TAR Firenze, sez. III, sentenza 2020-11-18, n. 202001428

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Firenze, sez. III, sentenza 2020-11-18, n. 202001428
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Firenze
Numero : 202001428
Data del deposito : 18 novembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/11/2020

N. 01428/2020 REG.PROV.COLL.

N. 00471/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 471 del 2011, proposto da
V D C, rappresentato e difeso dagli avvocati G P e I M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio ‘fisico’ eletto presso lo studio dell’avvocato A C in Firenze, Via Masaccio, 32;

contro

Comune di Prato, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati E B, P T e S L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio ‘fisico’ eletto presso lo studio dell’avvocato M D in Firenze, Via

XXIV

Maggio, 14;

per l'annullamento

dell'ordinanza emessa dal Dirigente del Servizio Gestione Attività Edilizia del Comune di Prato recante la data del 7 dicembre 2010 (P.G. 153058/4C) ma spedita in data 15 dicembre 2010 e giunta al ricorrente in data 16 dicembre 2010, avente ad oggetto l'ordine di " non eseguire le opere di cui alla Denuncia di Inizio Attività P.G. n. 147338 del 23.11.2010 (P.E. - 3149 - 1010) " in quanto " l'intervento non è ammissibile per contrasto con l'art. 4 lettera "d" dell'allegato "D6" del Regolamento Edilizio che non ammette tali opere a destinazione pubblica ", nonché di ogni altro atto antecedente, susseguente o concomitante, ancorché incognito, connesso con quello impugnato;

nonché per la condanna dell'Amministrazione al risarcimento, in favore del ricorrente, del danno ingiusto conseguente all’emissione dell'illegittimo provvedimento oggetto dell'azione di annullamento sopra proposta, da quantificarsi in corso di giudizio.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Prato;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatrice nell'udienza smaltimento del giorno 19 ottobre 2020 la dott.ssa K P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. V D C, proprietario del terreno ubicato in Comune di Prato, censito in catasto al Foglio 954, Particella n. 31, in data 23 novembre 2010 presentava DIA diretta all’installazione di pannelli solari sull’appezzamento sopra indicato.

Con propria nota del 7 dicembre 2010, notificata il 15 dicembre 2010, il Comune di Prato, decorsi 23 giorni dalla presentazione della DIA, ingiungeva al De Cosmo di: « non eseguire le opere di cui alla Denuncia di Inizio di Attività P.G. n. 147338 del 23.11.2010» in quanto « l’intervento non è ammissibile per contrasto con l’art. 4 lettera ‘d’ dell’allegato ‘D6’ del Regolamento Edilizio che non ammette tali opere nelle aree a destinazione pubblica ».

2. Con l’atto introduttivo del presente giudizio, V D C impugnava il suddetto provvedimento comunale, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

I) « Violazione di legge per mancata applicazione dell’art. 55 comma 4 lettera ‘g’ e comma 5 della L.R.T. 1/2005. Violazione di legge per mancata applicazione dell’art. 9 D.P.R. 327/2011. Violazione di legge per falsa applicazione dell’art. 4, lettera ‘d’ dell’Allegato D6 al Regolamento Edilizio del Comune di Prato. Eccesso di potere sotto il profilo del difetto di istruttoria. Eccesso di potere sotto il profilo del travisamento dei fatti », ove il ricorrente deduceva che le disposizioni urbanistiche richiamate dal Comune non avrebbero potuto impedire la realizzazione dell’opera, in quanto relative a un vincolo espropriativo non rinnovato dopo 5 anni dall’approvazione dello strumento urbanistico che lo imponeva;

II) « Violazione di legge per mancata applicazione dell’art. 84 L.R.T. 1/2005. Violazione di legge per mancata applicazione dell’art. 15 del Regolamento Edilizio del Comune di Prato. Eccesso di potere sotto il profilo della carenza dei presupposti dell’atto », riferito all’adozione del provvedimento inibitorio delle opere oggetto di DIA in epoca successiva al decorso di 20 giorni dalla presentazione della dichiarazione, allorquando i lavori potevano essere iniziati dal privato.

Il ricorrente chiedeva altresì la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno arrecato dal provvedimento gravato.

Il Comune di Prato si costituiva in giudizio instando per la reiezione del ricorso.

