TAR Napoli, sez. III, sentenza 2018-11-13, n. 201806577
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Testo completo
Pubblicato il 13/11/2018
N. 06577/2018 REG.PROV.COLL.
N. 01206/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1206 del 2014, proposto da:
Solimeno Immacolata, rappresentata e difesa dagli avvocati V G e L Q, con domicilio eletto presso il loro studio in Napoli alla Via Santa Lucia n. 97 e domicilio digitale: avvluigiquarto@pec.it;
contro
Comune di Boscoreale, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
dell'ordinanza prot. 023353 del 20/11/2013 del Capo Settore Urbanistica, con la quale è stata ingiunta la demolizione delle opere prive di titolo realizzate alla Via Papa Giovanni XXIII n. 78, nonché degli atti premessi, connessi e dipendenti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore per l'udienza pubblica del giorno 23 ottobre 2018 il dott. G E e udito per la parte l'avvocato Quarto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso ritualmente proposto è impugnata l’ordinanza con cui, ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001, è stata ingiunta la demolizione delle opere abusive realizzate al secondo piano del fabbricato, consistenti nella realizzazione “sul terrazzo di mq. 70 insistente sul prospetto est struttura in alluminio e vetro (veranda) di circa mq. 5,00 nonché gazebo di circa mq. 15,00 con una struttura metallica coperti con pannelli plastici similtegole”.
È dedotta la carenza di legittimazione passiva ed è denunciata la violazione delle richiamate disposizioni del D.P.R. n. 380 del 2001.
Il Comune non si è costituito in giudizio.
L’istanza cautelare è stata dichiarata improcedibile con ordinanza del 27/3/2014 n. 515, sul rilievo dell’avvenuta presentazione di un’istanza accertamento di conformità edilizia delle opere oggetto dell’impugnato provvedimento, comportante la stasi della procedura repressiva dell’abuso sino alla scadenza del termine di cui all’art. 36, terzo comma, del D.P.R. n. 380 del 2001.
All’udienza pubblica del 23 ottobre 2018 il ricorso è stato assegnato in decisione.
DIRITTO
1. - L’ordine di demolizione è avversato sostenendo che:
- le opere sono state realizzate dal locatore e la ricorrente è impossibilitata ad accedere all’abitazione per ottemperare, per cui non può essere destinataria dell’ordine di demolizione;
- la realizzazione della veranda in alluminio e del gazebo in struttura metallica costituiscono, rispettivamente, un volume tecnico e una struttura mobile (con natura pertinenziale), per i quali è richiesta la denunzia di inizio attività ed è applicabile, in mancanza, la sola sanzione pecuniaria ex art. 37 del D.P.R. n. 380 del 2001;
- per le opere è stata presentata un’istanza di concessione in sanatoria, avente come conseguenza la perdita di efficacia del provvedimento repressivo dell’abuso e la sua necessaria rinnovazione in ipotesi di rigetto della richiesta.
Le censure sono infondate.
1.1. In primo luogo, è escluso nel caso di specie che il proprietario dell’immobile possa sottrarsi alle conseguenze derivanti dalla realizzazione di un abuso edilizio.
In giurisprudenza è stato al proposito chiarito che, a tal fine, è necessario che lo stesso ponga in essere atti concretamente idonei a dimostrare la sua estraneità alla realizzazione dell’opera priva di titolo (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 4/5/2015 n. 2211: '' secondo i principi affermati dalla giurisprudenza che regolano la materia, il proprietario incolpevole di abuso edilizio commesso da altri, che voglia sfuggire all’effetto sanzionatorio di cui all’art. 31 del testo unico dell’edilizia della demolizione o dell’acquisizione […], come effetto della inottemperanza all’ordine di demolizione, deve provare la intrapresa di iniziative che, oltre a rendere palese la sua estraneità all’abuso (e in ciò si può convenire con la parte appellante), siano però anche idonee a costringere il responsabile dell’attività illecita a ripristinare lo stato dei luoghi nei sensi e nei modi richiesti dall’autorità amministrativa. Perché vi siano misure concretanti le “azioni idonee” ad escludere l’esclusione di responsabilità o la partecipazione all’abuso effettuato da terzi, prescindendo dall’effettivo riacquisto della materiale disponibilità del bene, si ritiene necessario un comportamento attivo, da estrinsecarsi in diffide o in altre iniziative di carattere ultimativo nei confronti del conduttore (“che si sia adoperato, una volta venutone a conoscenza, per la cessazione dell’abuso”, tra tante, si veda Cassazione penale, 10 novembre 1998, n.2948), al fine di evitare l’applicazione di una norma che, in caso di omessa demolizione dell’abuso, prevede che l’opera abusivamente costruita e la relativa area di sedime siano, di diritto, acquisite gratuitamente al patrimonio del Comune, non bastando invece a tal fine un comportamento meramente passivo di adesione alle iniziative comunali'' ).
