TAR Roma, sez. V, sentenza 2023-12-13, n. 202318854
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Pubblicato il 13/12/2023
N. 18854/2023 REG.PROV.COLL.
N. 05608/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5608 del 2023, proposto da
Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, in persona del Presidente e legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato M L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio, n. 9;
contro
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero dell'Economia e delle Finanze, e Ministero della Giustizia, in persona dei rispettivi Ministri in carica, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
- Ordine degli Avvocati di Roma, in persona del Presidente e legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato Andrea Manzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Alberico II, 33;
per l'annullamento
- della Nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, prot. 1509 del 13 febbraio 2023, avente a oggetto “ Delibera n. 24 adottata dal Comitato dei Delegati in data 16 settembre 2022 recante esonero contributo minimo integrativo: estensione al 2023 ” (doc. 1);
- della Nota del Ministero dell’Economia e delle Finanze, prot. 263264 del 2 dicembre 2022;- della Nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, prot. 2158 del 2 marzo 2023, avente a oggetto “Cassa Forense – istanza del 15 febbraio 2023” (doc. 2).
- di ogni atto presupposto, consequenziale o comunque connesso, anche, allo stato, non conosciuto dalla ricorrente, nonché, ove occorrer possa, per la condanna ex art. 116 cod. proc. amm. delle Amministrazioni resistenti all’ostensione - della Nota del Ministero dell’Economia e delle Finanze, prot. 263264 del 2 dicembre 2022;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, del Ministero dell'Economia e delle Finanze e del Ministero della Giustizia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 ottobre 2023 il dott. Sebastiano Zafarana e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense ha premesso di essere una fondazione di diritto privato ai sensi degli artt. 12 segg. cod. civ., per legge incaricata della gestione previdenziale obbligatoria per la categoria degli avvocati liberi professionisti e di godere, ai sensi dell’art. 2 del d. lgs. n. 509 del 1994, di autonomia gestionale, organizzativa e contabile, nei limiti di quanto previsto dal medesimo decreto legislativo.
Delineate la natura e la finalità dell’Ente, ha poi esposto che il Regolamento unico della Previdenza forense (delibera del Comitato dei Delegati del 23 novembre 2018, come modificata in data 21 febbraio 2020 – Approvato con Nota ministeriale del 21 luglio 2020, pubblicata per estratto in G.U. n. 200 dell’11 agosto 2020) prevede che gli iscritti alla Cassa Forense versino un contributo soggettivo, un contributo integrativo e un contributo di maternità.
In particolare:
- il contributo soggettivo è proporzionale al reddito professionale netto prodotto nell’anno di riferimento, ai sensi delle dichiarazioni ai fini IRPEF (art. 17);esso, allo stato, costituisce la base contributiva per la determinazione del diritto alla pensione erogata dalla Cassa;
- il contributo integrativo, invece, corrisponde a “una maggiorazione percentuale su tutti i corrispettivi rientranti nel volume annuale d’affari ai fini dell’IVA” (art. 18, comma 1) che viene applicata a ogni fattura emessa dall’iscritto ed è, dunque, un costo che può essere riversato in capo al soggetto assistito (“ La maggiorazione è ripetibile nei confronti del cliente ”, comma 4); il contributo integrativo, proprio per tale ragione, non concorre alla formazione del reddito professionale e non è quindi soggetto all’IRPEF, ora IRE (comma 7);
- il contributo di maternità, infine, finanzia l’indennità di maternità dovuta agli iscritti alla Cassa.
Ai sensi dell’art. 24, gli iscritti sono comunque tenuti a un versamento minimo a titolo di contribuzione soggettiva, integrativa e di maternità.
Espone poi la Cassa ricorrente che questa contribuzione minima è oggetto di alcune misure agevolative.
