TAR Roma, sez. II, sentenza 2013-09-24, n. 201308427

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. II, sentenza 2013-09-24, n. 201308427
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201308427
Data del deposito : 24 settembre 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04630/1996 REG.RIC.

N. 08427/2013 REG.PROV.COLL.

N. 04630/1996 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4630 del 1996, proposto da:
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. G L, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso, in Roma, via Costabella n. 23;

contro

Comune di Roma (ora Roma Capitale), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. A M, elettivamente domiciliato presso gli uffici, in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;

per l'annullamento

della determinazione dirigenziale del Comune di Roma- Ripartizione XV Urbanistica ed edilizia privata- n. 928 del 31.10.1995, pervenuta all’Ambasciata britannica per le vie diplomatiche tramite il Ministero degli Affari esteri italiano in data 30.1.1996, avente ad oggetto la reiezione dell'istanza di cui al prot. n. 47100/94 intesa ad ottenere il rilascio di una concessione edilizia relativa alla demolizione di manufatti siti all’interno del complesso edilizio di Villa Wolkonsky, in Roma, alla piazza omonima;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma (ora Roma Capitale);

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 giugno 2013 il cons. M C Q e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso notificato il 28.3.1996 e depositato nei termini, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, proprietario del complesso immobiliare in Roma denominato Villa Wolkonsky, ha impugnato la determinazione dirigenziale del Comune di Roma- Ripartizione XV Urbanistica ed edilizia privata- n. 928 del 31.10.1995, pervenuta all’Ambasciata britannica per le vie diplomatiche tramite il Ministero degli Affari esteri italiano in data 30.1.1996, avente ad oggetto la reiezione dell'istanza di cui al prot. n. 47100 del 29.8.1994 intesa ad ottenere il rilascio di una concessione edilizia relativa alla demolizione di manufatti siti all’interno del complesso edilizio di Villa Wolkonsky, in Roma, alla piazza omonima, motivata sulla base della relazione dell’Ufficio tecnico che ha evidenziato “ il contrasto delle progettate opere con l’art. 10, par. 1 e con l’art. 3, par. 17 delle N.T.A. di P.R.G. non essendo sede di ambasciata ” nonché del parere negativo espresso da parte della Commissione edilizia in data 7.6.1995 “ per l’assenza di un progetto di restauro che contempli l’intera unità storico-ambientale (edifici e parti coperte) della villa e relativa dettagliata documentazione storico-archivistica e rilievo delle condizioni di fatto ”.

Ne ha dedotto l’illegittimità per i seguenti motivi di censura:

1- Violazione e falsa applicazione dell’articolo 7 della legge n. 94 del 1982 in combinato disposto con gli articoli 1 e 4 della legge n. 10 del 1977 ed eccesso di potere per falsità dei presupposti .

L’amministrazione comunale avrebbe erroneamente ritenuto di pronunciarsi su di una domanda di rilascio di concessione edilizia, mentre, invece, avuto riguardo al suo specifico oggetto, indipendentemente dalla qualificazione datane dal ricorrente, si sarebbe trattato di autorizzazione edilizia gratuita ai sensi del richiamato articolo 7, comma 2, lett. c), della legge n. 94 del 1992, avendo ad oggetto mere opere di demolizione edilizia di manufatti, peraltro risalenti nel tempo, di alcun pregio e in pessimo stato di conservazione.

2- Violazione e falsa applicazione dell’articolo 7, comma 3, della legge n. 94 del 1982 e dei principi generali in materia di formazione dell’atto amministrativo e di consumazione del relativo potere .

Rilevata l’effettiva natura giuridica del provvedimento amministrativo del quale sarebbe stato richiesto il rilascio, ne conseguirebbe che alla data di adozione del provvedimento impugnato, ossia alla data del 31.10.1995, si sarebbe già oramai formato il silenzio assenso sull’istanza del ricorrente del 29.8.1994, essendo decorso il termine dei 60 giorni, residuando all’amministrazione esclusivamente il potere di annullamento in autotutela.

3- In via subordinata, violazione e falsa applicazione dell’articolo 8, comma 4, par. 7, lett. b), del D.L. n. 400 del 1995.

Inoltre alla predetta data di adozione del provvedimento impugnato, ossia alla data del 31.10.1995, era già entrato in vigore il D.L. n. 400 del 20.9.1995 il quale ha introdotto, per le opere edilizie di cui trattasi, la denuncia di inizio dell’attività ai sensi e per gli effetti dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990.

4- In via ulteriormente subordinata, eccesso di potere per violazione dell’articolo 10, par. 1, delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Roma.

Il disposto di cui al richiamato dell’articolo 10, par. 1, delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Roma - nella parte in cui detta la disciplina della zona G, sottozona G1 (parco privato vincolato) nel cui ambito ricade la villa di cui trattasi, imponendone la conservazione edilizia - sarebbe in concreto inapplicabile alla fattispecie, alla luce della relativa ratio sottesa, atteso che i manufatti oggetto della richiesta di demolizione, presumibilmente abusivi- erano comunque precari, fatiscenti e pericolosi per l’incolumità, oltre che almeno in parte ricadenti nella fascia di rispetto dell’Acquedotto Romano, tanto è vero che la Sovrintendenza per i beni ambientali ed architettonici di Roma ha reso parere positivo al riguardo con la nota di cui al prot. n. 11659 del 16.8.1994.

Il parere della Commissione edilizia comunale del 7.6.1995, richiamato nel provvedimento impugnato, sarebbe, peraltro, illogico, attesa la evidente non necessità della presentazione contestuale di un progetto complessivo, trattandosi, appunto, della mera demolizione dei manufatti di cui in precedenza.

5- In via ulteriormente subordinata, eccesso di potere per violazione dell’articolo 3, par. 17, delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Roma.

Le opere sarebbero comunque state autorizzabili in deroga ai sensi dell’articolo 3, par. 17, delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Roma, in quanto la villa in questione sarebbe sede di rappresentanza diplomatica - diversamente da quanto erroneamente rilevato dovendosi ricomprendere nel detto concetto anche la residenza privata dell’ambasciatore, in quanto a servizio dell’interesse pubblico generale di rendere possibili le relazioni diplomatiche tra gli Stati - e considerata edificio di interesse pubblico.

Con il decreto decisorio presidenziale n. 8090 del 5.10.2012 è stata dichiarata la perenzione del ricorso.

A seguito della dichiarazione di interesse della ricorrente con contestuale richiesta di reiscrizione in ruolo notificato e depositato in data 13.3.2013, il ricorso è stato rimesso sul ruolo ai fini della trattazione del merito con fissazione dell’udienza alla data del 19.6.2013.

Il ricorrente ha depositato documentazione integrativa in data 6.5.2013.

Il Comune di Roma (ora Roma Capitale) si è costituito in giudizio con comparsa di mera forma in data 15.5.2013 ed ha depositato memoria difensiva in data 16.5.2013, con la quale ha argomentatamente dedotto l’infondatezza nel merito del ricorso;
in particolare ha dedotto che:

- gli interventi edilizi finalizzati anche solo alla demolizione delle opere edilizie preesistenti sono assoggettati al previo rilascio della relativa concessione edilizia;

- la natura concessoria del provvedimento impedisce l’operativitàdell’invocato silenzio assenso di cui all’articolo 20 della legge n. 241 del 1990 e altrettanto è a dirsi con riferimento alla specifica natura dei manufatti edilizi di cui trattasi, in quanto insistenti all’interno di un parco privato ed afferenti pertanto al patrimonio culturale e paesaggistico;

- la rilevata natura precaria dei manufatti non costituirebbe ostacolo all’applicazione delle invocate norme di attuazione del P.R.G. vigente attesa l’assorbente rilevanza della qualificazione del complesso edilizio;

- i manufatti non assumerebbero alcuna rilevanza in relazione allo svolgimento delle relazioni diplomatiche tra gli stati e, pertanto, non rientrerebbero nell’ipotesi derogatoria della sede di rappresentanza diplomatica.

Il ricorrente, con la memoria del 17.5.2013, ha controdedotto alle censure avversarie.

Con le memorie di replica del 28.5.2013 e del 29.5.2013 entrambe le parti hanno ulteriormente contro dedotto, insistendo nelle rispettive difese.

Alla pubblica udienza del 19.6.2013 il ricorso è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da separato verbale di causa.

DIRITTO

Con la determinazione dirigenziale del Comune di Roma- Ripartizione XV Urbanistica ed edilizia privata- n. 928 del 31.10.1995, è stata rigettata l'istanza del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, di cui al prot. n. 47100 del 29.8.1994, intesa ad ottenere il rilascio di una concessione edilizia relativa alla demolizione di manufatti siti all’interno del complesso edilizio di proprietà di Villa Wolkonsky, in Roma, sulla base della richiamata relazione dell’Ufficio tecnico che ha evidenziato “ il contrasto delle progettate opere con l’art. 10, par. 1 e con l’art. 3, par. 17 delle N.T.A. di P.R.G. non essendo sede di ambasciata ” nonché del parere negativo espresso da parte della Commissione edilizia in data 7.6.1995 “ per l’assenza di un progetto di restauro che contempli l’intera unità storico-ambientale (edifici e parti coperte) della villa e relativa dettagliata documentazione storico-archivistica e rilievo delle condizioni di fatto ”.

Con i primi due motivi di censura il ricorrente ha dedotto che si sarebbe trattato di istanza di rilascio di un’autorizzazione edilizia gratuita ai sensi del richiamato articolo 7, comma 2, lett. c), della legge n. 94 del 1982, avendo ad oggetto mere opere di demolizione edilizia di manufatti, e non invece di una concessione edilizia come erroneamente indicato nell’istanza del 29.8.1994 e che, sulla predetta, correttamente qualificata nei termini di cui in precedenza, si sarebbe oramai già formato, sin dal 28.10.1994, il silenzio assenso al momento dell’adozione del provvedimento impugnato.

In punto di fatto si premette che, nell’istanza del 29.8.1994 era testualmente richiesto il rilascio di una autorizzazione edilizia ed era, altresì, puntualmente richiamato anche l’articolo 7 della legge n. 94 del 1982 e, in questa sede, viene ribadita la predetta natura giuridica del titolo edilizio richiesto essenzialmente all’unico fine di consentire l’operatività dell’istituto del silenzio assenso.

L’articolo 7 richiamato dispone testualmente che “… Sono altresì soggette ad autorizzazione gratuita, purché conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti, e non sottoposte ai vincoli previsti dalle leggi 1° giugno 1939, n. 1089, e 29 giugno 1939, n. 1497: …

c) le opere di demolizione, i reinterri e gli scavi che non riguardino la coltivazione di cave o torbiere.

Per gli interventi di cui al comma precedente, la istanza per l'autorizzazione del sindaco ad eseguire i lavori si intende accolta qualora il sindaco non si pronunci nel termine di sessanta giorni. In tal caso il richiedente può dar corso ai lavori dando comunicazione al sindaco del loro inizio. … Alle istanze previste dal presente articolo si applicano le disposizioni del secondo, terzo e quarto comma dell'art. 8 del presente decreto .”.

I presupposti affinché, pertanto, le opere di demolizione edilizia siano soggette ad autorizzazione gratuita ai sensi della norma richiamata sono, da un lato, che queste siano conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti e, dall’altro, che non siano sottoposte ai vincoli previsti dalle leggi 1 giugno 1939, n. 1089, e 29 giugno 1939, n. 1497.

E, infatti, per giurisprudenza consolidata sul punto, gli interventi edilizi assoggettati dall'articolo 7 della legge n. 94 del 1992 al regime autorizzatorio, richiedono invece il rilascio di concessione edilizia, da emanarsi previa acquisizione del necessario nulla osta paesistico, qualora ricadano in zone soggette a vincolo paesistico - ambientale (T.A.R. Calabria- Reggio Calabria, 9 dicembre 1995, n. 784).

Nel caso di specie - indipendentemente dalla questione relativa alla conformità delle opere edilizie in questione alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti, comunque in contestazione in questa sede alla luce della puntuale motivazione di cui al provvedimento impugnato -, è comprovato in atti, e riconosciuto dalla stessa difesa del ricorrente anche da ultimo nella memoria di replica, che si tratta di edifici insistenti all’interno di un’area vincolata, come attesta peraltro il rilascio del parere della Sovrintendenza ai beni ambientali ed architettonici, di cui alla nota prot. n. 11659/1994 del 16.8.1994, il quale è stato, altresì, allegato all’istanza di rilascio del titolo edilizio di cui trattasi;
né la circostanza che il parere richiamato sia stato positivo - essendo stato riconosciuto che, nello specifico, i singoli edifici e manufatti oggetto della demolizione fossero privi di qualsiasi intrinseco valore storico ed artistico e comunque in stato di totale fatiscenza- costituisce elemento rilevante al fine, trattandosi pur sempre di area sottoposta a vincolo.

Ne consegue che l’invocato articolo 7, comma 2, lett. c) della legge n. 94 del 1982 non poteva, in concreto, trovare applicazione nel caso di specie, nei sensi invocati dal ricorrente, con l’ulteriore conseguenza che non poteva nemmeno riconoscersi l’operatività dell’istituto del silenzio assenso e che, pertanto, il provvedimento impugnato di diniego espresso non è illegittimo sotto il prospettato profilo.

Con il terzo motivo di censura, espressamente formulato in via subordinata, è stata dedotta la violazione dell’articolo 8, comma 4, par. 7, lett. b), del D.L. n. 400 del 1995, in quanto in vigore alla data di adozione del provvedimento impugnato, ossia alla data del 31.10.1995, il quale ha introdotto, per le opere edilizie di cui trattasi, la denuncia di inizio dell’attività ai sensi e per gli effetti dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990.

L’articolo 8 del D.L. n. 400 del 1995, rubricato “ Semplificazione dei procedimenti in materia urbanistico-edilizia .”, dispone testualmente al punto invocato che “7. I seguenti interventi se non in contrasto con gli strumenti urbanistici adottati o approvati e con i regolamenti edilizi vigenti, e ferma restando la necessità delle autorizzazioni previste dalle leggi 1° giugno 1939, n. 1089, 29 giugno 1939, n. 1497, dal decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, e dalla legge 6 dicembre 1991, n. 394, sono subordinati alla denuncia di inizio dell'attività ai sensi e per gli effetti dell'art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dall'art. 2, comma 10, della legge 24 dicembre 1993, n. 537: …

b ) opere di demolizione, reinterri e scavi, che non riguardino la coltivazione di cave e torbiere ;
…”.

La norma, pertanto, effettivamente, ha introdotto, con riferimento alle opere ivi puntualmente indicate, l’istituto della denuncia di inizio dell’attività che ha preso il posto dell’autorizzazione e/o della concessione edilizia;
e, tuttavia, da un lato, il D.L. 20 settembre 1995, n. 400 è stato pubblicato in G.U. in data 26 settembre ed è entrato in vigore nella medesima data ai sensi dell’articolo 10, e, sebbene pertanto già in vigore alla data di adozione del provvedimento impugnato, ossia al 31.10.1995, non operando il silenzio assenso sull’istanza di cui trattasi, ne consegue che il relativo procedimento concessorio era ancora in corso ed era regolato dalla relativa normativa né risulta che il ricorrente, sulla base dell’innovativa disciplina nella materia, abbia provveduto a presentare la relativa denuncia di inizio dell’attività;
dall’altro, comunque, il detto decreto non è stato convertito nel termine di sessanta giorni dalla sua pubblicazione, sebbene, a norma dell'articolo 2 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base del presente decreto.

Con il quarto motivo di censura il ricorrente ha dedotto la violazione dell’articolo 10, par. 1, delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Roma, il quale, nella parte in cui detta la disciplina della zona G, sottozona G1 (parco privato vincolato) nel cui ambito ricade la villa di cui trattasi, impone la conservazione edilizia, in quanto sarebbe in concreto inapplicabile alla fattispecie, atteso che i manufatti oggetto della richiesta di demolizione erano comunque precari, fatiscenti e pericolosi per l’incolumità. Inoltre il parere della Commissione edilizia comunale del 7.6.1995, richiamato nel provvedimento impugnato, sarebbe, peraltro, illogico, attesa la evidente non necessità della presentazione contestuale di un progetto complessivo, trattandosi, appunto, della mera demolizione dei manufatti di cui in precedenza.

L’articolo 10, par. 1, delle N.T.A. dispone che “ nei parchi privati deve essere conservata la attuale consistenza edilizia e relativa sistemazione a verde con esclusione di nuove costruzioni. In tale sottozona sono ammessi solo restauri di tipo conservativo degli edifici stessi, che non alterino la distribuzione interna e l’aspetto esterno degli stabili medesimi ”. La relazione di accompagno della deliberazione C.C. n. 614 del 18.12.1962 di adozione del P.R.G. dispone al riguardo che “ il piano prevede per alcune di esse, dati i particolari caratteri ambientali e paesistici, il mantenimento nello stato attuale sia della consistenza edilizia che delle sistemazioni arboree .”.

Dalla lettura della norma emerge come la ratio della stessa sia proprio quella esplicitata della conservazione della consistenza edilizia esistente nell’ambito dei parchi privati, di tal che, sebbene lo scopo primario sia indubitabilmente quello di impedire che siano ivi realizzate nuove opere edilizie, tuttavia, sebbene non espressamente esplicitato, deve altresì ritenersi che non sia nemmeno ammessa la mera demolizione edilizia, anche di edifici e/o manufatti indubitabilmente al momento in stato di grande degrado e comunque privi di rilevanza storico-architettonica, in quanto inseriti, in ogni caso, in un più ampio complessivo contesto vincolato.

Pertanto, proprio in quanto nella predetta area non era consentita la mera demolizione, ne consegue che, correttamente, in via astratta, la commissione edilizia ha richiesto un progetto di restauro interessante l’intero complesso edilizio.

Infine con il quinto ed ultimo motivo di censura il ricorrente ha dedotto la violazione dell’articolo 3, par. 17, delle N.T.A. in quanto le opere di mera demolizione edilizia senza la contestuale presentazione di un progetto complessivo sarebbero state comunque autorizzabili in deroga ai sensi della predetta norma, atteso che la villa in questione sarebbe effettivamente sede di rappresentanza diplomatica.

La norma richiamata, infatti, dispone che “ Le sedi di rappresentanze diplomatiche sono considerate, ai fini di cui all’articolo 41-quater delle legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150 e successive modifiche, edifici di interesse pubblico. Per tali sedi può essere consentita una deroga alle norme edilizie relative alle zone di P.R.G. in cui ricadono, con le modalità di cui all’articolo 3 della legge 21 dicembre 1955, n. 1357 .”.

Si tratta ora di verificare se, in concreto, il complesso edilizio di cui trattasi rientri o meno nel concetto di “sede diplomatica”, atteso che la predetta circostanza è negata da parte dell’amministrazione comunale, la quale ritiene che la residenza privata dell’ambasciatore britannico a Roma - alla quale destinazione, incontestabilmente tra le parti, è destinata la villa - debba essere esclusa dal predetto novero.

Si premette che le sedi di rappresentanze diplomatiche sono assimilate, di per sé e in astratto, sulla base della norma di piano richiamata, agli edifici di interesse pubblico, con la conseguenza che, ai fini del rilascio della concessione edilizia, trova applicazione nei loro confronti, per espressa statuizione sul punto, la normativa derogatoria delle norme di piano relative alla zona di inquadramento.

Alla luce della ratio della norma concernente la deroga, che assimila le sedi di rappresentanza diplomatica agli edifici di interesse pubblico, deve, pertanto, ritenersi che la residenza privata dell’ambasciatore, proprio in quanto destinata a servizio dell’interesse pubblico generale di rendere possibili le relazioni diplomatiche tra gli Stati, rientri nella predetta nozione di sede diplomatica.

Inoltre, ai sensi della Convenzione di Vienna del 18.4.1961, all’articolo 22 è disposto testualmente che “ 1. Le stanze della missione sono inviolabili. Senza il consenso del capomissione, è vietato agli agenti dello Stato accreditatario accedere alle stesse.

2. Lo Stato accreditatario è particolarmente tenuto a prendere tutte le misure appropriate per impedire che le stanze della missione siano invase o danneggiate, la pace della missione sia turbata, e la dignità della stessa diminuita . …” e, all’articolo 1 che “ Secondo la presente Convenzione, le locuzioni seguenti significano:… i. «stanze della missione», gli edifici o parti di edifici e il terreno annesso, qualunque ne sia il proprietario, adoperati ai fini della missione, compresa la residenza del capo della stessa .” .

Ne consegue che, indubitabilmente, anche la residenza privata del capo della missione diplomatica é valutata alla stregua di “stanza della missione” e, in quanto tale, è assoggettata alla relativa disciplina giuridica, con particolare riguardo proprio, per quanto di interesse in questa sede, alla sua inviolabilità;
e, pertanto, la richiamata convenzione internazionale conferma che la ratio sottesa alla tutela della sede diplomatica intesa in senso stretto come riferita agli uffici è tuttavia ritenuta ricorrere anche per la residenza privata dell’ambasciatore, nella sua qualità di capo della missione.

In sostanza, per principio consuetudinario che è stato soltanto recepito nella richiamata convenzione, la residenza privata dell’ambasciatore è considerata effettiva parte integrante dell’ambasciata anche nel caso in cui essa sia localizzata in ambienti distinti ed autonomi rispetto agli uffici diplomatici in senso stretto.

La conseguenza nel caso di specie della detta conclusione è che, pertanto, la residenza privata dell’ambasciatore rientra certamente nella nozione di “sedi di rappresentanza diplomatica” cui fa riferimento la norma di piano in precedenza richiamata, e, quindi, l’amministrazione comunale, da un lato, ha errato nel ritenere che non vi rientrasse e, dall’altro, illegittimamente non ha valutato la possibilità di procedere ad una deroga alle norme di piano concernenti la zona nell’ambito della quale ricade il complesso di cui trattasi ai fini del rilascio di una concessione edilizia avente ad oggetto la mera demolizione di singoli manufatti insistenti all’interno del complesso edilizio considerato nel suo insieme.

Per le considerazioni tutte che precedono il ricorso deve essere accolto, siccome fondato nel merito, nei limiti di cui sopra, con assorbimento di ogni altra censura dedotta..

Sussistono giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio tra le parti costituite alla luce della parziale soccombenza.

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