TAR Roma, sez. I, sentenza 2019-01-10, n. 201900337

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2019-01-10, n. 201900337
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201900337
Data del deposito : 10 gennaio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 10/01/2019

N. 00337/2019 REG.PROV.COLL.

N. 11808/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 11808 del 2017, proposto da
Ford Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati S C, Felice D'Acquisto, G V e R N, presso lo studio dei quali, in Roma, via XX Settembre 98/G è elettivamente domiciliata;

contro

Autorità garante della concorrenza e del mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento:

1) del provvedimento assunto dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato nell'adunanza dell'11 ottobre 2017, con il quale la predetta Autorità ha:

a) ritenuto che la pratica commerciale posta in essere dalla ricorrente Ford Italia S.p.A. e meglio descritta in detto atto costituisca una pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, 21, comma 1, lettera d), e 22, commi 1, 2 e 4, lettera d), del codice del consumo, vietandone la diffusione e continuazione;

b) irrogato alla Ford Italia S.p.A. una sanzione amministrativa di euro 400.000,00;

c) imposto alla predetta Società di comunicare, entro il termine di novanta giorni, le iniziative assunte in ottemperanza alla diffida di cui al precedente punto a);

2) di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale a quello impugnato in via principale, e in particolare, ove possa occorrere, della comunicazione di avvio del procedimento del 19/5/2017.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2018 la dott.ssa Roberta Cicchese e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il provvedimento indicato in epigrafe l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (d’ora in avanti anche Autorità o AGCM) ha ritenuto che una pratica commerciale posta in essere dalla Ford Italia s.p.a. - e consistita nella diffusione, attraverso vari canali, di una campagna pubblicitaria concernente la promozione di alcuni autoveicoli a marchio “Ford” nella quale il professionista avrebbe presentato in modo ingannevole il quadro informativo relativo al costo complessivo delle autovetture – costituisse pubblicità ingannevole ai sensi degli artt. 20, 21, comma 1, lettera d), e 22, commi 1, 2 e 4 del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, ne ha vietato l’ulteriore diffusione e ha irrogato alla ricorrente la sanzione amministrativa pecuniaria di 400.000 euro.

Il ricorso è affidato alle seguenti censure:

I. Violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 21 c.1, lett. d) e 22, commi 1, 2, e 4, lett. d) e 27 del Codice del consumo, violazione artt. 1 e 3 l. 7/8/1990 n. 241. Violazione del principio di proporzionalità. Eccesso di potere. Difetto di istruttoria e di motivazione.

II. Violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 21 c.1, lett. d) e 22, commi 1, 2, e 4, lett. d) del Codice del consumo, violazione artt. 3 e 10 l. 7/8/1990 n. 241. Eccesso di potere. Difetto di istruttoria e di motivazione. Falso presupposto. Illogicità.

III. Violazione artt. 18, 20, 21 segg. del Codice del consumo. Violazione art. 3 l. 7/8/1990, n. 241. Difetto di motivazione.

IV. Violazione art. 1 l. 7/8/1990, n. 241 e succ. modd. Eccesso di potere. Disparità di trattamento. Violazione del principio di proporzionalità.

V. Violazione dell’art. 27, comma 9, del codice del consumo. Violazione e falsa applicazione dell’art. 11 della legge n.689/1981. Eccesso di potere. Disparità di trattamento. Irragionevolezza.

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato si è costituita in giudizio e ha chiesto la reiezione del ricorso.

All’udienza del 19 dicembre 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Come visto nell’esposizione in fatto, con il provvedimento gravato l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha ritenuto la ricorrenza di una pratica commerciale scorretta posta in essere dal professionista e consistita nella diffusione, attraverso vari mezzi, di una campagna pubblicitaria concernente la promozione di due veicoli a marchio Ford, nella quale veniva presentato in modo ingannevole il quadro informativo relativo al costo complessivo delle vetture con riferimento all’importo e alle modalità di pagamento.

In particolare, i vari claims indicavano un certo importo quale prezzo delle autovetture, senza specificare che lo stesso, talvolta espressamente posto a confronto con il maggior prezzo di listino e, comunque, obiettivamente allettante, era subordinato al fatto che l’acquisto avvenisse a mezzo di un finanziamento, la dilazione connessa al quale importava un ulteriore e distinto costo, tale per cui il prezzo finale risultava in concreto superiore a quello pubblicizzato.

