TAR Venezia, sez. II, sentenza 2021-02-09, n. 202100184
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Pubblicato il 09/02/2021
N. 00184/2021 REG.PROV.COLL.
N. 01414/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1414 del 2010, proposto da
M P C, rappresentato e difeso dall'avvocato G A D M, con domicilio eletto presso il suo studio in Padova, via Altinate, 29;
contro
Comune di Chioggia, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati D P, U B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio U B in Chioggia, corso del Popolo 1193;
Ministero per i Beni e Le Attivita' Culturali non costituito in giudizio;
per l'annullamento
del provvedimento prot. n. 26.029, del 18.5.2010, a firma del Dirigente Settore Territorio- Servizio Edilizia Priva del Comune di Chioggia, di diniego alla domanda di titolo abilitativo in sanatoria presentata in data 18.3.2004, prot. n. 19612;dell'istruttoria tecnica comunale in data 18.12.2006;del parere obbligatorio consultivo della Commissione di Edilizia Ambientale Comunale espresso nella seduta n. 1 del 23.1.2007;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Chioggia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2020 la dottoressa Mariagiovanna Amorizzo e trattenuta la causa in decisione, ai sensi dell’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
E’ impugnato il provvedimento prot. n. 26.029, del 18.5.2010 del Comune di Chioggia con il quale è stata respinta la domanda di condono presentata in data 18 marzo 2004, prot. n. 19612 e i presupposti atti istruttori.
La domanda aveva ad oggetto le seguenti opere: un edificio, con destinazione d’uso variata in residenziale, totalmente in legno, eretto su pilastrini in cemento armato a loro volta appoggiati su cordolo perimetrale in cemento armato, con copertura in lastre di lamiera zincata su struttura portante in legno.
Il provvedimento di rigetto è così motivato: “opere realizzate dopo l’imposizione del vincolo ambientale e non conformi alle norme degli strumenti urbanistici, al momento dell’entrata in vigore della L. 326/2003 (ex art. 32, comma 27, lett. d), D.L. 269/03) e precisamente le opere contrastano con l’art. 22 delle Norme Tecniche di Attuazione del P.R.G. in quanto nella zona territoriale omogenea “F2 – rispetto infrastrutture territoriali” non sono consentiti interventi che non siano strettamente legati alle infrastrutture protette.”.
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
Si è costituito il Comune di Chioggia insistendo per il rigetto nel merito del ricorso.
Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali è rimasto contumace.
All’udienza del 3 dicembre 2020 la causa è stata trattenuta in decisione
DIRITTO
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 35, comma 18, L. 47/1985 ed il vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di motivazione.
Afferma il ricorrente che sull’istanza di condono si sarebbe formato il silenzio-assenso per l’inutile decorso del termine di due anni dalla presentazione dell’istanza. Il motivo è infondato.
Ai sensi dell’articolo 35, comma 19, nei casi in cui le opere per cui è stata presentata l’istanza di condono sono situate nelle aree sottoposte ai vincoli di cui all'art. 32 L. 47/1985, il termine di ventiquattro mesi decorsi i quali matura il silenzio-assenso decorre dal rilascio del parere favorevole dell’autorità tutoria.
Nel caso di specie il parere è stato sfavorevole e, pertanto, non si è verificato l’evento cui è subordinata la decorrenza del termine.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria. Non sarebbe dimostrata l’esistenza del vincolo, né la data di sua apposizione. E’ mancata l’istruttoria sulla compatibilità paesaggistica delle opere essendo stata ritenuta circostanza meramente ostativa la presenza di un vincolo paesaggistico. La censura è priva di pregio. L’istruttoria comunale ha dato atto dell’insistenza dell’area in zona soggetta a vincolo relativo alla fascia di rispetto ex artl 142, comma 1, lett. c) D.Lgs. 42/2004 e vincolo relativo ad aree dichiarate di notevole interesse pubblico, ex art. 57, comma 1, lett. c) D.Lgs. 42/2004, rientrando il territorio all’interno della gronda della laguna di Venezia. L’istruttoria è stata condotta in concreto mediante l’acquisizione del parere della Commissione edilizia integrata, nonché della Soprintendenza di Venezia, la quale ha espresso parere contrario ritenendo il manufatto “ non consono per materiali impiegati, con riferimento in particolare alle pareti in legno e alla copertura in lastre di lamiera zincata, alla tradizione edilizia locale che caratterizza il paesaggio oggetto di tutela” . A tale parere si è conformata la Commissione edilizia integrata.
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 3, comma 3, L.R. 5 novembre 2004, n. 21. L’abuso dovrebbe ritenersi condonabile anche nel caso in cui il vincolo fosse da ritenersi di inedificabilità assoluta sussistendo i presupposti previsti dalla normativa regionale invocata. Il motivo non è fondato. L’articolo 3, comma 3, L.R. 21/2004 consente la sanatoria di abusi realizzati dopo l’apposizione del vincolo qualora siano consistiti in “a) mutamenti di destinazione d’uso, con o senza opere, qualora la nuova destinazione d’uso sia residenziale e non comporti ampliamento dell’immobile;b) le opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di volume”.
La norma non è applicabile alla fattispecie in esame, atteso che l’abuso oggetto di sanatoria è consistito nell’edificazione ex novo di un manufatto che ha determinato la creazione di nuovo volume.
Con il quarto motivo è stato dedotto il vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria e violazione dell’articolo 32 L. 47/1985, richiamato dall’articolo 32, commi 26, lett. a) e 27, lett. d), D.L. 269/2003, difetto di motivazione. Afferma il ricorrente che il Comune nel negare il condono in considerazione della difformità delle opere rispetto alla disciplina urbanistico-edilizia dell’epoca dell’entrata in vigore del D.L. 326/2003 avrebbe male interpretato la suddetta disciplina, dovendo, al contrario, verificare la conformità delle opere alla disciplina vigente al momento dell’adozione del provvedimento.
Il motivo non può condurre all’annullamento del provvedimento, in quanto è stato dimostrato che l’opera non avrebbe potuto essere condonata alla stregua della medesima disposizione.
Infatti, per costante giurisprudenza, (cfr. ex multis, da ultimo, Cons. Stato Sez. II, 13/11/2020, n. 701) “Ai sensi dell'art. 32, comma 27, lett. d), del D.L. n. 269/2003, le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, tra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: le opere siano state realizzate prima dell'imposizione del vincolo, seppure realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, siano conformi alle prescrizioni urbanistiche;inoltre deve trattarsi di opere minori senza aumento di superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria) ed, infine, vi deve essere il previo parere dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo violato. In ogni caso le opere non devono comportare la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, sia esso di natura relativa o assoluta.”.
Nel caso di specie, il parere dell’autorità tutoria è stato negativo. Inoltre le opere oggetto di istanza di condono hanno determinato nuovo volume edilizio. Non ricorrono, pertanto, i presupposti per l’applicazione della norma, essendo irrilevante, a tale fine, la soluzione della questione giuridica posta dal ricorrente circa il momento al quale riferire la verifica della conformità del manufatto alle prescrizioni urbanistico-edilizie vigenti.
Il ricorso, pertanto, è infondato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.