TAR Bari, sez. III, sentenza 2015-03-12, n. 201500400

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bari, sez. III, sentenza 2015-03-12, n. 201500400
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bari
Numero : 201500400
Data del deposito : 12 marzo 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00013/2014 REG.RIC.

N. 00400/2015 REG.PROV.COLL.

N. 00013/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 13 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
C T, C T, P T, rappresentati e difesi dall'avv. C C, con domicilio eletto presso F Paparella in Bari, Via Venezia, n.14;

contro

Comune di Trinitapoli, rappresentato e difeso dall'avv. N D M, con domicilio eletto presso N D M in Bari, Via Manzoni, n.5;

per l'annullamento

RICORSO PRINCIPALE

del decreto n. 2 del 5.12.2013, con il quale il Responsabile del III Settore del Comune di Trinitapoli ha annullato i provvedimenti n. 192 e 193 del 1992 di revoca del decreto di esproprio n. 131/1991.

MOTIVI AGGIUNTI depositati in data 11 Luglio 2014:

previa sospensione dell’efficacia,

del decreto n. 1 del 28 aprile 2014, notificato il 5 maggio 2014, con il quale il Dirigente del III Settore del Comune di Trinitapoli ha annullato d’ufficio il decreto n. 2 del 5.12.2013 e, di conseguenza, “riannullato” i decreti sindacali nn. 192 e 193 del 1992 di revoca del decreto di esproprio n. 131/191;

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Trinitapoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 febbraio 2015 la dott.ssa D Z e uditi per le parti i difensori C C e N D M;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

I signori Todisco Caterina, Carmela e Pietro, attuali ricorrenti, sono proprietari di un fondo sito nel Comune di Trinitapoli ed identificato in catasto alla partita 11739, foglio 26, particelle nn.240 e 241.

Il terreno, ereditato dal sig. Giuseppe Todisco, ricade nell’area assoggettata a P.E.E.P. del suddetto Comune, approvato con decreto del Presidente della Giunta regionale n. 1849 del 12.10.1979.

Per la realizzazione del piano di zona summenzionato, l’Amministrazione comunale, con decreto n. 80 del 24.1.1988, ha occupato d’urgenza il fondo sopra descritto.

Successivamente, in ragione di trattative bonarie, in data 27.4.1988, previa revoca del decreto di occupazione di urgenza, il Comune resistente stipulava, con il sig. G T una convenzione preliminare per la cessione bonaria del suolo di sua proprietà, con cui si pattuiva un prezzo pari a £ 6.000 al mq (salvo eventuale conguaglio in attesa “ della emanazione da parte del Parlamento Italiano della nuova legge circa il criterio di determinazione dell’indennità di esproprio ”, come si legge nella suddetta convenzione).

Non avendo il Comune provveduto al pagamento di quanto dovuto (liquidato con la successiva delibera di Giunta comunale n. 1516 del 15.12.1989 la quale, dopo aver preso atto di un precedente versamento in acconto di £ 5.500.000 in favore di G T, ha determinato la corresponsione nei confronti di quest’ultimo della somma di £ 39.398.000, per la cessione volontaria del suolo occupato), il sig. Todisco ha proposto nei confronti dell’Amministrazione comunale un ricorso monitorio.

Tale domanda è stata accolta il 26.2.1990 dal Tribunale di Foggia che ha ingiunto il pagamento di £ 44.898.000, oltre interessi.

Nonostante l’accordo preliminare di cessione volontaria, il Comune, in data 14.9.1991, emanava decreto di esproprio n. 131 del terreno di Todisco Giuseppe.

Il 22.10.1991, il Sig. Todisco proponeva presso la Corte d’Appello di Bari un giudizio di opposizione alla stima dell’indennità.

Subito dopo, l’Amministrazione, dando atto che nel decreto di esproprio si fosse erroneamente dichiarato che le ditte avessero accettato e riscosso le indennità, con decreto n. 192/1992, ne disponeva la revoca.

Nello stesso giorno, ossia il 3.1.1992, il Sindaco in carica, sulla base di una differente motivazione, emanava un altro provvedimento di riesame (decreto di revoca n. 193/1992) dello stesso decreto di esproprio.

In particolare la revoca veniva, questa volta, disposta, a causa del mancato perfezionamento della notifica nei confronti del sig. Todisco del decreto n. 271/1990, con cui erano state determinate le indennità di esproprio.