La pratica commerciale è stata ritenuta dall’Autorità scorretta ai sensi degli articoli 2, 21, comma 1, lettera d), e 22, commi 1, 2 e 4 del codice del consumo, in quanto il professionista, a mezzo degli spot diffusi sul proprio sito internet o su siti di terzi, spot televisivi e radiofonici, inserzioni a mezzo stampa e affissioni, ha fornito informazioni ingannevoli o omissive in ordine al prezzo finale complessivo delle due autovetture e alle modalità di pagamento delle stesse, idonee a produrre un effetto di “ aggancio ” sul consumatore e tali da indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale non consapevole.

Il professionista, a giudizio dell’Autorità, ha, in tal modo, posto in essere una condotta contraria alla diligenza professionale, non avendo dimostrato il normale grado di competenza e attenzione esigibili nello specifico settore commerciale.

Il ricorso è infondato e va respinto.

Per ragioni sistematiche conviene prendere le mosse dai primi tre motivi di ricorso, con il secondo dei quali la ricorrente contesta la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione degli articoli 20, 21 e 22 del d.lgs. n. 206/2005, affermando che i vari messaggi diffusi avrebbero sempre evidenziato che: a) il prezzo pubblicizzato era subordinato alla sottoscrizione di un contratto di finanziamento, b) i claims erano complessivamente focalizzati su aspetti di appetibilità del prodotto diversi dal prezzo, c) le informazioni necessarie a comprendere il contenuto dell’offerta erano in ogni caso disponibili per il consumatore, ancorché in un momento successivo, d) il prezzo pubblicizzato era quello poi in concreto praticato, e) i tassi T e T collegati all’offerta erano quelli generalmente applicati nel periodo di riferimento, f) le informazioni diffuse da esso professionista non erano in alcun modo idonee a falsare il comportamento del consumatore.

In particolare, rileva la ricorrente, in tutti i messaggi pubblicitari diffusi veniva indicato che l’offerta ad un determinato prezzo era disponibile “ solo con Ford Idea ” o, più semplicemente “ con Ford Idea ”, e dunque con il programma di finanziamento Ford, ciò che risultava ulteriormente chiarito dal richiamo ai tassi T e T, inequivocabilmente riferibili ad ipotesi di finanziamento.

Le informazioni relative al finanziamento, in ogni caso, erano disponibili sulla stessa pagina o schermata (per le pubblicità televisive o cartacee) o mediante un pop up facilmente apribile o con richiamo alla nota legale (per la pubblicità su internet).

Come evidenziato nel terzo motivo poi, la decisione del consumatore, alla luce del tipo di prodotto pubblicizzato, era sempre assolutamente consapevole, atteso che lo stesso doveva, prima di formalizzare l’acquisto, interfacciarsi con un concessionario, così che al momento della sottoscrizione del contratto l’acquirente era sicuramente edotto di tutti i dati relativi al costo e alle modalità di corresponsione dello stesso, tanto più che, come evidenziato nel primo motivo di ricorso, la campagna pubblicitaria, proprio perché finalizzata alla promozione di un’autovettura, era destinata ad un consumatore mediamente avveduto.

La prospettazione non può essere condivisa.

Come riferito dalla stessa ricorrente, il programma Ford Idea è un servizio di finanziamento collegato all’acquisto di autovetture Ford.

Tale circostanza, unitamente al successivo riferimento ai tassi T e T, avrebbe dovuto, a giudizio della ricorrente, rendere edotto il consumatore del fatto che il prezzo pubblicizzato era riservato ai soli sottoscrittori del detto programma di finanziamento.

Deve, tuttavia, in proposito osservarsi come la dizione “ Ford Idea ”, in considerazione della assoluta genericità dei termini e in assenza di una (né allegata, né dimostrata) particolare diffusione e notorietà della stessa, non ha una speciale e immediata riconoscibilità come programma di finanziamento collegato all’acquisto di autovetture Ford e risulta, di conseguenza, inidonea, ad una prima lettura del claim, ad esternare l’esistenza e il contenuto della limitazione dell’offerta di prezzo ai soli sottoscrittori del prestito, così che condivisibilmente l’Autorità ha ritenuto che il messaggio, nel suo complesso, si rileva incompleto e tale da produrre, in relazione al prezzo indicato, un effetto di aggancio del consumatore.

