TAR Venezia, sez. I, sentenza 2024-01-31, n. 202400183

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. I, sentenza 2024-01-31, n. 202400183
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 202400183
Data del deposito : 31 gennaio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 31/01/2024

N. 00183/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00287/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 287 del 2018, proposto da
G F, rappresentato e difeso dagli avvocati M G M, G P e P F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato G P in Venezia, Calle De Mezo 3080/L;

contro

Prefettura - U.T.G. di Verona, in persona del Prefetto pro tempore , non costituita in giudizio;
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Venezia, San Marco 63;

per l'annullamento

1) del decreto prefettizio del 14.12.2017 (notificato il 19.12.2017) con cui il prefetto di Verona ha negato al ricorrente il rilascio della licenza a gestire un istituto di investigazione privata;

2) della comunicazione fasc. n. 3783/2017/Area 1 bis del 23.11.2017, che indica i motivi ostativi al rilascio della licenza;

3) della nota ministeriale prot. n. 427 e n. 951 del 16.11.2017 che esclude il possesso (in capo al ricorrente) di uno dei requisiti di legge;

4) di ogni altro atto presupposto e/o connesso e segnatamente, occorrendo ( in parte qua e nei limiti dell’interesse del ricorrente), il DM 1.12.2010 n. 269, Allegato G, art. 1, che individua i requisiti necessari per il rilascio della licenza a gestire un istituto di investigazione e la relativa circolare esplicativa.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 settembre 2023 il dott. Alberto Ramon e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il sig. G F contesta in questa sede l’illegittimità della decisione del Prefetto di Verona, assunta il 14 dicembre 2017, con la quale è stata respinta l’istanza dallo stesso proposta il 18 luglio 2017, nella sua qualità di legale rappresentante della Fidem s.r.l., “ intesa ad ottenere la licenza per gestire […] un istituto di investigazioni per conto di privati ”, ai sensi dell’art. 134 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (c.d. T.U.L.P.S.).

Al fine di ricostruire lo svolgimento dell’istruttoria propedeutica all’adozione dell’atto di diniego, è opportuno evidenziare che l’Amministrazione procedente – non avendo rilevato dalla documentazione acclusa all’istanza il possesso dei requisiti professionali minimi previsti dall’allegato G al d.m. 1 dicembre 2010, n. 269 – chiedeva al privato una relazione integrativa volta a chiarire il perfezionamento di detti presupposti.

Indi l’istante, con nota del 24 agosto 2017, esponeva all’Autorità di pubblica sicurezza – per come sunteggiato nell’atto reiettivo – di essere “ laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche e in Scienze Strategiche ” e di aver “ svolto specifici incarichi di intelligenze e investigazioni per conto dell’Esercito Italiano nel periodo compreso tra l’arruolamento, avvenuto il 10.10.1997 e il congedo per dimissioni volontarie, verificatosi il 30.09.2013 ”.

Tali attestazioni venivano quindi trasmesse dall’Amministrazione prefettizia al Comando Provinciale dei Carabinieri di Verona, con richiesta di svolgere i relativi controlli.

In seguito, il summenzionato Comando confermava, con nota del 24 ottobre 2017, che le missioni svolte all’estero dal sig. F, come ufficiale dell’Esercito Italiano, avessero ad oggetto “ incarichi specifici di intelligence e di investigazioni ”, in cui lo stesso “ si era particolarmente distinto nel portarli a termine, operando in un contesto internazionale ed in zone ad alta criticità ed in raccordo con altre Forze Armate, nonché delle locali Forze di Polizia, per il raggiungimento della pace comune ”.

In particolare, il Comando Provinciale dei Carabinieri di Verona specificava che il sig. F “ ha conseguito nell’anno 2011/2012 un master in sicurezza ed intelligence;
nel periodo in cui ha prestato servizio nelle Forza Armate Italiane nel ruolo ufficiali, ha condotto con successo varie sperimentazioni nel settore della guerra elettronica, individuando eccellenti soluzioni tecniche che permettono di affrontare le nuove minacce elettromagnetiche dei moderni teatri operativi;
è stato ufficiale dell’Esercito Italiano qualificato in Guerra Elettronica, Intelligence e Sicurezza, operando in teatri di guerra tra cui l’Afghanistan, contribuendo a facilitare il processo di pace e riconciliazione, isolando, col proprio operato, soggetti con influenza negativa all’interno dell’area delle operazioni, ottenendo significativi successi che hanno lasciato una duratura impronta nei processi di pacificazione della predetta area
”.

