TAR Roma, sez. I, sentenza 2014-09-18, n. 201409831

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2014-09-18, n. 201409831
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201409831
Data del deposito : 18 settembre 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 10340/2007 REG.RIC.

N. 09831/2014 REG.PROV.COLL.

N. 10340/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10340 del 2007, proposto da:
Soc Telecom Italia S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avv.ti A L, V F e P F, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Gianni, Origoni, Grippo &
Partners in Roma, via delle Quattro Fontane, n. 20;

contro

L’Autorita' Garante Concorrenza e Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore ;

nei confronti di

La Lega Consumatori Calabria Dott.Ssa Selene Falcone;

per l'annullamento

del provvedimento dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 6.9.2007, notificato il 20.9.2007 con il quale la medesima Autorità ha ritenuto ingannevole il messaggio pubblicitario relativo all’offerta di acquisto di un computer marca “Lenovo 3000 n. 100” applicando a Telecom, in qualità di operatore pubblicitario, la sanzione di € 53,600;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 luglio 2014 il dott. Vincenzo Blanda e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La controversia in esame concerne il procedimento con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha esaminato, al fine di verificare l’esistenza di pratiche commerciali scorrette, le condotte poste in essere dalla società Telecom Italia S.p.a., volte a promuovere l’acquisto di un computer marca “Lenovo 3000 n. 100”, mediante messaggi pubblicitari diffusi a mezzo telefax in data 11.10.2006 alle ore 17,30 nella provincia di Reggio Calabria.

Sulla base delle informazioni acquisite, ed alla luce della segnalazione pervenuta da parte di un associazione di consumatori, in data 6.3.2007, veniva comunicato alla società l’avvio del procedimento ai sensi degli artt. 19, 20 e 21, comma 1, lett. b) del Codice del Consumo “in relazione alle effettive caratteristiche dell’offerta e della formulazione del messaggio in esame a suscitare nei consumatori falsi affidamenti in ordine alle effettive caratteristiche e condizioni per fruire della stessa”.

In particolare, nel provvedimento si contestava a Telecom:

- di avere inviato una comunicazione formulata in modo da ingenerare nei consumatori falsi affidamenti rispetto alle caratteristiche e condizioni per fruire dell’offerta stessa;

- che il consumatore era ragionevolmente indotto a ritenere che la rateizzazione avvenga tramite addebito di importi pari a € 81,66 ogni mese e che l’addebito si sarebbe ripetuto per 6 volte, in quanto non era previsto nel messaggio alcun riferimento al numero 12;

- il consumatore non sarebbe potuto ragionevolmente pervenire alla conclusione che l’ammontare complessivo dovuto per il bene in promozione dovesse essere computato su base bimestrale e non mensile, per cui il termine “bollette” presente nel messaggio doveva essere interpretato quale “bollettino”, in quanto il prodotto reclamizzato non rientrava nelle utenze domestiche (luce, acqua, gas e telefono).

In tale quadro, l’Autorità formulava altresì una richiesta di informazioni al fine di acquisire elementi conoscitivi utili alla valutazione della sussistenza delle pratiche commerciali scorrette oggetto del procedimento.

In data 16 marzo e 6 aprile 2007, Telecom ha presentato memorie difensive con le quali:

ha dichiarato la propria estraneità alla elaborazione e diffusione del messaggio, sostenendo che la responsabilità dovesse essere addebitata all’agente di vendita, che aveva predisposto e veicolato il messaggio;

che il messaggio si limitava a rappresentare la convenienza sotto il profilo del modesto importo mensile richiesto e delle modalità di pagamento, per cui esso indicava sia il prezzo finale di acquisto e le modalità di calcolo dello stesso;

che l’importo complessivo dovuto dal consumatore era ricavabile da una semplice operazione aritmetica di cui erano note tutte le componenti, essendo pacifico che la fatturazione delle bollette domestiche avviene con cadenza bimestrale.

All’esito dell’istruttoria compiuta, l’Autorità Garante della Concorrenza e del mercato, ha deliberato che il messaggio in esame costituisse una fattispecie di pubblicità ingannevole, in quanto idoneo ad indurre in errore i consumatori sulle effettive condizioni economiche dell’offerta, non corrispondenti a quelle dichiarate, per cui attesa la gravità della infrazione accertata e considerata l’aggravante della recidiva, qualificando Telecom quale operatore pubblicitario ai sensi dell’articolo 20, lett. d) del Decreto Legislativo n. 206/05, ha determinato l’importo della sanzione in € 53.600,00.