Né la decettività del messaggio era elisa dal successivo e ben evidenziato riferimento alle caratteristiche del finanziamento (T e T), atteso che il richiamo nulla diceva in ordine all’obbligatorietà del finanziamento, così che il messaggio pubblicitario era legittimamente interpretabile nel senso che, fermo il costo pubblicizzato, laddove il consumatore avesse optato per un acquisto a mezzo di finanziamento, lo stesso sarebbe stato praticato ai tassi indicati.

Ne deriva che correttamente l’Autorità ha ritenuto l’incompletezza e l’ingannevolezza del messaggio e la consequenziale scorrettezza della pratica, puntualmente analizzata nella delibera con riferimento alle varie forme di diffusione utilizzate, atteso che tutte le informazioni ulteriori, inerenti la necessaria subordinazione dell’acquisto al prezzo pubblicizzato alla sottoscrizione di un finanziamento e al costo finale risultante dai genericamente evocati oneri finanziari, erano accessibili solo ad un esame (successivo) di dati grafici o sonori dotati di minima evidenza e tali da stimolare un approfondimento dei termini contrattuali, ovvero ad una necessaria progressione nell’analisi della pagina internet, ancorché facilmente accessibili dalla schermata principale (cfr., in particolare, i paragrafi 28, 29 e 30 del provvedimento AGCM e l’ampia descrizione delle risultanze istruttorie).

In sostanza il generico richiamo alla dizione Ford Idea (di cui non appariva palese né veniva chiarito il significato) e la mera indicazione dei tassi di finanziamento (l’obbligatoria sottoscrizione del quale non era percepibile sulla base dell’esame del claim principale) sono stati condivisibilmente valutati dall’Autorità come tali da fornire un’informativa incompleta e non immediatamente comprensibile (nella sua interezza) da parte del consumatore medio.

Rispetto a tale oggettivamente esistente profilo di decettività appare del tutto irrilevante il dato per cui i vari messaggi focalizzassero l’attenzione (anche) su ulteriori caratteristiche delle autovetture, atteso che, al di là del contenuto complessivo che il professionista abbia voluto inserire nel messaggio, appare evidente come il prezzo di acquisto rivesta, per il consumatore, una valenza di assoluto e determinante rilievo, tanto più che l’eventuale maggior enfasi riservata ad una determinata parte del messaggio non esonera il professionista da un generale onere di chiarezza e completezza in ordine alle ulteriori indicazioni fornite.

Ne risulta perfettamente confermato l’assunto secondo cui la condotta presentava profili di opacità e ingannevolezza, posto dall’Autorità a base della sua valutazione, attesa la riconducibilità della condotta alla fattispecie descritta dagli artt. 20, 21 e 22 del codice del consumo in quanto il prezzo indicato era oggettivamente tale da falsare il comportamento economico del consumatore, perché contenente, nella sua immediata percepibilità, informazioni non rispondenti al vero o comunque ambigue o di difficile decifrazione.

Deve in proposito ricordarsi come, in forza del codice del consumo, il professionista deve assicurare, fin dal primo contatto con il consumatore, una corretta e trasparente informazione sul prodotto, tale da permettere all’utente di effettuare liberamente le sue scelte (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, 6 settembre 2017, n. 4245, Tar Lazio, Roma, I, 31 gennaio 2018, n. 1158, 18 gennaio 2011, n. 449;
3 dicembre 2010, n. 35333;
I, 9 settembre 2010, n. 32200;
8 settembre 2009, n. 8394).

L'art. 21 del d.lgs. n. 206/2005 pone, infatti, in capo ai professionisti un onere di chiarezza e di completezza delle informazioni, che non può non riguardare gli aspetti salienti della proposta contrattuale e, per quel che rileva nel caso concreto, il contenuto effettivo della stessa, a nulla rilevando la circostanza che quella pubblicizzata debba essere qualificata come offerta al pubblico.

Sul punto, invero, la giurisprudenza amministrativa, anche della Sezione, è granitica nel ritenere che la completezza e la veridicità di un messaggio promozionale va verificata nell’ambito dello stesso contesto di comunicazione commerciale e non già sulla base di ulteriori informazioni che l'operatore commerciale rende disponibili solo a effetto promozionale già avvenuto (Tar Lazio, Roma, I, 8 febbraio 2018, n. 1523, 13 marzo 2017, n. 3418, 4 febbraio 2013, n. 1177).

