TAR Roma, sez. III, sentenza 2014-05-13, n. 201404978

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. III, sentenza 2014-05-13, n. 201404978
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201404978
Data del deposito : 13 maggio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 07744/2011 REG.RIC.

N. 04978/2014 REG.PROV.COLL.

N. 07744/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7744 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
-O-, rappresentato e difeso dagli avv.ti C A e M G, con domicilio eletto presso l’avv. C A in Roma, piazza del Fante, 2;

contro

La Banca d'Italia e la Banca d'Italia Filiale di Aosta, rappresentate e difese per legge dagli avv. P C e A P, domiciliata in Roma, via Nazionale, 91;

per il risarcimento

dei danni patrimonali e non derivanti dalla condotta illegittima tenuta dalla banca convenuta nel corso del rapporto lavorativo con il ricorrente;

e sui motivi aggiunti depositati il 6.2.2014

per la condanna

della Banca d’Italia al risarcimento del danno subito per € 377.895,00, quanto al danno biologico, e € 188.947,00 per il danno morale che avrebbe subito a causa della illegittima condotta tenuta dalla Banca d’Italia, oltre al danno per la perdita della capacità lavorativa in termini di lucro cessante a decorrere dal pensionamento.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Banca D'Italia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 22 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, comma 8;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 aprile 2014 il dott. V B e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso in epigrafe il signor -O-, già -O-(grado iniziale della carriera operativa del ruolo di cassa) della Banca d’Italia, riconosciuto non idoneo al servizio di istituto in data 6 febbraio 2006, ha chiesto il risarcimento dei danni subiti per cosiddetto “mobbing”, esponendo che gli stessi sarebbero conseguenza di una persistente condizione di disagio che il ricorrente si sarebbe trovato a sopportare nel proprio ambiente di lavoro a causa dei comportamenti pregiudizialmente ostili tenuti nei suoi confronti dai responsabili della sede provinciale di Aosta, nonché per effetto delle numerose turbative della vita professionale subite soprattutto negli ultimi anni di servizio.

Il ricorrente deduce i seguenti motivi:

1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 c.c. da parte del datore di lavoro, oltre che della norma generale di cui all'art. 2043 c.c., ed oltre alla mancata osservanza dell'art. 4 co. 5 lett.c-1) D.Lgs. 626/94 e succ. modif.- responsabilità della Banca d'Italia, per mancata adozione delle cautele necessarie a tutelare la salute del lavoratore —conseguenza causazione di un vero e proprio danno biologico — violazione e falsa applicazione, altresì, dell'art. 2103 c.c., per intervenuto demansionamento del -O-, con conseguente danno alla salute, per essere lo stesso stato adibito ad un ruolo incompatibile con le sue condizioni di salute";

2) violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 c.c. da parte del datore di lavoro "per esistenza di una grave situazione di "mobbing" a carico del -O-, da cui è scaturito un danno biologico".

Il ricorrente avrebbe svolto per diversi anni il ruolo di vice assistente di cassa, pur avendo chiesto di essere adibito a mansioni diverse. L’attività di contazione delle banconote sarebbe stata incompatibile con la qualifica rivestita di assistente di cassa;

3) Violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 cod. civ. in combinato disposto con l’art. 32 della Costituzione e con l’art. 2013 cod. civ., esistenza di un concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.

L’interessato si sarebbe assentato dal servizio per diverso tempo a causa di malattia.

Nel 1989 è stato esonerato dall’attività di sportello, ma non dalla contazione. Attività questa dalla quale sarebbe stato esonerato solo nel 2003;

4) Violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 cod. civ.;
esistenza di danni patrimoniale e non patrimoniale;
esistenza di un danno da “perdita di chance” e di un danno biologico da infarto, che si aggiunge a quello psichico.

I giudizi avversativi nei confronti dell’istante ne avrebbero impedito qualsiasi progressione in carriera;
per cui ne sarebbe derivata un'apprezzabile menomazione della sua professionalità, in termini di perdita di chance ovvero di ulteriori potenzialità occupazionali o di altre possibilità di guadagno e che lo stress lavorativo sarebbe stato causa o concausa dell'infarto che ha subito il 4.7.2004.