Avverso tale determinazione ha quindi proposto impugnazione Telecom, deducendo i seguenti motivi:

1) Violazione e falsa applicazione dell’articolo 20, lett. d) del Decreto Legislativo n. 206/05, dell’art. 3 della legge n. 241/1990. Eccesso di potere per carenza di istruttoria, falsità della causa, contraddittorietà e illogicità manifesta, perplessità e sviamento.

Telecom non potrebbe essere considerata operatore pubblicitario secondo quanto previsto dell’articolo 20, lett. d) del Decreto Legislativo n. 206/05, perché non avrebbe predisposto il messaggio pubblicitario.

Il messaggio sarebbe stato predisposto da un agente pubblicitario a livello locale.

Telecom avrebbe solo messo a disposizione la propria rete commerciale e le modalità di riscossione, mediante bollette telefoniche;

Violazione e falsa applicazione degli artt. 19, 20 e 21, comma 1, lett. b) del Decreto Legislativo n. 206/05;
difetto di istruttoria, illogicità e contraddittorietà manifesta.

Il messaggio non sarebbe ingannevole perché sarebbe stato chiaro che l’importo di € 81,66 corrisposto mediante addebito nella bolletta per sei bollette, faceva riferimento a 12 mensilità;

Violazione e falsa applicazione dell’art. 26 del Decreto Legislativo n. 206/05 e dell’art. 11 della legge n. 689/1981;
eccesso di potere per carenza di istruttoria, contraddittorietà e illogicità manifesta;
disparità di trattamento, violazione del principio di proporzionalità.

Non sussisterebbe la gravità della violazione prevista dell’art. 26 del Decreto Legislativo n. 206/05, la sanzione sarebbe eccessiva e sproporzionata rispetto alla diffusione del limitata della campagna pubblicitaria mediante telefax in ambito provinciale, né potrebbe applicarsi un aumento della sanzione sulla base di altri precedenti perché ciò non sarebbe previsto dalla legge.

Alla pubblica udienza del 1 luglio 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.

La controversia in esame concerne la condotta poste in essere dalla società ricorrente volta a promuovere l’acquisto di un computer marca “Lenovo 3000 n. 100”, mediante messaggi pubblicitari diffusi a mezzo telefax in data 11.10.2006 alle ore 17,30 nella provincia di Reggio Calabria.

L’Autorità, in particolare, ha ravvisato una pratica commerciale scorretta, nella fase relativa all’acquisizione del consenso - in quanto posta in essere in violazione degli artt. 19, 20 e 21 del decreto legislativo n. 206/2005 – relativamente ai profili di seguito indicati:

Telecom S.p.a, avrebbe agito alla stregua di un operatore pubblicitario;

dal messaggio pubblicitario inviato a mezzo telefax il consumatore sarebbe stato indotto ragionevolmente a ritenere che la rateizzazione avvenga mediante addebiti di importi pari a € 81,66 per ciascun mese e che l’addebito si ripetesse per 6 volte ossia per 6 bollette, posto che nel messaggio si legge “

SOLO

81,66 euro/mese X6 BOLLETTE”.

Con riguardo al primo profilo l’Autorità ha evidenziato che sussiste una responsabilità della società in considerazione del fatto che nella comunicazione pubblicitaria, ci si avvale in via esclusiva, del marchio commerciale della Telecom S.p.a.-. Inoltre essa detiene un interesse diretto ed immediato nella comunicazione promozionale, avendo preliminarmente stabilito le “opzioni commerciali disponibili”, come affermato dalla stessa nella memoria indirizzata all’Autorità, e avendo messo a disposizione le bollette telefoniche come veicolo per l’addebito degli oneri relativi all’acquisto del prodotto reclamizzato.

Quanto al secondo profilo messo in luce dall’Autorità concernente le modalità del messaggio pubblicitario.

Al riguardo, con la segnalazione pervenuta il movimento dei consumatori ha denunciato che sono state inviate, in ordine alle caratteristiche significative dell’offerta (quale il pagamento del computer mediante addebito in 6 bollette).

L’Autorità ha ritenuto, in proposito, che Telecom S.p.a. non abbia messo gli utenti in condizione di comprendere immediatamente ed in modo inequivoco l’importo complessivo previsto per l’acquisto del prodotto pubblicizzato.

