TAR Catania, sez. IV, sentenza 2014-04-28, n. 201401270

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. IV, sentenza 2014-04-28, n. 201401270
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 201401270
Data del deposito : 28 aprile 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02153/2011 REG.RIC.

N. 01270/2014 REG.PROV.COLL.

N. 02153/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2153 del 2011, proposto da:
Salti e Party Sas, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti D A, G F e H B, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Catania, via Francesco Crispi 225;

contro

Invitalia Agenzia Nazionale per l'Attrazione degli Investimenti e lo Sviluppo d'Impresa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti A G e G G, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in Catania, via G. D'Annunzio, 62;

Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliataria ex lege in Catania, via Vecchia Ognina, 149;

per l'annullamento

- della nota prot. n. 11627/SPO/ISTR dell’11 aprile 2011, ricevuta il 21 aprile 2011, con la quale INVITALIA ha ritenuto la procedura di cui all’art. 20 della legge n. 241/90 (silenzio-assenso) non applicabile al procedimento di concessione, in favore della ditta “Salti e Party” SaS, delle agevolazioni ex D.lgs. n. 185/2000, Tit. II;

- della nota prot. n. 14210/SPO-DEL del 2 maggio 2011, ricevuta il 5 maggio 2011, con la quale INVITALIA ha comunicato l’intervenuta decadenza della ditta “Salti e Party” Sas dalle agevolazioni concesse ex D.lgs. n. 185/2000, Tit. II;

- della (non conosciuta) delibera del 29.04.2011, richiamata per relationem nella nota prot. n. 14210/2011, per mezzo della quale è stata disposta la decadenza della ditta “Salti e Party” Sas dalle agevolazioni concesse con delibera di ammissione del 06.12.2010;

- di ogni ulteriore atto antecedente e/o successivo, comunque connesso e/o consequenziale e allo stato non conosciuto;

e conseguente condanna

dell’Amministrazione alla stipula del contratto di attuazione della delibera di ammissione, ai sensi dell’art. 6 del d.m. 28.05.2001, n. 295, con conseguente riconoscimento del contributo di cui al citato d. lgs. n. 185/2000;

in subordine, per il riconoscimento

del diritto al risarcimento del danno da ritardo ex art. 2, comma 4 bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificata dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15, in misura pari all’importo del finanziamento dichiarato decaduto.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Invitalia Agenzia Nazionale per l'Attrazione degli Investimenti e lo Sviluppo d'Impresa e del Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 febbraio 2014 il dott. P M S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La ricorrente, in data 12.4.2010, ha presentato domanda di ammissione (recante il n. prot. 2029989) alle agevolazioni previste dal decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185 (“Incentivi all’autoimprenditorialità e all’autoimpiego, in attuazione dell’articolo 45, comma 1, della L. 17 maggio 1999, n. 144”) Titolo II (“Incentivi in favore dell’autoimpiego”).

L’accesso agli incentivi è condizionato alla presentazione di una domanda contenente un piano d’impresa che evidenzi la coerenza tra il profilo del soggetto promotore e l’iniziativa imprenditoriale e che descriva la validità tecnica, economica e finanziaria dell’iniziativa.

Per poter accedere alle agevolazioni, inoltre, è previsto un colloquio finalizzato alla verifica del possesso delle conoscenze e competenze necessarie alla realizzazione dell'iniziativa proposta.

Con la domanda di ammissione la ricorrente ha chiesto di essere ammessa al beneficio di legge al fine di potere realizzare una struttura volta a erogare servizi di ludoteca destinati a tre grandi gruppi di clienti: 1) i fruitori della ludoteca;
2) i fruitori del servizio di junior parking;
3) i fruitori delle sale compleanno.

Nel modello utile ai fini della presentazione della domanda di ammissione era, tra l’altro, precisato: <<
il procedimento sarà concluso entro il termine di sei mesi (qui di seguito il “termine”) dalla data di ricezione della domanda di ammissione >>.