Né, al fine di sminuire la scorrettezza della pratica commerciale, può essere invocata la decodificabilità del messaggio da parte del consumatore acquirente di auto, aduso ad un esame dettagliato dei messaggi, dovendosi, in proposito considerarsi come “ l’obbligo di completezza e chiarezza delle informazioni veicolate si presenta [… ] particolarmente stringente, anche in considerazione del fatto che la concorrenza nel settore della vendita di automobili si svolge principalmente intorno alla variabile prezzo” così che la chiarezza dell’offerta economica, in tale settore, ha una valenza assolutamente centrale (cfr. Tar Lazio Roma, sez. I, 20 luglio 2017 n. 8781).

Sempre in ordine alla ingannevolezza della pratica, deve pure rilevarsi come, proprio perché le disposizioni in materia di pubblicità ingannevole non hanno la mera funzione di assicurare una reazione alle lesioni arrecate agli interessi del consumatore, ma si collocano su di un più avanzato fronte di prevenzione, essendo le stesse tese ad evitare effetti dannosi anche soltanto ipotetici, la giurisprudenza ha escluso “ la necessità sia che rispetto ad un dato comunicato venga accertata la condizione soggettiva media di intelligenza del consumatore, sia che risulti un pregiudizio economico derivante dalla pubblicità ingannevole ” (così T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 14 novembre 2018, n. 10968, 22 giugno 2018, n. 7000, 29 novembre 2014, n. 11995;
nel senso che la tutela apprestata dalle norme sulla pubblicità ingannevole non si commisura alla posizione degli acquirenti dotati di specifica competenza, avvedutezza e di particolari cognizioni merceologiche, ma a quella degli acquirenti di media accortezza o alla generalità dei consumatori, cfr. pure T.A.R. Lazio, Roma, 3 luglio 2012, n. 6026).

A nulla rileva poi il fatto che il T e il T menzionati fossero quelli a quel momento praticati anche da altri operatori del settore e oggettivamente applicati da Ford in caso di acquisto, non avendo l’Autorità mosso alcuna contestazione sul punto.

Alcun effetto scriminante può, inoltre, essere collegato all’asserzione di parte ricorrente secondo cui il prezzo pubblicizzato era quello a cui veniva poi concluso il contratto, atteso che lo stesso non era pagabile, per l’importo indicato, in unica soluzione, né corrispondeva a quello finale pagato, che risultava maggiorato di oneri che, al momento dell’apprensione dei vari messaggi pubblicitari, non erano percepibili come obbligatori né facilmente determinabili nell’ammontare finale.

Neppure rileva il basso numero di denunce ed esposti ricevuti dall’Autorità.

In proposito è costante l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l'Autorità garante della concorrenza e del mercato non è tenuta a verificare quanti consumatori hanno in concreto subito pregiudizio dalla pratica, atteso che la natura dell'illecito in esame deve inquadrarsi nell'ambito degli illeciti di mero pericolo e non di danno, con la conseguenza che l'effettiva incidenza della pratica commerciale scorretta sulle scelte dei consumatori non costituisce un elemento idoneo a elidere o ridurre i profili di scorrettezza della stessa.

Il carattere della pratica commerciale deve, in sostanza, essere valutato ex ante e quindi a prescindere dal dato di fatto concreto, variabile per le più svariate ragioni, soggettive e oggettive, legato all'esito concretamente lesivo prodotto dalla condotta del professionista. Ciò che rileva, infatti, “ è la potenzialità lesiva del comportamento posto in essere dal professionista, indipendentemente dal pregiudizio causato in concreto al comportamento dei destinatari, indotti ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbero altrimenti preso (cfr., ex multis , Consiglio di Stato, sez. VI, 16 marzo 2018, 1670, Sez. VI, 19 settembre 2017, n. 4878, 6 settembre 2017, n. 4245 e 16 agosto 2017, n. 4011, Tar Lazio, Roma, sez. I, 11 settembre 2018, n. 9269 e 6 febbraio 2017, n. 1877)

Con il quarto motivo la ricorrente articola distinte censure, concernenti, rispettivamente, l’ingiustificata disparità di trattamento con Renault (non sanzionata dall’Autorità per una pratica commerciale simile a quella posta in essere da Ford), la violazione del principio di proporzionalità (in considerazione del fatto che, secondo la ricorrente, la scelta sanzionatoria operata non apparirebbe idonea a raggiungere il fine della tutela dell’interesse pubblico) e infine il fatto che la sanzione irrogata non sarebbe né necessaria né adeguata, né, infine, proporzionale.