In quanto il destinatario della comunicazione avrebbe potuto desumere che l’importo complessivo da pagare fosse di € 480,00, ossia il risultato dell’importo mensile di € 81,66 moltiplicato per il numero delle bollette (sei) indicato.

Poiché inoltre non era indicato l’importo totale del prodotto, ciò avrebbe indotto a ritenere che il prezzo finale coincidesse con quello calcolato nel modo sopra indicato.

L’istruttoria posta in essere dall’Autorità, ha evidenziato che la società non ha adottato accorgimenti sufficienti ad evitare che il messaggio potesse trarre in inganno il consumatore finale.

Come osservato dall’Autorità, il computer portatile reclamizzato non rientra tra le utenze domestiche (luce, acqua, gas e telefono), per cui il computo delle rate dovute secondo la comune prassi non avviene su base bimestrale, come per le utenze sopra indicate.

Di conseguenza il destinatario della comunicazione non avrebbe potuto individuare in modo agevole e immediato il (reale) prezzo finale del computer, interpretando le indicazioni del messaggio, il valore di € 81,66 per 12, ossia il numero delle rate con le quali in pratica la società ricorrente avrebbe calcolato il prezzo del prodotto.

Sulla base di tali premesse e al fine di risolvere la controversia appare utile indicare in modo sintetico il quadro normativo e regolamentare di riferimento.

La disciplina di derivazione comunitaria posta a tutela del consumatore e della concorrenza si è arricchita per effetto della Direttiva n. 2005/29/CE, relativa alle “pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno”, alla quale, il legislatore nazionale ha provveduto a dare attuazione adottando nel 2007 i decreti legislativi nn. 145 e 146, rispettivamente destinati ai rapporti tra professionisti ed alle pratiche intraprese da questi ultimi con i consumatori.

Il d.lgs. n. 146/2007 è intervenuto direttamente sul Codice del Consumo, sostituendo gli artt. 18-27 del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 ed introducendo una generale normativa sulle “pratiche commerciali scorrette”.

Il Codice del Consumo abbandona il precedente, specifico riferimento alla sola pubblicità ingannevole e comparativa per abbracciare una disciplina di portata più ampia, riferibile, sotto il profilo oggettivo, ad ogni azione, omissione, condotta, dichiarazione e comunicazione commerciale, “ivi compresa la pubblicità”, posta in essere da un professionista “prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa ad un prodotto” (artt. 18 e 19 del Codice), così notevolmente allargando il campo delle condotte sanzionabili.

Quanto, invece, all’ambito di applicazione soggettivo, le pratiche commerciali rilevanti ai fini della normativa in esame sono solo quelle poste in essere tra professionisti e consumatori: rimangono, pertanto, escluse quelle condotte connesse ad un rapporto tra soli professionisti, cui, viceversa, fa precipuo riferimento il parallelo d.lgs. n. 145/2007 sulla pubblicità ingannevole e comparativa.

Il recepimento nell’ordinamento interno della direttiva comunitaria 2005/29/CE, ha rafforzato il ruolo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nella tutela amministrativa del consumatore, rendendola ben più incisiva e ampia di quella prevista in precedenza e limitata alla repressione della pubblicità ingannevole e comparativa.

Il D.lgs. n. 146/2007 ha ampliato i poteri dell’Autorità allineandoli a quelli dell’azione amministrativa a tutela della concorrenza, rendendo più severe le misure sanzionatorie.

Ai sensi dell’art. 18 del d.lgs. 6 settembre 2005 n. 206 (come modificato dall’appena citato d.lgs. 2 agosto 2007 n. 146), per le finalità considerate dal Titolo III (Pratiche commerciali, pubblicità ed altre informazioni commerciali), si intende per:

- “professionista”: qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista;

- “prodotto”: qualsiasi bene o servizio, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni;

- “pratiche commerciali tra professionisti e consumatori”: qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori;

- “falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori”: l'impiego di una pratica commerciale idonea ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Il successivo art. 19 puntualizza, poi, che le disposizioni contenute nel Titolo anzidetto trovano applicazione alle pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori poste in essere prima, durante e dopo un'operazione commerciale relativa a un prodotto.

Il comma 2 dell’art. 20 stabilisce, quindi, che “una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale e' diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori”;
mentre il successivo comma 4 individua come scorrette le pratiche commerciali:

- ingannevoli di cui agli articoli 21, 22 e 23

- aggressive di cui agli articoli 24, 25 e 26.

In particolare, ai sensi dell’art. 22 “è considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induce o è idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”.

