TAR Napoli, sez. V, sentenza 2023-08-07, n. 202304764

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. V, sentenza 2023-08-07, n. 202304764
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202304764
Data del deposito : 7 agosto 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/08/2023

N. 04764/2023 REG.PROV.COLL.

N. 01439/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1439 del 2021, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato P N, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

U.T.G. - Prefettura di Napoli, Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via Diaz 11;

nei confronti

-OMISSIS- non costituita in giudizio;

per l'annullamento:

- del provvedimento Area I quater - Osp Polizia Amministrativa del 22.12.2020, Prot. Uscita n. 0365089/2006/Area 1 Bis, con il quale veniva decretato il respingimento dell'Istanza di rinnovo della licenza di porto d'arma corta per difesa personale formulata dal ricorrente (doc. 1).

- di ogni altro atto, presupposto o consequenziali, noto o ignoto al ricorrente, in particolare:

- la nota del 25 novembre 2014 e la successiva circolare numero 557 /pass /017256 /10089. DGG (21) in data 14 novembre 2016 del Ministero dell'interno (doc. 2);

- il regolamento del Questore di Napoli del 23 settembre 2015 – regolamento dei servizi di vigilanza delle guardie particolari zoofile NOGRA (doc. 3).

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’U.T.G. - Prefettura di Napoli e del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 luglio 2023 il dott. Fabio Maffei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- L’odierno ricorrente ha domandato l'annullamento del decreto emesso dalla Prefettura di Napoli il 22.12.2020 e notificatogli in data 8.1.2021, con cui è stata rigettata l'istanza volta ad ottenere il rinnovo del porto di pistola per difesa personale in relazione al servizio di prevenzione e repressione delle infrazioni delle leggi e dei regolamenti generali e locali, relativi alla protezione degli animali e alla difesa del patrimonio zootecnico.

A sostegno del ricorso deduce in punto di fatto:

- di essere titolare dall’anno 2015 del decreto di nomina di guardia zoofila per l'espletamento di attività di vigilanza e di essere dirigente regionale dell'Associazione volontariato protezione ambientale Guardia Rurale Ausiliaria;

- di aver presentato domanda volta ad ottenere il rinnovo del porto di pistola per difesa personale (ultimo rinnovo anno 2018);

- che la Prefettura di Napoli gli aveva notificato l'avviso di diniego dell'istanza presentata, con invito a produrre documenti e scritti difensivi ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241/90;

- di aver prodotto scritti difensivi corredati da puntuali riferimenti giurisprudenziali favorevoli all'accoglimento dell'istanza nonché dalla documentazione attestante la perdurante ed attuale esposizione ad una situazione di pericolo per la sua incolumità personale, a causa dello svolgimento delle attività, anche di indagine su delega delle preposte autorità, connesse alla sua funzione di guardia zoofile;

- che, nonostante le deduzioni fornite, la Prefettura di Napoli aveva adottato il gravato decreto di rigetto della domanda di rinnovo del rilascio di porto di pistola per difesa personale, poiché, a suo avviso, non era stato comprovato il requisito relativo alla necessità dell'uso dell'arma.

Il ricorrente ha lamentato l'illegittimità del gravato diniego sotto i seguenti profili:

- violazione dell'art.6 della legge n. 189/2004, dell'art. 5 del D.P.R. 31/03/1979, dell'art. 37, co. 3, 1. n. 157/1992, degli artt. 55, 57, co. 3, c.p.p., dell'art. 3 I. n. 241/1990, degli artt. 11 e 42 R.D. n. 773/1931 (T.U.L.P.S.) e degli artt. 381, commi 1 e 4, c.p.p., 52, 53, 544 quinquies c.p.;

eccesso di potere per omessa istruttoria, erronea ponderazione degli interessi, insufficienza della motivazione e contraddittorietà;

eccesso di potere per omessa ponderazione degli interessi contrapposti.

eccesso di potere per manifesta disparità di trattamento, irragionevolezza, manifesta perplessità;

eccesso di potere nella figura sintomatica dello sviamento dalla causa tipica

incompetenza.

Nel dettaglio, ha in sintesi sostenuto che l'Amministrazione, nel rigettare l’istanza di rinnovo del porto di pistola per difesa personale, avrebbe omesso di considerare come il ricorrente fosse pacificamente titolare della suddetta licenza da molti anni, circostanza, quest'ultima, che avrebbe imposto una motivazione rafforzata di cui, tuttavia, nel provvedimento impugnato non vi sarebbe stata traccia.

L'autorità prefettizia avrebbe inoltre omesso di considerare che le guardie zoofile nell'esercizio di determinate funzioni rivestono la qualifica di agenti di Polizia Giudiziaria con i compiti e le funzioni di cui agli artt. 55 e 57 c.p.p. e non avrebbe tenuto in debito conto le attività svolte dagli appartenenti all'associazione da lui rappresentata, così come descritte puntualmente nelle controdeduzioni alla comunicazione del preavviso di rigetto, e quindi del “dimostrato bisogno" del porto d'arma per difesa personale.

Si è costituito in giudizio il Ministero dell'Interno per resistere al ricorso e chiederne il rigetto.

All'udienza pubblica del 4 luglio 2023 la causa veniva introitata per la decisione.

2.- Va preliminarmente disattesa l'istanza di rinvio formulata dalla difesa di parte ricorrente in data 6 luglio 2023 (cfr. deposito in atti).

L'istanza è stata depositata, e comunque acquisita al fascicolo, da parte ricorrente, che non si è avvalsa della facoltà di depositare memorie scritte in vista dell'udienza di merito, successivamente al passaggio in decisione della causa, all'esito della pubblica udienza del 4 luglio 2023, e della stessa non può dunque tenersi conto;
peraltro, la stessa fa riferimento ad un impedimento del difensore (per motivi di salute) successivo alla data dell'udienza (4 luglio 2023), più che tempestivamente comunicata (fin dal 27 gennaio 2023) al difensore medesimo con apposito avviso di segreteria. Il difensore, come detto, alcuna difesa scritta ha svolto nei termini di cui al codice di procedura amministrativa senza, per tale periodo, addurre alcun impedimento.

3.- Passando al merito, il ricorso è infondato non potendo trovare accoglimento nessuna delle articolate doglianze, da esaminarsi congiuntamente in quanto ispirate dalla medesima finalità censoria.

3.1.- Giova premettere che il T.U.L.P.S., nel disciplinare il rilascio della "licenza di porto d'armi", mira a salvaguardare la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica.

Come ha rilevato la Corte Costituzionale (con la sentenza 16 dicembre 1993, n. 440, § 7, che ha ribadito quanto già affermato con la precedente sentenza n. 24 del 1981), il potere di rilasciare le licenze per porto d'armi "costituisce una deroga al divieto sancito dall'art. 699 del codice penale e dall'art. 4, primo comma, della legge n. 110 del 1975": "il porto d'armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, eccezione al normale divieto di portare le armi".

Regola generale è, infatti, quella del divieto di detenzione delle armi e l'autorizzazione di polizia è suscettibile di rimuoverlo in via di eccezione, in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell'Autorità di pubblica sicurezza prevenire.

Ciò comporta che - oltre alle disposizioni specifiche previste dagli articoli 11, 39, 42 e 43 del testo unico n. 773 del 1931 - rilevano i principi generali del diritto pubblico in ordine al rilascio dei provvedimenti discrezionali.

Pertanto, l'autorizzazione al possesso e al porto delle armi non integra un diritto all'arma, ma costituisce di norma il frutto di una valutazione discrezionale, nella quale confluiscono sia la mancanza di requisiti negativi, sia la sussistenza di specifiche ragioni positive.

3.2.- Tanto premesso, si evidenzia, dunque, che quanto rappresentato dal ricorrente in ordine ad un asserito diritto al porto d'armi in ipotesi di richiesta di rinnovo si appalesa errato, né può ritenersi che i precedenti rilasci abbiano determinato un legittimo affidamento in ordine ai successivi rinnovi.

Ed invero, in generale, ai fini del rilascio del porto d'armi, occorre in primo luogo che non ricorra il pericolo di abuso delle armi, ai sensi del combinato disposto dell'art. 11 e 43 del T.U.L.P.S..

Peraltro, laddove sia richiesta licenza per porto di pistola per uso di difesa personale, come nella specie, oltre ai requisiti di affidabilità e di buona condotta, stante la sopra indicata eccezionalità dell'autorizzazione all'uso delle armi, in deroga al generale divieto, occorre che l'autorità competente ritenga sussistente il dimostrato bisogno dell'arma ex art. 42 del T.U.L.P.S. (ex multis, Cons. Stato, Sez. III, 07/08/2018, n. 4862).

Infatti, in materia di autorizzazione di polizia al porto d'armi, mentre per le armi lunghe da fuoco la relativa licenza è rilasciata a discrezione del Questore a chi non abbia determinati precedenti penali o abbia buona condotta, la licenza per le armi corte (rivoltelle o pistole) è di competenza del Prefetto, il quale deve verificare, come ulteriore requisito, che il richiedente ne abbia un dimostrato bisogno, secondo quanto previsto dall'art. 42 R.D. 18 giugno 1931 n. 773 (TULPS) (T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. II, 21/03/2017, n. 503;
in senso analogo, Cons. Stato, Sez. III, 10/01/2014, n. 60, secondo cui "Il rilascio (o il rinnovo) della licenza a portare le armi non costituisce una mera autorizzazione di polizia che rimuove il limite ad una situazione giuridica soggettiva, la quale già fa parte della sfera del privato, ma assume contenuto permissivo in deroga al generale divieto di portare armi sancito dall'art. 699 c.p. e dall'art. 4, co. 1, della legge n. 110 del 1975. Inoltre, l'art. 42 RD 773/1931 (TULPS) stabilisce un regime differenziato a seconda che l'autorizzazione venga richiesta per portare armi lunghe da sparo, ovvero armi corte (pistole o rivoltelle);
intuitivamente il legislatore considera più pericolose le seconde che le prime: per le armi lunghe, la licenza è di competenza del Questore, per quelle corte del Prefetto, e solo per le seconde occorre una specifica valutazione del "dimostrato bisogno").

Di conseguenza, "Il potere di concedere l'autorizzazione al porto di pistola a privati cittadini da parte del Prefetto, di cui all'art. 42 del R.D. n. 773/1931, è esercitabile in ipotesi eccezionali, solo in caso di dimostrato bisogno, la cui sussistenza va provata dal richiedente e deve essere tale da giustificare la deroga al principio generale dell'ordinamento, di cui all'art. 1 del R.D. n. 773/1931, secondo cui la tutela dell'incolumità dei cittadini è affidata alle forze di polizia, onde i cittadini devono essere, di norma, disarmati” (T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, 09/03/2020, n. 196).

Ciò posto, la Sezione condivide il prevalente orientamento giurisprudenziale secondo il quale "Non esiste nell'ordinamento un diritto soggettivo ad avere la licenza di porto d’armi, ma solo la possibilità per la Pubblica amministrazione di concederla e il precedente rilascio del titolo non legittima una pretesa o aspettativa riguardo al rinnovo rispetto al quale l'Amministrazione fruisce di ampia discrezionalità. L'arma per difesa personale deve essere una necessità reale e non un'opzione personale per situazioni meramente ipotetiche;
quando l'art. 42 comma 3, t.u.l.p.s. concede all'autorità la facoltà di autorizzare il porto d'armi, il presupposto cogente è il "dimostrato bisogno" per poter beneficiare di un'eccezione" (ex multis, T.A.R. Toscana, sez. II, 03/06/2016, n. 935).

Inoltre, secondo la giurisprudenza, ai sensi dell'art. 42 del R.D. n. 773/1931, il presupposto, ai fini del rilascio della licenza per porto di pistola per uso difesa personale, dell'esistenza del "dimostrato bisogno" dell'arma, lungi dal poter essere desunto dalla tipologia di attività o professione svolta dal richiedente, deve riposare su specifiche e attuali circostanze, non risalenti nel tempo, che il Prefetto ritenga integratrici della necessità in concreto del porto di pistola ed, inoltre, non può essere provato neppure sulla base della mera appartenenza ad una determinata categoria professionale o dello svolgimento di una determinata attività economica, così come non può ricavarsi dalla pluralità e consistenza degli interessi patrimoniali del richiedente, o dalla conseguente necessità di movimentare rilevanti somme di denaro (Cons. Stato, Sez. III, 11/09/2019, n. 6139;
Cons. Stato, Sez. III, 10/04/2019, n. 2359;
T.A.R. Campania - Salerno, Sez. I, 16/11/2018, n. 1663).

Ne deriva che, "nel valutare le istanze finalizzate al rilascio o al rinnovo della licenza di porto d'arma, è riconosciuta all'autorità di P.S. ampia discrezionalità poiché l'espansione della sfera di libertà del privato recede innanzi al bene della sicurezza collettiva, sicché il provvedimento con il quale il Prefetto ritiene insufficienti le condizioni per il rilascio è sindacabile in sede giurisdizionale solo sotto i profili della manifesta illogicità e del palese travisamento dei fatti, anche considerato che il dimostrato bisogno del porto d'armi deve integrare una eccezionale necessità di autodifesa, non altrimenti surrogabile con altri rimedi, in quanto costituisce una deroga al divieto sancito dall'art. 699 del codice penale e dall'art. 4, comma 1, della Legge n. 110 del 1975 (T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, 30/06/2016, n. 222).

Il rilascio del titolo di porto d'armi, come deroga al divieto di portare armi, non genera, dunque, diritti, né legittimi affidamenti sul rinnovo in perpetuo, ma soggiace a un controllo assiduo e continuo, assai penetrante, che si dispiega normalmente proprio all'atto del periodico rinnovo e che abilita l'Amministrazione a valutare non solo l'uso (o non abuso) del titolo o il permanere attuale di tutti i requisiti e le condizioni che avevano condotto all'autorizzazione, ma anche ad operare una riconsiderazione discrezionale sulla stessa opportunità del permanere del titolo autorizzatorio, e ciò eventualmente anche alla luce di mutati indirizzi in materia di sicurezza pubblica. In altri termini, l'Autorità di pubblica sicurezza può legittimamente denegare il rinnovo del porto d'arma non solo per la sopravvenuta carenza dei presupposti e dei requisiti di legge, ma anche per un legittimo ripensamento e per una nuova discrezionale valutazione della convenienza e opportunità della scelta originariamente compiuta, anche alla luce di mutati indirizzi di gestione degli interessi generali di settore (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 11 maggio 2009, n. 2522;
Cons. Stato, Sez. III, 30/01/2019, n. 757, secondo cui "Ogni volta che si riesamina una istanza di rinnovo di permesso di pistola, il Ministero dell'Interno formula una attuale valutazione degli interessi pubblici e privati coinvolti e tiene conto delle esigenze attuali della salvaguardia dell'ordine pubblico. In altri termini, le esigenze proprie del momento in cui è stato disposto il rilascio possono essere diverse da quelle successivamente palesatesi e se gli organi del Ministero dell'Interno ritengono di valutare con maggior rigore le istanze (senza attribuire rilievo alla mera appartenenza ad una 'categoria'), si tratta di una valutazione di merito, insindacabile dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità, fermo restando che l'interessato può dolersi delle eventuali disparità di trattamento che si commettano in concreto").

In forza delle sopra riportate argomentazioni, poiché l'ordinamento è caratterizzato da un rigoroso sistema di controlli volti, in sostanza, a ridurre al minimo il possesso e la circolazione delle armi ed i rischi connessi, legittimo deve ritenersi il diniego di rinnovo del porto d'armi per difesa personale, laddove lo stesso richiami, come nell'ipotesi di specie, i criteri generali che presiedono al rilascio del porto d'armi per uso difesa personale, ai fini del perseguimento dell'uniformità di applicazione dei mutati indirizzi di gestione degli interessi generali di settore;
vieppiù ove detti indirizzi siano esplicitamente riferiti, come nella specie, allo svolgimento dell'attività di guardia particolare giurata dell'ENPA in conformità al Regolamento dei servizi di vigilanza delle Guardie Particolari Giurate Zoofile, adottato dall'ENPA sulla base della nota del 25 novembre 2014 e successiva circolare n. 557/PAS/017256/10089.DGG(21) del 14 novembre 2016, con le quali il Ministero dell'Interno ha fornito indicazioni in merito alle richieste di approvazione del regolamento di servizio, ai sensi dell'art. 2 del R.D.L. 26 settembre 1935, n. 1952, convertito in legge 19 marzo 1936 n. 508, ed approvato in data 14.10.2016 dal Questore della Provincia di Napoli, il cui art. 4 prevede, per i servizi di vigilanza zoofila, unicamente personale disarmato, fondando la propria ratio sul complessivo impianto normativo del Regolamento, con particolare riguardo alle modalità di espletamento dei servizi, come congruamente ritenuto dalla Prefettura con il provvedimento di riesame.

Al riguardo, osserva il Collegio che l'art. 2 del Regolamento de quo, come correttamente osservato nel provvedimento di riesame, prevede quale requisito per l'ammissione in servizio la frequenza di un corso di 48 ore, finalizzato alla conoscenza delle prescrizioni, delle cautele e delle tecniche operative per l'esecuzione dei singoli servizi di vigilanza zoofila e l'articolazione del corso in lezioni teoriche e pratiche, senza prevedere, in alcun modo, una formazione specifica sull'uso legittimo delle armi, né, tantomeno, una formazione tecnico-operativa sull'utilizzo delle stesse, in contesti ad elevato rischio per l'incolumità degli operatori e di terzi. Il nesso logico della norma appare evidente al successivo art. 4, lettera c), del cennato Regolamento, nella parte in cui è previsto che le guardie giurate zoofile volontarie, nello svolgimento del servizio, devono "richiedere tempestivamente ausilio di agenti delle Forze di Polizia qualora, nel corso dell'espletamento del servizio, si determini una situazione di emergenza che possa determinare un pericolo per la sicurezza pubblica e l''incolumità delle stesse guardie giurate zoofile volontarie".

Questa previsione appare coerente peraltro con la prescrizione dell'art. 6 della L. 189 del 2004. Ed invero, sebbene il comma 2 dell'art. 6 della L. 189/2004, testualmente recita "La vigilanza...... è affidata anche, con riguardo agli animali d'affezione, ... alle guardie particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute", riservando alle guardie giurate la qualifica di agenti di polizia giudiziaria in riferimento alla sola vigilanza sugli animali d'affezione - come riconosciuto peraltro dallo stesso ricorrente - al comma 1 prevede che "Al fine di prevenire e contrastare i reati previsti dalla presente legge, con decreto del Ministro dell'interno, sentiti il Ministro delle politiche agricole e forestali e il Ministro della salute, adottato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le modalità di coordinamento dell'attività della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri, del Corpo della guardia di finanza, del Corpo forestale dello Stato e dei Corpi di polizia municipale e provinciale", con ciò confermando che anche in relazione alla materia de qua i compiti di maggior rilievo sono attribuiti alle Forze di Polizia cui è istituzionalmente attribuita la tutela della sicurezza pubblica.

Le scelte compiute dalla Prefettura, pertanto, sono del tutto ragionevoli ed immuni dalle articolate censure, in quanto del tutto conformi al dettato dell'art. 4 dell'indicato Regolamento dei servizi di vigilanza delle Guardie Particolari Giurate Zoofile, adottato dall'ENPA sulla base della nota del 25 novembre 2014 e successiva circolare n. 557/PAS/017256/10089.DGG(21) del 14 novembre 2016, con le quali il Ministero dell'Interno ha fornito indicazioni in merito alle richieste di approvazione dei cennati regolamenti di servizio.

Ciò senza mancare di rilevare, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, l'assoluta legittimità e ragionevolezza della prescrizione dell'art. 4 dell'indicato Regolamento dei servizi di vigilanza delle Guardie Particolari Giurate Zoofile, la cui ratio è stata motivatamente ricostruita nel provvedimento di riesame e che peraltro appare conforme alla giurisprudenza più restrittiva in materia di cui alla sentenza del Consiglio di Stato, sezione terza, n. 03329/2016 (R.G. 2121 del 2016), secondo cui gli organi del Ministero dell'Interno possono tener conto anche di considerazioni di carattere generale, coinvolgenti l'ordine e la sicurezza pubblica. Ad esempio, essi possono previamente fissare i criteri secondo cui, a meno che non vi siano specifiche e accertate ragioni oggettive, l'appartenenza ad una 'categoria' non è di per sé tale da giustificare il rilascio delle licenze di porto d'armi. Spetta infatti al legislatore introdurre una specifica regola se l'appartenenza ad una 'categoria' giustifica il rilascio di tali licenze e la possibilità di girare armati (tale rilascio è previsto, ovviamente, per gli appartenenti alle Forze dell'Ordine, nei limiti stabiliti dagli ordinamenti di settore). Se invece si tratta di imprenditori, di commercianti, di avvocati, di notai, di operatori del settore assicurativo o bancario, o anche di 'volontari', in assenza di una disposizione di legge sul rilascio della licenza di polizia ratione personae, si deve ritenere che l'appartenenza alla 'categoria' in sé non abbia uno specifico rilievo, tale da giustificare il rilascio della licenza di porto d'armi.

Qualora l'organo periferico del Ministero dell'Interno si orienti nel senso che l'appartenenza in sé ad una categoria non ha uno specifico rilievo, le relative scelte di respingere le istanze di rilascio (o di rinnovo) delle licenze costituiscono espressione di valutazioni di merito, di per sé insindacabili da parte del giudice amministrativo. La motivazione dei provvedimenti di rigetto delle istanze si può basare dunque sulla assenza di specifiche circostanze tali da indurre a disporne l'accoglimento e l'interessato può lamentare la sussistenza di profili di eccesso di potere, qualora vi sia stata una inadeguata valutazione in concreto delle circostanze o una inspiegabile disparità di trattamento.

Neppure può essere ravvisato un profilo di contraddittorietà nella determinazione dell'Amministrazione di non disporre il rinnovo delle licenze, più volte in precedenza rilasciate.

Infatti, ogni volta che esamina istanze di rinnovo, il Prefetto formula una attuale valutazione degli interessi pubblici e privati coinvolti e tiene conto delle esigenze attuali della salvaguardia dell'ordine pubblico.

In altri termini, le esigenze proprie del momento in cui è stato disposto un rinnovo possono essere diverse da quelle successivamente palesatesi. Se gli organi del Ministero dell'Interno ritengono di valutare con maggior rigore le istanze (senza attribuire rilievo alla appartenenza ad una 'categoria'), si tratta di una valutazione di merito, insindacabile dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità.

Parimenti, in relazione al medesimo atto presupposto non potrebbe venire in rilievo un potere di disapplicazione da parte dell'adito T.A.R., posto che il Regolamento dei servizi di vigilanza delle guardie particolari giurate/aderenti all'E.N.P.A., adottato sulla base delle indicazioni adottate dalla Questura e dalla richiamata circolare assurge a mero atto di regolamentazione interna, costituente autovincolo per la P.A., ma non può intendersi quale regolamento in senso proprio, ovvero quale fonte del diritto, dotata dei caratteri di generalità ed astrattezza e di innovatività dell'ordinamento, in relazione ai quali soltanto può ritenersi operante il potere di disapplicazione del G.A., quale riconosciuto da consolidata giurisprudenza, fondato sulla necessità del rispetto della gerarchia delle fonti del diritto (ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 09/01/2020, n. 202, secondo cui "La disapplicazione, da parte del giudice amministrativo, della norma secondaria di regolamento ai fini della decisione sulla legittimità del provvedimento amministrativo impugnato è uno strumento per la risoluzione delle antinomie tra fonti del diritto che trova fondamento nel principio della graduazione della forza delle diverse fonti normative tutte astrattamente applicabili e, pertanto, presuppone che il precetto contenuto nella norma regolamentare si ponga in contrasto diretto con quello contenuto in altra fonte di grado superiore").

Va ancora rimarcato come in relazione alla presente fattispecie non possano applicarsi i principi elaborati da questa Sezione con le sentenze n. 01174/2019, n. 01673 del 27.03.2017 e n. 5120 del 03.11.2017, richiamati dal ricorrente con il secondo ricorso per motivi aggiunti, posto che nelle fattispecie prese in considerazioni in tali sentenze non veniva in rilievo un diniego motivato in riferimento alle prescrizioni generali contenute in detto Regolamento, laddove nella fattispecie de qua, avendo il ricorrente semplicemente addotto di avere una posizione qualificata per il rilascio del porto d'armi in quanto guardia zoofila volontaria, avrebbe dovuto impugnare l'indicata prescrizione regolamentare che prevede che nell'ENPA l'indicato servizio venga svolto da guardie non armate.

3.3.- Ugualmente non può ritenersi che il ricorrente vantasse un legittimo affidamento al rinnovo del porto d'armi in considerazione del rilievo che il precedente rinnovo gli era stato rilasciato allorquando era già stato approvato l'anzidetto Regolamento, non potendo costituire tertium comparationis, in relazione alla censura di eccesso di potere per contraddittorietà fra atti, come anche a quella di disparità di trattamento (ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 30/12/2019, n. 8893, secondo cui "Il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento non può essere utilmente dedotto quando viene rivendicata l'applicazione in proprio favore di posizioni giuridiche riconosciute ad altri soggetti in modo illegittimo, in quanto, in applicazione del principio di legalità, la legittimità dell'operato dell'amministrazione non può comunque essere inficiata dall'eventuale illegittimità compiuta in altra situazione"), un previo atto illegittimo.

In definitiva, non essendo l'appartenenza alla "categoria" di guardia zoofila volontaria un requisito sufficiente per ottenere l'autorizzazione al porto d'armi, sarà necessario dimostrare, al pari di qualsiasi altro cittadino, la situazione di 'dimostrato bisogno' che, derogando alla normativa in materia, legittima in via eccezionale l'uso delle armi. Legittimamente, quindi, l'autorità prefettizia ha posto a sostegno del diniego la mancanza di precisi elementi di fatto da cui trarre la presenza di qualsivoglia attuale e concreto rischio per l'incolumità dell'interessato, essendo le generiche circostanze riferite dallo stesso non idonee a dimostrare un pericolo oggettivo e specifico incombente in conseguenza e per effetto dell'attività esercitata. Neppure ricorre nel caso di specie alcuna delle condizioni previste dall'art. 11 del Regolamento delle guardie zoofile associate all'ENPA poiché: a) non risultano sottoscritte convenzioni che prevedano la possibilità di dotarsi di personale provvisto d'armi;
b) non sussiste neppure la seconda condizione, vale a dire quella della 'documentata e continuativa attività, in collaborazione con le Forze dell'Ordine, di contrasto ai reati di bracconaggio e/o che prevedono attività di vigilanza nelle ore notturne';
c) non sussistono nemmeno quelle 'situazioni territoriali che vedano consolidato il pluriennale abbinamento del decreto personale con il porto d’armi’, smentite extabulas dalla Prefettura.

Conclusivamente, tutte le argomentazioni sopra riferite inducono alla completa reiezione del ricorso

Le questioni esaminate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati presi in considerazione tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: fra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ. sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ, sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663).

4.- Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nell'importo in dispositivo fissato.

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