La censura va respinta.

Con riferimento al primo ordine di motivi (mancata applicazione di sanzione nei confronti di Renault che avrebbe posto in essere una pratica commerciale sovrapponibile a quella di Ford) deve in realtà rilevarsi come il provvedimento richiamato dalla ricorrente e allegato sub 5 al ricorso introduttivo è un provvedimento nel quale viene ritenuta la ricorrenza delle pratiche commerciali scorrette contestate, con conseguente irrogazione di sanzione.

Sul punto, in ogni caso, il Collegio richiama il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui “ La disparità di trattamento è solo un vizio sintomatico, cioè indiziario, dell'illegittimità di un atto amministrativo e, pertanto, cede di fronte all'accertamento diretto della sua legittimità, sulla base del giudizio di infondatezza nel merito delle censure prospettate ” (su cui da ultimo, cfr. Tar Abruzzo, Pescara, 15 ottobre 2018, n. 293).

Le ulteriori doglianze, poi, sono formulate in termini assertivi e a mezzo di affermazioni con le quali la ricorrente, invece di individuare puntuali criticità del provvedimento impugnato, censura il merito della valutazione amministrativa, mirando a sovrapporre un suo giudizio soggettivo alla valutazione effettuata dall’Autorità.

Ne discende l’inammissibilità, in parte qua , della censura, alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il perimetro del sindacato del giudice amministrativo in materia di atti delle Autorità indipendenti va circoscritto ai vizi attinenti, oltre che alle violazioni procedurali e a puntuali violazioni di legge, alle sole logicità e congruità delle deduzioni poste in essere dall’amministrazione (sui limiti del sindacato in materia cfr., da ultimo Tar Lazio, Roma, 10 novembre 2015, n. 12708 e 31 gennaio 2015, n. 372).

Va, infine, respinto il quinto motivo di doglianza, con il quale la ricorrente ha lamentato l’illegittimità della sanzione, sostanzialmente contestata sotto il profilo della disparità di trattamento con professionisti operanti nel medesimo settore a cui sarebbero state irrogate sanzioni inferiori.

Deve, in primo luogo, osservarsi come, nella determinazione della sanzione, l’Autorità si è attenuta ai parametri di riferimento individuati dall’art. 11 della legge n. 689/81, in virtù del richiamo previsto all'articolo 27, co. 13, del d.lgs. n. 206/05: nello specifico, quelli della dimensione del professionista, della gravità della pratica, della sua durata e delle capacità di penetrazione dei messaggi, con applicazione, in favore di Ford, di una diminuzione dell’importo in ragione di una perdita di bilancio.

Non possono dunque trovare accoglimento le contestazioni in punto di disparità di trattamento con operatori destinatari di precedenti provvedimenti sanzionatori, atteso, da un lato, che non emerge dal ricorso la predicata identità di situazioni, e considerata, dall’altro, la fisiologica complessità e peculiarità delle valutazioni compiute in materia dall’Autorità, in relazione alle quali, pur in presenza di elementi di analogia, risulta ordinariamente esclusa l’identità dei casi;
così che il richiamo ai diversi importi determinati non è idoneo di per sé a tradursi, come tertium comparationis , in un vizio di legittimità della valutazione negativa intervenuta in una diversa ipotesi (cfr. T.A.R., Lazio, Roma, sez. I, 9 gennaio 2015, n. 238 e 6 giugno 2008, n. 5578).

In ogni caso il motivo in questione non potrebbe comunque trovare accoglimento alla luce del condiviso orientamento secondo cui “ nella materia delle sanzioni antitrust, non sussiste un interesse giuridicamente rilevante a contestare l’entità della sanzione irrogata a un’altra impresa, atteso che quand’anche la diversità di trattamento fosse in concreto dimostrata, ciò resterebbe del tutto irrilevante ai fini del giudizio di legittimità del trattamento asseritamente deteriore patito dal ricorrente” (Consiglio di Stato, 18 maggio 2015, n. 2514 e 17 gennaio 2008, n. 102).

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

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