Per quanto qui di interesse, il contributo minimo integrativo di cui al primo comma, lett. b), non è dovuto per il periodo di praticantato, nonché per i primi cinque anni di iscrizione alla Cassa in costanza di iscrizione all’Albo (comma 3);per gli anni successivi, il contributo minimo è ridotto alla metà qualora l’iscrizione decorra da data anteriore al compimento del trentacinquesimo anno di età (comma 3);per i primi otto anni di iscrizione alla Cassa, anche non consecutivi, è data facoltà ai percettori di redditi professionali ai fini IRPEF (ore IRE) inferiori a € 10.300,00 di versare il contributo soggettivo minimo obbligatorio in misura pari alla metà di quello dovuto, con la possibilità di integrare il versamento su base volontaria (art. 26).
Espone ancora l’Ente ricorrente che l’art. 24, comma 7, del Regolamento unico di previdenza stabilisce che “Il contributo integrativo minimo di cui al primo comma, lett. b) non è dovuto per gli anni dal 2018 al 2022. Anche per tali anni resta comunque dovuto il contributo integrativo nella misura del 4% sull’effettivo volume di affari IVA dichiarato” ;riferisce che tale disposizione riprende quanto già previsto dall’art. 15 del Regolamento di attuazione dell’art. 21, commi 8 e 9, della l. n. 247 del 2012 della Cassa Forense, adottato dal Comitato dei delegati in data 29 settembre 2017 la cui allegata relazione illustra le ragioni sottese alla soppressione del contributo integrativo minimo per il quinquennio appena decorso.
La relazione ha rilevato in particolare che “Gli ultimi dati a disposizione della Cassa - al 31.12.2016 - evidenziano che oltre 43.000 Iscritti sono al di sotto della soglia di volume di affari (€ 17.750,00 per il 2016) corrispondente all’importo del solo contributo minimo integrativo, esclusi i beneficiari delle esenzioni già previste che riguardano anche i pensionati di vecchiaia dall’anno successivo alla decorrenza della pensione” .
In questo contesto, la Cassa espone di avere perfino esaminato diversi studi di modifica regolamentare portati avanti in numerose riunioni dalla Commissione Previdenza, che “si sono concentrati sulla possibile abolizione, definitiva o temporanea, del contributo minimo integrativo;intervento, questo, idoneo a dare respiro alle fasce più disagiate dell’Avvocatura” nella consapevolezza che tale intervento, “comportando un minor gettito contributivo per l’Ente, doveva essere conciliato con la necessità di garantire la sostenibilità di lungo periodo imposta dalla legge” .
In ogni caso riferisce che attraverso specifici e approfonditi “studi attuariali”, illustrati nella Nota tecnica unita alla relazione, la misura dell’esenzione del contributo integrativo per gli anni dal 2018 al 2022 risultava certamente sostenibile nel lungo periodo.
Sicché dopo varie interlocuzioni, il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, con Nota prot. 4848 dell’11 aprile 2018, prendeva posizione sui chiarimenti forniti dalla Cassa e riconosceva che “la delibera in argomento non altera il livello di copertura della riserva legale, calcolata in riferimento alle pensioni correnti, e non inficia sulla congruità della contribuzione” e, di conseguenza, approvava le proposte regolamentari sopra illustrate.
Tutto ciò premesso e venendo all’oggetto del ricorso, l’Ente ricorrente espone che con delibera del 16 settembre 2022, il Comitato dei delegati della Cassa Forense ha deliberato “di prorogare, anche per l’anno 2023, la temporanea abrogazione del contributo integrativo minimo a carico degli iscritti, fermo restando il pagamento del contributo integrativo nella misura del 4% sull’effettivo volume d’affari IVA dichiarato” ; e riferisce che anche la relazione di accompagnamento rileva che quella deliberata costituisce una “mera proroga” della temporanea soppressione del contributo integrativo minimo già prevista nel Regolamento unico della Previdenza, proroga giustificata anche in ragione della necessità di “armonizzare la materia a quanto previsto nella riforma previdenziale approvata dal Comitato dei delegati nella seduta del 28 ottobre 2022, la cui entrata in vigore prevedibile sarà il 1° gennaio 2024”: alla delibera è allegata una Nota tecnica dell’Ufficio attuariale della Cassa.