3. All’udienza pubblica di smaltimento del 19 ottobre 2020 la causa veniva tratta in decisione.

4. Si procede alla disamina delle doglianze proposte dal De Cosmo mediante l’atto introduttivo del giudizio.

4.1. Il primo motivo di ricorso non è fondato.

Il vincolo del quale la parte ricorrente adduce la natura espropriativa consiste nella destinazione a uso pubblico dell’area del ricorrente, classificata nello strumento urbanistico comunale in zona L4VG, e dunque volta alla realizzazione di giardini, di una pista ciclabile e di un percorso pedonale.

Tale tipologia di vincolo, come chiarito in modo costante dalla giurisprudenza, anche di questo Tribunale, non ha natura espropriativa, bensì conformativa: « Il vincolo di verde pubblico costituisce un vincolo di carattere conformativo funzionale all'interesse pubblico generale, espressione della potestà conformativa del pianificatore avente validità a tempo indeterminato » (Consiglio di Stato, II, 20 dicembre 2019, n. 8614;
cfr: T.A.R. Toscana, Firenze, III, 30 aprile 2019, n. 628;
T.A.R. Puglia, Bari, III, 23 aprile 2020, n. 529).

Da ciò consegue che, sebbene non rinnovato a distanza di cinque anni dall’apposizione, detto vincolo mantiene la propria efficacia. Esso risultava dunque opponibile al ricorrente e, conseguentemente, il Comune ha legittimamente inibito la realizzazione delle opere oggetto di DIA, che si ponevano in contrasto con l’art. 4 lettera ‘d’ dell’allegato ‘D6’ del Regolamento Edilizio.

4.2. Con il secondo motivo di gravame, il ricorrente lamentava la violazione della normativa in materia di DIA, avendo ricevuto il provvedimento inibitorio comunale dopo il decorso del termine di venti giorni dalla presentazione della dichiarazione, e dunque in seguito al legittimo avvio delle opere.

Orbene, la normativa ratione temporis applicabile alla fattispecie è da individuarsi nell’art. 4 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 493, come modificato dall'articolo 2, comma 60, della l. 662/1996. Detta disposizione prevedeva, al comma 7 lettera ‘f’, che l’installazione di impianti tecnologici era assoggettata a DIA.

Quanto alla disciplina della dichiarazione di inizio attività edilizia, il comma 11 del citato art. 4 stabiliva che: « nei casi di cui al comma 7, venti giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori l’interessato deve presentare la denuncia di inizio dell’attività […] ». Il citato comma 11, nel prevedere il termine di venti giorni invocato dall’odierno ricorrente, rinviava tuttavia al precedente comma 7, il quale ammetteva gli interventi elencati a DIA: « ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2 della legge 24 dicembre 1993 n. 537 ». È dunque tale ultimo richiamo normativo a individuare la cornice della disciplina applicabile alla fattispecie. La suddetta disposizione, per ciò che qui rileva, quantificava in 60 giorni il termine entro il quale la p.a. destinataria di DIA era titolata a esercitare il potere inibitorio di quanto dichiarato dal privato. Tale ultima previsione non è dunque derogata, ma espressamente richiamata dalla normativa del settore edilizio. In virtù del suddetto richiamo, il termine di 20 giorni, previsto per la DIA in campo edilizio, non si sostituisce, bensì si aggiunge, a quello di 60 giorni indicato dall’art. 19 L. 241/1990 per la DIA in generale.

La disciplina va dunque sistematicamente ricostruita nel senso della vigenza, per la DIA in materia edilizia, tanto del termine di 60 giorni previsto dall’art. 2 L. 537/1993 e dall’art. 19 L. 241/1990, quanto di quello di 20 giorni di cui all’art. 4 comma 7 D.L. 398/1993. Da ciò deriva che, presentata la DIA, il privato non potrà iniziare l’attività ivi contemplata prima che siano decorsi 20 giorni;
nel contempo, la p.a. avrà invece 60 giorni di tempo per esercitare il proprio potere inibitorio, il quale potrà pertanto esplicarsi anche in epoca successiva all’avvenuto avvio dei lavori, con effetto consistente nell’inibire la prosecuzione degli stessi (ed eventualmente nel ripristino dello status quo ante ).

In tal senso la giurisprudenza maggioritaria, che il Collegio ritiene di condividere: « il termine di venti giorni a seguito della cui decorrenza potevano essere iniziati i lavori valeva solo come termine di massima utile a consentire alla P.A. di verificare la ritualità della denuncia ai sensi del citato art.

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