TAR Roma, sez. 3T, sentenza 2017-01-24, n. 201701250
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Pubblicato il 24/01/2017
N. 01250/2017 REG.PROV.COLL.
N. 00775/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 775 del 2013, proposto da:
M s.r.l., in persona del legale rappresentante
p.t.
, rappresentata e difesa dagli avv.ti A S D, prof. F S M e A C, elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Roma, piazza San Lorenzo in Lucina n. 26;
contro
GSE – Gestore dei servizi energetici s.p.a., in persona del legale rappresentante
p.t.
, rappresentata e difesa dagli avv.ti prof. A P, P R M, M A F e A P, elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Roma, via di Villa Sacchetti n. 11;
per l'annullamento
- del provvedimento del 12.10.2011 con cui il GSE ha respinto la domanda di qualifica di “impianto alimentato da fonti rinnovabili (IAFR)” per l’impianto eolico con potenza nominale media annua pari a 1,500 MW, denominato “Codaglia”, sito in località Codaglia nel Comune di Roseto Valfortore (Foggia) – IAFR 6245;
- del “Regolamento sui termini dei procedimenti di competenza del GSE”, mai pubblicato ed evidenziato solamente sul sito di GSE senza numero di protocollo, senza data e senza firma, con particolare riferimento all’art. 3, nella parte in cui prevede che il termine massimo di conclusione del procedimento “deve intendersi rispettato allorquando l’organo competente del GSE abbia adottato il provvedimento finale, anche se lo stesso non sia stato ancora comunicato” (co. 3);
- di ogni altro atto presupposto, pregresso o conseguente;
e per l’accertamento
che, “per mancato rispetto dei termini”, il provvedimento di riconoscimento della qualifica IAFR “è riconosciuto a favore della ricorrente”.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della parte intimata;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 16 dicembre 2016 il cons. M.A. di Nezza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso spedito per le notificazioni a mezzo del servizio postale il 9.1.2013 (dep. il 24.1) la società M, nel dedurre:
- di aver presentato, quale titolare di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica completato il 10.1.2011: a) al Comune di Roseto Valfortore, in data 19.4.2011, un’istanza di procedura abilitativa semplificata (p.a.s.) ai sensi degli artt. 5 e 6 d.lgs. n. 28/2011 per la realizzazione di interventi non sostanziali; b) al GSE, in data 31.5.2011, un’istanza di riconoscimento della qualifica IAFR;
- che il GSE, riscontrata quest’ultima domanda con comunicazione del 6.7.2011 (in cui si indicava, tra l’altro, che la domanda stessa si sarebbe dovuta considerare come accolta in assenza di provvedimenti espressi “entro 90 giorni dal ricevimento”), aveva poi trasmesso con nota del 14.11.2012, resa a seguito della richiesta di riconoscimento dei certificati verdi, il provvedimento del 12.10.2011 di reiezione della ridetta domanda di qualifica (provvedimento, a dire della ricorrente, recapitato a un indirizzo errato e dunque da essa in precedenza non conosciuto, analogamente a quanto accaduto per la richiesta di chiarimenti del 3.8.2011);
tanto esposto, ha chiesto l’annullamento del diniego (nonché, in parte qua e se occorrente, del presupposto “Regolamento” del GSE sui termini procedimentali), prospettando:
I) violazione dell’art. 4 d.m. 18.12.2008, laddove stabilisce che “la domanda si ritiene accolta in mancanza del pronunciamento del GSE entro novanta giorni dal ricevimento” : la ricorrente avrebbe ricevuto il diniego soltanto il 14.11.2012 e dunque ben oltre il termine di 90 giorni previsto dall’art. 4 d.m. 18.12.2008 per la formazione del silenzio assenso, termine entro il quale avrebbe dovuto esserle comunicato il provvedimento negativo alla luce dell’art. 2, co. 2, l. n. 241/90 (e anche ai sensi del successivo art. 21- bis l. n. 241/90, trattandosi di determinazione limitativa della sfera giuridica del destinatario);né potrebbe essere invocato il “Regolamento sui termini dei procedimenti di competenza del GSE”, in quanto atto non pubblicato (ma rinvenibile solo sul sito del Gestore) nonché privo di numero di protocollo, di data e di sottoscrizione e comunque illegittimo nella parte relativa all’identificazione, ai fini della verifica del rispetto dei termini, del momento dell’adozione e non di quello della comunicazione degli atti (art. 3);
II) incompetenza assoluta del Gse ad emettere il provvedimento impugnato sotto il profilo della pretesa di dichiarare inefficace o illegittimo un provvedimento in relazione al quale non ha alcuna competenza : il diniego violerebbe la sfera di attribuzioni di vigilanza sull’attività edilizia e urbanistica riservata ai comuni dagli artt. 27 ss. d.P.R. n. 380/2001, non emergendo dal d.m. 18.12.2008 il conferimento al Gestore di potestà di tal genere;l’obbligo di produzione dell’atto abilitativo da parte del richiedente, previsto da detto d.m. (art. 4), sarebbe in realtà preordinato esclusivamente alla verifica dell’esistenza del titolo edilizio e della sua riferibilità al richiedente (oltre che all’opera oggetto dell’istanza di qualifica);né il potere del Gestore di censurare titoli edilizi potrebbe esser rinvenuto nell’art. 42 d.lgs. n. 28/2011, alla luce della clausola di salvezza relativa alle competenze degli “enti locali” (co. 2) e dell’ambito delle stesse attribuzioni di “verifica” (da espletare attraverso il “controllo della documentazione trasmessa” o “a campione”;co. 1);sicché il GSE, nel sindacare il merito del titolo edilizio presentato dalla ricorrente, avrebbe posto in essere un atto nullo perché viziato da incompetenza assoluta;
III) violazione dell’art. 5, co. 3, d.lgs. n. 28/2011 : il diniego sarebbe comunque illegittimo perché il Gestore avrebbe erroneamente ritenuto (nella comunicazione del 3.8.2011) di qualificare come “non sostanziali” ai sensi dell’art. 5, co. 3, d.lgs. n. 28/2011 gli interventi realizzati “su impianti eolici esistenti ovverossia in esercizio”, mentre detta disposizione farebbe riferimento ai soli impianti “esistenti”, non anche a quelli “in esercizio”, in linea con l’intento (avuto di mira dall’intero d.lgs. n. 28/2011) di semplificare i procedimenti amministrativi strumentali alla produzione di energia da fonti rinnovabili e con la finalità di evitare l’effettuazione mediante semplice p.a.s. di modifiche sostanziali, quali eventuali ampliamenti o spostamenti della struttura, presupponenti l’esistenza dell’impianto ma non il suo funzionamento.
Si è costituito in resistenza il GSE.
Con ordinanza n. 314 del 25.1.2016 è stata respinta la domanda cautelare (presentata con atto spedito per le notificazioni il 10.12.2015, dep. il 23.12).
All’odierna udienza, in vista della quale le parti hanno depositato documenti e memorie, anche di replica, il giudizio è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Con il primo motivo la ricorrente assume che il diniego le sarebbe stato comunicato successivamente al decorso del termine per la formazione del silenzio assenso previsto dall’art. 4, co. 3, d.m. 18.12.2008, secondo cui “ In tutti i casi, la domanda si ritiene accolta in mancanza di pronunciamento del GSE entro novanta giorni dal ricevimento ”.
A dire del Gestore questa disposizione contemplerebbe un’ipotesi di inerzia qualificata non direttamente riconducibile allo schema dell’art. 20 l. n. 241/90 e dunque avente portata derogatoria di detta previsione (anche alla luce del co. 4, 1° per., sull’esclusione dei procedimenti riguardanti l’“ambiente”): in particolare, per la formazione del silenzio assenso l’art. 20 cit. richiederebbe la mancata comunicazione del diniego (il silenzio “equivale” ad accoglimento della domanda se l’amministrazione “non comunica all’interessato, nel termine di cui all’articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego […]”), mentre per l’art. 4, co. 3, d.m. cit. sarebbe sufficiente il mancato “pronunciamento” del Gestore, ciò in ossequio all’art. 3, co 3, del “Regolamento sui termini dei procedimenti di competenza del GSE”, secondo cui il termine massimo di conclusione “deve intendersi rispettato allorquando l’organo competente del GSE abbia adottato il provvedimento finale, anche se lo stesso non sia stato ancora comunicato”. Sicché, con riferimento al caso in esame: i) il termine di 90 giorni sarebbe stato pienamente rispettato, tenuto conto delle date dell’istanza (ricevuta dal Gestore il 31.5.2011), del preavviso di diniego (3.8.2011), tempestivo rispetto all’istanza stessa, nonché del diniego (12.10.2011), parimenti adottato entro i 90 giorni dal preavviso, mentre non rileverebbe il momento della comunicazione di tali provvedimenti (non essendo applicabile l’art. 21- bis l. n. 241/90, concernente soltanto l’efficacia nei confronti del destinatario ma non l’esistenza o la validità dei provvedimenti stessi); ii) preavviso e diniego sarebbero stati comunque ricevuti dalla società ricorrente, rispettivamente, il 10.8 e il 19.11.2011 (come desumibile, per l’appunto, dall’avvenuta consegna e dal fatto che l’indirizzo di spedizione coinciderebbe sia con la precedente sede della stessa ricorrente sia con la sede legale di Telmo s.p.a., azionista unico di M s.r.l.).
Le argomentazioni del Gestore non sono condivisibili, dovendo al contrario essere riconosciuta la correttezza della prospettazione della società istante, previa precisazione che l’erroneità del rilievo posto a base del diniego (come si dirà) esclude l’applicabilità dell’orientamento espresso dalla Sezione su analoga questione (silenzio assenso a seguito di domanda di qualifica IAFR ex d.m. 18.12.2008;v. sent. 7 luglio 2016, n. 7779, secondo cui tale meccanismo può operare solo se sussistano, tra l’altro, “tutte le condizioni, i requisiti e i presupposti richiesti dalla legge”, ossia gli “elementi costitutivi della fattispecie di cui si deduce l’avvenuto perfezionamento”, con la conseguenza che il silenzio assenso “non si forma nel caso in cui la fattispecie rappresentata non sia conforme a quella normativamente prevista”).
1.1. Nonostante le specifiche contestazioni della ricorrente sul “Regolamento”, il Gestore non ha offerto alcun elemento dal quale evincere la portata non meramente interna dell’atto, non risultando tuttora noto da quale organo e in che data esso sia stato approvato;ciò che – limitatamente alla presente fattispecie e con riferimento all’art. 3, co. 3, cit. (disposizione che sancisce l’irrilevanza della comunicazione del provvedimento ai fini del rispetto del termine finale) – impedisce di ravvisarne la portata precettiva.
E anche a voler ipotizzare la natura sostanzialmente normativa del Regolamento, costituente sviluppo dell’art. 2 l. n. 241/90 (cfr. art. 2, co. 1, Regol. cit., all. 8 res.), anziché di mera circolare interpretativa (“atto interno finalizzato ad indirizzare uniformemente l’azione degli organi amministrativi, privo di effetti esterni”;v. da ultimo Cons. Stato, sez. III, 26 ottobre 2016, n. 4478), l’art. 3, co. 3, sarebbe comunque illegittimo – e andrebbe pertanto disapplicato (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 8 febbraio 2016, n. 475) – con riferimento all’ipotesi di silenzio assenso oggi in rilievo, poiché esso si porrebbe in contrasto con il ridetto art. 20 l. n. 241/90, disposizione che, come si è visto, collega il mancato perfezionamento del provvedimento tacito alla comunicazione e non alla semplice adozione dell’atto esplicito.
Non è cioè ammissibile che il Gestore, a differenza di ogni altro soggetto tenuto ad applicare la l. n. 241/90 – e in assenza di deduzioni che permettano di ravvisare peculiarità sotto questo profilo (cfr. art. 29, commi 1 e 2- ter , l. n. 241/90, in cui si chiarisce che le disposizioni della legge stessa “si applicano, altresì, alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative”, e che le previsioni sul silenzio assenso attengono ai “livelli essenziali delle prestazioni” ex art. 117, 2° co., lett. m , Cost.) –, possa impedire l’operatività di norme di favore per i soggetti interessati, quali quelle contemplanti fattispecie di silenzio assenso, trincerandosi dietro la tempestività dell’adozione del diniego e indipendentemente dalle modalità di comunicazione dell’atto agli interessati stessi, poiché ciò contrasterebbe proprio con le finalità del peculiare meccanismo procedurale in questione.
L’art. 4, co. 3, d.m. 18.12.2008 va interpretato alla stregua di quanto innanzi osservato, dovendosi ritenere che il “pronunciamento” del Gestore preclusivo (qualora assunto nei termini previsti) della formazione del silenzio assenso sulle istanze di qualifica IAFR includa necessariamente anche la comunicazione del provvedimento.
La disposizione va cioè letta conformemente allo schema generale divisato dall’art. 20 l. n. 241/90, la cui portata operativa non è esclusa dalla pretesa riferibilità del procedimento alla materia ambientale: le inerenti esigenze di tutela sono infatti già prese in considerazione in sede di emanazione dei provvedimenti generali disciplinanti gli specifici regimi incentivanti (come reso chiaro dal concerto del Ministro di settore previsto per l’emanazione di tali atti;v., nella specie, l’art. 2, co. 150, l. n. 244/2007, norma di provvista del d.m. 18.12.2008), più che in ogni specifico procedimento di qualificazione IAFR, per il cui avvio è necessario che il richiedente sia già in possesso del titolo abilitante alla realizzazione dell’impianto (art. 4, co. 2) e nel cui ambito non è previsto l’intervento di amministrazioni preposte, per l’appunto, alla tutela ambientale.
È appena il caso di rilevare, infine, che non è direttamente applicabile alla fattispecie in esame l’art. 21- bis l. n. 241/90 (“Il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso […]”), atteso che il diniego espresso sull’istanza di qualifica IAFR, più che limitare, impedisce l’ampliamento della “sfera giuridica” del produttore (le superiori considerazioni consentono tuttavia di prescindere dall’indagine, suggerita dalle prospettazioni della società istante, sull’esistenza di un principio generale di recettizietà dei provvedimenti amministrativi).
1.2. Venendo alla tempistica del procedimento avviato dalla ricorrente, si può notare come il diniego sia stato comunicato quando il provvedimento di accoglimento tacito era ormai intervenuto.
È incontroverso, infatti, che il preavviso di diniego del 3.8.2011 (atto idoneo a interrompere il decorso dei 90 giorni) non è stato recapitato alla stessa ricorrente in quanto inoltrato a un indirizzo diverso da quello dove essa aveva la sua sede legale (e al quale il Gestore aveva, peraltro, correttamente inviato la comunicazione di avvio del procedimento del 6.7.2011), con la conseguenza che non può operare la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 cod. civ..
Né gli elementi addotti in giudizio dal Gestore sono idonei a dar conto del perfezionamento della comunicazione: la circostanza che al recapito indicato nelle note in questione si trovasse la precedente sede legale della società ricorrente e la sede legale dell’azionista totalitario non evidenzia infatti alcun legame tra questo stesso recapito e la sede della ricorrente ex art. 46 cod. civ..
Del resto, è il GSE ad affermare negli atti difensivi (laddove assume che la questione della comunicazione non rivestirebbe “carattere di particolare rilievo nell’economia delle censure”) che la ricorrente “ha comunque potuto censurare i provvedimenti del GSE” (v. pag. 23 mem. 15.11.16), con ciò implicitamente recedendo dalla proposizione di un’eccezione di tardività dell’impugnazione.
1.3. Da quanto sin qui osservato segue che il diniego è stato comunicato quando il termine per la formazione del silenzio assenso era già spirato e dunque in un momento in cui il GSE non era più titolare del relativo potere (ferme restando, ovviamente, eventuali attribuzioni di autotutela, peraltro in concreto non esercitate), sicché la doglianza in esame è fondata e va accolta.
2. Gli altri motivi attengono al nucleo della determinazione di reiezione.
Il diniego è così motivato (v. provv. 3.8.2011, richiamato dal provv. 12.10.11): “ Ai sensi dell’art. 5 comma 3 del d.lgs. 28/2011, non sono considerati sostanziali e sono sottoposti alla disciplina della Procedura abilitativa semplificata, di cui all’art. 6 del medesimo decreto (di seguito PAS), gli interventi da realizzare su impianti eolici esistenti ovverosia in esercizio. Ne deriva che per l’intervento in oggetto la PAS non costituisce titolo autorizzativo alla costruzione e all’esercizio ”.
3. La ricorrente deduce, con il secondo motivo, che il Gestore avrebbe esorbitato dalle sue competenze, essendosi spinto ad apprezzare la validità del titolo edilizio posto a base dell’intervento.
La censura è infondata.
Questa Sezione ha già affermato, muovendo dagli artt. 42 d.lgs. n. 28/2011 e 18 d.m. 18.12.2008, che il Gestore ha il “potere-dovere di verificare l’attendibilità dei dati forniti dal richiedente gli incentivi, potendo a tal fine disporre verifiche e controlli sugli impianti in esercizio o in costruzione” (v. da ultimo sent. 6 luglio 2016, n. 7777, e giurispr. ivi richiamata, tra cui, in particolare, sentt. 4 marzo 2014, n. 2462, e 12 settembre 2013, n. 8250;v. anche sent. 9 luglio 2015, n. 9269).
L’art. 4, co. 2, lett. c) , d.m. cit. precisa che alla domanda di qualifica IAFR deve essere allegata, tra l’altro, copia del titolo autorizzativo (autorizzazione unica ovvero d.i.a. o altre comunicazioni necessarie), sicché può ritenersi che lo scrutinio sulla sussistenza del titolo rientri nei compiti di controllo del Gestore.
Nel caso di specie la ricorrente deduce di avere legittimamente agito in forza di p.a.s., mentre il Gestore contesta l’idoneità di questo titolo, con la conseguenza che la verifica in contestazione è stata effettivamente volta ad accertare la “sussistenza dell’idoneo titolo abilitativo e di tutti i parametri per poterlo considerare utile ed efficace ai soli fini del rilascio della qualifica IAFR” (mem. GSE 15.11.16, pag. 11).
4. Con il terzo motivo la società istante sostiene che il GSE avrebbe errato nel ritenere l’art. 5, co. 3, cit., applicabile agli impianti già “in esercizio” e non anche a quelli soltanto “esistenti” pur se non ancora funzionanti
La doglianza è meritevole di accoglimento.
4.1. Giova rinviare, a titolo di premessa, all’indirizzo della Sezione sul regime amministrativo per la realizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, delineato dagli artt. 5 (autorizzazione unica, in breve a.u., ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003) e 6 (procedura abilitativa semplificata, in breve p.a.s., e comunicazione) del d.lgs. n. 28/2011 (v. sent. n. 9269/15 cit., in cui è richiamata anche Cons. Stato, sez. IV, 12 febbraio 2015, n. 745, sulla specialità della disciplina in esame);in particolare:
- l’art. 5, co. 1, richiede l’a.u. per “la costruzione e l’esercizio” di detti impianti, oltre che delle “opere connesse” e delle “infrastrutture indispensabili” alla costruzione e all’esercizio, nonché per le “ modifiche sostanziali ” degli stessi, rinviando alle “modalità procedimentali” e alle “condizioni” previste: i) dal d.lgs. n. 387/03; ii) dalle “Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili” (di seguito, Linee guida) approvate con il d.m. 10.9.2010 (si tratta delle “linee guida” adottate ai sensi dell’art. 12, co. 10, d.lgs. n. 387/03 cit.); iii) “dalle relative disposizioni delle Regioni e delle Province autonome”;
- l’art. 6 concerne la p.a.s. (commi da 1 a 10), procedimento applicabile alla “costruzione ed esercizio” degli impianti di cui ai parr. 11 e 12 Linee guida (operanti una distinzione tra gli interventi soggetti a d.i.a. e quelli di “edilizia libera”);
- quanto alle “ modifiche ”, queste si distinguono in “ sostanziali ”, necessitanti di a.u., e “ non sostanziali ” (v. art. 5, commi 1 e 3);
- l’art. 5, co. 3, non definisce tali nozioni, ma ne demanda l’individuazione “per ciascuna tipologia di impianto e di fonte” a un d.m. (del Ministro dello sviluppo economico, di concerto col Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa con la Conferenza unificata);la disposizione reca peraltro alcune prescrizioni puntuali, tra cui quella, consistente in una presunzione temporanea di “non sostanzialità”, secondo cui fino all’emanazione dell’anzidetto d.m. sono considerati “ non sostanziali ”, e dunque assoggettabili al regime semplificato della p.a.s., “ gli interventi da realizzare sugli impianti fotovoltaici, idroelettrici ed eolici esistenti , a prescindere dalla potenza nominale, che non comportano variazioni delle dimensioni fisiche degli apparecchi, della volumetria delle strutture e dell’area destinata ad ospitare gli impianti stessi, né delle opere connesse” (enf. agg.;la norma fa altresì salve, ove previste, le procedure di verifica di assoggettabilità e v.i.a. di cui al d.lgs. n. 152/2006).
4.2. La questione oggi controversa attiene al perimetro di questa presunzione.
Nel corso del giudizio il Gestore ha chiarito che essa potrebbe operare solo per gli impianti “in esercizio”, essendo tale conclusione desumibile dal riferimento alle “opere connesse” riportato nel co. 3 in esame (mem. 15.11.16).
La nozione di impianto “esistente” presupporrebbe cioè l’avvenuta realizzazione di dette opere, siccome definite dalle citate Linee guida (ai fini dell’applicazione dell’art. 12, commi 1 e 3, d.lgs. n. 387/03;v. par. 3.1;si tratta dei servizi ausiliari di impianto e delle “opere necessarie alla connessione alla rete elettrica, specificamente indicate nel preventivo per la connessione, ovvero nella soluzione tecnica minima generale, redatti dal gestore della rete elettrica nazionale o di distribuzione ed esplicitamente accettati dal proponente”);inoltre, il ridetto co. 3 avrebbe ripreso il par. 11.5 Linee guida (“Sono soggette a DIA le opere di rifacimento realizzate sugli impianti fotovoltaici ed eolici esistenti che non comportano variazioni delle dimensioni fisiche degli apparecchi, della volumetria delle strutture e dell’area destinata ad ospitare gli impianti stessi, né delle opere connesse”), mentre il d.m. 18.12.2008 avrebbe inteso riferirsi agli impianti già entrati in esercizio (all. A, parr. 1.1.2, 2.1.2, 3.1.2 e 4.1.2).
Secondo il Gestore, dunque, “affinché un impianto possa dirsi ‘esistente’ […] non è affatto sufficiente che siano terminati i lavori di realizzazione delle opere civili ed edilizie, dovendo per converso essere ultimate anche ‘le opere necessarie alla connessione alla rete elettrica’. In altri termini, la nozione di ‘impianto esistente’ coincide con quella di impianto realizzato (in tutte le sue componenti, civili ed elettriche) e connesso alla rete (quindi idoneo al funzionamento ossia, sostanzialmente, un impianto in esercizio)”.
Nel caso in esame, la comunicazione di fine lavori del 10.1.2011 avrebbe riguardato esclusivamente la realizzazione delle opere civili di “installazione torre eolica” (di cui all’originaria d.i.a.), ma non le “opere connesse”, non ancora realizzate a quella data (la “soluzione tecnica minima” sarebbe stata inoltrata il 6.7.2011, con produzione di energia dal 7.12.2011);sicché la modifica apportata dalla ricorrente, volta all’aumento della potenza installata di un impianto “non esistente”, avrebbe dovuto essere assentita con a.u. e non con semplice p.a.s..
Con queste deduzioni il Gestore mostra di avere introdotto una rilevante correzione della motivazione del diniego.
Rispetto alla gravata determinazione, che lega la nozione di esistenza dell’impianto a quella di sua entrata in esercizio (“impianti eolici esistenti ovverosia in esercizio”), il Gestore sviluppa oggi una diversa linea argomentativa, sostenendo cioè che l’impianto è “esistente” quando sono realizzate anche le “opere necessarie alla connessione alla rete elettrica”, indipendentemente dall’effettiva entrata in esercizio, e che solo in questo caso (completamento anche delle “opere connesse”) la modifica sarebbe assentibile attraverso p.a.s..
Il ragionamento del GSE, allorquando assume che l’impianto esistente sarebbe non solo quello “realizzato (in tutte le sue componenti, civili ed elettriche)”, ma anche quello “connesso alla rete (quindi idoneo al funzionamento ossia, sostanzialmente, un impianto in esercizio)”, sembra però viziato da un salto logico, posto che l’“idoneità” al funzionamento è situazione distinta dall’effettiva entrata in esercizio.
Sicché, tornando alla motivazione del diniego (impianti “esistenti ovverosia in esercizio”), l’art. 5, co. 3, d.lgs. n. 28/2011 non richiede che gli impianti “esistenti” debbano anche essere in esercizio.
Né, come giustamente osservato dalla ricorrente, si percepisce la ratio di una regola che in ipotesi collegasse la possibilità di apportare modifiche attraverso un regime autorizzatorio semplificato (p.a.s.) alla circostanza, esulante da aspetti realizzativi, dell’attualità del funzionamento dell’impianto.
Da quanto detto segue la correttezza della censura avanzata con il ricorso e la conseguente illegittimità del diniego, nel quale non sono prese in considerazione le effettive modifiche oggetto di p.a.s. al fine di individuarne l’eventuale “sostanzialità”.
Mentre le ulteriori considerazioni del Gestore sull’asserita assenza delle “opere di connessione alla rete” (“opere connesse” ex art. 5, co. 3, d.lgs. cit.) al momento della conclusione dei lavori (10.1.2011) – circostanza peraltro contestata dalla ricorrente (v. mem. di replica dep. 25.11.16) –, non sono scrutinabili poiché costituiscono inammissibile integrazione postuma della motivazione del provvedimento impugnato.
5. In conclusione, il ricorso è fondato e va accolto. Il diniego del 12.10.2011 dev’essere di conseguenza annullato.
La novità delle questioni consente di ravvisare i presupposti per la compensazione delle spese di lite.