Sennonché, la ricorrente si è limitata a manifestare al conduttore l’intento di eseguire l’ordinanza, con la depositata missiva dell’1/2/2014 (posteriore alla notifica dell’ordinanza), senza dar seguito all’intento medesimo e, anzi, manifestando la contraria volontà di mantenere l’opera abusiva, inoltrando al Comune in data 25/2/2014 l’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica e di conformità edilizia prot. n. 3299.
1.2. Quanto alle censure concernenti la tipologia dell’opera eseguita, vanno disattese le considerazioni con cui si intende far valere che si tratterebbe di volumi tecnici od opere pertinenziali.
Trattasi difatti di una struttura chiusa perimetralmente e di un gazebo stabilmente infisso al suolo, che non assolvono ad esigenze di natura tecnica ma sono destinate alla fruizione dei risiedenti (cfr. anche l’esibita documentazione fotografica), palesandosi ragione di ciò l’impossibilità di ricondurre le opere alle suddette nozioni (cfr., per tutte, la sentenza di questa Sezione del 30/5/2018 n. 3549: '' La giurisprudenza, anche di questa Sezione (cfr. la sentenza del 24/3/2017 n. 1618), ha rimarcato che il concetto di volume tecnico presuppone un parametro di tipo funzionale (rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione principale) e due condizioni di segno negativo (impossibilità di soluzioni progettuali diverse e proporzionalità tra volumi ed esigenze da soddisfare). Nel caso in esame, non può fondatamente sostenersi che l’opera costituisca un intervento edilizio necessitato dalle esigenze dell’uso e privo di alternative, poiché la nozione di volume tecnico “può essere applicata solo alle opere edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti serventi di una costruzione principale, per esigenze tecnico - funzionali della costruzione stessa”, che non soddisfino alcuna finalità residenziale (sentenza cit.). Anche la più generale nozione di pertinenza postula un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra la cosa accessoria e quella principale (sicché la prima non è suscettibile di autonoma e separata utilizzazione), sempreché l’opera secondaria non comporti alcun maggiore carico urbanistico ed un apprezzabile aumento di volumetria, incidente anche sulla protezione dei luoghi accordata dalla tutela paesaggistica (cfr., da ultimo, la sentenza della Sezione del 3/5/2017 n. 2381 che, per un’analoga struttura consistente in una veranda, ha precisato che: “l’installazione di un veranda chiusa è senza dubbio una trasformazione edilizia produttiva che aggrava il carico urbanistico, con una modificazione altresì della sagoma e del prospetto dell’edificio, in zona vincolata, comportante, con tutta evidenza, degli aumenti di volumetria non irrilevanti che, oltre ad escludere il rapporto pertinenziale, risultano ostativi al rilascio in via postuma della compatibilità paesaggistica, ai sensi dell’art. 167, co. 4, e dell’art. 146, co. 4, del d. lgs. n. 42 del 2004”). '').
1.3. Quanto all’avvenuta presentazione dell’istanza di accertamento di conformità, va respinta la tesi secondo cui ciò comporterebbe la paralisi degli effetti del provvedimento sanzionatorio e l’esigenza di una sua rinnovazione all’esito del procedimento attivato, bastando al riguardo riportarsi alla giurisprudenza costantemente ribadita, con cui è stato statuito che: '' In ogni caso, questa Sezione con indirizzo ormai consolidatosi ritiene che la presentazione della domanda di permesso in sanatoria ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, non influisce sul provvedimento emanato, né (essendo successiva allo stesso) determina l’improduttività di effetti di quest’ultimo;ciò in quanto, decorso il termine di sessanta giorni, la legge espressamente vi riconnette la formazione del provvedimento di rigetto, che è onere della parte impugnare, senza poter addurre che dalla mera presentazione dell’istanza discenda la paralisi degli effetti del provvedimento sanzionatorio (la cui esecuzione resta solo temporaneamente sospesa, sino alla scadenza del termine suddetto (cfr. T.A.R. Napoli sez. III,02/04/2015, n. 1982 e T.A.R. Napoli sez. III, 02/12/2014, n. 6302). '' (sentenza del 16/10/2018 n. 6028;conf., da ultimo, 26/10/2018 n. 6266).
2. - Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso va dunque respinto.
Non v’è luogo a provvedere sulle spese di giudizio, non essendosi costituito l’intimato Comune.