione stabiliti dall’art. 15, identificano l’area mercatale con l’intero Municipio nel quale è sito il posteggio, in spregio delle definizioni di cui all’art. 27, lettera d), del D.Lgs. 114/98.
La censura è fondata. Sul punto va preliminarmente ricordato che la definizione di area mercatale di cui trattasi rileva ai fini della limitazione del numero di posteggi dei quali un soggetto può essere titolare o possessore, come si legge nella stessa delibera gravata, che è stata introdotta a seguito di mutamenti nel quadro normativo di riferimento e, in particolare a seguito del recepimento del principio di tutela della concorrenza, di derivazione eurounitaria e pertanto idoneo a connotare lo stesso diritto, pur costituzionalmente tutelato, di iniziativa economica.
In particolare, con riferimento alla declinazione del detto principio in termini di “tetto” al numero di posteggi assegnabili, la delibera ha richiamato il contenuto dell’Intesa conferenza unificata 5 luglio 2012, che, all’art. 7, aveva già previsto che “Ai fini della tutela della concorrenza attraverso la pluralità e la differenziazione dell’offerta e al fine di evitare la costituzione di posizioni di tendenziale oligopolio, è stabilito un limite al numero dei posteggi complessivamente assegnabili ad un medesimo soggetto giuridico nell’ambito della medesima area mercatale. A tal fine, fatto salvo un congruo periodo transitorio relativamente ad eventuali situazioni già in atto, un medesimo soggetto giuridico non può essere titolare o possessore di più di due concessioni nell’ambito del medesimo settore merceologico alimentare e non alimentare nel caso di aree mercatali con un numero complessivo di posteggi inferiore o pari a cento ovvero tre concessioni nel caso di aree con numero di posteggi superiore a cento”.
Ciò premesso, la definizione di “area mercatale”, contenuta nell’art. 2, lettere c) e w), e rilevante ai fini della definizione della portata operativa del detto numero massimo, come lamentato da parte ricorrente, appare: a) effettivamente priva di idoneo fondamento normativo;b) in contrasto con il significato letterale dell’espressione;c), intrinsecamente irragionevole, anche alla luce dell’estensione dei Municipi nell’area di Roma Capitale, e d) non discendente, in via necessitata, dallo stesso testo dell’Intesa del 2012 .
- Sub lettera C) i ricorrenti hanno poi contestato la previsione di una durata massima delle autorizzazioni (art. 2, comma 1, lettera f) ultimo periodo, secondo cui “l’autorizzazione ha durata limitata e non può essere rinnovata automaticamente”), che sarebbe in contrasto con l’art. 28 del D.Lgs. 114/98 e con l’art. 39 della Legge Regionale Lazio n. 33/99.
La doglianza non persuade;ed invero, premesso che le disposizioni statali e regionali richiamate nella censura nulla dispongono in punto di durata illimitata delle autorizzazioni commerciali di cui trattasi, deve altresì considerarsi, in primo luogo, che la disciplina di cui si discute è specificamente relativa alle attività commerciali “sulle aree pubbliche”, il cui esercizio presuppone, dunque, per la loro stessa natura, la disponibilità di un posteggio;di talché è evidente la correttezza della indicazione di un limite temporale (anche) per le autorizzazioni, considerata l’inscindibilità delle stesse dalle connesse concessioni di occupazione di suolo pubblico, che costituiscono, come noto, una risorsa scarsa, secondo condivisibile interpretazione giurisprudenziale (sul punto si rinvia, per brevità, alle sentenze l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 17 e n. 18 del 2021). A ciò si aggiunga, peraltro, che la previsione impugnata, a ben vedere, si limita ad escludere il rinnovo automatico della autorizzazione commerciale.
- Sub lettera D) i ricorrenti hanno contestato l’art. 3, comma 1, n. 2 nonché l’art. 14 del Regolamento, nella parte in cui stabiliscono la durata delle concessioni (in anni 7, per i mercati turistici, 9 per i mercati ordinari e 12 con riguardo agli investimenti richiesti), in contrasto con quanto stabilito dalla Regione Lazio con la Deliberazione di Giunta n. 417/2014, con cui fa proprio il Documento Unitario del 24/1/2013 (denominato “Documento Unitario delle Regioni e Province Autonome per l’attuazione dell’Intesa della Conferenza Unificata del 05.07.2012, ex art. 70, c. 5 del D.Lgs 59/2010, in materia di Aree Pubbliche”), laddove si è stabilito che in fase di prima applicazione della normativa di cui all’art. 70 D.Lgs. 59/2010, cioè di prima scadenza delle concessioni non più rinnovabili tacitamente, le nuove concessioni abbiano tutte la durata di anni 12, senza alcuna distinzione.
La doglianza non può più ritenersi sorretta da interesse processuale, e deve quindi essere dichiarata improcedibile.
Come noto, infatti (si vedano le sentenze della Sezione n. 801\2022 e n. 1411\2022), con l’art. 181 comma 4 bis d.l. n. 34/2020, convertito dalla l. n. 77/2020, era stato stabilito che “le concessioni di posteggio per l’esercizio del commercio su aree pubbliche aventi scadenza entro il 31 dicembre 2020, se non già riassegnate ai sensi dell’intesa sancita in sede di Conferenza unificata il 5 luglio 2012, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 79 del 4 aprile 2013, nel rispetto del comma 4-bis dell’ articolo 16 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, sono rinnovate per la durata di dodici anni, secondo linee guida adottate dal Ministero dello sviluppo economico e con modalità stabilite dalle regioni entro il 30 settembre 2020, con assegnazione al soggetto titolare dell’azienda, sia che la conduca direttamente sia che l’abbia conferita in gestione temporanea, previa verifica della sussistenza dei requisiti di onorabilità e professionalità prescritti, compresa l’iscrizione ai registri camerali quale ditta attiva ove non sussistano gravi e comprovate cause di impedimento temporaneo all’esercizio dell’attività”.
Successivamente, in relazione a tale norma, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con le sentenze n. 17 e n. 18 del 2021 sopra già richiamate, ha affermato, tra l’altro, il principio di diritto secondo il quale il dovere di non applicazione delle disposizioni di rinnovo automatico delle concessioni, in quanto illegittime per contrasto con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE;e che il dovere di disapplicazione si estende, oltre agli organi giudiziari, a tutte le articolazioni dello Stato membro, compresi gli enti territoriali, gli enti pubblici in generale ed i soggetti ad essi equiparati, anche in caso di direttiva “self executing”. Opinare diversamente, infatti, “significherebbe autorizzare la P.A. all’adozione di atti amministrativi illegittimi per violazione del diritto dell’Unione, destinati ad essere annullati in sede giurisdizionale, con grave compromissione del principio di legalità, oltre che di elementari esigenze di certezza del diritto”.
Si è già detto in precedenza della oramai acclarata limitatezza della “risorsa” costituita dalle concessioni in parola. E, considerato che la direttiva 2006/123/CE “Bolkestein” è “self executing” e che comunque, il settore del commercio in aree pubbliche rientra nell’ambito di applicazione della stessa, si impone l’indizione di gare pubbliche a tutela della concorrenza per il mercato, materia “trasversale” che è suscettibile di trovare applicazione in vari settori dell’ordinamento nazionale, tra cui deve senz’altro farsi rientrare quello delle concessioni di parcheggi a rotazione per l’esercizio del commercio su aree pubbliche per altro caratterizzati anch’essi, come già detto, dalla scarsità delle concessioni assentibili, come confermato dall’Adunanza Plenaria n. 18 del 2021 allorché precisa che “la sottoposizione ai principi della concorrenza e dell’evidenza pubblica trova il suo presupposto sufficiente nella circostanza che con la concessione del bene pubblico si fornisca un’occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, tale da imporre una procedura competitiva ispirata ai suddetti principi di trasparenza e non discriminazione”.
Peraltro, l’inattualità dell’interesse a coltivare la censura in esame dipende anche dal fatto che la stessa Plenaria (consapevole del notevole impatto - anche sociale ed economico - che tale immediata non applicazione può comportare, specie in un contesto caratterizzato da un regime di proroga che è frutto di interventi normativi stratificatisi nel corso degli anni) ha comunque inteso modulare nel tempo l’efficacia della pronuncia, mediante la previsione di una disciplina transitoria, in cui le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, al fine di assicurare alle amministrazioni un ragionevole lasso di tempo per intraprendere sin d’ora le operazioni funzionali all’indizione di procedure di gara e altresì consentire a Governo e Parlamento di approvare una normativa che possa finalmente riordinare la materia e disciplinare in conformità con l’ordinamento comunitario il sistema di rilascio delle concessioni.
- Sub lettere E) ed F) sono state censurate le disposizioni di cui all’art. 3, comma 1, n. 19), nonché all’art. 36, comma 1, e art. 3, comma 1, n. 30), nella parte in cui, diversamente dal passato, stabilirebbero la vendita con automezzi per il solo settore alimentare, al contempo vietando l’uso di stand appendiabiti.
Le doglianze sono in parte infondate, in quanto la previsione dell’art. 3, comma 1, n. 19 non risulta avere – in difetto di ulteriori specificazioni – la portata preclusiva denunciata sull’uso degli automezzi, e in parte improcedibili, posto che la previsione per cui “ È vietato l’utilizzo di stand appendiabiti ”, già con l’entrata in vigore della D.A.C. 29/2018 e oggi della D.A.C. 108/2020 (art. 3 comma 25), è stata limitata ai soli stand “ superiori ad un’altezza massima di mt. 1,50 .
- Sub lettere G e H le ricorrenti denunziano sotto vari profili l’illegittimità dei criteri per la formazione delle graduatorie previste per la procedura concorsuale del D.Lgs. n. 59/2010 volta all’assegnazione dei posteggi.
Le censure devono deve essere dichiarate inammissibili, attesa l’assenza di interesse attuale in capo ai ricorrenti, che non ne risultano concretamente lesi nell’ambito di una specifica procedura di assegnazione.
- sub lettera I) i ricorrenti contestano i limiti numerici al numero di posteggi assentibili stabiliti dall’art. 15 del Regolamento, tra aree mercatali e aree mercatali fuori mercato. Sul punto, premesso che – come già sopra illustrato, nell’esame delle doglianze sub lettera B) – in linea generale la previsione di un limite numerico è da ritenersi legittima, la doglianza in esame è all’attualità improcedibile, stante quanto come sopra pronunciato, in accoglimento del gravame, in merito alla definizione di area mercatale utilizzata da Roma Capitale, che dovrà essere ridefinita.
- sub lettera M) i ricorrenti si dolgono della contraddittorietà delle disposizioni del Regolamento, che attribuirebbe contemporaneamente e alternativamente al Dipartimento Sviluppo Economico Attività Produttive e Agricoltura e ai Municipi il potere di delimitare le soste.
La doglianza è inammissibile, non ravvisandosi alcun interesse apprezzabile facente capo agli odierni ricorrenti in tema di ripartizione delle competenze tra le strutture e le articolazioni territoriali di Roma Capitale, fermo restando che le norme contestate dovranno essere lette sistematicamente alla luce delle previsioni generali del Regolamento.
- sub lettera N) i ricorrenti contestano l’art. 35 del regolamento della D.A.C. n. 30\2017, secondo il quale le autorizzazioni rilasciate agli operatori con posteggi a rotazione sarebbero decadute alla data del 31.12.2018.
Il motivo è oramai divenuto improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse. Ciò, sia per la intervenuta scadenza del termine previsto nella norma censurata, che in ragione del fatto che la sopravvenuta regolamentazione di cui all’art. 35 della D.A.C. n. 30 del 2018 e oggi D.A.C. 108 del 2020, non potendo operare una pedissequa riscrittura delle precedenti disposizioni in materia, ha dovuto (sia per la menzionata scadenza del termine fissato dalla delibera n. 30\2017 che per l’evoluzione normativa intervenuta in materia, anche sulla scorta del diritto comunitario) modificare la norma, affermando, adesso: “ Le concessioni relative ai posteggi assegnati all'interno del gruppo rotativo di riferimento hanno quale durata e scadenza quella indicata dalle disposizioni di legge nazionali vigenti in materia. ” A tale ultimo riguardo, peraltro, si deve fare rinvio a quanto esposto nell’esame del motivo sub lettera D).
- sub lettera O) ricorrenti si dolgono delle previsioni dell’art. 38 del Regolamento impugnato, in tema di orari, con specifico riferimento alla previsione dell’esercizio dell’attività dal lunedì al sabato, con esclusione della domenica, lamentando, in sostanza, la violazione delle norme in tema di liberalizzazioni delle attività economiche.
Anche tale motivo, come formulato nei confronti delle norme introdotte dalla D.A.C. n. 30\2017, deve ritenersi improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto già la DAC 29/2018 e oggi la D.A.C. n. 108\2020 hanno, pure sul punto, mutato la disciplina, eliminando la previsione contestata di cui all’ultimo comma dell’art. 38.
4. In conclusione, per quanto detto, il ricorso è in parte inammissibile [censure di cui alle lettere G), H) e M)] e in parte improcedibile [censure sub lettere D), F), I), L), N e O)];deve poi essere accolto per le censure di cui alle lettere A) e B) e respinto per il resto [censure lettere C) e E)].
5. Le spese di lite possono essere compensate, stante la reciproca soccombenza.