In data 6.2.2014 il ricorrente ha depositato motivi aggiunti con i quali, dopo aver ribadito le censure esposte con il ricorso introduttivo, ha chiesto il risarcimento del danno subito per € 377.895,00 quanto al danno biologico e € 188.947,00 per il danno morale che avrebbe subito a causa della illegittima condotta tenuta dalla Banca d’Italia, oltre al danno per la perdita della capacità lavorativa in termini di lucro cessante a decorrere dal pensionamento.

La Banca d’Italia si è costituita in giudizio per resistere al ricorso.

La causa è stata trattata all’udienza pubblica del 2 aprile 2014 nella quale, sentiti i difensori dell’interessato e della Banca d’Italia, il Collegio si è riservata la decisione.

DIRITTO

1. Nell’atto introduttivo del giudizio il ricorrente assume che una serie di comportamenti attuati dall'Amministrazione nei suoi confronti sarebbero in violazione dell’art. 2087 del codice civile e che gli avrebbero cagionato danni patrimoniali, biologici, morali ed esistenziali per i quali chiede un risarcimento sia a titolo di responsabilità contrattuale che extracontrattuale.

2. Il ricorrente deduce di essere stato assoggettato nell'arco temporale 1988-2003 di vari episodi illegittimi e/o vessatori, imputabili al datore di lavoro Banca d'Italia, che avrebbero condotto al progressivo demansionamento del -O-

3. Ciò premesso ai fini di un corretto inquadramento della controversia, appaiono pertanto necessari alcuni cenni per l’individuazione del concetto giuridico di “mobbing”.

Tale peculiare vicenda, che esprime una delle possibili patologie da cui può essere affetto un rapporto di lavoro subordinato, presuppone nell'accezione che va consolidandosi pur con varietà di accentuazioni in dottrina e giurisprudenza, una durevole serie di reiterati comportamenti vessatori e persecutori rivolti nei confronti del dipendente all’interno dell’ambiente di lavoro in cui egli opera, capaci di provocare in suo danno una situazione di reale, serio ed effettivo disagio, che si concreta dunque in un danno ingiusto, incidente sulla persona del lavoratore, ed in particolare sulla sua sfera mentale, relazionale e psicosomatica. L'illecito si può potenzialmente concretare con una pluralità di comportamenti materiali ovvero anche di provvedimenti, del tutto a prescindere dall'inadempimento di specifici obblighi previsti dalla normativa regolante il rapporto (Trib. Milano, sez. lav., 20 maggio 2000 e 11 febbraio 2002;
Cass. civ., sez. lavoro, 6 marzo 2006 n. 4774).

3.1. La sussistenza di una simile situazione deve essere desunta attraverso una complessiva analisi del quadro in cui si esplica la prestazione del lavoratore: gli elementi identificativi sono stati di volta in volta individuati nella reiterazione di richiami e sanzioni disciplinari ingiustificati o nella sottrazione di vantaggi precedentemente attribuiti, che devono registrarsi con carattere di ripetitività, sulla base di un intento sistematicamente perseguito da parte del datore di lavoro al fine di creare una situazione di seria e non transeunte sofferenza nel dipendente (T.A.R. Lazio sez. III, 25 giugno 2004, n. 6254).

Analogamente a quanto ricorre per i reati collegati fra di loro dalla continuazione il mobbing si deve dunque esprimere, oltre che nei singoli atti o comportamenti del datore di lavoro individuabili in concreto, nel nesso che li lega strettamente fra di loro: essi, infatti, non pervengono alla soglia del mobbing, pur restando se del caso atti illegittimi o comportamenti ingiusti, se non raggiungono la soglia della continuità e della loro particolare finalizzazione, requisiti che dimostrano la sussistenza di un disegno unitario volto a vessare il lavoratore ed a distruggerne la personalità e la figura professionale (cfr. Cassazione, Sez. lavoro 6.3.2006, n. 4774;
TAR Lombardia Milano, Sez. I, 21 luglio 2006, n. 1844;
idem, n. 1861/2006).