Nel maggio 1995, a causa del summenzionato ritiro del provvedimento ablatorio, la Corte di Appello di Bari, precedentemente adita per l’opposizione alla stima dell’indennità, dichiarava la cessata materia del contendere, con sentenza n. 432/1995.

Gli eredi di G T, attuali ricorrenti, adivano, allora, il G.O., chiedendo il risarcimento del danno da occupazione illegittima (c.d. occupazione appropriativa) del fondo di loro proprietà.

Tale domanda veniva accolta il 26.8.2013, con la sentenza n. 984 della Corte d’Appello di Bari (avverso cui pende ricorso per Cassazione fondato, in base ad allegazione di parte ricorrente, non smentita da controparte, sulla sopravvenuta adozione del decreto n. 2/2013, il cui contenuto è di seguito chiarito) che condannava il Comune al pagamento di euro 230.000, oltre interessi.

Sennonchè, il 5.12.2013, il Comune di Trinitapoli, con decreto n. 2/2013, annullava d’ufficio i precedenti provvedimenti sindacali nn. 192 e 193 del 1992, determinando così la reviviscenza del decreto di esproprio n. 131/1991.

Il decreto n. 2/2013, si legge nella sua motivazione, è fondato sulla ritenuta legittimità dell’originario decreto di esproprio, stante l’avvenuto pagamento dell’indennità provvisoria a favore della ditta Todisco, circostanza questa, sufficiente, secondo la giurisprudenza del tempo del Consiglio di Stato, secondo cui, una volta percepita l’indennità provvisoria, è pacifica la legittimità dell’espropriazione, ancorchè non si sia determinata l’indennità definitiva.

L’annullamento d’ufficio è stato, altresì, giustificato con la necessità di evitare un danno erariale che “ secondo la Corte dei Conti Puglia n. 13/99, ricadrebbe sul Sindaco dell’epoca e sul tecnico comunale allora in carica ”.

In particolare, secondo la P.A., con il ritiro dei provvedimenti di revoca del decreto di esproprio, si eliminerebbe il presupposto della condanna al risarcimento del danno da occupazione illegittima.

L decreto n. 2/2013 è stato sospeso, in via cautelare dall’ordinanza n. 77 del 2014 di questo Tribunale, in quanto “ per costante orientamento giurisprudenziale, l’annullamento d’ufficio è il risultato di un’attività discrezionale dell’Amministrazione e non deriva in via automatica dall’accertata originaria illegittimità dell’atto essendo altresì necessaria una congrua motivazione in ordine alla sussistenza dell’interesse pubblico alla reintegrazione del preesistente stato di legalità;

- la giurisprudenza amministrativa è assolutamente granitica nel precisare che l’interesse alla reintegrazione dell’ordine pubblico deve essere specificato e dimensionato in relazione alle esigenze concrete ed attuali, avuto riguardo anche gli interessi privati che militano in senso opposto,”, mentre “ il provvedimento di autotutela oggetto di gravame non pare sia rispettoso dei parametri giurisprudenziali sopra ricordati;
ciò in quanto, in riferimento all’interesse pubblico alla reintegrazione del preesistente stato di legalità, non è motivato da ragioni di contenimento della spesa pubblica ma dalla necessità di evitare “il danno erariale che, secondo Corte Conti Puglia n. 13/99, ricadrebbe sul Sindaco dell’epoca e sul tecnico comunale allora in carica” e, in relazione agli interessi dei ricorrenti, non ne fa alcuna menzione
”.

In data 28.4.2014, il Comune resistente, preso atto e condivisi i rilievi contenuti nell’ordinanza sospensiva, ha emanato un ulteriore provvedimento (decreto n. 1/2014 del Responsabile del servizio urbanistica) con cui ha annullato e “sostituito” il decreto n. 2/2013, integrandone la motivazione, questa volta individuata nella “ necessità di contenere la spesa pubblica in ragione del grave deficit di oltre 4 milioni di euro in cui versano le finanza comunali ”.

Insorgono contro tali provvedimenti gli odierni ricorrenti, proponendo un ricorso principale (avverso il decreto n. 1/2013) ed un per motivi aggiunti (avverso il decreto n. 2/2014).

Lamentano, quanto al ricorso principale ( le cui doglianze vengono riassunte in estrema sintesi, in primo luogo, la mancata comunicazione di avvio del procedimento di riesame.

La P.A. avrebbe, altresì, violato tutti i principi che governano l’istituto dell’annullamento d’ufficio e, in generale, quelli che governano l’agire amministrativo.

L’Amministrazione ha riesaminato più volte una stessa situazione giuridica ormai consolidata, a seguito della suddetta condanna del Comune al risarcimento del danno in favore degli eredi Todisco, senza vagliare adeguatamente le contrapposte posizioni di pubblico interesse e dei destinatari dell’atto di annullamento in autotutela.

Avverso il provvedimento n.1/2014, i ricorrenti deducono, in prima battuta, la violazione di legge in riferimento all’irragionevolezza del termine di annullamento ed alla incongruità della motivazione relativa alla ponderazione degli interessi coinvolti.

Aggiungono che tale comportamento dell’Amministrazione sarebbe esclusivamente finalizzato ad evitare gli effetti della statuizione di condanna pronunciata della Corte d’Appello con sentenza n. 984/2013. L’atto sarebbe stato, per ciò, adottato in palese eccesso di potere.

L’illegittimità deriverebbe, inoltre, dall’inadeguatezza della motivazione nella parte in cui si è inteso perseguire l’interesse a contenere il dissesto economico comunale a totale discapito di situazioni giuridiche ormai consolidate in capo ai ricorrenti, senza percorrere la ben più congrua e alternativa via dell’azione di responsabilità avverso gli amministratori locali che ebbero a determinare la responsabilità risarcitoria nei confronti del dante causa degli odierni ricorrenti, con l’adozione di atti illegittimi (ovverosia i decreti nn. 192 e 193/1992).

Il Comune ha controdedotto ribadendo la legittimità dell’operato dei propri uffici.

All’udienza del 12.2.2015 la causa è stata trattenuta in decisione.

Ragioni di ordine logico impongono la trattazione prioritaria del ricorso per motivi aggiunti.

Esso è fondato.

Innanzi tutto deve sgomberarsi il campo dalle difese dell’Amministrazione.

Essa ha sostenuto la correttezza dell’operato dei propri uffici, evidenziando che il fine perseguito dal Comune con l’annullamento dei decreti di revoca 192 e193 / 1992 e la conseguente reviviscenza di quello di esproprio, non sarebbe quello di sottrarsi al pagamento del risarcimento del danno per espropriazione di fatto, bensì quello di pagare la dovuta indennità di esproprio (ritenendola, evidentemente, di più contenuto ammontare). L’agire amministrativo sarebbe, pertanto, circoscritto nei rigorosi limiti di legalità e legittimità.

Sennonché, la valutazione dell’attività comportamentale dell’Amministrazione, nei termini proposti non tiene conto della pluralità e complessità degli effetti da essa scaturenti, offrendo una prospettazione del tutto parziale e riduttiva degli stessi.

Infatti, la complessa sequenza provvedimentale posta in essere dall’Ente produce l’effetto ultimo di porre nel nulla (o quantomeno tentare di fare ciò) qualsivoglia rimedio giurisdizionale esperito dagli odierni ricorrenti (o dal loro dante causa) per reclamare il dovuto ristoro patrimoniale per l’apprensione di un bene da parte dell’Amministrazione.

E’ la valutazione, pertanto, d'insieme di tutte le conseguenze, e non solo di quelle evidenziate dalla difesa comunale, dei provvedimenti sin qui adottati a rendere il Collegio convinto che l’agire amministrativo sia, invece, improntato alla reiterata abdicazione del principio di legalità.

Con il che si viene all’esame delle doglianze.

La pluralità delle censure mosse sottende, in realtà, una critica unitaria all’operato dell’Amministrazione: nel derogare ai canoni imposti all’esercizio dell’autotutela dall’art. 21 nonies della legge fondamentale sul procedimento amministrativo, l’Ente comunale avrebbe, in realtà utilizzato il potere di annullamento dei decreti nn. 192 e 193/92 per far rivivere un decreto di esproprio, al fine, in realtà, di eludere una pronuncia giurisdizionale (la sentenza n.984/2013 della corte di Appello di Bari) che assicurava all’originario proprietario (dante causa degli odierni ricorrenti) la giusta tutela avverso un comportamento di apprensione sine titulo di un suolo.

Entrambi tali profili di censura sono insuperabili.

In primo luogo, va evidenziato che la determinazione di operare in autotutela (rimuovendo i decreti n.192 e 193/92) interviene a distanza di ben oltre 20 anni dall’adozione degli stessi.

Il lasso di tempo intercorso tra la data di esercizio del potere di autotutela e la data degli atti che ne sono oggetto è talmente ampio da non meritare che ci si soffermi oltre in ordine alla circostanza che l’Amministrazione, in palese deroga al requisito imposto dall’art. 21 nonies cit., abbia esorbitato macroscopicamente dai limiti di ragionevolezza temporale.

Ciò è tanto più evidente laddove si pensi che l’autotutela esercitata è caratterizzata dall’essere, in ultima analisi, un procedimento non di II grado, bensì di III grado sul provvedimento originario (il decreto di esproprio n. 131/91, prima rimosso e poi restituito a nuova vita).

Non può sfuggire, infatti, che il termine di ragionevolezza è inversamente proporzionale al grado di riesame del provvedimento, intervenendo su di un ragionevole affidamento tanto più consolidato quanto più è frutto di precedente rimeditazione.

L’atto, peraltro, non è esente dagli ulteriori profili di censura.

Il corredo motivazionale posto a fondamento, in parte qua , dell’atto impugnato consiste nella ritenuta “ piena sussistenza dell’interesse pubblico attuale all’annullamento di ufficio dei decreti sindacali nn. 192 e 193 del 3.1.1992, interesse che si sostanzia nella ineludibile necessità di contenimento della spesa pubblica in ragione del grave deficit di oltre 4 milioni di euro in cui versano le finanze comunali ”;
nonché nella ritenuta “ assoluta prevalenza di tale interesse generale rispetto agli interessi privati di cui sono titolari i signori Todisco ”.

In questi termini è stata effettuata la comparazione tra gli interessi contrapposti.

Tale motivazione e, soprattutto, il criterio che ne è alla base, sono tautologici e puramente assertivi e, nella sostanza, del tutto apparenti sotto il profilo del ponderato bilanciamento delle posizioni antagoniste.

Deve evidenziarsi, prima di tutto, che la situazione dei destinatari dell’atto non viene scrutinata punto.

Non si tiene conto (e neppure si menzionano), infatti, tutti gli elementi che connotano tale situazione, rappresentati:

- dall’essere questo il quinto ripensamento in ordine al mezzo per perseguire l’apprensione alla mano pubblica del bene dei sig.ri Todisco (prima oggetto di procedura espropriativa, poi di accordo preliminare di cessione bonaria, poi, ancora, di decreto di esproprio, poi di revoca di quest’ultimo ed infine di reviviscenza dell’atto ablativo a mezzo di annullamento della sua revoca);

- dai reiterati tentavi di ottenere, da parte dei proprietari, per tale apprensione, un qualsivoglia ristoro patrimoniale adeguato (sotto forma indennitaria o risarcitoria, purchè commisurata al valore venale);

- dagli effetti processuali del comportamento dell’ente che hanno condotto alla vanificazione di tutti i rimedi esperiti;

- dagli effetti, sotto il profilo della tutela giurisdizionale, della reviviscenza del decreto di esproprio n. 131/91. Non può sfuggire, infatti, che essa comporterebbe problematiche di non agevole soluzione in ordine ai rimedi esperibili avverso l’ atto di esproprio ed alla quantificazione dell’indennizzo in base a parametri normativi ormai superati dalla giurisprudenza costituzionale.

In altri termini e conclusivamente, il Comune, non ha ritenuto di farsi carico delle legittime esigenze dei ricorrenti che protestano e reclamano un doveroso ristoro (congruo) per essere stati, nella sostanza, privati della disponibilità di un loro bene.

Sul versante della valutazione dell’interesse pubblico, peraltro, la sua flebile consistenza si appalesa, ponendo mente alla circostanza che il perseguimento del fine di contenimento della spesa pubblica presenta, come puntualmente indicato dalla difesa dei ricorrenti, due possibili mezzi alternativi: da un lato l’esercizio delle azioni risarcitorie nei confronti degli amministratori che hanno causato, con la revoca dell’originario decreto di esproprio (che la stessa Amministrazione riconosce essere stata illegittima, tanto da essersi risolta al suo annullamento autotutela), l’onere economico dell’azione risarcitoria;
dall’altro la strada percorsa dall’Amministrazione.

Orbene, è di tutta evidenza – con il che si indicano anche i profili di eccesso di potere censurati– che il condivisibile intento di risparmio va coniugato con l’obbligo di improntare l’azione amministrativa ai canoni di legalità e buona fede, nel rispetto, peraltro, del principio di effettività della tutela che vieta all’Amministrazione di adottare atti che conducano non solo all’elusione di una specifica pronuncia giurisdizionale, ma anche alla vanificazione di qualsivoglia (e più in generale) tentativo di reazione all’agire della P.A..

Nel caso di specie è, invece, evidente, che il decreto n. 1/2014 conduce all’effetto di privare di contenuto la pronuncia già citata della Corte di Appello, ponendo i ricorrenti nuovamente dinanzi alla necessità di instaurare un ulteriore giudizio (il quarto) per ottenere il ristoro dovuto per l’apprensione di un loro bene.

Conclusivamente deve evidenziarsi che l’attività provvedimentale finora posta in essere dal Comune è tutta caratterizzata, se riguardata in modo complessivo e non parcellizzato, dall’intento di negare ai proprietari del bene appreso qualsivoglia tutela.

Il ricorso per motivi aggiunti va, dunque, accolto, con conseguente annullamento in parte qua del decreto n.1/2014.

L’annullamento parziale del decreto n. 1/2014 (nei termini di seguito meglio indicati) impone di vagliare i suoi effetti rispetto al ricorso principale con il quale si impugna, invece, il decreto n.2/2013, a sua volta annullato e sostituito dal decreto n. 1/2014.

Il decreto n.1 del 28 aprile 2014 si compone di una duplice parte dispositiva (e motivazionale).

Esso ha:

-in primo luogo, annullato d’ufficio il decreto n. 2 del 5.12.2013 (cioè l’atto impugnato con il ricorso principale);

- in secondo luogo , “riannullato” i decreti sindacali nn. 192 e 193 del 1992 di revoca del decreto di esproprio n. 131/191.

L’atto in esame, pertanto, va scisso in due distinti (e contestuali) determinazioni che, pur ponendosi in rapporto di evidente connessione, sono caratterizzate dall’autosufficienza dispositiva e motivazionale della prima.

Le ragioni della rimozione del precedente decreto n. 2/2013 risiedono nella condivisione, da parte dell’organo amministrativo procedente, dei principi affermati da questo Tar con l’ordinanza n.77/2014 che ha sospeso l’efficacia del primo provvedimento di annullamento dell’atto di revoca del decreto di esproprio.

Occorre precisare che l’adesione a tali principi è imputabile ad una determinazione autonoma dell’Amministrazione, non essendo in alcun modo imposto, dal dictum cautelare, di riesaminare l’atto, adeguandosi all’ordinanza cautelare.

Di tale atto, in parte qua, va esclusa, pertanto, la natura meramente esecutiva dell’ordinanza cautelare.

Pertanto, l’annullamento in sede amministrativa del provvedimento impugnato con il ricorso principale è frutto dell’esercizio autonomo del potere di autotutela.

Tanto chiarito, deve rilevarsi che il ricorso per motivi aggiunti, non propone in alcun modo censure avverso tale parte del provvedimento impugnato.

Ne consegue che il decreto n. 1/2014, nella parte in cui annulla il provvedimento n. 2/2013, è del tutto estraneo rispetto al ricorso per motivi aggiunti ed è, pertanto, immune alla sorte di tale gravame.

Il suo accoglimento, infatti, il cui precipitato è l’annullamento parziale del decreto n.1/2014, non comporta alcuna caducazione dello stesso nella parte in cui dispone l’annullamento in autotutela del precedente decreto n.2/2013.

Risultato ulteriore di tali considerazioni risiede nella sopravvenuta cessazione della materia del contendere in ordine al ricorso principale, avendo l’Amministrazione proceduto ad annullare (con atto divenuto, in parte qua inoppugnabile, perché esente da ogni censura mossa con il presente ricorso per motivi aggiunti) il decreto impugnato con il gravame principale, riconoscendo il vizio rilevato in fase cautelare dal Collegio.

Ad ogni buon conto, al fine di garantire l’effettività della tutela, evitare futuro contenzioso e indicare all’Amministrazione procedente i limiti conformativi imposti dalla presente pronuncia, il ricorso principale, anche laddove si ritenesse la indistinta unitarietà dell’atto impugnato con motivi aggiunti, andrebbe, comunque, considerato fondato con integrale conferma delle motivazioni già esposte in fase cautelare, dalle quali non si ravvisano ragioni per discostarsi.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

Si impone la trasmissione degli atti al sig. Procuratore presso la competente sede della Corte dei Conti, per la valutazione dei profili di responsabilità patrimoniale degli amministratori sia per la rilevata inerzia nell’esperire azioni avverso i funzionari responsabili dell’adozione dell’illegittimo decreto di revoca n. 193/1992 che ha condotto alla condanna risarcitoria, sia per la condotta posta in essere con l’adozione del decreto n. 1/2014.

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