TAR Roma, sez. I, sentenza 2023-07-03, n. 202311058

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2023-07-03, n. 202311058
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202311058
Data del deposito : 3 luglio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/07/2023

N. 11058/2023 REG.PROV.COLL.

N. 01380/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1380 del 2019, proposto da Union S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato F M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del provvedimento assunto dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato il 24.10.2018 comunicato il 19.11.2018, all’esito del procedimento n. PS11172;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 aprile 2023 il dott. F M T e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.La società ricorrente ha impugnato il provvedimento specificato in epigrafe, adottato dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato in data 24 ottobre 2018, con il quale è stata accertata la commissione, da parte dell’istante medesima, di due distinte pratiche commerciali scorrette consistenti:

- a) in una violazione degli articoli 24 e 25 del Codice del Consumo per aver esercitato, anche tramite agenzie di call center , un indebito condizionamento sui consumatori, fornendo informazioni idonee ad influenzare le loro decisioni commerciali, onde indurli a sottoscrivere i contratti di fornitura di energia elettrica, acquisendo consensi non genuini ed utilizzando dati tecnici e personali dei clienti, in assenza di consenso e/o autorizzazione;

- b) nella violazione degli articoli 49, 52 e 54 del Codice del Consumo, sotto il profilo delle concrete modalità di conclusione dei contratti negoziati a distanza, non avendo il Professionista fornito le informazioni necessarie per comprendere l'identità del proponente effettivo dell’offerta, le caratteristiche del prodotto e i termini per l'esercizio del diritto di recesso.

Con il medesimo provvedimento, l'Autorità ha irrogato una sanzione amministrativa pecuniaria di 150.000 Euro per la prima pratica e 50.000 Euro per la seconda.

L'istante ha contestato la legittimità del provvedimento, deducendo i vizi di violazione di legge e di eccesso di potere, sotto il profilo di varie figure sintomatiche, con riguardo all’imputabilità delle condotte, alla divisata aggressività delle pratiche e alla quantificazione della sanzione.

L'esponente ha dunque concluso per l'annullamento dell'atto impugnato, previa sospensione cautelare.

Si è costituita l'Autorità intimata, contestando il ricorso a mezzo di ampie deduzioni difensive ed insistendo per il suo rigetto.

Con ordinanza n. 1095/2019, resa all'esito della camera di consiglio del 13 febbraio 2019, il Collegio ha rigettato la domanda cautelare per insussistenza del fumus .

La causa è stata quindi trattenuta in decisione all'udienza pubblica del 5 aprile 2023.

2. Il ricorso è infondato.

3. Sotto un primo profilo, il Collegio reputa che l'Autorità abbia correttamente imputato l'illecito di quo all'esponente, in applicazione degli ordinari principi che governano la materia delle pratiche commerciali scorrette e segnatamente in applicazione delle regole di imputazione elaborate dalla giurisprudenza amministrativa.

In ambito consumeristico, il professionista risponde infatti (ed è responsabile) anche dell'attività svolta dai propri agenti o promotori, sia per culpa in eligendo , sia per culpa in vigilando ovvero allorquando non riesca a dimostrare di aver saputo controllare le iniziative pubblicitarie realizzate e diffuse da soggetti terzi, anch’essi interessati alla pratica commerciale.

Al professionista può infatti essere addebitato il fatto di non essersi dotato di una idonea organizzazione e di un opportuno sistema di monitoraggio, volto ad evitare iniziative pregiudizievoli di soggetti formalmente distinti dall’impresa, ma comunque legati ad essa da un rapporto qualificato di proximity .

Invero, tutte le volte che vi sia interposizione di soggetti terzi nell'attività di vendita di un prodotto del professionista, il canone della diligenza e della buona fede obbliga l'impresa medesima a monitorare e controllare il comportamento commerciale dei singoli agenti, al fine di evitare che il ricorso al contratto di agenzia (e comunque all’opera di soggetti diversi dal professionista) possa essere un espediente per eludere la normativa di protezione.

Nel caso di specie, la società ricorrente è risultata, tra l’altro, essere l'autrice materiale dello script con cui gli agenti venivano indotti a fornire al consumatore informazioni tali da ingenerare confusione circa l'identità del professionista medesimo, facendogli credere che si trattasse del loro fornitore.

La stessa Arera, nel parere reso nel corso del procedimento, ha ritenuto la società ricorrente responsabile dell'attività del proprio personale commerciale.

La prima doglianza va quindi respinta.