Nel mese di novembre 2010, trascorsi i sei mesi previsti dalla legge quale termine finale di conclusione del procedimento di ammissione alle agevolazioni, la società ha dato inizio ai lavori necessari ad avviare l’attività d’impresa oggetto della domanda, sostenendo, nel periodo ricompreso tra il 12.11.2010 e il 30.11.2010, spese (tutte documentate dalle relative fatture) per un importo complessivo di circa € 70.000,00.

Il successivo mese di dicembre 2010, la ludoteca è stata aperta al pubblico ed è attualmente funzionante.

Con nota prot. 38353/SPO-DEL, del 7.12.2010, ricevuta il 14.12.2010, veniva inviata alla ricorrente la seguente comunicazione: «l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A, in data 06.12.2010, ha deliberato la formale ammissione dell’iniziativa in oggetto alle agevolazioni previste ai sensi della summenzionata legge».

Quindi, con due mesi di ritardo rispetto al termine previsto per legge (e, dunque, a distanza di complessivi 8 mesi dalla data di presentazione della domanda di ammissione alle agevolazioni), l’Agenzia addiveniva alla definitiva conclusione del procedimento di valutazione dell’ammissibilità dell’iniziativa alle agevolazioni di legge.

In data 10.01.2011, la ricorrente si recava presso la sede di Catania degli uffici di Invitalia, stante l’invito da quest’ultima rivoltole al fine della utile stipula del contratto (con telegramma del 10.12.2010) e, previo richiamo alle numerose mail per cui tramite aveva più volte chiesto di conoscere lo stato dell’istruttoria, dopo aver premesso che la domanda era stata presentata in data 12.4.2010 e che il procedimento si era concluso in otto mesi, piuttosto che in sei così come previsto, chiedeva l’ammissione a rimborso di tutte le spese sostenute allo scadere del predetto termine e prima della formale ammissione.

In tale occasione chiariva che le stesse erano state sostenute in buona fede, avendo ritenuto di potere confidare nella formazione di un tacito assenso, per il decorso dei termini normativamente stabiliti.

A fronte delle dette richieste, la responsabile della stipula del contratto decideva di rinviare ogni decisione sul punto, reputando necessario approfondire la questione sottoposta al suo esame.

La riserva sulla questione si protraeva stante l’assenza di indicazioni da parte degli uffici centrali di Roma, responsabili dell’intero procedimento.

A fronte del silenzio serbato dall’Amministrazione, in data 07.02.2011, la società ricorrente sollecitava, ancora una volta, l’Agenzia a considerare correttamente la prospettata tesi del silenzio-assenso, insistendo sulle predette conclusioni.

Con nota prot. n. 11627/SPO/ISTR, dell’11.04.2011, ricevuta il 21.04.2011, l’Agenzia formalizzava la volontà di non ritenere applicabile alla procedura in questione la disciplina di cui al’art. 20 della legge n. 241/90 <<
presupponendo – il procedimento di concessione ex d.lgs. n. 185/00, titolo II, nda - una delibera contenente gli importi ammessi a titolo di contributo a fondo perduto e di finanziamento a tasso agevolato >>;
conseguentemente, si determinava per la non ammissibilità delle <<
spese sostenute nel periodo intercorso tra la presentazione della domanda di ammissione alle agevolazioni e la delibera di ammissione alle agevolazioni stesse >>
.

Con nota prot. n. 14210/SPO-DEL del 02.05.2011, ricevuta il 05.05.2011, l’Amministrazione intimata, ritenuta la ingiustificata assenza della società ricorrente alla stipulazione del contratto per la concessione delle agevolazioni e in vista della <<
tutela del superiore interesse pubblico a un impiego concreto e fattivo dei finanziamenti pubblici >>, comunicava la decadenza dalle agevolazioni concesse con delibera di ammissione del 06.12.2010.

Con ricorso passato per la notifica il 20.6.2011 e depositato il 27.6.2011, la ricorrente ha impugnato siffatti provvedimenti, affidandosi alle seguenti censure:

I. Violazione e falsa applicazione del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 123. Violazione e falsa applicazione dell’art. 20, legge n. 241/90. Eccesso di potere per violazione delle regole del procedimento. Eccesso di potere per contraddittorietà estrinseca. Illogicità manifesta. Violazione dei principi di ragionevolezza, certezza dei rapporti giuridici e tutela dell’affidamento. Violazione e falsa applicazione di cui al combinato disposto dell’art. 29, legge n. 241/90 e 117, comma 2, lettera m), Carta Costituzionale.

Con la nota prot. n. 11627/2011, l’Agenzia ha ritenuto “non soggetto” alla disciplina di cui all’art. 20 della L. 241/90 (silenzio-assenso), il procedimento di concessione delle agevolazioni di cui al d.lgs. n. 185/00, titolo II.

Secondo l’Agenzia, vi osterebbe la necessità della previa adozione di “una delibera contenente gli importi ammessi a titolo di contributo a fondo perduto e di finanziamento a tasso agevolato”, difettando la quale il procedimento non potrebbe dirsi concluso.

Premette parte ricorrente, intanto, che sarebbe stata la stessa Amministrazione resistente a dichiarare -compiendovi un rinvio integrale - che l’iter istruttorio del procedimento di ammissione alle agevolazioni avrebbe dovuto seguire “le norme della legge 241/90 in materia di procedimento amministrativo”.

Nel dettaglio, il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 123 (rubricato “Disposizioni per la razionalizzazione degli interventi di sostegno pubblico alle imprese, a norma dell’articolo 4, comma 4, lettera c), della L. 15 marzo 1997, n. 59”), individua i principi che regolano i procedimenti amministrativi concernenti gli interventi di sostegno pubblico per lo sviluppo concessi da amministrazioni pubbliche, tra i quali è ricompreso anche quello relativo alle agevolazioni di che trattasi.

L’art. 5 del predetto decreto, di disciplina della procedura cd. valutativa, al comma 5 precisa: <<
le attività istruttorie e le relative decisioni sono definite entro e non oltre sei mesi dalla data di presentazione della domanda >>
(ultimo cpv.).

Il procedimento svolto da Invitalia, soggetto responsabile della fase di selezione ed erogazione delle agevolazioni, secondo la prospettazione offerta in ricorso, avrebbe dovuto svolgersi entro il detto termine massimo e, quindi, entro il 12 ottobre 2010.

Asserisce parte ricorrente che la detta puntuale previsione applicherebbe, in questo specifico settore, il principio di cui all’art. 2 della legge sul procedimento amministrativo, in forza del quale l’Amministrazione ha il dovere di concludere mediante l’adozione di un provvedimento espresso il procedimento, sia che esso “consegua obbligatoriamente ad una istanza” sia che questo “debba essere iniziato d’ufficio”.

Il termine di 180 giorni previsto come quello “entro e non oltre” il quale adottare il provvedimento finale di ammissione ovvero di diniego all’ammissione, sarebbe, infatti, quello massimo previsto proprio dalla legge sul procedimento amministrativo (nel testo recentemente modificato dalla legge n. 69/2009) “nei casi in cui, tenendo conto della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento” divenga indispensabile prevedere un termine superiore a quello previsto per legge.

II. Violazione falsa applicazione del d.lgs. n. 185/2000. Violazione e falsa applicazione del d.m. n. 295/2001. Violazione e falsa applicazione dell’art. 20, legge n. 241/90 sotto altro profilo. Il decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, nel Titolo II sugli incentivi “in favore dell’auto-impiego in forma di microimpresa” nulla dispone in dettaglio né sul procedimento di ammissione, né sulla decorrenza delle spese sostenute suscettibili di finanziamento pubblico.

Il successivo decreto ministeriale 28.05.2001, n. 295, adottato in forza dell’art. 24 del d.lgs. n. 185/2000, prevede, per un verso, una deliberazione di ammissione alle agevolazioni a seguito di un procedimento istruttorio articolato in due fasi (artt. 4 e 5);
per altro verso, l’ammissibilità al contributo delle spese sostenute successivamente alla data della deliberazione di ammissione, in quanto regolarmente documentate.

Il predetto decreto ministeriale, stante la sua natura regolamentare, dovrebbe essere necessariamente interpretato in modo compatibile (pena la sua illegittimità e, conseguente, disapplicazione in parte qua) con la sopravvenuta riformulazione del fondamentale e generale art. 20 della legge n. 241/1990, come in particolare modificato nel 2005, nel senso di estendere a tutti i procedimenti amministrativi (a eccezione di alcuni tassativamente elencati al comma 4, tra i quali non rientra quello in esame) la generale regola del silenzio assenso, per di più senza necessità per il privato di ulteriori istanze o diffide una volta decorso il termine di conclusione del procedimento.

In considerazione, quindi, delle citate modifiche normative intervenute in materia di procedimento amministrativo, dovrebbero ritenersi ammissibili al contributo di cui al d. lgs. n. 185/2000 tutte le spese sostenute successivamente alla data di ammissione della domanda, da doversi ex lege fare coincidere, in assenza di un provvedimento formale di rigetto, con la scadenza del termine di sei mesi per la conclusione del procedimento e ciò senza necessità per l’istante di ulteriori richieste o diffide.

Deriverebbe che tutte le spese sostenute dalla società “Salti e Party” Sas sarebbero suscettibili di ammissione al sostegno pubblico previsto dal d.lgs. n. 185/2000, in quanto oggettivamente effettuate - secondo quanto documentato dalle relative fatture - in data successiva al provvedimento tacito di ammissione.

La ricorrente ha, comunque, concluso con la richiesta di risarcimento del danno per l’illegittimo silenzio serbato dall’Amministrazione.

Costituitesi, le Amministrazioni intimate hanno concluso per l’infondatezza del ricorso.

Alla Udienza Pubblica del 27.2.2014 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

Premette il Collegio che (cfr. Cons. Stato, V, 13/01/2014 n. 63), <<con riguardo alla formazione del silenzio assenso, il decorso del termine previsto per la conclusione del procedimento, secondo l'unanime giurisprudenza, non consuma il potere della Amministrazione di provvedere, sia in senso satisfattivo per il destinatario dell'atto finale del procedimento medesimo, sia in senso a lui negativo, sia, ancora, mediante un atto interlocutorio, che comunque sostanzia l'esercizio di una potestà decisoria dell'Amministrazione medesima (Consiglio di Stato, Sez. IV, 10 agosto 2011 n. 4768 e 15 gennaio 2009 n. 179).

<<
Il provvedimento espresso, tardivamente intervenuto, cancella quindi il silenzio, sia se formatosi in senso negativo che positivo, poiché non è ammissibile che la P.A. si pronunci al solo fine di confermare il silenzio mantenuto, legittimando un comportamento che viola l'obbligo di provvedere>>.

Deriva che la questione va scrutinata alla luce della richiesta di risarcimento del danno da ritardo.

Secondo la richiamata condivisibile decisione, <<va al riguardo premesso che il diritto al risarcimento del danno derivante dal ritardo con il quale l'Amministrazione ha provveduto su una istanza>>
del ricorrente <<spetta solo ove il soggetto interessato abbia tempestivamente reagito all'inerzia, per quanto in sua facoltà, al fine di ottenere la conferma provvedimentale del silenzioso assenso formatosi . . . , sicché solo in caso di persistente inerzia a seguito di detta procedura può configurarsi la lesione del bene della vita risarcibile, alla stregua dei canoni di correttezza e buona fede che devono caratterizzare lo svolgimento del rapporto tra soggetto pubblico e privato.

<<
Si tratta peraltro dell'applicazione di un principio ora sostanzialmente sancito anche dall'ultimo periodo del comma 3 dell'art. 30 c.p.a. e che poteva considerarsi valido anche prima della sua positivizzazione nel predetto codice.

<<
Infatti anche alla quantificazione del danno in caso di lesione di interessi legittimi pretensivi deve trovare applicazione il criterio della mitigazione del danno di cui all'art. 1227 comma 2 c.c.;
peraltro la deduzione ivi prevista non integra un'eccezione in senso stretto, sicché nel giudizio amministrativo per lesione degli interessi legittimi pretensivi la generica allegazione del Comune che nega e circoscrive i danni lamentati consente al Giudice di esaminare nella controversia risarcitoria, conformata ai principi civilistici, la questione dell'evitabilità di essi >>.

Resta da definire la fondatezza della richiesta di risarcimento dei danni e la entità delle somme a tale titolo dovuta.

Va rilevato, continua la richiamata sentenza n. 63/14, <<che, come è noto, è risarcibile il danno consistente nella lesione ingiusta di un interesse meritevole di tutela da parte dell'ordinamento, che sia apprezzabile, differenziato, giuridicamente rilevante e inerente al contenuto stesso della posizione sostanziale, inoltre ricollegabile, con nesso di causalità immediato e diretto, al provvedimento impugnato.

<<
Se è vero che l'art. 2 bis della l. n. 241/1990 rafforza la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi delle Pubbliche amministrazioni, stabilendo che esse e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, tuttavia la richiesta di accertamento del danno da ritardo ovvero del danno derivante dalla tardiva emanazione di un provvedimento legittimo e favorevole, se da un lato deve essere ricondotta al danno da lesione di interessi legittimi pretensivi, per l'ontologica natura delle posizioni fatte valere, dall'altro, in ossequio al principio dell'atipicità dell'illecito civile, costituisce una fattispecie “sui generis”, di natura del tutto specifica e peculiare, che deve essere ricondotta nell'alveo dell'art. 2043 c.c. per l'identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità.

<<
Di conseguenza l'ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio, presumersi “iuris tantum”, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell'adozione del provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quello di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante).

<<
Quanto alla ingiustizia del danno va precisato che, in linea di principio, il mero "superamento" del termine fissato “ex lege” per la conclusione del procedimento costituisce indice oggettivo, ma non integra la "piena prova del danno".

<<
Tuttavia il solo ritardo nell'emanazione di un atto è elemento sufficiente per configurare un danno ingiusto, con conseguente obbligo di risarcimento, nel caso di procedimento amministrativo lesivo di un interesse pretensivo dell'amministrato, quando tale procedimento sia da concludere con un provvedimento favorevole per il destinatario (Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1406;
Sez. IV, 23 marzo 2010, n. 1699) o se sussistano fondate ragioni per ritenere che l'interessato avrebbe dovuto ottenerlo (Consiglio di Stato, sez. IV, 1 luglio 2013, n. 3533).

<<
Il risarcimento del danno conseguente alla lesione di un interesse legittimo di tipo pretensivo dovuta alla inerzia della Amministrazione con riguardo ad una istanza del privato richiede quindi l'effettiva prova che un diverso comportamento dell'amministrazione avrebbe avuto sicuro esito favorevole per l'interessato>>.

E nel caso in esame, non v’è dubbio che l’agevolazione fosse dovuta, posto che la stessa era stata espressamente ammessa dall’Amministrazione.

Quanto all'elemento della colpa, secondo la decisione n. 63/14, <<va precisato che la sua sussistenza non può essere dichiarata in base al solo dato oggettivo della illegittimità del provvedimento adottato o dell’illegittimo ed ingiustificato procrastinarsi dell'adozione del provvedimento finale, essendo necessaria anche la dimostrazione che la P.A. abbia agito con dolo o colpa grave, di guisa che il difettoso funzionamento dell'apparato pubblico sia riconducibile ad un comportamento gravemente negligente od ad una intenzionale volontà di nuocere, in palese ed inescusabile contrasto con i canoni di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa, di cui all'art. 97 della Costituzione.

<<
Quindi, ai fini dell’ammissibilità dell’azione risarcitoria, deve in concreto accertarsi se l’adozione o la mancata o ritardata adozione del provvedimento amministrativo lesivo sia conseguenza di comportamento doloso o della grave violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede, alle quali deve essere costantemente ispirato l’esercizio della funzione, e se tale comportamento sia stato posto in essere in un contesto di fatto ed in un quadro di riferimento normativo tale da palesare la negligenza e l’imperizia degli uffici o degli organi dell’amministrazione, ovvero se, per converso, la predetta violazione sia ascrivibile all’ipotesi dell’errore scusabile, per la ricorrenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza del quadro normativo o per la complessità della situazione di fatto (Consiglio di Stato, Sez. V, 7 giugno 2013, n. 3133;
Sez. VI, 6 maggio 2013, n. 2419;
Sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1406)>>.

Occorre verificare, quindi, la sussistenza <<dell’elemento soggettivo, costituito da un colpevole comportamento dilatorio addebitale quanto meno a grave negligenza o imperizia degli uffici dell’amministrazione . . . complessivamente considerati (non essendo necessario provare la sussistenza dell’elemento psicologico in capo ad ogni singolo agente, dipendente, responsabile o dirigente degli uffici comunali di volta interessati che hanno contribuito causalmente ai singoli atti e/o comportamenti commissivi od omissivi, ciò costituendo una irragionevole ed inammissibile limitazione del diritto di difesa consacrato nell’art. 24 della Costituzione)>>.

Nel caso in esame, non sono invero emerse, come ritenuto condivisibilmente necessario, <<quelle peculiari circostanze di complessità dei fatti, di contrasti giurisprudenziali ovvero di incertezza normativa, che integrano la fattispecie dell’errore scusabile e che escludono l’elemento psicologico della responsabilità.

<<
Ciò senza contare che l’onere di provare l’esistenza di tali circostanze (che costituiscono delle eccezioni di merito, in quanto modificative, impeditive o estintive dei fatti adotti in giudizio dalla controparte) incombeva proprio sull’amministrazione . . .

<<
Sussiste infatti in materia di risarcimento del danno da parte della P.A., sul piano processuale, un'inversione dell'onere della prova (analoga a quella che caratterizza la responsabilità contrattuale) e quindi spettava nel caso di specie al debitore il dovere di fornire la prova negativa dell'elemento soggettivo (ad es. per errore scusabile) e non al creditore quella della sua esistenza (Consiglio di Stato, Sez. IV, 4 settembre 2013, n. 4439;
Sez. VI, 20 gennaio 2003, n. 204;
Sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169).

E nel caso che occupa, la delibera di ammissione al contributo è stata adottata trascorsi otto mesi dalla domanda a fronte di un quadro normativo di riferimento che (cfr. T.A.R. Bari, sez. II , 12/10/2012, n. 1766, in caso analogo) <<al più rinvia al ristretto termine generale di conclusione dei procedimenti di cui alla legge n. 241/90, ove non si ritenga applicabile alla fattispecie in esame l'art. 5, comma 5, d.lgs. n. 123/98 (che contempla un termine di sei mesi per la conclusione delle attività istruttorie e per la decisione finale con generale riferimento agli interventi di sostegno pubblico alle imprese).

<<
Non viene in soccorso la norma opposta da Invitalia (l'art. 3 del D.M. 28.5.2001 n. 295), che più specificamente contiene il regolamento recante i criteri e le modalità di concessione degli incentivi a favore dell'autoimpiego, giacché non reca alcuna previsione di termini per la conclusione dei procedimenti>>.

Del resto, la stessa Amministrazione si era autolimitata, in coerenza con la richiamata normativa, ponendo un limite, entro il quale e “non oltre” (sei mesi), la domanda avrebbe dovuto trovare esito;
ed inoltre, la stessa Amministrazione aveva ammesso per intero l’agevolazione con la delibera del 14.10.2010, che, se emanata nei termini prescritti, avrebbe “coperto” anche le fatture “anticipate” rispetto a tale data, ma successive al semestre.

Il gravame deve, pertanto, essere accolto e per l'effetto va riconosciuta alla ricorrente, a titolo risarcitorio, tenuto conto delle spese che sarebbero state senz’altro ammesse a rimborso poiché successive all’accoglimento, poi revocato, della domanda della ricorrente, una somma pari all'importo massimo contemplato nel provvedimento del 7.12.2010 delle spese sostenute prima della sua emanazione, ma comunque documentate successivamente al semestre maturato dopo l’istanza di agevolazione.

La mancata allegazione di atti sollecitatori, ai sensi del comma 3 dell’art. 30 c.p.a., determina il mancato riconoscimento di ulteriori somme a titolo accessorio.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

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