Ebbene la ricorrente impugna la nota prot. 1509 del 13 febbraio 2023, avente a oggetto “Delibera n. 24 adottata dal Comitato dei Delegati in data 16 settembre 2022 recante esonero contributo minimo integrativo: estensione al 2023” , con la quale il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha comunicato la mancata approvazione della delibera della Cassa da parte dei Ministeri vigilanti.
In particolare la nota rappresenta che sulla delibera si sono espressi anche il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con Nota prot. 263264 del 2 dicembre 2022, nonché il Ministero della Giustizia, con Nota prot. 235256 del 21 novembre 2022, e conclude affermando che, “per tutte le considerazioni esposte, di concerto con il covigilante Dicastero dell’economia e delle finanze, si ritiene che il provvedimento in esame non possa essere approvato ai sensi dell’art. 3, comma 2, del D. Lgs. n. 509/1994. Codesta Cassa dovrà pertanto procedere alla riscossione del contributo integrativo minimo, da rivalutarsi ai sensi dell’art. 21 del Regolamento”.
1.2. Il gravame è affidato ai seguenti motivi di ricorso:
1.- Violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 del d. lgs. n. 509 del 1994. Violazione dell’art. 3, comma 12, della l. n. 335 del 1995. Violazione dell’art. 24, comma 24, del d.l. n. 201 del 2011. Eccesso di potere per difetto d’istruttoria e di motivazione, sviamento di potere, illogicità, irragionevolezza. Esaminiamo i singoli rilievi mossi dai Ministeri vigilanti;
2.- Violazione, per un differente profilo, degli artt. 2 e 3 del d. lgs. n. 509 del 1994;violazione dell’art. 3, comma 12, della l. n. 335 del 1995. Violazione dell’art. 24, comma 24, del d.l. n. 201 del 2011. Eccesso di potere per sviamento, contraddittorietà, illogicità, irragionevolezza.
1.3. Si sono costituiti in giudizio con atto di mera forma il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il Ministero dell'Economia e delle Finanze e il Ministero della Giustizia;successivamente la difesa erariale ha depositato l’impugnata nota del Ministero dell’Economia e delle Finanze, prot. 263264 del 2 dicembre 2022 di cui la ricorrente aveva chiesto in ricorso l’eventuale accesso ex art. 116 c.p.a., nonché una memoria difensiva con la quale ha chiesto rigettarsi il ricorso.
1.4. Alla camera di consiglio del 10 maggio 2023 – previa rinunzia alla domanda cautelare da parte del difensore di parte ricorrente – la causa è stata rinviata all’udienza pubblica del 25 ottobre 2023 per la definizione nel merito.
1.5. Con “atto di intervento ad adiuvandum ” notificato il 27 luglio 2023 e depositato in pari data si è costituito in giudizio il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, facendo proprie le tesi difensive e le domande spiegate dalla Cassa ricorrente.
1.6. In vista dell’udienza pubblica di trattazione tutte le parti costituite hanno depositato memorie.
1.7. Alla pubblica udienza del 25 ottobre 2023 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
2. Oggetto del giudizio è l’impugnata nota prot. 1509 del 13 febbraio 2023, con la quale le Amministrazioni vigilanti, nell’esercizio del potere di vigilanza di cui all’articolo 3, comma 2, del d. lgs. n. 509/1994, hanno negato l’approvazione della delibera del Comitato dei Delegati del 16 settembre 2022 con la quale era stata deliberata la esenzione dal versamento del contributo integrativo minimo per l’anno 2023, al ricorrere di determinate condizioni.
Tale deliberazione, come precisato dalla stessa ricorrente “si è resa necessaria per armonizzare la materia con quanto previsto nella riforma previdenziale approvata dal Comitato dei Delegati nella seduta del 28 ottobre 2022”, la quale tuttavia è stata trasmessa ai Ministeri vigilanti solo nel febbraio 2023 ed è tuttora in istruttoria.
Per tale ragione, il Ministero del lavoro ha ritenuto di rappresentare, nella nota impugnata n. 1509 del 13.2.2023, che la riforma previdenziale - in ragione della quale la Cassa Forense ha proposto l’esenzione dal versamento del contributo integrativo minimo per il 2023 - potrebbe non entrare in vigore in tempo utile rispetto alla decorrenza ipotizzata per la misura proposta e che, come evidenziato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, laddove fosse attuata nel 2023, determinerebbe “effetti negativi sui saldi di finanza pubblica in termini di minori entrate contributive considerato che gli Enti nazionali di previdenza e assistenza, ancorché organizzati e operanti in regime di diritto privato, sono ricompresi nell’elenco delle Amministrazioni pubbliche (lista S13) definito dall’ISTAT”
3. Con il primo motivo di ricorso la Cassa sostiene che gli atti indicati in epigrafe risultano illegittimi in quanto in sede di esame di approvazione della delibera di sospensione del pagamento del contributo integrativo minimo per l’anno 2023 i Ministeri hanno valutato la misura ancorandola alla sola necessità - postulata dalla Cassa Forense - di armonizzare l’attuale assetto previdenziale a quanto previsto nella riforma previdenziale approvata dal Comitato dei delegati nella seduta del 28 ottobre 2022, omettendo di considerarla altresì, e propriamente, alla luce dei reali e più consistenti obiettivi che la stessa intende realizzare e delle criticità che propone di affrontare e risolvere.
Al riguardo, deduce che l’intervento in argomento costituirebbe una mera proroga di una misura temporanea già esistente riferita al quinquennio 2018-2022, sostenuta sulle medesime ragioni che ne fondavano l’introduzione. e in particolare che:
- la misura sarebbe intesa a venire incontro alle fasce più fragili dell’avvocatura, percettrici di minor reddito la cui maggioranza è composta da giovani donne, categoria che merita specifica attenzione;
- mentre l’imposizione del contributo soggettivo minimo è connessa all’istituto dell’integrazione al minimo della pensione erogata dalla Cassa, sicché è assistita dalla necessità di una ragionevole compartecipazione del beneficiario agli oneri previdenziali, il contributo integrativo non ha tale funzione previdenziale, essendo destinato alla sola copertura delle prestazioni assistenziali;
- il contributo integrativo è un onere reversibile nei confronti del cliente dell’assistito, ma tale reversibilità non si verifica quanto agli iscritti che sono al di sotto della soglia di volume di affari corrispondente all’importo del solo contributo minimo integrativo, contrariamente alla ratio di tale istituto;
- già nel 2017 la Cassa aveva prospettato la possibilità di una soppressione definitiva del contributo integrativo, avendone rilevata la sostenibilità economico-finanziaria;i delegati, però, optarono per una linea di maggior prudenza, disponendo la sospensione per un quinquennio.
Lamenta poi che i Ministeri vigilanti, alla luce della complessità della riforma previdenziale generale, avrebbero valutato “poco prudente e inopportuno sospendere, nelle more dell’approvazione dello stesso, la riscossione della misura minima del contributo integrativo” e che laddove “la riforma non dovesse entrare in vigore nei tempi auspicati, reiterando la medesima logica alla base del provvedimento in esame, si renderebbe necessaria una nuova delibera di sospensione del pagamento del contributo integrativo minimo, con ulteriore evidente peggioramento dell’equilibrio gestionale del relativo anno”.
Sostiene pertanto la ricorrente che – a ben vedere – i Ministeri Vigilanti non contestano alcuna violazione di legge né alcuna incompatibilità con la disciplina di legge o statutaria vigente, bensì si profondono in mere valutazioni di opportunità e di merito, palesemente esorbitanti dal modello della “vigilanza” sancito dal d.lgs. n. 509 del 1994 e, dunque, violative dell’art. 3 del suddetto decreto legislativo.
4. Il motivo è infondato.
4.1. È preliminarmente opportuno delineare il quadro normativo di riferimento.
Il d. lgs. n. 509/1994, ha posto come condizione per la privatizzazione degli enti previdenziali l’assenza di finanziamenti pubblici, a fronte della riconosciuta autonomia gestionale, organizzativa e contabile, con ciò trasferendo dunque su tali enti la responsabilità dell’equilibrio di bilancio, sia corrente che prospettico.
In particolare, ai sensi del d. lgs. n. 509/1994, la gestione di tali enti deve essere ispirata ai seguenti principi e criteri:
- esistenza di “ una riserva legale al fine di assicurare la continuità nell’erogazione delle prestazioni, in misura non inferiore a cinque annualità delle pensioni in essere ” (art. 1, comma 4, lett. c), d. lgs. n. 509/1994);
- assenza di “ disavanzo economico-finanziario, rilevato dai rendiconti annuali e confermato anche dal bilancio tecnico ” (art. 2, comma 4, del d. lgs. n. 509/1994);
- una gestione economico-finanziaria che assicuri “l’equilibrio di bilancio mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico ” (art. 2, comma 2, d. lgs. n. 509/1994).
Successivamente, la legge n. 335/1995 - di riforma del sistema pensionistico pubblico (come modificata dall’art. 1, comma 763, legge finanziaria 2007) -, ha imposto agli enti privati, tra cui la Cassa Forense, la garanzia della stabilità gestionale per un arco temporale non inferiore a 30 anni, da verificare tramite la redazione periodica di bilanci tecnici attuariali.
Inoltre, il D.M. 29 novembre 2007, recante la “ Determinazione dei criteri per la redazione dei bilanci tecnici degli enti gestori delle forme di previdenza obbligatoria ”, evidenzia l’opportunità, fermo restando il predetto periodo trentennale di stabilità, “ che il bilancio tecnico sviluppi, per una migliore cognizione dell'andamento delle gestioni nel lungo termine, proiezioni dei dati su un periodo di 50 anni in base alla normativa vigente alla data dell'elaborazione ”.
4.2. Ciò premesso, nel provvedimento impugnato si dà primariamente atto che le Amministrazioni vigilanti hanno rilevato che il bilancio attuariale al 31 dicembre 2020 a normativa vigente, trasmesso ai fini della prevista verifica triennale di sostenibilità ai sensi del d. lgs. n. 509/1994, mostrava una situazione di squilibrio prospettico della gestione nel lungo periodo, “… laddove il saldo previdenziale (differenza fra entrate per contributi e uscite per prestazioni previdenziali) assume valore negativo a partire dall’anno 2041, mentre il saldo totale (differenza fra entrate e uscite totali) assume valore negativo a partire dall’anno 2049 fino alla fine del cinquantennio di previsione. In merito, il Ministero dell’economia rileva che “anche qualora la stima della “contrazione degli accantonamenti patrimoniali” risultasse “di scarso rilievo sulla stabilità di Cassa Forense” (come segnalato nella nota tecnica), nel regime della ripartizione, questa avrebbe comunque effetti negativi e peggiorativi nei confronti della gestione di più breve periodo, atteso che comunque la contestuale spesa pensionistica resterebbe invariata”.
4.3. Il superiore rilievo smentisce che con la nota impugnata i Ministeri vigilanti avrebbero riduttivamente valutato la misura ritenendo erroneamente che essa fosse giustificata dalla Cassa soltanto con la necessità di armonizzarla con quanto previsto nella riforma previdenziale approvata dal Comitato dei delegati nella seduta del 28 ottobre 2022.
Sul punto deve intanto osservarsi che è stata la stessa Cassa a prospettare come la richiesta di proroga della esenzione del contributo integrativo per il 2023 risulti “giustificata anche in ragione della necessità di armonizzare la materia con quanto previsto nella riforma previdenziale approvata dal Comitato dei Delegati nella seduta del 28 ottobre 2022, la cui entrata in vigore è prevista per il 1 gennaio 2024”, sicché avere anche considerato tale aspetto non può costituire un vizio del provvedimento impugnato, nel quale è stato ragionevolmente ed opportunamente rilevato quanto segue:
- l’iniziativa in punto di esenzione del contributo integrativo per il 2023 non può essere posta in stretta consequenzialità con la citata delibera del C.N.D. del 28 ottobre 2022 - trasmessa per l’approvazione ai Ministeri solo in data 2 febbraio .2023 – non essendo la predetta delibera efficace finché non sarà approvata dai Ministeri vigilanti (che ben potrebbero anche non approvarla);
- anche da un punto di vista temporale non può non rilevarsi che il progetto di riforma è attualmente in istruttoria presso i Ministeri vigilanti, sicché non è affatto certo, come ritenuto dalla Cassa, che lo stesso potrà avere decorrenza dal 1° gennaio 2024 e porsi dunque in continuità con la prospettata esenzione;
- l’obiezione della Cassa secondo cui, in tal modo, il Ministero opporrebbe pretestuosamente tempistiche dipendenti da sé medesimo non sembra fondata, posto che proprio la Cassa risulta avere trasmesso la propria delibera, adottata il 28 ottobre 2022, soltanto in data 2 febbraio 2023;
- è inoltre ben più che plausibile quanto evidenziato dalla difesa erariale circa il fatto che la delibera riformatrice, avendo ad oggetto modifiche ordinamentali in materia di contributi e prestazioni deliberate dagli enti vigilati, richiederà verosimilmente approfondimenti istruttori suscettibili di interrompere i termini procedimentali per la necessità di acquisire elementi di chiarimento/approfondimento che consentano di comprendere la ratio posta a fondamento delle modifiche.
Ne consegue che appare del tutto ragionevole il rilievo del MEF - trasfuso nel provvedimento impugnato - secondo il quale “attesa anche la complessità e la rilevanza di un simile provvedimento, appare poco prudente e inopportuno sospendere, nelle more dell’approvazione dello stesso, la riscossione della misura minima del contributo integrativo” , evidenziando che laddove infatti “la riforma non dovesse entrare in vigore nei tempi auspicati, reiterando la medesima logica alla base del provvedimento in esame, si renderebbe necessaria una nuova delibera di sospensione del pagamento del contributo integrativo minimo, con ulteriore evidente peggioramento dell’equilibrio gestionale del relativo anno”.
4.4. Anche la tesi sostenuta in ricorso, secondo cui l’esenzione dal versamento del contributo integrativo minimo rappresenterebbe una mera “proroga di un provvedimento già in essere”, che sarebbe “sostenuta dalle medesime ragioni che ne fondavano l’originaria introduzione”, si appalesa infondata per diverse ragioni.
Sotto un primo profilo la circostanza che le Amministrazioni vigilanti abbiano in un primo tempo consentito l’adozione di una misura ad alto impatto finanziario quale è l’esenzione dal versamento del contributo integrativo minimo per il quinquennio 2017-2022, non può certo comportare che i medesimi Ministeri siano acriticamente tenuti, mercé una sorta di automatismo, ad approvare successive proroghe della misura ancorché fondate sulla medesima ratio , salvo lo svuotamento delle funzioni ad essi riservate dalla legge, rendendosi non solo necessaria, ma anzi indispensabile, un’accurata indagine sulla sussistenza di condizioni e presupposti.
Al riguardo, la valutazione sull’impatto finanziario deve essere condotta dai Ministeri vigilanti ex novo sulla base delle risultanze attuali relative all’annualità di riferimento non assumendo alcun rilievo elementi analizzati in relazione ad altre annualità e, in ogni caso, non più attuali.