Secondo l’art. 24 “È considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”.

Ciò premesso, è possibile valutare la fondatezza delle censure dedotte, la prima delle quali riguarda la riconducibilità a Telecom della condotta sanzionata.

Premesso che occorre escludere l’esclusiva imputabilità della pratica a soggetti terzi (attesa la chiara riconducibilità della pratica commerciale alla stessa Telecom), il Collegio non rinviene vizi logici nel ragionamento dell’Autorità là dove ha ritenuto che “sussiste una responsabilità della società in considerazione del fatto che nella comunicazione pubblicitaria, ci si avvale in via esclusiva, del marchio commerciale della Telecom S.p.a.”.

Il messaggio pubblicitario, invero, riconduce direttamente all’operatore telefonico, il quale pertanto non può sottrarsi alla responsabilità invocando la propria estraneità alla pratica commerciale posta in essere dall’agente commerciale a livello locale.

Inoltre, come osservato dalla stessa Autorità nel provvedimento impugnato, Telecom S.p.a. nella pratica in questione dimostra di avere un interesse diretto ed immediato nella comunicazione promozionale, avendo preliminarmente stabilito le “opzioni commerciali disponibili” (come ammesso da Telecom nella memoria inviata nella fase istruttoria del procedimento sanzionatorio, e avendo messo a disposizione le proprie bollette telefoniche come veicolo per l’addebito degli oneri relativi all’acquisto del computer portatile.

Con il secondo motivo si afferma che non sussisterebbe alcun apprezzabile distorsione del comportamento dei consumatori e del mercato, per cui andrebbe esclusa la stessa configurabilità della pubblicità ingannevole.

La tesi non convince;
al riguardo occorre richiamare quanto già osservato da questa Sezione sulla verifica dell’idoneità della pratica ad incidere sulla libertà di autodeterminazione del “consumatore medio” e sulle caratteristiche dell’offerta commerciale in esame.

In primo luogo occorre ricordare che il modello del “consumatore medio”, ragionevolmente attento ed avveduto, si ritrae dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di pubblicità ingannevole, (cfr., per tutte, la sentenza del 13 gennaio 2000, causa C-220/98, Estée Lauder), ed è stato successivamente “positivizzato” ed esteso dalla direttiva sulle pratiche commerciali sleali a tutta la gamma delle condotte dalla stessa considerate.

Tale modello è ispirato dal principio di proporzionalità, in quanto idoneo ad operare un effettivo bilanciamento tra l’esigenza di libera circolazione delle merci e dei servizi e il diritto del consumatore a determinarsi consapevolmente in un mercato concorrenziale

L’individuazione del modello del “consumatore medio” non segue ad una valutazione condotta in termini meramente statistici o empirici, dovendo invece essere presi in considerazione fattori di ordine sociale, culturale ed economico, fra i quali, in particolare, va analizzato il contesto economico e di mercato nell’ambito del quale il consumatore si trova ad agire.

In tale ottica non può essere disconosciuto che il settore in esame è non solo estremamente complesso e caratterizzato da una continua evoluzione tecnologica, ma soprattutto si rivolge ad un’ampia platea di potenziali consumatori, all’interno della quale non è ragionevolmente predicabile un elevato e diffuso grado di informazione. Il richiamo al modello del consumatore medio non esclude pertanto che occorra assicurare un’adeguata tutela anche ai consumatori meno smaliziati.

Questo Tribunale (cfr. TAR Lazio Sez. I, 8 aprile 2009, n. 3722) ha già chiarito che l’illiceità della condotta, al fine di assumere rilevanza ai sensi delle più volte riportate disposizioni del Codice del Consumo, “non deve dimostrare una concreta attuazione pregiudizievole (per le ragioni dei consumatori), quanto, piuttosto, una potenzialità lesiva (per le scelte che questi ultimi, altrimenti, sono legittimati a porre in essere fuori da condizionamenti e/o orientamenti decettivi) che consente di ascrivere la condotta nel quadro dell’illecito (non già di danno) ma di mero pericolo” in quanto intrinsecamente idonea a condurre alle conseguenze che la disciplina di legge ha inteso, invece, scongiurare.

Gli effetti della condotta, si pongono, in definitiva, al di fuori della struttura degli illeciti sanzionati dal Codice del Consumo, atteso che la normativa in materia non ha la mera funzione di assicurare una reazione alle lesioni arrecate dalle pratiche scorrette agli interessi patrimoniali del consumatore, ma si colloca su un più avanzato fronte di prevenzione, essendo tesa a salvaguardarne, in primo luogo, la libertà di autodeterminazione, e, pertanto, indirettamente, a prevenire distorsioni del funzionamento del mercato concorrenziale, sin da una fase ampiamente precedente rispetto all’instaurazione del rapporto negoziale.