La giurisprudenza soprattutto del Giudice del Lavoro ha, poi, approfondito ulteriormente la questione, distinguendo il “mobbing” dal “bossing”, intendendosi nella prima accezione un comportamento diffuso ed attuato da parte dei colleghi dell’interessato (mobbing orizzontale) o dei suoi superiori (mobbing verticale), che si prefiggono entrambi lo scopo di isolarlo ed a renderlo estraneo al proprio ambiente lavorativo;
nella seconda in una precisa strategia aziendale finalizzata all’estromissione del lavoratore dallo stesso ambiente in cui opera a titolo subordinato (cfr. Tribunale di Pinerolo - Sez. lav., 2 aprile 2004).

3.2. Sulla base di quanto ora osservato deve concludersi che il mobbing rappresenta un vero e proprio concetto giuridico a contenuto indeterminato, essendo del tutto assente ogni indicazione sia da parte del Legislatore sia da parte della contrattazione collettiva in ordine ai parametri alla stregua dei quali accertarne o meno la concreta sussistenza e con essa l’illegittimità dei provvedimenti e degli atti ovvero anche l’ingiustizia dei comportamenti tramite i quali si manifesta.

Tale ricognizione si esercita dunque non già alla stregua del mero sindacato esterno di quegli indici formali, ma nella ricerca degli elementi capaci di farne emergere la sussistenza e con essa gli estremi del danno e della sua ingiustizia, avuto particolare riguardo a tutte quelle condotte incidenti sulla reputazione del lavoratore, sui suoi rapporti umani con l'ambiente di lavoro, sul contenuto stesso della prestazione lavorativa.

In detta ricerca non potrà mancare una necessaria linea di demarcazione tra l'esigenza di tutelare i lavoratori che rimangano vittime di iniziative persecutorie e la necessità di evitare l’eccessiva e patologica valutazione di ogni screzio in ambito lavorativo, che non deve comportare alcuna sanzione giuridica per qualsivoglia scorrettezza o per qualunque evento negativo occorso nel luogo di lavoro (cfr. Tribunale Cassino, Sez. lavoro, 18 dicembre 2002, secondo cui il mobbing si differenzia dai normali conflitti interpersonali sorti nell'ambiente lavorativo, i quali non sono caratterizzati da alcuna volontà di emarginare ed espellere il collega o il subordinato dal contesto lavorativo, ma sono legati a fenomeni di antipatia personale o da rivalità o ambizione).

3.3. E’ comunque incontroverso nella ricordata giurisprudenza che, per aversi mobbing, si debba accertare una serie prolungata di atti volti a soverchiare ovvero anche solo ad accerchiare o ad isolare la vittima, ponendola in una posizione di debolezza sulla base di un intento persecutorio sistematicamente perseguito;
fenomeno questo non tipico dell'impiego privato, essendone stata riconosciuta la sussistenza anche con riferimento al lavoro nelle pubbliche Amministrazioni (Trib. Ravenna, 11 luglio 2002;
Trib. Tempio Pausania, 10 luglio 2003).

Concludendo l’analisi sul punto il mobbing presuppone dunque i seguenti elementi:

a) la pluralità dei comportamenti e delle azioni a carattere persecutorio (illecite o anche lecite, se isolatamente considerate), sistematicamente e durevolmente dirette contro il dipendente;

b) l'evento dannoso;

c) il nesso di causalità tra la condotta e il danno;

d) la prova dell'elemento soggettivo.

3.4. Al fine di accreditare un’ipotesi di mobbing non è dunque sufficiente che l’interessato sia stato oggetto di trasferimenti di sede, di mutamenti delle mansioni assegnate, di richiami, sanzioni disciplinari od altro fatto soggettivamente avvertito come ingiusto e dannoso, ma occorre che tali vicende, oltre che essersi ripetute per un apprezzabile lasso di tempo, siano anche legate da un preciso intento del datore di lavoro diretto a vessare e perseguitare il dipendente con lo scopo di demolirne la personalità e la professionalità, il che deve essere poi dimostrato in giudizio secondo l’ordinaria regola dell’onere della prova che governa la richiesta di accertamento dei diritti soggettivi, non essendo sufficiente la mera, soggettiva percezione da parte dell’interessato, che abbia su tale scorta maturato un proprio radicato convincimento personale quanto alla “congiura” ordita dal datore di lavoro ai suoi danni.