Sotto un secondo profilo rilevano ostativamente le seguenti disposizioni di legge:
- l’art. 11, comma 3 della Legge 20 settembre 1980, n. 576 il quale stabilisce che “gli iscritti alla cassa sono annualmente tenuti a versare, per il titolo di cui al primo comma, un importo minimo risultante dalla applicazione della percentuale ad un volume d’affari pari a quindici volte il contributo minimo di cui all’articolo 10, secondo comma, dovuto per l’anno stesso” ;
- l’art. 21, comma 9 della Legge 31 dicembre 2012, n. 247, il quale stabilisce che “la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, con proprio regolamento, determina, […], i minimi contributivi dovuti nel caso di soggetti iscritti senza il raggiungimento di parametri reddituali, eventuali condizioni temporanee di esenzione o di diminuzione dei contributi per soggetti in particolari condizioni e l’eventuale applicazione del regime contributivo”.
Dal tenore letterale di tali disposizioni si evince:
a) che sarebbe illegittimo qualsiasi progetto di totale abolizione della contribuzione integrativa minima;
b) che sarebbe altrettanto illegittima qualsiasi previsione di sospensione o esonero o diminuzione della stessa, che non sia adeguatamente motivata da particolari e temporanee esigenze;
Se ne deve conclusivamente inferire che, a fortiori , ad analoga conclusione deve giungersi per l’eventuale susseguirsi di proroghe annuali le quali, ancorché asseritamente sostenibili o di scarso impatto strutturale, sarebbero tuttavia suscettibili di determinare il sostanziale effetto dell’abolizione della misura.
5. Con il secondo motivo di ricorso la Cassa ricorrente deduce che le medesime disposizioni risulterebbero violate dal momento che i rilievi formulati, senza prospettare alcuna violazione di legge o dello Statuto, denunciano l’inopportunità delle scelte previdenziali promosse dalla Cassa nell’ambito della autonomia gestionale ad essa riconosciuta in materia previdenziale, pertanto travalicando le funzioni di controllo attribuite ai Ministeri Vigilanti dal sistema delineato dagli artt. 2 e 3 del d. lgs. n. 509/1994, dall’art. 3, comma 12, della l. n. 335/1995 e dall’art. 24, comma 24, del d.l. n. 201/2011.
Sistema dal quale discende che le amministrazioni vigilanti chiamate ad esercitare il loro potere devono verificare, con le sole forme di controllo strettamente indicate dalle disposizioni, che il soggetto vigilato non assuma iniziative, in violazione della legge o della disciplina statuaria, tali da compromettere il perseguimento delle proprie finalità istituzionali;viceversa, in questo caso la limitazione dell’autonomia dell’Ente, concretizzatasi con il diniego di approvazione della delibera, non sarebbe motivata in forza di alcuna violazione ostativa al raggiungimento delle finalità cui è preposta la Cassa, bensì è fondata sull’inopportunità – rilevata dalle amministrazioni – delle misure deliberate dall’Ente, che tuttavia i Ministeri non potrebbero contestare, pena la violazione del vigente sistema previdenziale.
Per ciò solo la Nota impugnata sarebbe viziata da eccesso di potere nella figura dello sviamento, della contraddittorietà, dell’illogicità e dell’irragionevolezza: sarebbe evidente, ad avviso della ricorrente, che, nel concreto esercizio che ne hanno fatto i Ministeri resistenti, la potestà di vigilanza sulla Cassa si è tradotta in un illegittimo e non previsto strumento di etero-direzione della politica previdenziale che la legge riserva alla categoria dei professionisti assistiti dalla Cassa medesima;per i medesimi motivi gli atti impugnati sarebbero viziati per incompetenza, essendo assolutamente evidente che non spetta al Ministero profondersi in valutazioni concernenti le determinazioni previdenziali della ricorrente (e men che meno dotarle di effetto coercitivo).
6. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
Parte ricorrente, infatti, deduce l’esistenza di vizi relativi all’illegittimo esercizio del potere di vigilanza, che si traducono in sostanza nella erronea rilevazione, nell’atto approvativo della deliberazione dell’ente previdenziale privatizzato, di presunti profili di illegittimità idonei ad incidere sull’attività istituzionale di rilevanza pubblicistica da esso svolta, e per la tutela dei quali è attribuito alle autorità ministeriali il predetto potere di vigilanza.
In realtà la vigilanza ministeriale e l’intero sistema dei controlli amministrativi cui è soggetta la Cassa Forense, in dipendenza dell’inalterato carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza da essa svolta - pur dopo la sua trasformazione in fondazione con personalità giuridica di diritto privato -, devono perseguire il fine di assicurare la miglior gestione dell’Ente e la migliore erogazione delle prestazioni in favore degli iscritti, sicché costituiscono strumenti per evitare che l’esercizio non corretto dell’autonomia pregiudichi il raggiungimento dei fini istituzionali di rilievo pubblicistico.
In tale contesto, nel rispetto dell’autonomia delle Casse, le Amministrazioni vigilanti ben possono svolgere un’attività di vigilanza pregnante e diretta, ove necessario, ad orientare le scelte della Cassa onde assicurare l’equilibrio finanziario e la tutela di interessi primari.
D’altra parte, tutte le argomentazioni della ricorrente concernenti la lesione e compressione dell’autonomia della Cassa da parte dei Ministeri Vigilanti sono di fatto smentite dalla circostanza che gli stessi Ministeri hanno fin qui approvato - conformemente alle disposizioni di legge - temporanei esoneri e diminuzioni contributivi per particolari categorie di soggetti ben definite, come dimostra la stessa sospensione quinquennale di cui al vigente Regolamento di previdenza.
Il punto, però, è che la valutazione sull’impatto finanziario della nuova misura – come sopra già rilevato - deve essere condotta dai Ministeri vigilanti ex novo sulla base delle risultanze attuali relative all’annualità di riferimento, non assumendo alcun rilievo elementi analizzati in relazione ad altre annualità e, in ogni caso, non più attuali.
Il provvedimento dunque richiama a proprio fondamento l’art.3 comma 2, del d. lgs. n. 509/1994
(che stabilisce che “ La gestione economico-finanziaria deve assicurare l'equilibrio di bilancio mediante l'adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennale ”), avendo la Nota rilevato che il bilancio attuariale al 31 dicembre 2020 a normativa vigente, trasmesso ai fini della prevista verifica triennale di sostenibilità ai sensi del d. lgs. n. 509/1994, mostrava una situazione di squilibrio prospettico della gestione nel lungo periodo.
Nella nota si riporta altresì che “Il Ministero dell’economia evidenzia infine che «il provvedimento in esame determina effetti negativi sui saldi di finanza pubblica in termini di minori entrate contributive, considerato che gli enti nazionali di previdenza e assistenza, ancorché organizzati e operanti in regime di diritto privato, sono ricompresi nell’elenco delle Amministrazioni pubbliche (lista S13) definito dall’ISTAT»”; il che appare coerente con la considerazione che in seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione è divenuto compito diretto dello Stato - cui spetta fissare i limiti delle tutele, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. m) ed o), Cost. - garantire la copertura assicurativa e previdenziale all’intera popolazione e, dunque, anche alle categorie di professionisti iscritti alle Casse privatizzate.
Anche per detta ragione non si ravvisa, dunque, alcun eccesso di potere nell’attività di vigilanza posta in essere con i provvedimenti impugnati.
7. Conclusivamente, per i surriferiti motivi, il ricorso è infondato e va rigettato.
8. Le spese di giudizio possono essere compensate tra le parti in considerazione della peculiarità della questione trattata.