A fronte di tali chiarimenti, il Prefetto di Verona – ritenendo che l’istante non rivestisse i requisiti previsti dall’art. 1, comma 1, lettere b) e c) , dell’allegato G al d.m. n. 269 del 2010 – chiedeva, con nota del 2 novembre 2017, un parere al Ministero dell’Interno in ordine alla “ possibilità di ritenere la professionalità maturata dall’interessato nel campo delle investigazioni e dell’intelligence nell’ambito dell’attività scolta per le Forze Armate assimilabile, ai fini del rilascio della licenza in argomento, alla ‘documentata attività di indagine in seno a reparti investigativi per le Forze di Polizia’, alla luce delle disposizioni di cui al Vademecum operativo allegato alla circolare ministeriale prot. 557/PAS/4935.10089.D(1)REG in data 24 marzo 2011 ”.

Il Ministero dell’Interno, con nota del 16 novembre 2017, rilasciava l’esito della propria attività consultiva: ivi l’Amministrazione centrale, dopo aver osservato “ che l’Allegato G del citato DM testualmente recita ‘aver svolto documentata attività di indagine in seno ai reparti investigativi delle Forze di Polizia …’, significando che per l’acquisizione di detto requisito è vincolante aver svolto la predetta attività in seno alle Forze di Polizia ”, concludeva che “ poiché il signor F ha svolto la sua attività in seno all’Esercito Italiano, si ritiene che non ricorrano i presupposti di cui al citato Allegato G ”.

Di conseguenza, il Prefetto di Verona trasmetteva all’interessato, con nota del 24 novembre 2017, il c.d. preavviso di rigetto in relazione all’istanza di rilascio della licenza di cui all’art. 134 T.U.L.P.S., illustrando le ragioni ostative all’accoglimento della stessa attraverso il richiamo al parere reso dal Ministero dell’Interno.

Successivamente il sig. F dimetteva una memoria difensiva, attraverso la quale contestava l’effetto vincolante del suddetto parere – in quanto lo stesso sarebbe stato “ in contrasto con le norme comunitarie, oltre che con i principi anche costituzionali propri dell’ordinamento italiano ” –, laddove riconduceva la nozione di “ Forze di Polizia ” di cui all’allegato G al d.m. n. 269 del 2010 esclusivamente alle forze facenti capo al Ministero dell’Interno, con esclusione dunque delle forze appartenenti all’Esercito Italiano.

L’Amministrazione, tuttavia, non riteneva tale apporto procedimentale idoneo a mutare la determinazione negativa sull’istanza proposta. In specie l’Autorità – attraverso il decreto reiettivo emesso il 14 dicembre 2017 negava di detenere il potere “ di dichiarare l’illegittimità dell’allegato sopra menzionato e di dover pertanto provvedere secondo quanto disposto dal medesimo ”: donde la necessità di “ respingere l’istanza del signor G F, in quanto lo stesso è risultato privo dei necessari requisiti di capacità tecnica previsti, a pena di rigetto e inaccoglibilità, dalle norme di legge per i titolari di licenza di investigazione per conto di privati ”.

2. Avverso quest’ultima determinazione insorgeva in questa sede il sig. F, proponendo quattro motivi di ricorso, nei termini di seguito esposti.

Le prime tre censure, poste in principalità, sono state avanzate in relazione al provvedimento di diniego del Prefetto di Verona del 14 dicembre 2017 e al parere del Ministero dell’Interno del 16 novembre 2017.

1) “ Violazione e falsa applicazione del d.m. 269/2010 (allegato ‘G’, art. 1, primo comma, ultima parte);
violazione di legge, con riferimento al T.U.L.P.S. (art. 134 r.d. 773/1931) nonché al regolamento di esecuzione (art. 257 bis r.d. 635/1940);
violazione dell’art. 3 L. 241/1990;
eccesso di potere per illogicità, carenza di motivazione, errore e disparità di trattamento
”.

Il diniego della licenza sarebbe illegittimo in quanto l’istante godrebbe dei requisiti minimi di professionalità e capacità tecnica prescritti dall’art. 1, comma 1, dell’allegato G al d.m. n. 269 del 2010: in particolare, egli soddisferebbe il presupposto di “ avere svolto documentata attività d’indagine in seno a reparti investigativi delle forze di polizia, per un periodo non inferiore a cinque anni e aver lasciato il servizio, senza demerito, da non più di quattro anni ”. Nondimeno il Ministero dell’Interno e l’Autorità prefettizia avrebbero dato “ una lettura miope e formalista ” della riportata disposizione regolamentare, in contrasto con l’effettiva ratio legis, ritenendo che l’ultraquinquennale esperienza professionale maturata dall’esponente nel campo delle investigazioni e dell’ intelligence non integrasse il predetto requisito perché svolta in seno all’esercito anziché nell’ambito delle forze di polizia. Dette attività, seppur compiute in due diversi apparati dello Stato, avrebbero invero un contenuto identico o quantomeno comparabile: sicché l’interpretazione letterale adottata, negli atti impugnati, del requisito normativo sortirebbe un effetto “ ingiustamente discriminatorio ” nei riguardi del ricorrente.

2) “ Violazione e falsa applicazione del d.m. 269/2010 (art. 1, allegato ‘G’);
violazione dell’art. 3 L. 241/1990;
eccesso di potere per errore e per motivazione inesistente;
manifesta illogicità
”.

Sotto altro profilo, l’esponente rileva la manifesta illogicità dell’argomento, su cui si fonda il provvedimento reiettivo, per cui l’attività investigativa compiuta nell’esercito non sia comparabile con quella svolta, per almeno un quinquennio, in seno alla polizia o, per almeno un triennio, alle dipendenze di un investigatore privato. Secondo il ricorrente, ciò condurrebbe all’inaccettabile conclusione per cui gli apparati investigativi pubblici diversi dalla polizia (nel caso in esame: i reparti di intelligence dell’esercito), pur operando in scenari di guerra particolarmente complessi, non sarebbero in grado di far acquisire ai propri operatori la professionalità e l’esperienza necessarie a gestire un istituto di investigazioni private.

3) “ Violazione di legge, con riferimento al T.U.L.P.S. (artt. 134 e 136 r.d. 773/1931) e al regolamento di esecuzione (artt. 257 e 257 bis r.d. 635/1940);
violazione degli artt. 3 e 41 Cost.;
eccesso di potere e disparità di trattamento;
violazione dei principi comunitari in materia di libera concorrenza
”.

Il sig. F rileva inoltre che l’attività di investigazione privata costituisce esercizio d’impresa, informata dai principi di concorrenza e di apertura del mercato di origine europea, sicché essa può essere limitata, ai sensi dell’art. 41 Cost., soltanto se esplicata in contrasto con l’utilità sociale oppure se rechi danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana oppure qualora, ai sensi dell’art. 136 T.U.L.P.S., sussistano ragioni di sicurezza pubblica o di ordine pubblico: limiti legali che, tuttavia, non ricorrerebbero nel caso in esame.

Il quarto motivo di ricorso, proposto in via gradata, è stato invece avanzato in relazione all’allegato G al d.m. n. 269 del 2010 e alla circolare esplicativa del 24 marzo 2011, nei seguenti termini.

4) “ Violazione di legge, con riferimento al T.U.L.P.S. (artt. 134 e 136 r.d. 773/1931) e al regolamento di esecuzione (artt. 257 e 257 bis r.d. 635/1940);
violazione e falsa applicazione del d.m. 269/2010 (art. 1, allegato ‘G’);
violazione degli artt. 3 e 41 Cost.;
eccesso di potere per illogicità e disparità di trattamento;
eccesso di potere per carenza di motivazione ed errore;
illogicità manifesta;
violazione dei principi comunitari in materia di libera concorrenza
”.

Il summenzionato regolamento e la relativa circolare esplicativa – nell’evenienza in cui debbano interpretarsi nel senso assunto dal Ministero dell’Interno e dall’Amministrazione prefettizia – sarebbero inficiati dalle medesime censure in precedenza esposte: di talché il provvedimento di diniego della licenza risulterebbe “ viziato da illegittimità derivata ”.

3. Si costituiva in giudizio il Ministero dell’Interno, insistendo per la reiezione del gravame in quanto infondato nel merito.

4. All’esito della camera di consiglio del 21 marzo 2018, il Collegio pronunciava l’ordinanza n. 108 del 2018, con cui rigettava la domanda cautelare volta ad ottenere la sospensione dell’esecutività dei provvedimenti impugnati: ciò in base alla valutazione di non irragionevolezza della “ norma regolamentare applicata laddove richiede il pregresso svolgimento di attività d’indagine in seno ai reparti investigativi delle Forze di polizia, cui non appare del tutto equiparabile la differente esperienza di attività investigativa acquisita presso le Forze armate ”.

4.1. Alla successiva udienza pubblica del 20 settembre 2023, il Collegio dava avviso alle parti – ai sensi dell’art. 73, comma 3, cod. proc. amm. – della sussistenza di possibili profili di incompetenza territoriale del ricorso. Pertanto, con ordinanza n. 1307 del 2023, assegnava alle parti un termine di dieci giorni per presentare memorie vertenti sulla questione sollevata.

Facoltà, questa, esercitata dal ricorrente attraverso il deposito in giudizio, il 2 ottobre 2023, di uno scritto difensivo volto a dimostrare la competenza del giudice adito.

4.2. Chiamata così alla camera di consiglio “riconvocata” del 25 ottobre 2023, la causa è stata trattenuta in decisione.

5. Preliminarmente, deve essere confermata la competenza territoriale di questo Tribunale Amministrativo Regionale sulla controversia ora sub iudice .

Sul punto, deve essere evidenziato come il petitum sostanziale del presente giudizio sia la richiesta di annullamento del decreto reiettivo emesso dal Prefetto di Verona sull’istanza presentata ai sensi dell’art. 134 T.U.L.P.S. dal sig. F. In special modo, il ricorrente lamenta, in via principale, l’illegittimità “diretta” del provvedimento per vizi propri, in quanto l’Amministrazione avrebbe interpretato l’art. 1 dell’allegato G al d.m. n. 269 del 2010 in senso contrario alle intenzioni del legislatore, non riconoscendo l’assimilazione tra attività di indagine svolta nei reparti di polizia e quella compiuta nelle forze armate;
in via subordinata, l’illegittimità “derivata” del medesimo decreto prefettizio a fronte della violazione di legge e dell’eccesso di potere, sotto gli stessi profili di censura avanzati in principalità, inficianti il succitato regolamento ministeriale e la relativa circolare applicativa.

A ben vedere, la questione di diritto che permea tutti i motivi di ricorso ha ad oggetto l’esatta delimitazione dei requisiti professionali e di capacità tecnica necessari per ottenere la licenza di gestire un istituto di investigazioni, stabiliti in termini generali dal summenzionato allegato G : ossia se, a tal fine, valga soltanto l’esperienza investigativa maturata alle dipendenze di un investigatore privato o, in alternativa, quella maturata in seno alle forze di polizia e non anche l’identica esperienza svolta in seno ai reparti di intelligence e sicurezza dell’esercito.

Trattasi, quindi, di una questione concernente l’interpretazione del regolamento ministeriale, la quale deve necessariamente tenere conto che la normativa primaria riconosce al Prefetto un ampio margine di discrezionalità nel rilascio della licenza di cui all’art. 134 T.U.L.P.S. (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 19 maggio 2023, n. 4981;
T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. IV, 22 marzo 2021, n. 870;
T.A.R Puglia, Lecce, Sez. III, 5 giugno 2020, n. 587).

A tal riguardo, è necessario considerare, in base a quanto chiarito dal ricorrente nella memoria dimessa il 2 ottobre 2023, che il predetto allegato G è stato impugnato “ soltanto nell’ipotesi – che qui non ricorre – che il decreto prefettizio fosse espressione di un potere vincolato e che quindi il prefetto di Verona non potesse – nel corretto e doveroso esercizio della propria discrezionalità tecnica – operare la descritta assimilazione ” tra attività espletata nelle forze di polizia e quella svolta nell’esercito. Sicché, nella prospettazione dell’esponente, “ il Prefetto di Verona non solo avrebbe potuto ma anzi avrebbe dovuto esercitare la propria discrezionalità e comparare i contrapposti interessi […], ma non lo ha fatto e, denegando la licenza, ha sacrificato […] l’interesse del privato, così incorrendo quanto meno nel vizio di manifesta illogicità ”.

Siccome l’attività rimessa all’Autorità di Pubblica Sicurezza, per ammissione dello stesso esponente, riveste natura discrezionale, deve pertanto concludersi che – in forza del principio dispositivo, che rimette al ricorrente la delimitazione del thema decidendum – l’impugnazione dell’allegato G al d.m. n. 269 del 2010 non abbia rilievo ai fini del riparto della competenza nella decisione del presente contenzioso.

Donde non si verifica – ai sensi del comma 4- bis dell’art. 13 cod. proc. amm. – l’attrazione della causa dinanzi al giudice competente a decidere l’impugnazione “ di atti normativi o generali ”, bensì operano i criteri generali prescritti dal comma 1 della medesima disposizione: criteri che – tanto con riferimento alla sede dell’Amministrazione adottante l’atto impugnato, quanto in relazione agli effetti diretti di quest’ultimo – rimandano alla competenza di questo Tribunale Amministrativo Regionale.

6. I motivi di ricorso proposti – che possono essere trattati congiuntamente per ragioni di connessione – sono infondati.

È opportuno innanzitutto ricostruire il quadro normativo che disciplina il rilascio della licenza “ di eseguire investigazioni o ricerche o di raccogliere informazioni per conto di privati ”, ai sensi dell’art. 134, primo comma, T.U.L.P.S.;
licenza che, in forza del successivo art. 136, “ è ricusata a chi non dimostri di possedere la capacità tecnica ai servizi che intende esercitare ”.

A tal proposito, l’art. 257, comma 4, del r.d. 6 maggio 1940, n. 635 (Regolamento per l’esecuzione del T.U.L.P.S.) precisa che “ con decreto del Ministro dell'interno, sentito l’Ente nazionale di unificazione e la Commissione di cui all'articolo 260-quater, sono determinate, anche al fine di meglio definire la capacità tecnica di cui all'articolo 136 della legge, le caratteristiche minime cui deve conformarsi il progetto organizzativo ed i requisiti minimi di qualità degli istituti e dei servizi di cui all'articolo 134 della legge, nonché i requisiti professionali e di capacità tecnica richiesti per la direzione dell'istituto e per lo svolgimento degli incarichi organizzativi. Sono fatte salve le disposizioni di legge o adottate in base alla legge che, per determinati servizi, materiali, mezzi o impianti, prescrivono speciali requisiti, capacità, abilitazioni o certificazioni ”.

In attuazione del sopra riportato art. 257, comma 4, è stato dunque emanato il d.m. 1 dicembre 2010, n. 269, il cui allegato G (rubricato “ Requisiti professionali minimi e di capacità tecnica del titolare di licenza di investigazione privata e di informazioni commerciali ”) al comma 1 dispone: “ L'investigatore privato titolare di istituto (art. 4, co.2, lett.a ) deve essere in possesso dei seguenti requisiti: a) aver conseguito, al momento della richiesta, una laurea almeno triennale nelle seguenti aree: - Giurisprudenza - Psicologia a Indirizzo Forense - Sociologia - Scienze Politiche - Scienze dell'Investigazione - Economia ovvero corsi di laurea equipollenti;
b) aver svolto attività lavorativa a carattere operativo, per almeno un triennio, presso un investigatore privato, autorizzato da almeno cinque anni, in costanza di rapporto di lavoro dipendente e con esito positivo espressamente attestato dallo stesso investigatore;
c) aver partecipato a corsi di perfezionamento teorico-pratico in materia di investigazioni private, erogati da Università riconosciute dal Ministero dell'istruzione, dell’università e della ricerca, ovvero in alternativa ai requisiti di cui alle lettere b) e c) aver svolto documentata attività d'indagine in seno a reparti investigativi delle Forze di polizia, per un periodo non inferiore a cinque anni e aver lasciato il servizio, senza demerito, da non più di quattro anni
”.

Così delimitato il perimetro legislativo e regolamentare in cui è chiamato a pronunciarsi il Collegio, deve financo precisarsi – come in parte già anticipato – che la “ predetta normativa, anche nella versione aggiornata [e dunque anche dopo l’emanazione del d.m. n. 269 del 2010] , continua a riconoscere all’amministrazione di p.s. un ampio margine di discrezionalità nel rilascio della licenza di cui all’art. 134 TULPS n. 773/1931 ”: sicché “ dal carattere latamente discrezionale del potere esercitato dall’autorità di p.s. consegue che la sua spendita può essere sindacata, secondo insegnamento consolidato, nei limiti assai angusti della manifesta illogicità o irragionevolezza ” (cfr. T.A.R Puglia, Lecce, n. 587 del 2020, cit.).

Ebbene, tali figure sintomatiche dell’eccesso di potere non sono rinvenibili nella contestata valutazione dell’Amministrazione tesa a negare l’assimilazione tra l’attività d’indagine in seno a reparti investigativi delle forze di polizia e l’attività d’ intelligence svolta per conto dell’esercito.

In proposito, deve osservarsi – proprio al fine di ravvisare la ratio legis invocata dal ricorrente – che l’art. 1, comma 1, dell’allegato G richiede – in relazione all’esperienza professionale maturata nell’ambito della materia investigativa – la dimostrazione di competenze minime rappresentate, in sintesi, dall’“ aver svolto attività lavorativa a carattere operativo, per almeno un triennio, presso un investigatore privato ” (lett. b ) e dall’“ aver partecipato a corsi di perfezionamento teorico-pratico in materia di investigazioni private ” (lett. c ).

Detto requisito principale, per espressa previsione regolamentare, può essere sostituito da un requisito sussidiario, coincidente con l’“ aver svolto documentata attività d'indagine in seno a reparti investigativi delle Forze di polizia, per un periodo non inferiore a cinque anni ”.

La stessa formulazione normativa lascia trasparire come rivesta primaria importanza – al fine della prova del presupposto esperienziale – la pregressa attività compiuta alle dipendenze di un investigatore privato, svolta in un contesto caratterizzato da rapporti inter cives , quindi avulso dai caratteri autoritativi propri delle forze dell’ordine.

Ciò nonostante, il regolamento ammette, in via sussidiaria, che al periodo di lavoro almeno triennale presso un investigatore privato venga parificata l’esperienza svolta nelle forze di polizia, in ragione del fatto che queste ultime eseguono indagini nel medesimo ambito civile: in questo caso, tuttavia, il periodo di servizio minimo richiesto è maggiore rispetto a quello caratterizzante il lavoro in regime privatistico, ossia è pari ad almeno cinque anni. Il che significa che l’attività investigativa privata e quella di polizia, sotto il profilo contenutistico, sono assimilabili, ma non identiche, tanto che è necessario – per il perfezionamento del requisito esperienziale – un periodo di lavoro più prolungato nelle forze dell’ordine per acquisire le competenze richieste per la concessione della licenza volta ad eseguire investigazioni, ricerche o la raccolta di informazioni per conto di privati. Il che è giustificato dal contenuto più ampio, e quindi dalla maggior eterogeneità, che connota l’attività di polizia rispetto a quella investigativa privata.

Nondimeno queste ultime due professioni sono contrassegnate da molteplici profili comuni, che non si rinvengono invece nello svolgimento di funzioni di intelligence nell’esercito, per di più in teatri di guerra, come avvenuto per il ricorrente: funzioni che, sebbene indubbiamente complesse, hanno ad oggetto attività ampiamente eterogenee, quindi in definitiva non assimilabili, rispetto a quelle rimesse all’investigatore privato e all’agente di polizia.

Come osservato dalla difesa dell’Amministrazione, mentre l’attività investigativa delle forze armate è istituzionalmente improntata alla difesa dello Stato dai pericoli esterni, secondo il dettato dell’art. 52 Cost., quella svolta dalle forze di polizia è preordinata al mantenimento dell’ordine interno e della pubblica sicurezza, oltre che alla prevenzione e alla repressione dei reati. Sussiste, quindi, analogia di funzione e di contesto operativo, in prevalenza urbano e in ambito di pace, tra le due professioni valutate come affini dal succitato allegato G , mentre entrambe risultano sensibilmente differenti, in relazione agli stessi profili, rispetto all’attività militare.

Di conseguenza, non è irragionevole la valutazione prefettizia allorquando rileva che il requisito della “ capacità tecnica ” richiesta in capo agli investigatori privati, ai sensi dell’art. 136 T.U.L.P.S., sia desumibile dalla sola esperienza pregressa prestata in polizia e non anche da quella svolta nell’esercito, poiché la professionalità maturata da un agente di polizia è più affine – per le finalità perseguite e i contesti in cui si è svolta – all’investigazione privata di quanto non sia l’attività di intelligence in teatri di guerra. Attività, questa, che quindi non risulta di per sé idonea a dimostrare la capacità tecnica di svolgere attività investigativa in un contesto civile.

D’altro canto, la descritta diversità ontologica tra le funzioni di un militare impegnato in conflitti ad alta intensità rispetto a quelle di un agente di polizia o di un investigatore privato che esercitano la propria professione in ambito civile trova conferma proprio nel curriculum personale del sig. F, dal quale risulta che lo stesso sia stato un ufficiale dell’Esercito Italiano qualificato prevalentemente in guerra elettronica e intelligence .

In particolare, nel corso dell’operazione ONU UNIFIL II in Libano, da luglio 2007 a gennaio 2008, egli ha assunto le funzioni di “ Capo Cellula Coordinamento delle attività di Guerra Elettronica e Comandante dell’assetto di guerra elettronica, con compiti di pianificazione di impiego degli assetti ed unità di Guerra elettronica terrestri (sistemi radio-disturbatori

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