4. Ciò posto, l’attento esame degli atti depositati dal ricorrente associata a quanto enunciato in giudizio non consente d’individuare alcuno degli elementi sintomatici, capaci di giustificare il fenomeno di mobbing in difetto di quella imprescindibile pluralità di comportamenti ed azioni a carattere persecutorio in danno dell’istante, nonché del nesso di causalità tra tali ipotetiche condotte e l’evento dannoso prospettato.

4.1. Seppure possa senz’altro convenirsi sul fatto che i molteplici episodi denunciati dal ricorrente facciano obiettivamente emergere le difficoltà di relazione di questi non solo con i propri superiori, ma anche con i suoi colleghi, essi non appaiono comunque riconducibili ad un unitario e sistematico atteggiamento vessatorio e preconcetto nei confronti del -O-

4.2. Sotto un primo punto di vista non può essere sottaciuto che la Banca d’Italia è un ente che ha una organizzazione di tipo gerarchico, all’interno della quale i rapporti interpersonali e di lavoro tra i dipendenti dell’Ente pubblico sono conseguentemente contrassegnati dalle regole dell’ordinamento di settore.

5. E’, quindi, sotto questo peculiare aspetto che deve darsi corso all’esame dei singoli fatti contestati.

6. In primo luogo il ricorrente afferma di essere stato dequalificato dal grado di Assistente di cassa a quello di Vice assistente, essendo stato adibito negli anni prevalentemente alla “contazione dei biglietti”.

La censura non merita di essere condivisa.

In primo luogo, si osserva che il -O-, assunto inizialmente quale usciere della Banca, ha deciso ha deciso spontaneamente di partecipare al concorso interno per il grado di -O-invece che al concorso di Vice assistente amministrativo.

Costituiscono mansioni tipiche del cassiere le attività di sportello ovvero quelle attività di contazione, confezione e sistemazione dei valori.

Come emerge dai documenti depositati, il -O-, a causa del suo stato di salute, è stato esonerato dalle mansioni allo sportello proprio al fine di evitargli lo stress da lui lamentato documentato con le relazioni cliniche ad esempio dello psichiatra -O-in data 13.1.1989.

Proprio in considerazione del fatto che il ricorrente non poteva essere adibito all'attività di sportello, che competeva al -O- in relazione alla qualifica posseduta, la Banca d’Italia lo ha adibito allo svolgimento delle altre mansioni proprie del ruolo di cassiere, compatibilmente alle capacità e alla collaborazione dimostrate.

Il supposto demansionamento in realtà, quindi, va inquadrato nei tentativi del datore di lavoro di adibire il -O- ad attività compatibile con lo specifico ruolo rivestito di “Vice assistente di cassa” e con le patologie di cui lo stesso soffriva.

E ciò trova riscontro nella relazione del Direttore della filiale di Aosta, in data 8.3.1990, da cui si evince che il -O- è stato adibito all'attività di contazione, in dipendenza delle intervenute limitazioni all'utilizzo e in considerazione dell'indisponibilità a svolgere altre mansioni di cassa.

Peraltro, non risulta che egli abbia avanzato contestazioni in ordine alla presunta dequalificazione che è sostenuta nel ricorso.

In ogni caso, non risulta che l’istante sia stato assegnato ad attività non comprese in quelle proprie della qualifica di Assistente di cassa, mentre è evidente che egli abbia rifiutato di svolgere altre attività inerenti il proprio ruolo per motivi di salute.

7. Per quanto concerne l’assenza di episodi depressivi o ansiosi, che si sarebbero invece manifestati nel corso del rapporto di lavoro, a causa del gravoso carico lavorativo e delle responsabilità ad esso connesse, risulta che il -O- ha prodotto all'amministrazione un certificato medico di malattia, redatto dallo psichiatra dott. -O-già in data 2.12.1977, dopo circa un anno dalla sua assunzione, quando egli svolgeva le mansioni di usciere. Così come risulta che in data 25.1.1978, era stata diagnosticata una "sindrome depressiva" con prognosi di 21 giorni.

Altro certificato medico di analoga natura è del 15.5.1978.

Ne consegue che, come eccepito dalla difesa della Banca d’Italia, lo stato depressivo sussisteva già prima dello stress lavorativo invocato dal ricorrente a causa delle mansioni espletate dal 1983, quale -O-presso la filiale di Aosta.

8. Risulta, inoltre, che proprio in relazione a tali accertamenti sanitari, la Banca ha esonerato il -O- dall'attività di sportello dal 1989, assegnano allo stesso le mansioni del ruolo di appartenenza ritenute più adatte al suo stato di salute.

Sotto altro profilo il ricorrente deduce che la Banca d’Italia non lo avrebbe adibito a mansioni di carattere amministrativo, che sarebbero state più volte richieste dall'interessato.

La censura non convince.

In base all'art. 6/II del Regolamento del Personale della Banca il passaggio a ruoli diversi è possibile in situazioni ben determinate ed, in particolare, in occasione dell'avanzamento di carriera, a seguito di superamento di concorso interno (art. 56, comma 3, Reg. Pers.), per osmosi (art. 71 Reg. Pers.) e nelle ipotesi in cui sia stata accertata l'inidoneità al disimpegno delle mansioni proprie del ruolo di appartenenza (art. 104 Reg. Pers. e Circolare 124/1990).

I passaggi di ruolo avvengono comunque sulla base di una complessa procedura che tiene conto delle graduatorie formate con riferimento al grado rivestito, all’anzianità nel grado e di servizio nel ruolo, alla qualità del servizio prestato con riferimento ai giudizi complessivi annuali riportati nell'ultimo triennio.

Il ricorrente ha presentato in data 21.1.1988 un'istanza di mutamento del ruolo, senza rispettare però le prescrizioni regolamentari, alla quale la Banca d'Italia ha risposto osservando che la filiale (Aosta) non era compresa tra quelle interessate da passaggi di ruolo locali.

9. Quanto al passaggio di ruolo per inidoneità al disimpegno delle mansioni di competenza, l'inidoneità del -O- inizia ad emergere solo dagli esami medici del mese di aprile 2003, data in cui il ricorrente però risultava essere già stato addetto all'ufficio di segreteria, a seguito della sopravvenuta modifica del Regolamento del Personale che aveva superato la distinzione tra ruolo di cassa e ruolo amministrativo.

Sulla base di quanto osservato non si ravvisa alcun profilo di illegittimità e/o vessatorietà da parte dell'amministrazione circa le richieste di assegnazione del -O- a compiti amministrativi..

10. Il ricorrente deduce, inoltre, la sottoposizione periodica ad "accertamenti specialistici superiori per una compiuta valutazione sulla congruenza delle prestazioni di lavoro fornite dal dipendente nel delicato settore della manipolazione dei valori di banca" espletati dal gennaio 1989, dallo psichiatra Prof. -O-dell'Università La Sapienza di Roma.

Le visite specialistiche di idoneità al lavoro nei confronti del -O- non dimostrano un atteggiamento persecutorio o di vessazione, ma corrispondono alla necessità per la Banca d’Italia di verificare l’adeguatezza delle mansioni dallo espletate e delle condizioni di salute dell'interessato.

E’ lo stesso ricorrente a richiamare l'esonero dal lavoro di sportello per un anno, avvenuto per la prima volta con comunicazione della Banca d'Italia del 6.2.1989, e ripetutosi fino alla cessazione del servizio, previe ulteriori valutazioni mediche che confermavano “le limitazioni già consigliate, e cioè di non utilizzare il soggetto in attività di sportello” (cfr. doc. 36 del ricorrente, pagg. 23 e ss del ricorso).

Tale esonero non evidenzia un atteggiamento vessatorio da parte della Banca d’Italia, ma dimostra semmai le cautele adottate dall'Ente al fine di adeguare le mansioni di cassa alle condizioni di salute dell’interessato, evitandogli attività e forme di contatto col pubblico che potessero aggravarne lo stato di salute o possibili fonti di tensione.

Quanto alla sistemazione sul posto di lavoro del ricorrente, che si duole di essere stato collocato "in un recesso dell'ufficio dietro un paratoia, nascosto, senza alcuna visuale della zona cassa", tale sistemazione aveva la funzione di dare attuazione alle prescrizioni mediche che invitavano a preservare il -O- dal contatto con il pubblico e dallo svolgimento di mansioni che "lo costringono a decisioni immediate, soprattutto in presenza di estranei".