4. Quanto alla contestata aggressività della pratica, si osserva che l'Autorità ha sussunto la condotta nell’ambito della fattispecie sanzionabile, all’esito di un percorso logico ed immune da travisamenti, che resiste al sindacato estrinseco del TAR.

L'istante deduce che le liste clienti non sarebbero ad essa riferibili e che le violazioni commesse sarebbero comunque poco significative. Inoltre, secondo l’istante, non sarebbe provata l’aggressività della condotta, perché le persone contattate erano ben consapevoli del soggetto per conto del quale le telefonate venivano effettuate.

In effetti, si rileva, quanto a quest’ultimo assorbente profilo, che i consumatori non erano affatto consapevoli dell’identità del soggetto per conto del quale venivano effettuate le chiamate. Come correttamente riportato nel provvedimento gravato, tale non piena consapevolezza del consumatore la si inferisce, innanzitutto, dal medesimo tenore dello script e dal fatto che una percentuale elevata di consumatori ha revocato il consenso dopo aver compreso l’esatto contenuto dell’offerta e soprattutto che questa non proveniva dal proprio operatore abituale.

In secondo luogo, deve rilevarsi come le liste clienti sono state rinvenute presso gli agenti utilizzati dalla Union, dal che deriva pure la riferibilità della condotta decettiva alla ricorrente, in forza della avvenuta comunicazione (pur ad opera di soggetti formalmente diversi dal professionista) di informazioni ingannevoli e tese ad ottenere una sottoscrizione del nuovo contratto.

Come dedotto in modo condivisibile della difesa erariale, tale condotta insidiosa si colloca in un contesto ormai caratterizzato dalla avvenuta liberalizzazione del mercato dell'energia, laddove il consumatore può scegliere fra diversi professionisti sulla base di calcoli di convenienza economica legati a variabili tecniche ed economiche, spesso di non facile comprensione.

In tale ambito, è richiesto ai professionisti un livello di diligenza massima, cui uniformare le proprie condotte commerciali, al fine di evitare abusi che pregiudichino la libertà precontrattuale del cliente. La valutazione della completezza (e della chiarezza) delle informazioni commerciali fornite ai consumatori deve essere valutata in modo molto rigoroso, proprio per la situazione di debolezza e di asimmetria informativa in cui versa il pubblico consumerista.

La società ricorrente, secondo il plausibile apprezzamento dell’Autorità, non si è evidentemente attenuta a tale grado di diligenza professionale.

Deve anche rigettarsi la censura che si fonda su di una scarsa significatività della pratica, in ragione di un dedotto scarso impatto che la condotta avrebbe avuto nei riguardi dei clienti contattati. Si deve ricordare, all’uopo, che gli illeciti in questione sono illeciti di pericolo, con la conseguenza che, ai fini della configurabilità della condotta sanzionata, è irrilevante il livello di pregiudizio concreto prodotto dal comportamento scorretto.

Non rileva, dunque, l'eventuale esiguità delle segnalazioni ovvero il livello numericamente poco significativo degli effetti pregiudizievoli prodottisi, essendo sufficiente la generale potenzialità lesiva, astrattamente considerata. Nel caso di specie peraltro, anche in concreto, la pratica contestata ha inciso su di un numero comunque significativo di clienti finali.

5. Circa la quantificazione della sanzione, l'Autorità ha esercitato il proprio potere discrezionale in maniera congrua e ragionevole, tenendo conto del fatto che la ricorrente ha cominciato a operare nel marzo 2018 e che rappresenta un'azienda di non grande dimensione economica nel settore di riferimento.

La quantificazione appare commisurata all’esito di un prudente contemperamento di tutti gli elementi di incidenza;
né può rilevare, in senso riduttivo, il fatto che la società abbia fornito le informazioni richieste nel corso del procedimento, perché si tratta di un comportamento dovuto da parte dell’operatore.

Del resto, a riprova del prudente giudizio operato dall'Antitrust (alieno a qualsivoglia automatismo ovvero arbitrarietà), si rileva come il relativo quantum sia stato diversificato per le due distinte pratiche, in ragione della diversa potenzialità lesiva e del differente grado di gravità.

Da ultimo, il Collegio ricorda come la determinazione del quantum debba comunque preservare la finalità deterrente (generale e speciale) della sanzione, volta a scoraggiare la commissione dei medesimi fatti anche de futuro.

6. In conclusione, tutti i motivi di ricorso sono infondati e la domanda annullatoria va rigettata.

Le spese seguono la soccombenza come da liquidazione in dispositivo.

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