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato tutela in maniera diretta la libertà di autodeterminazione dei consumatori e, indirettamente, l’interesse pubblico alla realizzazione di un mercato pienamente efficiente e concorrenziale, in attuazione della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, recepita dall’Italia con i citati decreti legislativi nn. 145 e 146/2007.

Attraverso l’attività di contrasto alla pratiche commerciali sleali, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato tutela in maniera diretta la libertà di autodeterminazione dei consumatori e, indirettamente, l’interesse pubblico alla realizzazione di un mercato pienamente efficiente e concorrenziale.

E’, pertanto, alla luce di tale essenziale funzione che debbono essere interpretate le norme in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali, poste a tutela degli utenti finali.

Le norme in materia di contrasto alle pratiche commerciali sleali richiedono ai professionisti l’adozione di modelli di comportamento in parte desumibili dalle norme di settore, ove esistenti, in parte dall’esperienza propria dell’ambito di attività, nonché dalla finalità stessa di tutela perseguita dal Codice del Consumo, purché, ovviamente, siffatte condotte siano dagli stessi concretamente esigibili, in un quadro di bilanciamento, secondo il principio di proporzionalità, tra l’esigenza di libera circolazione delle merci e dei servizi e il diritto del consumatore a determinarsi consapevolmente in un mercato concorrenziale, secondo la logica alla base del modello, pur esso di derivazione comunitaria, del c.d. consumatore medio.

Nel caso in esame, è evidente che la società Telecom S.p.a. non ha, con sufficiente grado di diligenza, tutelato il consumatore medio, per avere omesso di adottare non già complicati accorgimenti, quanto di seguire elementari regole di prudenza e di chiarezza nel messaggio pubblicitario diffuso.

La disciplina contenuta nel Codice del Consumo delinea, infatti, un modello “astratto” di professionista diligente, la cui osservanza va verificata in concreto, non solo alla stregua della disciplina di settore, ma anche dell’esperienza propria del settore di attività del professionista e delle finalità di tutela perseguita dal Codice stesso.

Ciò premesso per quanto concerne la censura con cui si contesta che l’Autorità non abbia adeguatamente verificato l’effettiva idoneità della pratica ad ingannare i destinatari della comunicazione, incidendo così sul comportamento del consumatore medio, è possibile osservare che la nozione di “pratica commerciale” ricomprende ogni condotta posta in essere da un professionista prima, durante o dopo un’operazione commerciale relativa ad un prodotto o servizio offerto, che si connoti per caratteristiche tali da poter essere astrattamente replicata a prescindere dal numero di soggetti che in concreto ne siano stati destinatari e dalle vicende contrattuali circoscritte al rapporto tra il professionista e singoli utenti.

Ne consegue che, come evidenziato dall’Autorità nel provvedimento sanzionatorio, la condotta sanzionata consiste in un’attività che si è prolungata in un arco temporale che va dall’11 ottobre 2006 e il 17 marzo 2007 da parte di uno dei principali operatori di telefonia.

Né sussiste una evidente illogicità della valutazione negativa della condotta posta in essere da Telecom, posto che il destinatario della comunicazione non avrebbe potuto individuare, in modo agevole e immediato, l’effettivo prezzo finale del computer portatile dalle indicazioni presenti nel messaggio pubblicitario.

Il riferimento al valore di € 81,66 da moltiplicare per 6, alla luce del concetto di consumatore medio a cui si è fatto cenno innanzi, induce a ritenere che il destinatario della comunicazione avrebbe interpretato il messaggio pubblicitario individuando il prezzo finale come il risultato della moltiplicazione per 6 (numero delle bollette indicato) e non per 12, quale numero delle rate corrispondenti ai mesi di fatturazione delle bollette telefoniche.

Ciò tanto più che nel messaggio non era stato riportato, come sarebbe stato necessario attesa la non chiara formulazione dell’offerta, il prezzo complessivo del notebook.

In definitiva dal messaggio non era possibile evincere in modo immediato che il prezzo finale sarebbe differito dal risultato della moltiplicazione di € 81,66 per 6, pari a € 480,00, che era quello ricavabile dal messaggio di “

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi