TAR Roma, sez. II, sentenza 2010-02-17, n. 201002340
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N. 02340/2010 REG.SEN.
N. 08822/2002 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 8822 del 2002, proposto da:
Aiac - Assoc Intern Archeologia Classica Fasti Archeologici, rappresentato e difeso dall'avv. N R, con domicilio eletto presso N R in Roma, via Tembien, 15;
contro
Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;Agenzia del Demanio, Agenzia del Demanio - Filiale di Roma;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
RIGETTO RICORSO GERARCHICO PROPOSTO AVVERSO L'INTIMAZIONE DI PAGAMENTO PER L'UTILIZZAZIONE DEI LOCALI OCCUPATI PRESSO IL PALAZZETTO VENEZIA.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 febbraio 2010 il dott. Luigi Tosti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso depositato il 31 luglio 2002 la AIAC – Associazione internazionale di archeologia classica chiedeva a questo Tribunale amministrativo l’annullamento dell’intimazione a pagare la somma indicata pretesa dall’Agenzia del demanio quale canone di concessione per l’utilizzo di locali siti in Roma –Palazzetto Venezia di cui all’intimazione notificata il 19-21 febbraio 2002.
Riferiva in fatto la ricorrente di essere società costituita nel 1945 per finalità culturali, eretta nel 1957 in ente morale, di avere ricevuto concessione di locali all’interno del suddetto edificio storico, anche se non formalizzata con la stipula di contratto, di avere ricevuto dall’Agenzia del demanio ripetute intimazioni a versare pretesi canoni concessori nonché due intimazioni di rilascio ed una cartella esattoriale, atti tutti sospesi da questo TAR a seguito di ricorsi.
Ciò premesso la ricorrente deduceva:
violazione di legge ed eccesso di potere in relazione all’art. 1 primo comma L. 390/1986 ed all’art. 7 secondo comma L. 41/2001, in base ai quali la concessione di locali demaniali o patrimoniali ad istituzioni con finalità di rilevante valore sociale e culturale deve essere rilasciata ad un canone “politico”;
eccesso di potere per carenza di istruttoria e sviamento, non avendo l’Agenzia valutato la situazione economica dell’AIAC, applicando di conseguenza un canone ricognitorio;
travisamento dell’ordinanza del TAR n.78/99;
violazione delle leggi 1535/1956, 311/1969 e disposizioni connesse in materia di contributo statale all’AIAC;
contraddittorietà rispetto alla precedente determinazione del canone ricognitivo applicato dall’Amministrazione per sole L. 50.000).
Alla Camera di Consiglio del 26 settembre 2002 era accolta la domanda di sospensiva, con salvezza degli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.
Il Ministero dell’economia, costituito in giudizio, ha depositato documenti.
Con atto del 22 aprile 2009 la ricorrente ha confermato l’interesse alla trattazione della causa nel merito.
Con memoria 30 gennaio 2010 la Società riferisce di avere stipulato, in date 6 febbraio 2004 e 11 settembre 2008, convenzioni con il Ministero dei beni culturali per lo svolgimento di attività culturale di rilevanza pubblica e ribadisce di essere titolare di concessione in uso gratuito dei locali di cui si controverte.
DIRITTO
Si rileva preliminarmente che i due ricorsi proposti dalla Associazione di archeologia nel 1992 e nel 1997 avverso ordinanze di sfratto (sospese in via cautelare da questa Sezione) dell’immobile oggetto di controversia sono stati definiti con sentenza n. 582/2009 che li ha dichiarati improcedibili per sopravvenienza, nel 1997, di una nuova ordinanza di sfratto (avverso la quale non risulta impugnativa).
Il presente ricorso è inammissibile, per carenza di giurisdizione di questo Tribunale amministrativo.
La materia di causa concerne infatti canoni concessori pretesi dall’Amministrazione finanziaria, di cui la ricorrente Società contesta la debenza, assumendo di essere titolare di affidamento di bene demaniale a titolo gratuito .
Si versa quindi nell’ipotesi normativa contemplata dall’articolo 5 secondo comma della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, che riserva al giudice ordinario ogni controversia relativa ad indennità , canoni ed altri corrispettivi inerenti a rapporti di concessione.
E la giurisdizione non muta, neanche in favore del giudice tributario, per il fatto che nella specie l’impugnativa è rivolta avverso cartella esattoriale, non trattandosi di tributi ma di proventi dovuti per l’utilizzazione di beni pubblici (Cassazione, Sezioni Unite, 2006 n. 20067).
D’altra parte nel caso non si fa questione del titolo ad occupare l’immobile pubblico, bensì soltanto della spettanza o meno all’Amministrazione del potere di imporre un canone e dell’eventuale misura.
La soluzione d’altra parte non sarebbe diversa qualora (in mancanza di formali atti di affidamento del bene) si accedesse alla tesi della occupazione senza titolo, versandosi sicuramente in tale ipotesi nell’ambito di competenza del giudice ordinario (Sezioni Unite 2002 n. 14275).
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, ma sussistono ragioni per compensare le spese di giudizio tra le parti di causa.