TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-02-04, n. 202301995

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-02-04, n. 202301995
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202301995
Data del deposito : 4 febbraio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/02/2023

N. 01995/2023 REG.PROV.COLL.

N. 04336/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4336 del 2017, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato M F, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via di Tor Pignattara 132;

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento

del provvedimento di rigetto dell’istanza di concessione della cittadinanza italiana n. -OMISSIS-, emesso dal Ministero dell’Interno in data 18 gennaio 2017 e notificato in data 20 febbraio 2017;

nonché di tutti gli atti presupposti, consequenziali e comunque connessi;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 dicembre 2022 il dott. Enrico Mattei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe si contesta la legittimità del provvedimento prot. -OMISSIS-, emesso dal Ministero dell’Interno in data18 gennaio 2017, con il quale è stata rigettata la domanda di cittadinanza italiana presentata dal ricorrente in data 17 novembre 2014, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, risultando a carico dell’istante i seguenti pregiudizi penali:

- decreto penale di condanna n. 236/04, esecutivo il 2 luglio 2004 per il reato di cui agli artt. 477 c.p. (falsità commessa da pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative) e 482 c.p. (falsità commessa da privato);

- procedimento penale n. 1749/14 per violazione di cui all’art. 590 2 e 3 c. c.p. (lesioni colpose) e art. 227, comma 3, del d.m. n. 81/2008 (Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro);

- in data 27 maggio 2010 segnalazione per violazione art. 483 c.p. (falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico) dalla Stazione Carabinieri di -OMISSIS-;

- in data 18 giugno 2012 segnalazione della Procura della Repubblica di -OMISSIS- per violazione del D.P.R. n. 309/1990 art.73 comma 1 (stupefacenti);

- in data 2 aprile 2016 segnalazione della Stazione Carabinieri di -OMISSIS- per violazione dell’art. art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 286/98 (T.U. Immigrazione):

- dichiarazione mendace ai sensi dell’art. 76 del D.P.R. n. 445/2000, non essendo stati riportati nella domanda di cittadinanza i suddetti precedenti penali.

Lamenta in sintesi il ricorrente la “violazione dell’art. 9 comma 1 lettera f della legge 91/92 per eccesso di potere, difetto di motivazione, carenza e difetto di istruttoria” , atteso che le due condanne riportate riguardano reati estinti al momento della presentazione dell’istanza di cittadinanza, dei quali, pertanto, l’istante non può essere chiamato a risponderne a titolo di falso (come invece sostenuto dal Ministero) in quanto si trattava di reati estinti, dunque inesistenti.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio con atto di mera forma e in data 19.10.2022 ha depositato il fascicolo del procedimento conclusosi con l’atto impugnato, accompagnato da un rapporto difensivo.

All’udienza pubblica del giorno 9 dicembre 2022, la causa è passata in decisione.

Il ricorso è infondato e va respinto.

Sul punto il Collegio osserva quanto segue in merito alla natura del provvedimento di concessione della cittadinanza alla luce della giurisprudenza in materia, di recente sintetizzata dalla Sezione (TAR Lazio, sez. V bis , n. 2943, 2944, 2947, 3018, 3471, 5130 del 2022), secondo cui l’acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone un’amplissima discrezionalità in capo all’Amministrazione, come si ricava dalla norma, attributiva del relativo potere, contenuta nell’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, ai sensi del quale la cittadinanza “può” essere concessa.

Tale discrezionalità si esplica, in particolare, in un potere valutativo in ordine al definitivo inserimento dell’istante all’interno della comunità nazionale, in quanto al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consente, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si chiede di entrare a far parte), e nella possibilità di assunzione di cariche pubbliche – ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo;
si tratta infatti di determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (cfr. Consiglio di Stato, AG, n. 9/1999 del 10.6.1999;
sez. IV n. 798/1999;
n. 4460/2000;
n. 195/2005;
sez, I, 3.12.2008 n. 1796/08;
sez. VI, n. 3006/2011;
Sez. III, n. 6374/2018;
n. 1390/2019, n. 4121/2021;
TAR Lazio, Sez. II quater , n. 10588 e 10590 del 2012;
n. 3920/2013;
4199/2013).

L’interesse dell’istante a ottenere la cittadinanza deve quindi necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico a inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale.

Se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile dunque comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agire del soggetto (il Ministero dell’Interno) alla cui cura lo stesso è affidato.

In questo quadro, pertanto, l’Amministrazione ha il compito di verificare che il soggetto istante sia in possesso delle qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.

La concessione della cittadinanza rappresenta infatti il suggello, sul piano giuridico, di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico.

In altri termini, l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire (solo) quando l’Amministrazione ritenga che quest’ultimo possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato (cfr., ex multis , TAR Lazio, Roma, Sez. I ter , n. 3227/2021;
n. 12006/2021 e sez. II quater , n. 12568/2009;
Cons. St., sez. III, n. 4121/2021;
n. 8233/2020;
n. 7122/2019;
n. 7036/2020;
n. 2131/2019;
n. 1930/2019;
n. 657/2017;
n. 2601/2015;
sez. VI, n. 3103/2006;
n.798/1999).

Tanto chiarito sulla natura discrezionale del potere de quo , ne deriva che il sindacato giurisdizionale sulla valutazione compiuta dall’Amministrazione – circa il completo inserimento o meno dello straniero nella comunità nazionale – non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole.

Ciò in quanto la giurisprudenza, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, ha costantemente chiarito che, al cospetto dell’esercizio di un potere altamente discrezionale, come quello in esame, il sindacato del giudice amministrativo si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, e non può estendersi all’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto su cui fondare il giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cittadino.

Il vaglio giurisdizionale non può sconfinare, quindi, nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione ( ex multis , Cons. St., Sez. IV n. 6473/2021;
Sez. VI, n. 5913/2011;
n. 4862/2010;
n. 3456/2006;
TAR Lazio, Sez. I ter , n. 3226/2021, Sez. II quater , n. 5665/2012), la quale, nello svolgere tale delicata valutazione, “ben può rilevare che nell’ultimo decennio vi sono state condotte penalmente rilevanti (e quindi espressive di una non compiuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale), così come può valutare i fatti per periodi ancora maggiori ai dieci anni” (T.A.R. Lazio, sentenza n. 5615/2015).

Applicando le suesposte coordinate giurisprudenziali al caso di specie, il Collegio ritiene infondate le censure formulate con il ricorso, avendo l’Amministrazione valutato in maniera non manifestamente illogica la situazione del ricorrente, risultando a carico di quest’ultimo precedenti penali e segnalazioni alla Procura della Repubblica ed al Corpo dei Carabinieri, che coprono un arco di tempo significativo, sia per la sua durata, coprendo un periodo di oltre 10 anni (dalla condanna del 2004 per falsità alla notizia di reato del 2016 per violazione della normativa sull’Immigrazione), sia per la frequenza degli episodi (5 contestazioni in diversi momenti) e per la varietà tipologica dei reati addebitati, che vanno a colpire diversi beni giuridici protetti, risultando offensivi sia del rapporto di fiducia con le istituzioni (falsità in certificati o autorizzazioni amministrative nel 2004 e falsità ideologica in atto pubblico nel 2010;
violazione del TU immigrazione nel 2016), nei confronti dei lavoratori dipendenti (lesioni colpose per violazione delle norme a tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) e soprattutto della salute delle persone (violazione del TU stupefacenti nel 2012).

Si tratta di episodi che sono stati valutati non atomisticamente, ma nel loro complesso insieme dalla PA che ha ritenuto, secondo un criterio che non può essere ritenuto arbitrario né irragionevole, che essi rappresentano un chiaro indice sintomatico di inaffidabilità e di una non compiuta integrazione nella comunità nazionale, desumibile in primis dal rispetto delle regole di civile convivenza e dalla rigorosa, sicura osservanza delle leggi vigenti nell’ordinamento giuridico italiano.

I reati ascritti al ricorrente per condotte quali, tra le altre, la falsità ideologica in atto pubblico, lesioni colpose, spaccio di stupefacenti e violazione delle norme in materia di immigrazione, denotano infatti, una tendenza caratteriale della persona che desta un particolare allarme sociale e disvalore rispetto ai principi di una ordinata convivenza all’interno dello Stato.

Come già ripetutamente chiarito da questa Sezione, tale giudizio prognostico è frutto di una valutazione complessa, in cui l’Autorità chiamata a formularlo non si limita a considerare in modo atomistico i singoli precedenti, ma li valuta nel complesso insieme dei loro reciproci rapporti, nella periodicità e reiteratività, nella loro natura: si tratta, appunto, di “indicatori”, cioè di “elementi di fatto” che sono apprezzati, sotto il profilo della loro valenza significativa dell’indole del richiedente, in modo “globale”, trattandosi di esprimere un giudizio “sintetico”, che ha natura di valutazione “d’impatto” (TAR Lazio, sez. V bis, n. n. 3527/2022, 5113/2022, 5348/2022, 6941/22, 7206/22, 8206/22, 8127/22, 8131 e 32, 8189/22, 8932/22, 9291/22).

In tale prospettiva, pertanto, è stata riconosciuta non irragionevole la valenza prognostica negativa attribuita a quelle condotte che, come lo spaccio di stupefacenti (per il quale il ricorrente è stato segnalato alla Procura della Repubblica di -OMISSIS- in data 18 giugno 2016), hanno ad oggetto una fattispecie particolarmente grave, idonea a mettere a rischio l’altrui incolumità, oltre ad essere un chiaro indice di scarsa aderenza ai valori della comunità (cfr. Tar Lazio, Roma, sez. Il quater, 15 aprile 2015, n. 5554).

Si tratta di addebiti considerati particolarmente rilevanti ai fini della formulazione del giudizio prognostico relativo all’utile inserimento dell’aspirante cittadino, come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza in materia, condivisa dalla Sezione (TAR Lazio, sez. V bis, nn. 4236/2022, 4704/2022, 6522/17, in cui è stato ribadito che denotano scarsa considerazione degli obblighi che si accompagnano a detta concessione, precisando che “In tale prospettiva il Consiglio di Stato ha ritenuto che il Ministero dell’Interno abbia “legittimamente esercitato il potere discrezionale di cui dispone, assolvendo all’onere di motivazione e senza venir meno ai criteri di ragionevolezza e proporzionalità nel bilanciamento degli interessi, ritenendo che l’unica condanna subita dal richiedente nel 2006 costituisce indice di inaffidabilità e di non compiuta integrazione nella comunità nazionale. Tale giudizio non è frutto di mero automatismo, come lamenta l’appellante, in quando non difetta la motivazione circa il carattere ostativo della condotta penale e la ritenuta irrilevanza della riabilitazione. Con riguardo al precedente penale per cessione illecita di sostanze stupefacenti, il Ministero ritiene, infatti, seppure sinteticamente, che “la condotta del richiedente è indice di inaffidabilità e di una non compiuta integrazione nella comunità nazionale”. Si tratta di giudizio logicamente condivisibile, come evidenziato dal primo giudice, alla luce delle emergenze sociali che assumono maggiore disvalore e allarme nella nostra comunità nazionale;
basti pensare all’automatismo espulsivo che il legislatore fa scaturire per i cittadini extracomunitari dalle condanne in materia di stupefacenti, ex art. 4 D.lgs. 286 del 1998” (Consiglio di stato, sez. III, 21/10/2019 n. 7122/2019). Tale orientamento è stato condiviso dalla Sezione ribadendo che “l’Amministrazione non ha valutato in maniera illogica la situazione dell’istante, se si tiene conto che il reato posto in essere rientra fra quelli che destano particolare allarme sociale in quanto colpisce beni giuridici primari riconosciuti e tutelati dalla Costituzione nei confronti di tutte le persone, quale la salute dei cittadini nonché la sicurezza pubblica, ed è stato commesso nel decennio antecedente l’istanza, più precisamente sette anni prima”, precisando che “il fatto è punito con la reclusione da sei a venti anni e che anche se nella sua forma più lieve, di cui al comma 5 del D.P.R. 309/1990 (integrata dalla condotta pregiudizievole tenuta dal ricorrente), è prevista la pena ridotta della reclusione da sei mesi a quattro anni, il massimo edittale stabilito è comunque superiore alla soglia individuata dall’art. 6, comma 1, lett. b), della legge n. 91/1992, superata la quale si entra nell’area dei reati immediatamente ostativi. Sul punto, si specifica che detta norma definisce espressamente l’ambito delle ipotesi criminose che precludono il conseguimento della cittadinanza richiesta per matrimonio con cittadino italiano, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 91/1992 - che costituisce un vero e proprio diritto soggettivo per il richiedente (al fine di tutelare l’unità familiare del cittadino italiano) - persino a chi è coniuge del cittadino italiano”
(TAR Lazio, sez. V bis, n. 4236/2022, nonché n. 4704/2022;
n. 6522/2022, 6554/2022, nonché, da ultimo, da Lazio, sez. V bis, n. 16216/2022).

Medesime considerazioni valgono in ordine agli ulteriori addebiti in materia di falsità ideologica (vedi decreto penale di condanna n. 236/04), in quanto indicativi di scarsa affidabilità nel rapportarsi con le Istituzioni dello Stato di cui l’odierno istante aspira a divenire cittadino (da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis , n. 4280/2022 con riferimento alla falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, TAR Lazio, sez. V bis , n. 3475/2022, con riferimento al falso in autorizzazioni amministrative).

Non appare d’altra parte dirimente l’asserita estinzione dei reati contestati, peraltro neanche prodotta in giudizio ma soltanto menzionata nel ricorso introduttivo, atteso che il comportamento dell’istante rimane comunque valutabile come fatto storico e, pertanto, può essere, come accaduto nel caso in esame, ragionevolmente considerato come indicativo di una personalità non incline al rispetto delle norme penali e delle regole di civile convivenza, e tale da giustificare il diniego di riconoscimento della cittadinanza italiana (Consiglio di Stato sez. III - 16/11/2020, n. 7036).

Occorre infine considerare che la dichiarazione non veritiera fatta dal ricorrente in sede di domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana, in ordine alla sussistenza dei citati precedenti penali, è suscettibile di determinare la reiezione della domanda anche a prescindere dalla sussistenza del reato di falso, ai sensi dell’art. 75 del d.P.R. n. 445/2000, essendo anch’essa indicativa di una non compiuta integrazione e più che di mancata conoscenza dei principi che informano anche il procedimento in questione, che il richiedente ha il dovere di acquisire, si tratta di violazione delle stesse regole di correttezza nei confronti di quelle Istituzioni del Paese di cui aspira a divenire cittadino;
sicché tale condotta risulta indicativa della rottura del rapporto di fiducia con lo Stato ospite (cfr. T.A.R. Lazio - Roma, sez. I Ter , 31/08/2020 n. 9289;
TAR Lazio, sez. V bis , n. 2944, 2945, 2946, 2947, 3026, 3475 3621 del 2022 e seguenti).

Le considerazioni che precedono impongono il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio seguono, come da regola, la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.

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