L’impedimento della visuale della "zona cassa", peraltro, aveva proprio la funzione di evitare il contatto visivo con quelle mansioni che potevano suscitare episodi di sofferenza del dipendentem e non di "umiliare" intenzionalmente il -O-.

Né risulta, peraltro, che il ricorrente si sia lamentato espressamente al riguardo.

11. A seguito della cessazione dal servizio per inabilità del -O- la Banca ha riconosciuto al ricorrente la pensione prevista dal Regolamento per il trattamento di quiescenza dei dipendenti della Banca d'Italia, a decorrere dal 1.10.2005, per cui l’Ente intimato risulta aver adempiuto agli obblighi a suo carico.

12. Quanto alle ulteriori “vessazioni” dedotte dal ricorrente, che sarebbe stato valutato in modo negativo dal datore di lavoro nei rapporti annuali, si osserva questi non hanno mai attribuito un giudizio insufficiente, né risulta abbiano mai inciso negativamente sulla progressione economica o di carriera del -O-;
né tali valutazioni sono state mai impugnate.

13. In ordine alla attività lavorativa svolta dal’interessato (che si duole di essere stato addetto all'attività di sportello fino al 2003 e "alla contazione dei biglietti di banca, come risulta dai verbali .....che venivano compilati allorchè venivano rinvenuti biglietti falsi"), si osserva che la Banca d’Italia ha esonerato il ricorrente dall’attività di sportello dal 6.2.1989 fino alla cessazione dal servizio.

Al riguardo, peraltro, appare condivisibile quanto eccepito dalla Banca d’Italia secondo cui l'attività di selezione del buono/logoro delle banconote nonché dei falsi, non costituisce attività di sportello o che si effettua allo sportello, ma rientra negli ordinari compiti del cassiere essendo connessa all'esercizio delle ordinarie funzioni istituzionali della Banca.

Né le asserite vessazioni subite nell’ambiente di lavoro da parte di colleghi e superiori, che avrebbero avuto inizio nel giugno 1987, sono state adeguatamente dimostrate dal ricorrente.

In altri termini conto il -O- non ha introdotto alcun principio di prova atto a dimostrare un nesso causale tra un atto o un comportamento illegittimo e/o vessatorio dell'amministrazione e la sua sofferenza e il cambiamento dello stile di vita.

14. Quanto al ruolo imputabile all'attività di lavoro quale antecedente concausale efficiente e determinante la patologia da cui è stato affetto il ricorrente, appare utile osservare che il Collegio medico dell'Ospedale di Torino in data 11.7.1978, a seguito di visita di idoneità per accertare se il -O- fosse o meno incondizionatamente in grado di espletare le proprie mansioni nella ategoria allora di appartenenza (usciere), ha affermato che il "soggetto con stato di labilità del… facile a reazioni… La sindrome è essenzialmente su base costituzionale anche se vi sono apparenti motivazioni ambientali e familiare. Idoneo al sevizio di usciere di banca;
da escludere da lavori con turni serali e notturni per almeno un anno”.

15. Quanto alla perizia medico-legale di parte del 10.6.2009 effettuata dal prof. M I, non emerge una chiara riconducibilità del danno biologico dedotto dal ricorrente a comportamenti della Banca.

L'unico dato certo che emerge dalla relazione si riferisce alla circostanza che “…-O-, secondo quanto emerge dalla anamnesi e dalla documentazione esaminata, non presentava disturbi sino alla metà degli anni '80”.

Tuttavia tale asserzione non trova conferma nelle patologie del ricorrente già attestate (come sopra osservato) già dal 1977 (cfr. doc. 52 , 53 e 54 della Banca d’Italia),.

16. La documentazione agli atti quindi nonpermette di verificare l’esistenza di un nesso eziologico tra le condizioni di salute del -O- e il rapporto di impiego in Banca.

Come del resto affermato dal prof. Ezio Magarotto dell'Ufficio per la salute e la sicurezza sul lavoro - Centro di assistenza sanitaria della Banca d'Italia, il quale ha evidenziato che "non sussistono elementi che possono far ricondurre all'attività lavorativa le patologie… e cardio-vascolare allegate dall'ex dipendente" (cfr. doc. 64 Banca d’Italia).

17. Con il secondo e il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 c.c. da parte del datore di lavoro "per esistenza di una grave situazione di "mobbing" a carico del -O-, da cui è scaturito un danno biologico";
esistenza di un concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.

Al riguardo non può che richiamarsi quanto già considerato in relazione al primo motivo, allorchè si è osservato che non possono essere considerate fonte di responsabilità datoriale la redazione di rapporti valutativi negativi a carico dell’interessato negli anni 1988-2003 e il mancato accoglimento della sue istanze di passaggio dal ruolo di cassa a quello amministrativo.

18. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta l'esistenza "di un danno da perdita di chance "e di un danno biologico da infarto, che si aggiunge a quello psichico" sempre quale conseguenza della presunta violazione o falsa applicazione di legge con riferimento all'art. 2087 c.c.

In particolare l’istante deduce che i giudizi avversativi nei suoi confronti “ne impedirono qualsiasi progressione in carriera;
ne discese una 'apprezzabile menomazione della sua professionalità, i termini di perdita di chance, ovvero in perdita di ulteriori potenzialità occupazionali o di altre possibilità di guadagno” e che lo stress lavorativo fu causa, fattore causale o concausale dell'infarto subito il 4.7.2004.

Quanto alla progressione in carriera non risulta che vi sia stato alcun ostacolo alla possibilità di avanzare nella carriera.

19. Ciò posto, l’attento esame degli atti depositati dal ricorrente associata a quanto enunciato in giudizio non consente d’individuare alcuno degli elementi sintomatici, capaci di giustificare il fenomeno di mobbing in difetto di quella imprescindibile pluralità di comportamenti ed azioni a carattere persecutorio in danno dell’istante, nonché del nesso di causalità tra tali ipotetiche condotte e l’evento dannoso prospettato.

20. Seppure possa senz’altro convenirsi sul fatto che i molteplici episodi denunciati dal ricorrente facciano obiettivamente emergere le difficoltà di relazione di questi non solo con i propri superiori, ma anche con i suoi colleghi, essi non appaiono comunque riconducibili ad un unitario e sistematico atteggiamento vessatorio e preconcetto nei confronti del -O-

21. All’osservazione che precede si associa la conseguente assenza di ogni sottoutilizzazione dell’interessato, che non ha subito, infatti, alcuna variazione in pejus delle proprie funzioni;
né tale situazione è configurabile in relazione agli incarichi che gli sono stati di volta in volta assegnati che appaiono corrispondenti alla qualifica posseduta e alle sue particolari condizioni di salute.

22. Alla luce delle considerazioni sopra illustrate, con le quali si è analiticamente ripercorso il lungo elenco di pretese angherie che il -O- reputa di aver subito, non soltanto non constano episodi che consentano di rettamente ritenerlo destinatario di un comportamento inappropriato da parte dei suoi superiori, nonché dei suoi colleghi di lavoro, ma fa radicalmente difetto ogni disegno organico volto ad intimidirlo e ad annichilirne progressivamente la personalità, come tale capace di essere qualificato nei termini sopra esposti di un conclamato ed indubitabile mobbing. Se può ragionevolmente ritenersi che l’istante si sia soggettivamente reputato astretto da una serie di palesi ovvero anche surrettizie aggressioni nel suo ambiente di lavoro, ogni indizio e comunque ogni prova al riguardo hanno fatto nel presente giudizio patentemente difetto.

23. E’ dunque conclusivo avviso del Collegio che la corretta ricostruzione della vicenda svolta sulla base della documentazione hinc et inde prodotta in giudizio non richieda che si dia corso ad ulteriore attività istruttoria.

Il processo amministrativo su diritti è disciplinato, pur nel difetto di base normativa ad hoc, dal fondamentale principio dell'iniziativa e dell'impulso di parte riassunto nell'onere della prova posto dall'art. 2697 c.c., per cui i poteri istruttori del giudice amministrativo possono essere esercitati solo nell’ipotesi che sia ragionevolmente ipotizzabile la necessità di garantire la parità delle armi nel processo, esigenza che fruisce oggi della copertura costituzionale assicurata dall’art. 111, 1° e 2° comma della Costituzione.

24.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi