TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2009-10-26, n. 200910404

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2009-10-26, n. 200910404
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 200910404
Data del deposito : 26 ottobre 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01847/2001 REG.RIC.

N. 10404/2009 REG.SEN.

N. 01847/2001 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 1847 del 2001, proposto da:
S C, rappresentato e difeso dagli avv. F D J, F S, con domicilio eletto presso F D J in Roma, p.zza del Fante, 10;

contro

Ministero della Difesa, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento del provvedimento del Ministero della Difesa – Direzione Generale per il Personale Militare – II Reparto n. 4111 con il quale in data 25 settembre 2000, a modifica del precedente Decreto dirigenziale n. 1374 del 26 ottobre 1998, il ricorrente è stato collocato in congedo assoluto per infermità con il grado di Maresciallo Aiutante s. UPS e non di Maresciallo Capo;
di tutti gli atti e i provvedimenti prodromici, conseguenti, o comunque correlati;.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 ottobre 2009 il cons. G R e uditi per le parti i difensori Massimiliano Garofalo, con delega per parte ricorrente, e l'avv. dello Stato Vittorio Cesaroni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Con il ricorso in esame, il ricorrente impugna il provvedimento del ministero della difesa datato 25 settembre 2000 (notificatogli il successivo 5 dicembre) con il quale, a modifica del precedente decreto dirigenziale n. 1374 del 26 ottobre 1998, l’amministrazione lo ha collocato in congedo assoluto per infermità con il grado di maresciallo aiutante s. UPS e non di maresciallo capo. L’interessato chiede, altresì il risarcimento di tutti i danni subiti a seguito dell’attività di polizia giudiziaria, la ricostruzione della carriera, con l’attribuzione dei gradi ed emolumenti spettanti a far data dal 1991 nonché gli ulteriori danni causati dall’impossibilità di concorrere al ruolo RTC (passaggio negli ufficiali del ruolo tecnico).

In punto di fatto, il ricorrente espone che:

-a seguito di denuncia, in data 12/12/1991, egli fu tratto in arresto perché indagato del reato di estorsione (poi derubricato a truffa);

-in data 20/12/1991, veniva sospeso dal servizio in via precauzionale;

-in data 23/6/1992 il ministero, a seguito della richiesta di rinvio a giudizio, confermava la sospensione dall’impiego;

-il tribunale di Roma dichiarava non doversi procedere in ordine al reato rubricato per mancanza di querela;

-il ministero della difesa, con provvedimento 27/11/1996, decretava la riammissione in servizio non già perché intervenuta la sentenza di proscioglimento del tribunale di Roma in data 19/6/1996, bensì in ottemperanza dell’art. 9 della legge 7/2/1990, n. 19 per avere, il S, trascorso in sospensione il quinquennio stabilito dalla stessa legge;

-la Corte d’appello di Roma statuiva, in data 24/3/1998, l’assoluzione del ricorrente perché il fatto non sussiste;

-il 30/7/1998, egli veniva sottoposto a visita dalla c.m.o. di Roma e giudicato non idoneo al servizio militare incondizionato e perciò collocato in congedo assoluto in quanto affetto da numerose malattie;

-infine, in data 5 dicembre 2000 gli veniva notificato l’impugnato provvedimento.

Il ricorrente deduce un unico, articolato motivo di gravame per eccesso di potere, articolato sotto vari profili, nonché violazione degli artt. 96 e 97 del DPR 10/1/1953 e 20 della legge 31/7/1954, n. 599.

Come seguono le censure:

a)l’impugnato provvedimento è stato adottato senza alcuna considerazione che l’azione penale promossa a seguito della denuncia presentata nei suoi confronti era viziata ab origine essendo improcedibile stante l’assenza totale del fatto costituente reato, così come acclarato dalla sentenza del tribunale penale di Roma e dalla decisione della Corte d’appello di Roma;

b)il ricorrente è stato, all’epoca dei fatti, frettolosamente sospeso ed ha dovuto subire una serie di privazioni materiali conseguenti alla riduzione dello stipendio e fisiche;

c)egli doveva essere portato in avanzamento al grado di maresciallo già nell’anno 1991 ma a causa della sospensione inflittagli, rilevatasi poi ingiusta, ciò non fu attuato con conseguenti gravissime ripercussioni negative sullo status giuridico ed economico;

d)il ministero della difesa, quando in data 27/11/1996 decretò la riammissione in servizio del ricorrente, non adottò tale provvedimento sulla base della sentenza del tribunale penale di Roma ma in applicazione dell’art. 9 della legge n. 19/1990 avendo il militare trascorso il periodo quinquennale di sospensione previsto dalla precitata normativa, perciò senza prendere atto della sentenza stessa;

e)al ricorrente devono essere riconosciuti gli assegni non erogati per effetto della sospensione dal servizio;

f)l’amministrazione non sempre ha mantenuto la sospensione precauzionale dall’impiego dei militari sottoposti a procedimenti penali, già tratti in arresto, sino al compimento dell’iter processuale, sentenza definitiva.

Si è costituita L’Avvocatura di Stato per resistere al ricorso.

All’udienza del 7 ottobre 2009, la causa è stata trattenuta per al decisione.

DIRITTO

Con il ricorso in esame, il ricorrente chiede:

-l’annullamento del provvedimento datato 25 settembre 2000 con il quale l’intimata amministrazione, a modifica del precedente decreto dirigenziale n. 1374 del 26 ottobre 1998, lo ha collocato in congedo assoluto per infermità con il grado di maresciallo aiutante s. UPS e non di maresciallo capo;

-l’accertamento di tutti i danni subiti e subendi a seguito della attività giudiziaria penale e disciplinare rivelatasi ingiusta.

Il ricorso è infondato.

E’ pacifico in fatto che il ricorrente fu sospeso in via precauzionale dal servizio a seguito del suo arresto. La circostanza dell’arresto imponeva la sospensione dall’impiego, giusta art. 20, c. II, della legge 31 luglio 1954, n. 599.

La pendenza del procedimento penale, definitivamente risoltasi con sentenza della Corte d’Appello di Roma del 24/3/1998, divenuta irrevocabile il successivo 29 luglio, costituiva valido presupposto della sospensione discrezionale dall’impiego del sottoufficiale.

Il ricorrente, non trovandosi nel quinquennio 1991-1996 in servizio attivo, e stante comunque la pendenza di procedimento penale, legittimamente è stato escluso - giusta D.Lvo n. 198/1995 (ed ancor prima cfr L. n. 212/1983) - dalle aliquote per l’avanzamento al grado superiore.

Correttamente l’intimata amministrazione, in data 12/12/1996, decretò la riammissione in servizio del militare per trascorso periodo quinquennale di sospensione;
ciò in quanto la sentenza del tribunale di Roma, intervenuta il precedente 19/6/1996, aveva statuito l’assoluzione del militare non già per insussistenza del fatto o perché il fatto non costituisse reato (c.d. assoluzione piena), bensì per mancanza di querela lasciando così in essere tutti i presupposti di fatto discrezionalmente valutabili dall’amministrazione ai fini disciplinari della sospensione dall’impiego.

Ai fini della ricostruzione della carriera, l’amministrazione, con decreto dirigenziale del 16/5/1996, iscrisse il sottufficiale nel ruolo degli ispettori con il grado di maresciallo capo e con decorrenza 1/9/1995, ai sensi dell’art. 46, D.Lvo n. 198/1995 (inquadramento nel ruolo degli ispettori del personale appartenente al ruolo sottufficiali, comunque in servizio alla data del 1° settembre 1995).

L’iscrizione del ricorrente avvenne in attesa che si provvedesse al suo inquadramento, ai sensi dell’art. 49, c. 3°, del D.Lvo 12/5/1995, n. 198 (“Gli esclusi a qualsiasi titolo dalle aliquote determinate secondo i criteri di cui alla legge 10 maggio 1983, n. 212, o di cui a leggi previgenti, ivi comprese le aliquote straordinarie di cui al comma 1, al venir meno delle cause impeditive, purché mantengano le condizioni di legge per l'iscrizione nel ruolo, sono valutati, anche in deroga a quanto stabilito dagli articoli 37 e 38 del presente decreto, con i medesimi criteri fissati dalle predette leggi e, nell'avanzamento, prendono posto, se idonei, nella graduatoria di merito dei parigrado, con i quali sarebbero stati valutati in assenza delle cause impeditive. Gli stessi sono promossi ed inquadrati secondo le modalità indicate nelle medesime disposizioni”)

Sennonché, il ricorrente non poté essere sottoposto a valutazione, ai fini della predetta ricostruzione, avendo egli interposto appello avverso la decisione di 1^ grado del tribunale di Roma.

Solo a seguito dell’assoluzione piena statuita dalla Corte d’Appello di Roma con decisione del 24/3/1998, divenuta irrevocabile il successivo 29 luglio, l’amministrazione revocò a tutti gli effetti la sospensione precauzionale con provvedimento datato 28 ottobre 1998, quest’ultimo rimasto inoppugnato.

Nel frattempo, nei confronti dell’interessato, l’amministrazione, con provvedimento datato 26 ottobre 1998, aveva già disposto la cessazione dal servizio permanente per infermità ed il collocamento in congedo assoluto per riforma, con decorrenza 30 luglio 1998;
anche questo provvedimento rimase inoppugnato.

Confrontando le date dei suddetti provvedimenti (ai quali il S, si ripete, prestò acquiescenza con ciò risultando oggi tardiva qualsiasi forma di censura e contestazione) si evince che il ricorrente cessò dal servizio permanente (30 luglio 1998) prima del cessare della causa impeditiva (28 ottobre 1998). Egli, pertanto, risultò destinatario della sola forma di progressione di carriera prevista dall’art. 39 del D.Lvo n. 198/1995, giusta principi fissati nel medesimo decreto e prima di questo nella legge n. 212/1983, oggi ribadite nel D.Lvo n. 83/2001.

Correttamente, dunque, il ricorrente è stato valutato dalla commissione di avanzamento ai sensi del citato articolo 39 (verb. n. 87/1999), poiché questo regola esattamente l’avanzamento degli ispettori e sovrintendenti dell’Arma dei carabinieri in particolari condizioni così disponendo:

1. Gli ispettori ed i sovrintendenti che:

a) siano già stati giudicati idonei all'avanzamento, iscritti in quadro e non promossi, e che non possono essere ulteriormente valutati perché raggiunti dai limiti d'età per la cessazione dal servizio permanente o perché divenuti permanentemente inabili al servizio incondizionato o perché deceduti;

b) siano divenuti permanentemente inabili al servizio incondizionato ovvero deceduti, cessando dal servizio nell'anno in cui, pur avendo maturato i requisiti prescritti per essere ricompresi nelle aliquote di ruolo per la formazione dei quadri di avanzamento, non possono, per i motivi suddetti, essere inclusi nelle predette aliquote;

c) inclusi in aliquota, vengano a trovarsi nelle medesime condizioni di cui alle lettere a) e b), prima di essere valutati per l'avanzamento;

sono promossi, previo giudizio di idoneità, con decreto ministeriale, al grado superiore dal giorno precedente alle intervenute cause impeditive, ovvero dal giorno precedente al raggiungimento del limite di età per la cessazione dal servizio permanente.

Così ricostruita la carriera in base all’art. 39 del D.Lvo n. 198/1995, giustamente il ricorrente si è visto rettificato il decreto dirigenziale del 26 ottobre 1998 nel senso di essere collocato in congedo assoluto per infermità con il grado apicale di maresciallo aiutante sostituto ufficiale di pubblica sicurezza del nuovo ruolo degli Ispettori, anziché di maresciallo capo.

Il ricorrente si duole che nei suoi confronti l’amministrazione ha tenuto un comportamento non imparziale avuto riguardo al trattamento riservato ad altri dipendenti. Sostiene, altresì, di avere subito ingenti danni dalla sospensione dal servizio e dall’attività di polizia giudiziaria.

Il Collegio non ravvede nel comportamento dell’ente alcuna disparità di trattamento, né fumus persecutionis, risultando l’agere dell’amministrazione, per quanto sopra argomentato, conforme al principio di legalità. Ogni altra censura s’appalesa, ad ogni modo, tardiva per non essere stata tempestivamente azionata, nei confronti dei provvedimenti disciplinari, nei termini decadenziali. Quanto ai danni assertivamente subiti a seguito dell’attività di polizia giudiziaria, si tratta di questione che esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo che potranno, del caso essere, fatti valere nei confronti dello Stato dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, secondo le norme sull’ingiusta detenzione.

In ordine alla richiesta dei danni che si reputano causati dalla ingiusta attività disciplinare, la relativa domanda s’appalesa infondata essendo stata acclarata la legittimità dell’operato amministrativo e comunque tardivo ogni accertamento di illegittimità su atti ormai consolidatisi.

Il ricorrente, invero, paventa di aver subito un danno in ragione del fatto che la vicenda de qua gli avrebbe impedito di poter concorrere per il passaggio nel ruolo tecnico degli ufficiali. La doglianza è infondata. L’amministrazione ha rappresentato – con allegazioni non confutate in atti – che il ricorrente non possedeva affatto i requisiti previsti come necessari alla partecipazione alla procedura concorsuale, specificati nell’art. 55, c. IV, della legge n. 212/1983;
ciò in quanto nel documento caratteristico, ad eccezione di un solo periodo (10/10/1990-7/9/1991), egli è stato giudicato nella documentazione precedente, per ben tre volte, “nella media”.

In conclusione, il ricorso in esame non è meritevole di accoglimento e va, pertanto, respinto.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi