TAR Roma, sez. 2S, sentenza 2023-02-10, n. 202302350

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2S, sentenza 2023-02-10, n. 202302350
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202302350
Data del deposito : 10 febbraio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 10/02/2023

N. 02350/2023 REG.PROV.COLL.

N. 05471/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Stralcio)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5471 del 2009, proposto da
B P, rappresentato e difeso dall'avvocato O B, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Nizza, 59;

contro

Comune di Ariccia, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato E B, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato legale associato Frattali Clementi in Roma, via dei Banchi Vecchi, 58;

per l'annullamento

- del provvedimento prot. n. 14146, notificato in data 21.05.09, con il quale il Comune di Ariccia ha revocato l'autorizzazione all'esercizio dell'attività commerciale di rivendita di prodotti appartenenti al settore non alimentare n. 489 del 23.09.1992 per una superficie pari a mq. 100, sita in Via Appia Antica n. 58;

- nonchè di tutti gli atti preordinati, connessi e consequenziali, tra i quali il verbale di accertamento di violazione n. 18/09 con il quale il Corpo di Polizia Municipale del Comune di Ariccia ha accertato la violazione di cui agli artt. 7, comma 1 e 22, commi 1 e 6 del D.lgs n. 114/98 “per aver attivato l'esercizio di vendita di prodotti non alimentari nei locali siti in Via Appia Nuova n. 58 in assenza della prescritta autorizzazione del Comune”;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Ariccia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 20 gennaio 2023 la dott.ssa F S C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’odierno ricorrente, titolare di autorizzazione n. 489 del 23.09.1992 per l'attività di vendita dei prodotti appartenenti al settore non alimentare (nello specifico, rivendita di ricambi e accessori usati per auto e moto), per una superficie di vendita pari a mq. 100 sita in Via Appia Antica n. 58, impugnava, con ricorso tempestivamente notificato e depositato, il provvedimento i cui estremi sono riportati in epigrafe, con il quale il Comune di Ariccia aveva revocato la suddetta autorizzazione per difetto di conformità edilizio-urbanistica dell'immobile in cui si svolgeva l'attività in oggetto, chiedendone l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia.

2. Il Comune si costituiva in giudizio con atto del 2 luglio 2009, in occasione della comparizione delle parti dinanzi al Presidente della Sezione disposta “ ai fini dell’emanazione di decreto presidenziale ex art.3 Legge 205/00 ”, chiedendo il rigetto del ricorso, richiesta confermata con successiva memoria del 9 luglio 2009.

3. Con ordinanza n. 3306 del 13.07.2009 veniva respinta la domanda cautelare.

4. Con memoria illustrativa del 15.12.2022 l’Amministrazione ha ribadito le proprie difese.

5. All’udienza di smaltimento dell’arretrato del 20 gennaio 2023 il ricorso è stato discusso e trattenuto in decisione.

6. In via di fatto giova precisare che l’attività di vendita era stata autorizzata nei locali (che il ricorrente ha documentato detenere in forza di contratti di comodato stipulati con i propri familiari) siti in via Appia Antica ai civici nn. 56 e 58 e ubicati in zona di P.R.G. “E4 Agricolo Pastorale”, in area gravata da vincolo paesistico, archeologico e sismico e collocata nella fascia di rispetto (100 mt) dall’Appia Antica.

Nel dettaglio, i locali in questione comprendevano un capannone artigianale, vari manufatti adibiti a magazzino e tettoie, che erano stati interessati nel corso del tempo da tre domande di condono edilizio, definite dal Comune con altrettanti dinieghi (cfr. determine n. 588, n. 586 e n. 587 dell’8 luglio 2009, versate in atti ai docc. 14-16 allegati alla memoria “integrativa” comunale del 9 luglio 2009).

È noto al Collegio che all’esito di detti dinieghi sono state emanate una serie di ordinanze di demolizione per i relativi manufatti abusivi, notificate ai comproprietari del terreno su cui era esercitata l’attività commerciale di cui trattasi: dette ordinanze sono state impugnate dinanzi a questo Tribunale, che con sentenze n. 2620 del 7 marzo 2022 (su ricorso proposto dai Sig.ri Cinzia e Bendetto Pisciotta) e n. 1922 del 3 febbraio 2023 (su ricorso proposto dagli altri comproprietari del terreno) ha rigettato le relative impugnative.

Il medesimo Comune, antecedentemente all’emissione dei dinieghi di condono, aveva peraltro già notificato alla proprietaria del terreno (Sig.ra Pisciotta Cinzia) l’ordinanza di demolizione n. 198 del 15.12.2008, poi oggetto di rettifica con ordinanza n. 5 del 14.1.2009, con la quale, accertata l’avvenuta realizzazione di opere abusive in difformità rispetto a quanto riportato nel grafico allegato ad una delle citate domande di condono edilizio, intimava il ripristino dello stato dei luoghi relativamente a detti ulteriori abusi (cfr. docc 6 e 7 allegati alla citata memoria di parte resistente). La difesa comunale rappresenta che nessuna delle due ordinanze è stata impugnata, né è stata eseguita dal ricorrente.

Tanto premesso, con il provvedimento oggi gravato il Comune, tenuto conto delle citate ordinanze di demolizione nn. 198/2008 e 5/2009, nonché delle note prot. n. 2491 del 28.01.2009 e prot. n.2656 del 27.01.2009, con cui era stato comunicato preavviso di diniego in merito a due delle domande di sanatoria (cui appunto ha fatto poi seguito l’adozione dei provvedimenti conclusivi di diniego), disponeva la revoca dell’autorizzazione ai sensi dell’art. 21 quinquies l. n. 241/1990 atteso che “ in relazione alla fattispecie che qui ci occupa è intervenuto un mutamento della situazione di fatto, essendo emersi elementi essenziali in forza dei quali non esistono più i presupposti di legittimità del provvedimento originario (violazione dei requisiti edilizi-urbanistici)” .

7. Tanto premesso, il ricorso è infondato.

8. E’ possibile esaminare congiuntamente il primo e il secondo mezzo, con i quali il ricorrente deduce plurimi profili di violazione di legge ed eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto e per carente istruttoria, per avere l’Amministrazione erroneamente “scambiato” la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda di condono con la decisione definitiva di diniego della sanatoria (primo motivo), fondando la revoca su una motivazione apodittica e del tutto generica (secondo mezzo).

Le censure non meritano pregio.

Vero è che alla data in cui è stato adottato il gravato provvedimento di revoca non era stata ancora esitata, con provvedimento definitivo, la domanda di condono cui la parte allude (ossia la domanda presentata in data 27 febbraio 1995 dal medesimo P B, avente ad oggetto la sanatoria di “magazzini e tettoie per autodemolizione”), essendo stata solo notificata comunicazione ex art. 10 bis l. n. 241/1990 (con nota prot. n. 2491/09 del 28.01.2009).

Purtuttavia, tale circostanza non inficia la legittimità del gravato provvedimento per due ordini di ragioni.

In primo luogo, detta domanda, al pari delle altre due pendenti, è stata poi definitivamente rigettata dal Comune, con provvedimento di diniego (determina registro generale n. 587 dell'8.7.2008) impugnato dinanzi a questo Tribunale con ricorso pendente sub R.G. n. 9668/2009, dichiarato perento con decreto presidenziale n. 5524/2018 del 18/09/2018, avverso il quale è stata proposta opposizione respinta dalla Sez. II quater di questo tribunale con ordinanza collegiale n. 2021/2019 del 14.02.2019.

Del definitivo consolidamento del diniego di condono è stato dato atto dal questo Tribunale con le sentenze sopra citate.

Ne consegue che i fabbricati in cui è (stata) esercitata l’attività commerciale autorizzata nel 1992 avevano incontestabilmente natura abusiva alla data della revoca.

La circostanza per cui all’epoca il procedimento di condono risultava essere ancora pendente non assume rilievo invalidante, atteso che, atteggiandosi il diniego di condono quale atto vincolato (espressamente motivato, nel caso di specie, sul duplice presupposto che i manufatti oggetto di richiesta di sanatoria risultavano posizionati nella fascia di rispetto di 100 metri dall'Appia Antica, nella quale non è consentita alcuna costruzione, e difettava sia il nulla-osta archeologico che il parere favorevole espresso dall’Ente subdelegato ai sensi della legge regionale n. 59/95, quali atti entrambi propedeutici e necessari ai fini di un eventuale accoglimento della domanda di condono), il provvedimento oggi gravato non poteva avere altro contenuto che quello effettivamente adottato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 21 octies, co. 2 l. n. 241/1990. E comunque, il definitivo consolidamento del diniego di condono, cui hanno fatto seguito le ordinanze di demolizione di cui sopra (la cui legittimità è stata oggetto di accertamento giudiziale), non può che comportare la conferma del presupposto su cui la revoca oggi gravata si fonda.

In secondo luogo, l’impianto motivazionale che sorregge detto provvedimento richiama, altresì, l’ordinanza di demolizione n. 198/2008 (come successivamente rettificata), emessa esplicitamente in relazione all’esistenza di abusi ulteriori rispetto a quello oggetto della domanda di condono: il ricorrente non ha mai dimostrato l’avvenuta ottemperanza alla relativa ingiunzione (al di là di una generica asserzione contenuta a pag. 2 del ricorso, rimasta però sguarnita di riscontro documentale), sicché, alla data in cui il provvedimento è stato adottato, il presupposto della regolarità urbanistico-edilizia dell’immobile difettava anche per motivi diversi e ultronei rispetto a quelli evidenziati nel preannunciato diniego di sanatoria.

Ne consegue anche che, contrariamente a quanto dedotto con il secondo mezzo, il gravato provvedimento risulta congruamente e adeguatamente motivato, illustrando compiutamente le ragioni per le quali difettava detta condizione (presupposto indispensabile per il rilascio di un’autorizzazione all’esercizio di un’attività commerciale, come argomentato da consolidata giurisprudenza, attestata “ da tempo nel senso che nel rilascio dell’autorizzazione commerciale occorre tenere presenti i presupposti aspetti di conformità urbanistico – edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, con l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo, ove fondato su rappresentate ed accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene svolta ”: cfr. ex multis Cons stato, Sez. V, 7.11.2022, n. 9786).

9. Privo di pregio è anche l’ultimo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente lamenta che il potere di revoca è stato esercitato intempestivamente (non essendosi ancora concluso il procedimento di sanatoria e dunque difettando il relativo presupposto di diritto) e senza corresponsione dell’indennità prevista dall’art. 21 quinquies l. n. 241/1990.

Quanto al primo profilo si rinvia alle argomentazioni sopra rassegnate.

Con riferimento alla mancata liquidazione dell’indennizzo, in primis va ribadito, in via generale (e come anche evidenziato dalla difesa comunale) che la mancata liquidazione dell’indennizzo contestualmente alla revoca non è causa di illegittimità dell’atto, consentendo semmai al privato di attivarsi al fine di ottenere l’indennizzo medesimo, essendo l’atto di revoca legittimo laddove contenga sufficienti motivazioni che lo fondano, a nulla rilevando l’eventuale indicazione dell’importo indennitario (cfr. costante giurisprudenza tra cui ex multis Cons., sez. V, sent. 2244/2010).

In secondo luogo, nel caso di specie non si ravvisano comunque i presupposti per la corresponsione dell’indennizzo (come peraltro contestato dall’Amministrazione nelle proprie difese): la revoca dell’autorizzazione è stata disposta, infatti, in ragione del venir meno del necessario presupposto della regolarità urbanistico-edilizia dell’immobile, e dunque su una sopravvenuta modifica della situazione di fatto imputabile unicamente alla parte, sicchè il provvedimento assume i connotati di una misura sanzionatoria, con la conseguenza che l’amministrazione, non essendo tenuta a valutare l’affidamento maturato dal privato sulla conservazione del provvedimento autorizzatorio a sé favorevole, non era tenuta nemmeno a corrispondere alcun indennizzo.

11. Va dato poi atto della parziale inammissibilità del gravame nella parte in cui è diretto anche avverso il verbale di accertamento di violazione n. 18/09, elevato dalla Polizia Municipale in data 12.06.2009, con cui è stato successivamente accertato l’esercizio dell’attività commerciale in assenza della prescritta autorizzazione comunale, in quanto trattasi di atto endo-procedimentale. Ad esso ha fatto seguito l’ordinanza n. 89 del 24.06.2009, con cui è stata intimata alla parte la cessazione immediata attività commerciale e la chiusura definitiva dell’esercizio ubicato in via Appia Antica n. 58, quale atto dovuto (di natura provvedimentale), conseguente alla revoca del titolo autorizzatorio.

12. In conclusione, il ricorso è in parte inammissibile e per la restante parte va rigettato.

13. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.·

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